Il martirio di San Denys (San Dionigi)

dal sito on line del giornale « Avvenire »
Myanmar: «Oppositori vivi nei forni crematori»
Testimoni raccontano di esecuzioni brutali La Ue: sanzioni al regime al via da lunedì
DA NEW DELHI PAOLO MARINO
I l regime birmano stringe la morsa sulla comunità monastica. Nel fine settimana sono stati convocati gli abati dei maggiori monasteri del Paese e imposto il trasferimento di un gran numero di religiosi per prevenire nuove proteste. «Siamo preoccupati per la sorte di questi monaci – dicono a Yangon fonti riprese dall’agenzia di stampa AsiaNews – non sappiamo di cosa vivranno fuori dalle città, dove sarà difficile raccogliere le elemosine, su cui si basa la loro sussistenza». Secondo gli organi d’informazione ufficiali, nelle perquisizioni in templi e monasteri sarebbero state trovate armi da fuoco, munizioni e coltelli, che giustificherebbero le decine di nuovi arresti del fine settimana. Il governo ha annunciato che userà il pugno di ferro con «i monaci che non rispettano le leggi di Buddha e del governo», sollevando una serie di nuove reazioni internazionali proprio mentre l’Unione europea si prepara, lunedì prossimo, a varare una serie di sanzioni che dovrebbero incrementare l’isolamento del regime.
Ovviamente la repressione non si ferma ai monaci. Sarebbero migliaia gli oppositori scomparsi di cui la dissidenza cerca di ricostruire le vicende. «Non pensiate che le uccisioni e le torture di siano fermate – si legge su un appello uscito dal Paese –. Le atrocità del regime proseguono in località isolate, lontano da occhi indiscreti e dai mass media, nella notte e tra solide mura. Ci sono tuttavia testimonianze e fotografie di come dopo avere torturato gente comune e studenti, le unità investigative e gli uomini dei servizi segreti li carichino su camion nel mezzo della notte e li portino su strade isolate. Qui i prigionieri – a volte ancora vivi – vengono gettati sulla strada e allineati per poi fargli passare sopra autocisterne. I corpi resi irriconoscibili sono gettati in fosse scavate dagli stessi aguzzini, che così fanno scomparire gli oppositori una volta per tutte. Un regime folle ora mostra la sua faccia più bestiale e le sua atrocità peggiorano di giorno in giorno».
Sempre fonti locali riprese da AsiaNews
confermano l’esistenza di un forno crematorio alla periferia di Yangon, dove i militari gettano, oltre ai cadaveri degli oppositori anche i detenuti feriti gravemente e arrestati durante le dimostrazioni antiregime di queste settimane.
Appare però evidente che non tutto è sotto controllo come il regime vorrebbe far credere. E la repressione non basta. Il quotidiano ufficiale Nuova Luce di Myanmar ieri ha comunicato che il governo sta distribuendo cibo, generi di prima necessità e denaro per un totale di 8.000 dollari a una cinquantina di monasteri e luoghi di culto nella parte settentrionale dell’ex capitale. Le donazioni, pagate dalla giunta vengono fatte a nome dei singoli soldati o delle loro famiglie. Secondo il giornale, sarebbero accettate volentieri dai monaci che nelle scorse settimane avevano minacciato di non accettare più l’elemosina dai militari, in questo modo impedendo loro di guadagnare meriti spirituali.
Intanto un coinvolgimento della signora Aung San Suu Kyi nel processo di pacificazione e democratizzazione nazionale, come richiesto dall’inviato Onu Ibrahim Gambari durante la visita nel paese, rischia di restare una semplice speranza. Secondo la televisione di Stato, il generale Than Shwe, alla guida del regime, ha scelto il vice ministro del Lavoro «per continuare le relazioni con Daw Aung San Suu Kyi nel futuro», ha comunicato la rete televisiva, utilizzando un termine onorifico per mostrare rispetto nei confronti del premio Nobel per la Pace. Tuttavia, se colloqui ci saranno, non comporteranno comunque una maggiore libertà di azione della signora Suu Kyi, che – è stato specificato – resterà agli arresti domiciliari sino a quando una nuova costituzione non verrà approvata. Ci sono voluti 13 anni affinché un’Assemblea costituente boicottata dalle forze democratiche stilasse la bozza di una costituzione, presentata nei giorni scorsi, che ha ancora davanti a sé un lungo cammino prima di diventare esecutiva.
dal sito:
http://www.cantalamessa.org/it/articoloView.php?id=26
La Battaglia è intorno al Re
di Padre Cantalamessa
2003-05-30- Berlin-Ökumenischer Kirchentag
Quando si arriva in piazza S. Pietro a Roma lo sguardo è immediatamente attratto dall’obelisco che è al centro della piazza. È il punto di convergenza di tutti gli sguardi, segna il centro di tutto e da equilibrio al tutto come l’albero maestro in una nave. Gesù Cristo è l’obelisco al centro della Chiesa; ad esso devono essere costantemente rivolti gli sguardi e l’attenzione dei cristiani, è l’albero maestro che da stabilità a tutto nella Chiesa.
Cerco di spiegare perché mi sembra importante richiamare questo fatto nel momento storico che stiamo vivendo. La posta in gioco all’inizio del terzo millennio, non è più la stessa dell’inizio del secondo millennio, quando si produsse la separazione tra oriente e occidente, e neppure è quella a metà del millennio, quando si produsse, in seno alla cristianità occidentale, la separazione tra cattolici e protestanti.
I punti controversi tra oriente e occidente erano la dottrina del Filioque (sulla processione dello Spirito Santo dal Padre soltanto o dal Padre e dal Figlio), il problema se usare per l’Eucaristia pane azzimo o pane fermentato, se omettere o meno l’Alleluia durante la Quaresima…Possiamo dire che questi siano ancora i problemi vitali che appassionano gli uomini di oggi, ai quali dobbiamo annunciare il vangelo?
Le questioni che provocarono la separazione tra Chiesa di Roma e la Riforma nel secolo XVI furono soprattutto le indulgenze e il modo in cui avviene la giustificazione dell’empio. Ma, di nuovo, possiamo dire che questi siano i problemi con i quali sta o cade la fede dell’uomo d’oggi? In una conferenza tenuta al Centro “Pro unione” di Roma, il cardinale Walter Kasper faceva giustamente notare che mentre per Lutero il problema esistenziale numero uno era come superare il senso della colpa e ottenere un Dio benevolo, oggi il problema semmai è il contrario: come ridare all’uomo d’oggi il vero senso del peccato che ha smarrito del tutto.
In un’epoca in cui tutti, da New Age in su, parlano di una salvezza che l’uomo deve trovare in se stesso, come riproporre il messaggio di Paolo che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rom 3, 24) e che abbiamo bisogno di un Salvatore? Io sono un cattolico, e per giunta italiano, ma confesso che mi ritrovo a volte a desiderare che la Germania dia oggi alla Chiesa e al mondo un altro Lutero, perché per me Lutero, al di là delle dottrine particolari e dei punti controversi è l’uomo dalla fede in Gesù Cristo più granitica di una roccia. Sue sono le parole: „Perdere Cristo, è perdere tutto. Avere Cristo, è avere tutto: se mi resta Cristo tutto mi resta e può essere trovato“.
Nella descrizione delle battaglie medievali c’è sempre un momento in cui, superati gli arcieri, la cavalleria e tutto il resto, la mischia si concentrava intorno al re. Lì si decideva l’esito finale della battaglia. Anche per noi la battaglia oggi è intorno al re… La persona di Gesù Cristo è la vera posta in gioco. Si ripropone la domanda iniziale: “Voi chi dite che io sia?” (Mt 16, 15).
La nostra situazione, nel mondo post-cristiano, somiglia per molti aspetti a quella vissuta dalla Chiesa al suo inizio, nel mondo pre-cristiano e da essa possiamo attingere un po’ di luce. Allora non esisteva una filosofia cristiana, un’arte cristiana per cui si potesse essere cristiani per cultura e non per altro; non esistevano concordati con gli stati che proteggessero gli interessi della Chiesa. C’era solo la forza di un nome e di una persona: Gesù Cristo e questa bastò a cambiare il mondo. Bisogna riscoprire la forza “unica” di questo nome.
Cosa rappresenta Gesù Cristo per i cristiani nell’era della comunicazione di massa? La fede in Gesù Cristo che, negli ultimi tre secoli, ha superato la grande sfida della critica storica, supererà ora la non meno formidabile sfida del pluralismo religioso? Oggi si tende giustamente a riconoscere alle altre religioni una dignità propria e un ruolo positivo nel piano divino di salvezza. Il concilio Vaticano II, nel decreto Nostra aetate, ha riconosciuto che c’è del buono e del vero nelle altre religioni. Ora il bene e il vero, Dio non lo “tollera” solamente, ma lo vuole e lo valorizza anche quando è mescolato con il suo contrario. Anche l’Antico Testamento contiene ancora tanti elementi caduchi e moralmente inaccettabili, ma questo non ci impedisce di riconoscere il suo immenso valore religioso e una autentica rivelazione di Dio.
Il punto delicato è sapere se il riconoscimento di una dignità propria alle altre religioni ci costringe a sganciarle dal Cristo incarnato e dal suo mistero pasquale per farne delle vie di salvezza parallele, del tutto indipendenti da Cristo. “Un evento particolare –si fa osservare -, limitato nel tempo e nello spazio, come è il Cristo dell’incarnazione, non può esaurire le potenzialità di Dio e del suo Verbo eterno che sono infinite”. È vero, si deve rispondere, ma può realizzare, di tali potenzialità, quanto basta per la salvezza di un mondo che è anch’esso limitato nel tempo e nello spazio!
C’è oggi una corrente teologica per la quale Cristo non sarebbe venuto per la salvezza degli Ebrei (ai quali basterebbe rimanere fedeli all’Antica alleanza), ma per quella dei gentili e un’altra corrente secondo la quale egli non sarebbe necessario neppure per la salvezza dei gentili, avendo questi, nella loro religione, una rapporto diretto con il Logos eterno, senza bisogno di passare per il Verbo incarnato e il suo mistero pasquale. Viene da domandarsi: per chi è dunque ancora necessario Cristo?
Se insisto su questo punto non è per stabilire la superiorità della nostra religione sulle altre, ma per non tradire il nucleo centrale di tutto il Nuovo Testamento. Io credo che tutte le secolari discussioni tra cattolici e protestanti intorno alla fede e alle opere hanno finito per farci perdere di vista il punto principale del messaggio paolino. Quello che all’Apostolo preme anzitutto affermare in Romani 3 non è che siamo giustificati per la fede, ma che siamo giustificati per la fede in Cristo; non è tanto che siamo giustificati per la grazia, quanto che siamo giustificati per la grazia di Cristo. È Cristo il cuore del messaggio, prima ancora che la grazia e la fede.
Dopo avere nei due precedenti capitoli della Lettera presentato l’umanità nel suo universale stato di peccato e di perdizione, l’Apostolo ha l’incredibile coraggio di proclamare che questa situazione è ora radicalmente cambiata “in virtù della redenzione realizzata da Cristo”, “per l’obbedienza di un solo uomo” (Rom 3, 24; 5, 19).
L’affermazione che questa salvezza si riceve per fede, e non per le opere, è presente nel testo ed era la cosa più urgente da mettere in luce al tempo in cui Lutero scriveva. Ma essa viene in secondo luogo, non in primo. Abbiamo commesso l’errore di ridurre a un problema di scuole, interno al cristianesimo, quella che era per l’Apostolo una affermazione di portata ben più vasta e universale. Oggi, raggiunto un fondamentale accordo intorno a questa divergenza (vedi documento congiunto del 1999 della Chiesa Cattolica e della Federazione mondiale delle Chiese luterane), siamo chiamati a riscoprire e proclamare insieme il fondo del messaggio paolino. Per qualcuno questa scoperta potrebbe essere qualcosa di analogo a ciò che fu per Lutero la famosa “esperienza della torre” (Turm-erlebniss). In ogni caso, questo è ciò che essa è stata per me.
L’apostolo Paolo ha qualcosa di importante da dirci anche su come conciliare insieme dialogo interreligioso e annuncio di Cristo, senza compromettere nessuna delle due cose. Ci insegna a non fondare l’evangelizzazione su un motivo negativo, ma su uno positivo; a non far leva sul fatto che, se non arriva a conoscere Cristo, la gente non si salva (il vecchio “extra Ecclesiam nulla salus”), quanto sull’amore di Cristo per tutti gli uomini. “L’amore di Cristo ci spinge – scrive – al pensiero che uno è morto per tutti » (2 Cor 5, 14).
Paolo annunciava Cristo perché convinto dell’immensità del dono che Cristo è per il mondo. Non annunciare Cristo, gli sarebbe parso un occultare il dono, un defraudare il mondo di qualcosa che gli spetta di diritto; insomma, una terribile infedeltà e responsabilità. Di qui il suo grido: « Guai a me se non evangelizzo! » (1 Cor 9,16).
Cristo è anche il vincolo di unità più forte tra tutti i cristiani. Nel dialogo interreligioso, Gesù di Nazaret è nulla. Non si può neppure pronunciare il suo nome senza creare subito contrasti e sospetti. (Ho assistito una volta a uno di questi incontri a livello mondiale e alla fine ho fatto una constatazione: in una giornata di discorsi e di dibattiti, il suo nome non era stato pronunciato una sola volta). Nel dialogo ecumenico, al contrario, Gesù Cristo è tutto. È la realtà che ci unisce, più forte di tutto ciò che ancora ci divide. In lui siamo già “una cosa sola”.
Se tutti i cristiani si rimettono in cammino verso Cristo, ognuno dal suo punto di partenza, ben presto si troveranno uniti tra di loro. Ho portato l’esempio dell’obelisco in piazza S. Pietro. Immaginiamo cosa succede quando gruppi di persone voltano le spalle all’obelisco e si incamminano verso l’esterno della piazza: a mano a mano che si allontanano dal centro si allontanano anche gli uni dagli altri, fino a finire ognuno in un punto diverso del colonnato. Immaginiamo invece cosa succede se si fa il movimento contrario: a mano a mano che i diversi gruppi si avvicinano al centro si avvicinano anche tra di loro, fino a formare una sola massa intorno all’obelisco. È la via per tornare ad essere, come i discepoli all’indomani della Pentecoste, “un cuore solo e un’anima sola” (Atti 4, 32).
“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3,13). Lo Spirito Santo è decisamente “monotono”, dice sempre la stessa cosa. All’inizio del terzo millennio continua a dire alle Chiese la stessa cosa che disse, o meglio gridò, il giorno che scese per la prima volta sui discepoli a Pentecoste: “Sappia con certezza tutta la casa di Israele (oggi direbbe: sappia con certezza tutto il mondo) che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che gli uomini hanno crocifisso!” (cf. Atti 2, 36).
dal sito:
http://www.zenit.org/article-12122?l=italian
Benedetto XVI: ottobre, mese del Rosario e della missione
Intervento in occasione dell’Angelus domenicale
CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 7 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della recita della preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in piazza San Pietro.
Cari fratelli e sorelle,
questa prima domenica di ottobre ci offre due motivi di preghiera e di riflessione: la memoria della Beata Vergine Maria del Rosario, che ricorre proprio oggi, e l’impegno missionario, a cui il mese è dedicato in modo speciale. L’immagine tradizionale della Madonna del Rosario raffigura Maria che con un braccio sostiene Gesù Bambino e con l’altro porge la corona a san Domenico. Questa significativa iconografia mostra che il Rosario è un mezzo donato dalla Vergine per contemplare Gesù e, meditandone la vita, amarlo e seguirlo sempre più fedelmente. E’ la consegna che la Madonna ha lasciato anche in diverse sue apparizioni. Penso, in particolare, a quella di Fatima avvenuta 90 anni fa. Ai tre pastorelli Lucia, Giacinta e Francesco, presentandosi come « la Madonna del Rosario », raccomandò con insistenza di recitare il Rosario tutti i giorni, per ottenere la fine della guerra. Anche noi vogliamo accogliere la materna richiesta della Vergine, impegnandoci a recitare con fede la corona del Rosario per la pace nelle famiglie, nelle nazioni e nel mondo intero.
Sappiamo, tuttavia, che la vera pace si diffonde là dove gli uomini e le istituzioni si aprono al Vangelo. Il mese di ottobre ci aiuta a ricordare questa fondamentale verità mediante una speciale animazione che tende a tener vivo l’anelito missionario in ogni comunità e a sostenere il lavoro di quanti – sacerdoti, religiosi, religiose e laici – operano sulle frontiere della missione della Chiesa. Con speciale cura ci prepariamo a celebrare, il prossimo 21 ottobre, la Giornata Missionaria Mondiale, che avrà come tema: « Tutte le Chiese per tutto il mondo« . L’annuncio del Vangelo resta il primo servizio che la Chiesa deve all’umanità, per offrire la salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo, in tante forme umiliato e oppresso, e per orientare in senso cristiano le trasformazioni culturali, sociali ed etiche che sono in atto nel mondo. Quest’anno un ulteriore motivo ci spinge ad un rinnovato impegno missionario: il 50° anniversario dell’Enciclica Fidei donum del Servo di Dio Pio XII, che promosse e incoraggiò la cooperazione tra le Chiese per la missione ad gentes. Mi piace ricordare anche che 150 anni or sono partirono per l’Africa, precisamente per l’attuale Sudan, cinque preti e un laico dell’Istituto di Don Mazza di Verona. Tra loro vi era san Daniele Comboni, futuro Vescovo dell’Africa centrale e patrono di quelle popolazioni, la cui memoria liturgica ricorre il prossimo 10 ottobre.
All’intercessione di questo pioniere del Vangelo e dei numerosi altri Santi e Beati missionari, particolarmente alla materna protezione della Regina del Santo Rosario affidiamo tutti i missionari e le missionarie. Ci aiuti Maria a ricordarci che ogni cristiano è chiamato ad essere annunciatore del Vangelo con la parola e con la vita.
[Dopo l’Angelus, il Papa ha salutato i presenti in varie lingue. In italiano ha detto:]
Sono lieto ora di salutare i giovani che nei giorni scorsi hanno animato la quarta edizione della Missione di Roma denominata « Gesù al centro ». Mi congratulo con voi, cari amici, perché avete portato l’annuncio dell’amore di Dio per le strade, in alcuni ospedali e scuole della città. L’esperienza missionaria fa parte della formazione cristiana, ed è importante che gli adolescenti e i giovani possano viverla in prima persona. Continuate a testimoniare il Vangelo ogni giorno e impegnatevi generosamente nelle prossime iniziative missionarie nella Diocesi di Roma.
Un saluto speciale rivolgo poi alle migliaia di ragazzi radunati nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove partecipano alla Santa Messa celebrata dal Cardinale Fiorenzo Angelini in occasione della « Terza Festa dello Sportivo », che ha come tema « Sport, Amicizia, Preghiera« . Cari ragazzi, siete venuti da tutto il Lazio per questo significativo appuntamento: sappiate sempre unire lo sport, l’amicizia e la vita spirituale. Buona festa!
Oggi in Italia ricorre la Giornata per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Auspico che le istituzioni e i singoli cittadini siano sempre più attenti a questo obiettivo sociale, e incoraggio l’opera che a tale scopo compie l’Associazione FIABA, con il patrocinio delle più alte Autorità dello Stato.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli provenienti da Taìno. A tutti auguro una buona domenica.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-12142?l=italian
Quasi 500 nuovi martiri spagnoli per la beatificazione più numerosa della storia
Il 28 ottobre prossimo, in piazza San Pietro
ROMA, lunedì, 8 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Il 28 ottobre prossimo, la Chiesa celebrerà la beatificazione più numerosa della storia elevando alla gloria degli altari quasi cinquecento martiri della persecuzione religiosa che ha avuto luogo in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso.
Lo ha affermato venerdì pomeriggio padre Juan Antonio Martínez Camino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Spagnola, in un atto accademico tenutosi in vista di questa beatificazione nell’Aula Magna del Pontificio Istituto Agostiniano, situato nei pressi del Vaticano.
Il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, presiederà quel giorno, in piazza San Pietro in Vaticano, la beatificazione dei 498 martiri del XX secolo in Spagna.
“Non erano mai stati beatificati tanti servi di Dio in un’unica cerimonia – ha spiegato il portavoce della Conferenza Episcopale –: è la più numerosa della storia”.
“Dal punto di vista organizzativo, è la prima volta che varie e numerose cause (23), iniziate e portate avanti dalle rispettive postulazioni, sono accolte al servizio offerto dall’Ufficio per le Cause dei Santi, creato dalla Conferenza Episcopale Spagnola, in dialogo con la Congregazione per le Cause dei Santi, per incoraggiare, accompagnare e coordinare il lavoro delle parti, rispettando sempre le competenze di queste ultime”.
“Dal punto di vista pastorale – ha aggiunto –, praticamente tutte le diocesi spagnole, per ragioni di nascita, vita apostolica o martirio dei nuovi beati, si vedono beneficiate da questa grande festa della fede e della santità”.
Il Segretario della Conferenza Episcopale ha spiegato che “una beatificazione così numerosa non è stata preparata per coltivare alcuna megalomania. La cerimonia e la festa saranno grandi perché grande è la pagina della storia della Chiesa in Spagna che in esse si riflette”.
“Sono molti i casi di martirio già riconosciuti dalla Chiesa per questo periodo degli anni Trenta del secolo scorso – ha rivelato –. Con questi nuovi beati si avvicinano già ai mille (per l’esattezza 977, tra cui 11 santi)”.
“E sono molti i casi suscettibili di essere riconosciuti in futuro – ha proseguito padre Martínez Camino –. Di circa 2.000 sono già avviati i processi. Ed è prevedibile che si continuino a proporre molti altri casi fino ad avvicinarsi, forse, alla decina di migliaia”.
“La persecuzione religiosa degli anni Trenta del XX secolo ha caratteristiche proprie in Spagna, ma non è un caso isolato né originale spagnolo. Si inserisce nella grande persecuzione subita dai cristiani di tutte le confessioni nel XX secolo nel mondo e, in particolare, in Europa”, ha chiarito.
“La Chiesa non cerca colpevoli quando beatifica i suoi martiri. Cerca solo la gloria di Dio e il bene degli uomini. Cerca di promuovere la causa di Gesù Cristo, che è la causa dell’essere umano”.
All’atto accademico è intervenuto monsignor Vicente Cárcel Ortí, studioso della Storia della Chiesa in Spagna, che ha spiegato come la persecuzione religiosa degli anni 1934 e 1936-39 sia stata l’aspetto più negativo della Seconda Repubblica Spagnola. Una pagina buia della storia che si è voluto occultare mescolandolo, confondendolo o giustificandolo con la Guerra Civile, quando in realtà è iniziato due anni prima.
Papa Pio XI, nell’enciclica “Dilectissima nobis” (3 giugno 1933), denunciò davanti al mondo la situazione di autentica persecuzione religiosa che viveva la Chiesa in Spagna, ha ricordato lo storico.
“E’ stata la più grande conosciuta nella storia della Spagna, e forse in tutta la storia della Chiesa cattolica. Ci sono stati circa 10.000 martiri per motivi religiosi”, ha osservato.
Giovanni Taulero (circa 1300-1361), domenicano a Strasburgo
Discorsi 51
« Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto… venire ucciso e risuscitare il terzo giorno » (Mt 16,21)
Il nostro Signore diceva beati i suoi discepoli, a motivo di ciò che stavano vedendo (Lc 10,23). A guardare per il sottile, dovremmo anche noi essere tanto beati quanto loro poiché vediamo il Nostro Signore Gesù più perfettamente di quanto i discepoli come san Pietro o san Giovanni lo vedessero. Essi, avevano sotto gli occhi un uomo povero, debole, sofferente, mortale, mentre, grazie alla nostra fede santa e preziosa, conosciamo, noi, un Dio grande, degno di adorazione, potente, Signore del cielo e della terra e che, a partire dal nulla ha fatto tutto il creato. Nel considerare tutto questo, i nostri occhi, sì, le nostre anime trovano la loro felicità eterna.
Figli carissimi, i grandi teologi e i dottori discutono la questione di sapere cosa sia il più importante e il più nobile nella conoscenza o nell’amore. Noi invece, parleremo più volentieri di quello che dicono i maestri di vita, perché quando arriveremo in cielo, allora vedremo bene la verità di ogni cosa. Non ha forse detto il Nostro Signore: « Una sola è la cosa di cui c’è bisogno »? Quale è dunque questa cosa di cui c’è tanto bisogno? Questa sola cosa è il tuo riconoscere la tua debolezza e la tua miseria. Non puoi rivendicare nulla; da solo, sei nulla. A causa di questa unica cosa di cui c’è bisogno, il Nostro Signore ha sopportato un’angoscia tale da sudare sangue. Perché noi non abbiamo voluto rionoscere questa sola cosa, il Signore ha gridato sulla croce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt 27,46). Sì, occorreva che il nostro Salvatore, la sola cosa di cui noi abbiamo bisogno, fosse completamente abbandonato da tutti gli uomini.
Carissimo figlio, lascia perdere quanto io stesso e tutti i maestri abbiamo potuto insegnarti, ogni vita attiva, ogni contemplazione, ogni altra considerazione, e studia soltanto questa cosa unica, in modo che ti sia concessa, e avrai lavorato bene. Per questo il Nostro Signore ha detto: « Maria si è scelta la parte migliore », sì, la migliore di tutte. In verità se tu potessi ottenerla, avresti ottenuto tutto: non solo una parte del bene, ma tutto il bene.