Archive pour le 13 octobre, 2007

Sant’Edoardo

Sant'Edoardo dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 13 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

Sant’ Edoardo III il Confessore Re d’Inghilterra

Sant’Edoardo è festeggiato in Italia il 5 gennaio, tuttavia poiché in Francia ed in Inghilterra lo celebrano oggi e non essendoci altri santi in  memoria oggi seguo la tradizione inglese e francese e posto Sant’Edoardo, dal sito: 

http://santiebeati.it/dettaglio/74150

Sant’ Edoardo III il Confessore Re d’Inghilterra 

Normanno da parte di madre, nel primo periodo la sua vita, visse in esilio in Francia per sfuggire all’invasione danese. Incoronato re d’Inghilterra nel 1043, si trovò a far da mediatore, con grandi difficoltà ed insuccessi, fra i Normanni e i Sassoni. Per spirito di conciliazione, sposò Edith, la figlia colta e intelligente del suo principale avversario politico. Il matrimonio, nonostante inizialmente fosse stato dettato dalla ragion di Stato, fu caratterizzato da un profondo accordo. Mite e generoso, Edoardo lasciò una traccia indelebile nel popolo inglese che lo venerò non solo per alcuni saggi provvedimenti amministrativi ma, principalmente, per la sua bontà, per la carità verso coloro che avevano bisogno e per la santità della sua vita. A lui si deve la restaurazione del monastero di Westminster. 

Patronato: Inghilterra 

Etimologia: Edoardo = che si cura della proprietà, dal tedesco 

Emblema: Corona, Anello 

E’ presente nel Martirologio Romano. A Londra 

Edoardo III il Confessore, re d’Inghilterra, è il santo più celebre a portare tale nome, insieme con il suo avo, Sant’Edoardo II il Martire. Il futuro Edoardo III nacque nei pressi di Oxford tra il 1004 ed il 1005 da Etelredo II lo Sconsigliato e dalla sua seconda moglie, la principessa normanna Emma. A causa dello stato di agitazione che regnava nel paese, all’età di soli dieci anni fu mandato in esilio in Normania, ove rimase sino al 1041. Richiamato poi in Inghilterra, l’anno seguente ascese al trono. Proprio durante l’esilio il futuro re aveva appreso molte delle qualità che gli tornarono più utili, come ricorda il suo biografo Barlow: “opportunismo e flessibilità, pazienza, cautela, capacità di evitare di evitare lo scontro frontale [...] sapienza terrena [...] disponibilità ad accettare qualunque sorte gli fosse riservata”. Regnò per un periodo abbastanza lungo, riuscendo a tenere sotto controllo i molteplici nemici, sia interni che esterni. Il suo successore Aroldo, ventidue anni dopo, si trovò a governare un paese ben più tranquillo, unito e stabile di quanto non lo fosse stato all’incoronazione di Edoardo.
La santità di Edoardo non è data esclusivamente da alcune azioni eroiche, bensì è frutto del suo comportametno complessivo quale sovrano. Resta tuttavia difficile conoscere con certezza molti aspetti del suo governo, del suo carattere e delle sue motivazioni. Con lo sviluppo del suo culto, la fama del suo regno si accrebbe tanto da giudicarlo quasi un’epoca d’oro e per sua la grande popolarità Sant’Edoardo divenne uno dei principali patrono d’Inghilterra. Le numerose “Vite” scritto in seguito sul suo conto misero in evidenza la santità di questo grande sovrano, i miracoli ottenuti per sua intercessione, la castità custodita integra per tutta la vita, la carità verso i poveri, verso la Chiesa ed in particolare verso i monaci.
Occorre però sottolineare come qualcuno nutrisse non pochi interessi dall’incentivare il culto di Sant’Edoardo: in primis i monaci dell’abbazia di Westminster, che ne conservavano la tomba e fecero proliferare i racconti circa la santità e la potenza taumaturgica del re, al fine di incrementare l’afflusso di pellegrini; in seguito la venerazione nei confronti di Edoardo, normanno per parte materna, risultò di aiuto agli invasori normanni per tentare di ottenere un’indiretta legittimazione al loro potere sull’isola. Parecchi leggendari elementi sulla sua esistenza terrena non sono certi, come la scelta fatta con la moglie Edith di condurre una vita di castità ed il matrimonio bianco, forse pure supposizione volte a giustificare il fatto che non lasciò discendenza. Anche la maggior parte dei racconti sui miracoli è assai dubbia: la “Vita” più anica, scritta pochissimi anni dopo la sua morte, narra di alcune guarigioni avvenute con l’acqua in cui il santo re si era lavato le mani. Fu allora invocato contro le malattie della pelle e l’epilessia e secondo la tradizione fu il primo sovrano inglese a contrarre la cosiddetta “malattia del re”, cioè la scrofola. Abolì la tassa dell’heregeld, destinata al mantenimento dell’esercito, per devolvere il ricavato ai poveri, ma forse si trattò solo di un provvedimento temporaneo.
Analizzando invece le qualità di Edoardo come sovrano, ci si può rifare a notizie più certe: difese il paese dagli attacchi stranieri e protesse la propria autorità dai sudditi troppo ambiziosi. Tentò sempre in ogni modo di evitare le guerre, ma fu sempre risoluto nel dispiegare un esercito o una flotta contro la minaccia di invasione. Per rafforzare la propria posizione non mancò di stringere numerose alleanze straniere. In patria la più seria minaccia al suo potere era costituita dal conte Godwin del Wessex: ne sposò allora la figlia, Edith, ma quando nel 1051 Godwin minacciò una rivolta, ad Edoardo non restò che esiliarlo insieme all’intera sua famiglia, facendo rinchiudere anche Edith in un convento. Già l’anno seguente il re permise a Godwin di fare ritorno in patria, evitando così il rischio di una guerra civile e nel regno continuò dunque a regnare la pace.
Indipendentemente dalla fama acquisita in seguito, pare che non fu un grande benefattore della Chiesa, ad eccezione di Westminster. Una saggia amministrazione delle nomine ecclesiastiche costituiva una parte essenziale per affermare l’autorità regio ed un buon governo. Il giudizio di Edoardo in queste questioni si rivelo sempre oculato, salvo il caso di Stigand, arcivescovo di Canterbury che si rivelò certo un abile amministratore, ma poco animato da spirito religioso. Edoardo nominò anche degli stranieri alle sedi episcopali inglesi, non per distruggere la matrice nazionale della Chiesa, quanto più per il desiderio di scegliere degli uomini di qualità. Durante il suo regno furono applicate importanti riforme locali, non vi furono scandali e vennero rafforzati i rapporti con Roma.
La decisione di rifondare l’abbazia di Westminster, monumento che perpetuò indefinitamente il suo ricordo, nacuqe da un voto che Edoardo aveva fatto quando in gioventù era esule in Normandia: se Dio avesse reintegrato nei suoi diritti la sua famiglia, si sarebbe recato a Roma in pellegrinaggio. Asceso poi al trono, si trovò impossibilitato a lasciare l’Inghilterra e chiese perciò al papa di essere dispensato dal voto. Il pontefice acconsentì, commutando l’obbligo nella fondazione di un monastero dedicato all’apostolo Pietro. Edoardo scelse allora un convento già esistente presso Thorney, ad ovest di Londra, al quale fece ingenti donazioni di terreni e in denaro, dando inizio all’edificazione di una magnifica chiesa romanica, che fu l’embrione dell’odierna abbazia di Westminster.
Le sue condizioni di salute, purtroppo, si aggravarono prima di poter partecipare all’innaugurazione del coro della basilica. Morì dopo pochi giorni, il 5 gennaio 1066, e venne sepolto proprio nell’abbazia. Nel 1102 il suo corpo, riesumato e trovato incorrotto, venne traslato in un nuovo sito. Aocora in seguito fu soggetto ad alcune traslazioni e le sacre reliquie sopravvissero alla Riforma ed ancora oggi sono oggetto di venerazione. Nel 1161 papa Alessandro III canonizzo Sant’Edoardo III, detto “il Confessore” per distinguerlo dal suo predecessore Edoardo II “il Martire”, dietro interessamento del re Enrico II. Nel 1689 la sua festa fu estesa alla Chiesa universale e fissata in data 13 ottobre, anniversario della prima traslazione. Oggi però il nuovo Marturologium Romanum ha spostato la commemorazione alla data della morte. 


Autore:
Fabio Arduino  

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di Sandro Magister: Un anno dopo Ratisbona, 138 musulmani scrivono una nuova lettera al papa:

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/171166 

 

Un anno dopo Ratisbona, 138 musulmani scrivono una nuova lettera al papa: 

 

Propongono come terreno d’intesa tra musulmani e cristiani i due « più grandi comandamenti » dell’amore di Dio e del prossimo. Predicati sia nel Corano che nei Vangeli. Come reagirà la Chiesa di Roma?

di Sandro Magister 

ROMA, 12 ottobre 2007 – Un anno fa, un mese dopo la memorabile lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, 38 personalità musulmane scrissero al papa una lettera aperta nella quale in parte concordavano e in parte dissentivano con le posizioni da lui sostenute.

I 38 appartenevano a varie nazioni e a differenti correnti di pensiero. Nel mondo islamico era la prima volta che personalità così diverse parlavano con una sola voce, ed esponevano al capo della più importante Chiesa cristiana i principi dell’islam, con l’intento di arrivare a una « mutua comprensione ».

Nei mesi successivi altre firme si aggiunsero a quelle iniziali e i 38 divennero 100. Ora, un anno dopo, i 100 sono diventati 138 e hanno resa pubblica una seconda lettera, in coincidenza con la fine del Ramadan.

Rispetto alla prima, la seconda lettera ha allargato la rosa di destinatari. Oltre che a papa Benedetto XVI, essa è indirizzata anche al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, al patriarca di Mosca Alessio II e ai capi di altre 18 Chiese d’oriente; all’arcivescovo anglicano di Canterbury Rowan Williams; ai leader delle federazioni mondiali delle Chiese luterane, riformate, metodiste e battiste; al segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, Samuel Kobia, e in generale « ai leader delle Chiese cristiane ».

Quanto al contenuto, la prima lettera sosteneva posizioni molto nette a favore della libertà di professare la fede « senza costrizioni ».

Rivendicava la razionalità dell’islam pur tenendo ferma l’assoluta trascendenza di Dio.

Ribadiva con decisione i limiti posti dalla dottrina islamica al ricorso alla guerra e all’uso della violenza. condannando i « sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi ».

E concludeva auspicando un rapporto tra islam e cristianesimo fondato sull’amore di Dio e del prossimo, i « due grandi comandamenti » richiamati da Gesù nel Vangelo di Marco 12, 29-31.

La seconda lettera parte proprio dalla conclusione della prima, e la sviluppa. I comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo – presenti sia nel Corano che nella Bibbia – sono la « parola comune » che offre all’incontro tra islam e cristianesimo « la più solida base teologica possibile ».

Il testo della lettera è stato discusso e messo a punto lo scorso settembre in un incontro tenuto in Giordania presso il Reale Istituto al-Bayt per il Pensiero Islamico, patrocinato da re Abdullah II.

È convinzione dei promotori che, prima di questa lettera, « mai dei musulmani hanno offerto alla cristianità una proposta di consenso così forte ».

Aref Ali Nayed – teologo libico che ha firmato sia la prima che la seconda lettera ed è autore ben noto ai lettori di www.chiesa – ha sottolineato l’adesione di musulmani di tutte le tendenze, sunniti, sciiti, ibadi, ismailiti, jaafari:

« invece che entrare in polemica, i firmatari hanno adottato, seguendo la migliore tradizione dell’islam, una posizione di rispetto delle Scritture cristiane. E hanno fatto appello ai cristiani perché siano non meno ma più fedeli ad esse ».

I 138 firmatari sono di 43 nazioni. Alcuni di essi vivono in Europa e negli Stati Uniti ma la maggior parte vivono in paesi musulmani: dalla Giordania all’Arabia Saudita, dall’Egitto al Marocco, dagli Emirati allo Yemen; ma anche in Iran, in Iraq, in Turchia, in Pakistan, in Palestina.

Per l’Italia c’è la firma di Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente del CO.RE.IS, Comunità Religiosa Islamica, che ha curato anche la traduzione italiana ufficiale della lettera.

Alcuni dei firmatari della lettera – tra i quali Aref Ali Nayed che è stato docente, a Roma, al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica – hanno in più occasioni incontrato dei dirigenti della curia vaticana.

I primi contatti risalgono a un anno fa. Un primo segnale pubblico di apprezzamento da parte della Chiesa di Roma è però venuto solo dopo la pubblicazione di questa seconda lettera.

Il 12 ottobre il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo tra le religioni, ha detto alla Radio Vaticana:

« Si tratta di un documento molto interessante e nuovo, poiché proviene sia da musulmani sunniti sia da musulmani sciiti. È un documento non polemico, con numerose citazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento. [...] Rappresenta un segnale molto incoraggiante, poiché dimostra che la buona volontà e il dialogo sono capaci di vincere i pregiudizi. È un approccio spirituale al dialogo interreligioso, che chiamerei il dialogo delle spiritualità. I musulmani e i cristiani devono rispondere a una sola domanda: per te Dio nella tua vita è veramente l’unico? ».

Tra le posizioni espresse nella lettera e quelle di Benedetto XVI circa il dialogo interreligioso vi è una sicura sintonia.

L’ultima volta in cui il papa ha toccato questo tema è stato lo scorso 5 ottobre.

Parlando ai membri della Commissione Teologica Internazionale, Benedetto XVI ha indicato nella « legge naturale » e nei dieci comandamenti « il fondamento di un’etica universale » valida per « tutte le coscienze degli uomini di buona volontà, laici o anche appartenenti a religioni diverse ».

E i dieci comandamenti si riassumono nei due « più grandi » dell’amore di Dio e del prossimo: « la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso ».

Sono gli stessi due comandamenti su cui si impernia la lettera al papa dei 138 musulmani.

__________

Trovi il testo integrale della lettera dei 138 nel sito ad essa dedicato, nelle versioni inglese, francese, italiana e araba:

> Una parola comune tra noi e voi

 

il testo completo è in PDF: 

 

http://www.acommonword.com/index.php?lang=en&page=downloads


Questo è l’elenco dei 138 firmatari, con indicato per ciascuno, in inglese, il ruolo e la nazionalità:

> Signatories

E questa di seguito è la sintesi ufficiale, che riassume il contenuto della lettera:

Una parola comune tra noi e voi

Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso

Insieme musulmani e cristiani formano ben oltre metà della popolazione mondiale. Senza pace e giustizia tra queste due comunità religiose non può esserci una pace significativa nel mondo. Il futuro del mondo dipende dalla pace tra musulmani e cristiani.

La base per questa pace e comprensione esiste già. Fa parte dei principi veramente fondamentali di entrambe le fedi: l’amore per l’unico Dio e l’amore per il prossimo. Questi principi si trovano ribaditi più e più volte nei testi sacri dell’islam e del cristianesimo. L’Unità di Dio, la necessità di amarLo e la necessità di amare il prossimo sono così il terreno comune tra islam e cristianesimo. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi:

Sull’unità di Dio, Dio dice nel Sacro Corano: “Dì: Egli è Dio, l’Uno / Dio, sufficiente a Sé stesso” (Al-Ikhlas, Sura della sincerità 112, 1-2).

Sulla necessità dell’amore di Dio, Dio dice nel Sacro Corano: “Così invoca il Nome del tuo Signore e sii devoto a Lui con una devozione totale” (Al-Muzzammil, Sura dell’avvolto nel manto 73, 8).

Sulla necessità dell’amore per il prossimo, il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: “Nessuno di voi ha fede finché non ama per il proprio prossimo ciò che ama per se stesso.”

Nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo (su di lui la pace) disse: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno, e tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze. Questo è il primo comandamento. E il secondo è questo: Tu amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi.” (Marco 12, 29-31)

Nel Sacro Corano, Dio Altissimo ordina ai musulmani di trasmettere il seguente richiamo ai cristiani (ed ebrei – le Genti del Libro):

“Dì: O Genti del Libro! Venite a una parola comune tra noi e voi: che non adoriamo altri che Dio, e non associamo a Lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio. E se essi non accettano dite loro: Testimoniate che siamo coloro che si sono dati completamente a Lui” (Aal ‘Imran, Sura della famiglia di ‘Imran 3:64).

Le parole: “non associamo a Lui cosa alcuna” sono riferite all’unità di Dio e le parole: “non adoriamo altri che Dio” sono riferite all’essere completamente devoti a Dio. Quindi esse si riferiscono tutte al “primo e più grande comandamento”. Secondo uno dei più antichi e più autorevoli commentari del Sacro Corano, le parole “nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio” significano che “nessuno di noi dovrebbe ubbidire ad altri disobbedendo a ciò che Dio ha comandato”. Questo è riferito al secondo comandamento perché giustizia e libertà di religione sono aspetti centrali dell’amore per il prossimo.

Così, nell’obbedienza al Sacro Corano, come musulmani invitiamo i cristiani ad incontrarsi con noi sulla base di ciò che ci è comune, che è anche quanto vi è di più essenziale nella nostra fede e pratica: i due comandamenti di amore.

__________

La lezione pronunciata il 12 settembre 2006 da Benedetto XVI a Ratisbona:

> Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.

La lettera al papa dei 38 musulmani – poi divenuti 100 – dell’ottobre 2006, rilanciata in www.chiesa:

> Effetto Ratisbona: la lettera aperta di 38 musulmani al papa (18.10.2006)

I commenti di Aref Ali Nayed alla lezione di Ratisbona, pubblicati in www.chiesa con le repliche di Alessandro Martinetti:

> Due studiosi musulmani commentano la lezione papale di Ratisbona (4.10.2006)

> Chiesa e islam. A Ratisbona è spuntato un virgulto di dialogo (30.10.2006)

Il discorso di Benedetto XVI del 5 ottobre 2007 sulla legge naturale:

> Ai membri della Commissione Teologica Internazionale

__________ 

 

Propongono come terreno d’intesa tra musulmani e cristiani i due « più grandi comandamenti » dell’amore di Dio e del prossimo. Predicati sia nel Corano che nei Vangeli. Come reagirà la Chiesa di Roma?

di Sandro Magister 

 

ROMA, 12 ottobre 2007 – Un anno fa, un mese dopo la memorabile lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, 38 personalità musulmane scrissero al papa una lettera aperta nella quale in parte concordavano e in parte dissentivano con le posizioni da lui sostenute.

I 38 appartenevano a varie nazioni e a differenti correnti di pensiero. Nel mondo islamico era la prima volta che personalità così diverse parlavano con una sola voce, ed esponevano al capo della più importante Chiesa cristiana i principi dell’islam, con l’intento di arrivare a una « mutua comprensione ».

Nei mesi successivi altre firme si aggiunsero a quelle iniziali e i 38 divennero 100. Ora, un anno dopo, i 100 sono diventati 138 e hanno resa pubblica una seconda lettera, in coincidenza con la fine del Ramadan.

Rispetto alla prima, la seconda lettera ha allargato la rosa di destinatari. Oltre che a papa Benedetto XVI, essa è indirizzata anche al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, al patriarca di Mosca Alessio II e ai capi di altre 18 Chiese d’oriente; all’arcivescovo anglicano di Canterbury Rowan Williams; ai leader delle federazioni mondiali delle Chiese luterane, riformate, metodiste e battiste; al segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese, Samuel Kobia, e in generale « ai leader delle Chiese cristiane ».

Quanto al contenuto, la prima lettera sosteneva posizioni molto nette a favore della libertà di professare la fede « senza costrizioni ».

Rivendicava la razionalità dell’islam pur tenendo ferma l’assoluta trascendenza di Dio.

Ribadiva con decisione i limiti posti dalla dottrina islamica al ricorso alla guerra e all’uso della violenza. condannando i « sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi ».

E concludeva auspicando un rapporto tra islam e cristianesimo fondato sull’amore di Dio e del prossimo, i « due grandi comandamenti » richiamati da Gesù nel Vangelo di Marco 12, 29-31.

La seconda lettera parte proprio dalla conclusione della prima, e la sviluppa. I comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo – presenti sia nel Corano che nella Bibbia – sono la « parola comune » che offre all’incontro tra islam e cristianesimo « la più solida base teologica possibile ».

Il testo della lettera è stato discusso e messo a punto lo scorso settembre in un incontro tenuto in Giordania presso il Reale Istituto al-Bayt per il Pensiero Islamico, patrocinato da re Abdullah II.

È convinzione dei promotori che, prima di questa lettera, « mai dei musulmani hanno offerto alla cristianità una proposta di consenso così forte ».

Aref Ali Nayed – teologo libico che ha firmato sia la prima che la seconda lettera ed è autore ben noto ai lettori di www.chiesa – ha sottolineato l’adesione di musulmani di tutte le tendenze, sunniti, sciiti, ibadi, ismailiti, jaafari:

« invece che entrare in polemica, i firmatari hanno adottato, seguendo la migliore tradizione dell’islam, una posizione di rispetto delle Scritture cristiane. E hanno fatto appello ai cristiani perché siano non meno ma più fedeli ad esse ».

I 138 firmatari sono di 43 nazioni. Alcuni di essi vivono in Europa e negli Stati Uniti ma la maggior parte vivono in paesi musulmani: dalla Giordania all’Arabia Saudita, dall’Egitto al Marocco, dagli Emirati allo Yemen; ma anche in Iran, in Iraq, in Turchia, in Pakistan, in Palestina.

Per l’Italia c’è la firma di Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente del CO.RE.IS, Comunità Religiosa Islamica, che ha curato anche la traduzione italiana ufficiale della lettera.

Alcuni dei firmatari della lettera – tra i quali Aref Ali Nayed che è stato docente, a Roma, al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica – hanno in più occasioni incontrato dei dirigenti della curia vaticana.

I primi contatti risalgono a un anno fa. Un primo segnale pubblico di apprezzamento da parte della Chiesa di Roma è però venuto solo dopo la pubblicazione di questa seconda lettera.

Il 12 ottobre il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo tra le religioni, ha detto alla Radio Vaticana:

« Si tratta di un documento molto interessante e nuovo, poiché proviene sia da musulmani sunniti sia da musulmani sciiti. È un documento non polemico, con numerose citazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento. [...] Rappresenta un segnale molto incoraggiante, poiché dimostra che la buona volontà e il dialogo sono capaci di vincere i pregiudizi. È un approccio spirituale al dialogo interreligioso, che chiamerei il dialogo delle spiritualità. I musulmani e i cristiani devono rispondere a una sola domanda: per te Dio nella tua vita è veramente l’unico? ».

Tra le posizioni espresse nella lettera e quelle di Benedetto XVI circa il dialogo interreligioso vi è una sicura sintonia.

L’ultima volta in cui il papa ha toccato questo tema è stato lo scorso 5 ottobre.

Parlando ai membri della Commissione Teologica Internazionale, Benedetto XVI ha indicato nella « legge naturale » e nei dieci comandamenti « il fondamento di un’etica universale » valida per « tutte le coscienze degli uomini di buona volontà, laici o anche appartenenti a religioni diverse ».

E i dieci comandamenti si riassumono nei due « più grandi » dell’amore di Dio e del prossimo: « la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso ».

Sono gli stessi due comandamenti su cui si impernia la lettera al papa dei 138 musulmani.

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Trovi il testo integrale della lettera dei 138 nel sito ad essa dedicato, nelle versioni inglese, francese, italiana e araba:

> Una parola comune tra noi e voi

Questo è l’elenco dei 138 firmatari, con indicato per ciascuno, in inglese, il ruolo e la nazionalità:

> Signatories

E questa di seguito è la sintesi ufficiale, che riassume il contenuto della lettera:

Una parola comune tra noi e voi

Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso

Insieme musulmani e cristiani formano ben oltre metà della popolazione mondiale. Senza pace e giustizia tra queste due comunità religiose non può esserci una pace significativa nel mondo. Il futuro del mondo dipende dalla pace tra musulmani e cristiani.

La base per questa pace e comprensione esiste già. Fa parte dei principi veramente fondamentali di entrambe le fedi: l’amore per l’unico Dio e l’amore per il prossimo. Questi principi si trovano ribaditi più e più volte nei testi sacri dell’islam e del cristianesimo. L’Unità di Dio, la necessità di amarLo e la necessità di amare il prossimo sono così il terreno comune tra islam e cristianesimo. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi:

Sull’unità di Dio, Dio dice nel Sacro Corano: “Dì: Egli è Dio, l’Uno / Dio, sufficiente a Sé stesso” (Al-Ikhlas, Sura della sincerità 112, 1-2).

Sulla necessità dell’amore di Dio, Dio dice nel Sacro Corano: “Così invoca il Nome del tuo Signore e sii devoto a Lui con una devozione totale” (Al-Muzzammil, Sura dell’avvolto nel manto 73, 8).

Sulla necessità dell’amore per il prossimo, il profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione divina) disse: “Nessuno di voi ha fede finché non ama per il proprio prossimo ciò che ama per se stesso.”

Nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo (su di lui la pace) disse: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno, e tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze. Questo è il primo comandamento. E il secondo è questo: Tu amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi.” (Marco 12, 29-31)

Nel Sacro Corano, Dio Altissimo ordina ai musulmani di trasmettere il seguente richiamo ai cristiani (ed ebrei – le Genti del Libro):

“Dì: O Genti del Libro! Venite a una parola comune tra noi e voi: che non adoriamo altri che Dio, e non associamo a Lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio. E se essi non accettano dite loro: Testimoniate che siamo coloro che si sono dati completamente a Lui” (Aal ‘Imran, Sura della famiglia di ‘Imran 3:64).

Le parole: “non associamo a Lui cosa alcuna” sono riferite all’unità di Dio e le parole: “non adoriamo altri che Dio” sono riferite all’essere completamente devoti a Dio. Quindi esse si riferiscono tutte al “primo e più grande comandamento”. Secondo uno dei più antichi e più autorevoli commentari del Sacro Corano, le parole “nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio” significano che “nessuno di noi dovrebbe ubbidire ad altri disobbedendo a ciò che Dio ha comandato”. Questo è riferito al secondo comandamento perché giustizia e libertà di religione sono aspetti centrali dell’amore per il prossimo.

Così, nell’obbedienza al Sacro Corano, come musulmani invitiamo i cristiani ad incontrarsi con noi sulla base di ciò che ci è comune, che è anche quanto vi è di più essenziale nella nostra fede e pratica: i due comandamenti di amore.

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La lezione pronunciata il 12 settembre 2006 da Benedetto XVI a Ratisbona:

> Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni.

La lettera al papa dei 38 musulmani – poi divenuti 100 – dell’ottobre 2006, rilanciata in www.chiesa:

> Effetto Ratisbona: la lettera aperta di 38 musulmani al papa (18.10.2006)

I commenti di Aref Ali Nayed alla lezione di Ratisbona, pubblicati in www.chiesa con le repliche di Alessandro Martinetti:

> Due studiosi musulmani commentano la lezione papale di Ratisbona (4.10.2006)

> Chiesa e islam. A Ratisbona è spuntato un virgulto di dialogo (30.10.2006)

Il discorso di Benedetto XVI del 5 ottobre 2007 sulla legge naturale:

> Ai membri della Commissione Teologica Internazionale

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buona notte

buona notte dans immagini sacre limonium_vulgare_10fc

Limonium vulgare

http://www.floralimages.co.uk/plimonvulga.htm

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Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno

Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Prima dell’esilio, nn. 1-3; PG 52, 427*-430)

Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno

Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. S’innalzino pure le onde, non potranno affondare la navicella di Gesù. Cosa, dunque, dovremmo temere? La morte? «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21).
Allora l’esilio? «Del Signore è la terra e quanto contiene» (Sal 23,1). La confisca de beni? «Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via» (1Tm 6,7). Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà, non bramo ricchezze non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene. È per questo motivo che ricordo le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia.
Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18,20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «lo sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Cristo è con me, di chi avrò paura? Anche se si alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei principi, tutto questo per me vale di meno di semplici ragnatele. Se la vostra carità non mi avesse trattenuto, non avrei indugiato un istante a partire per altra destinazione oggi stesso. Ripeto sempre: «Signore, sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42). Farò quello che vuoi tu, non quello che vuole il tale o il tal altro. Questa è la mia torre, questa la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio. Se Dio vuole questo, bene! Se vuole ch’io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà, gli rendo grazie.
Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità; anzi neppure la morte ci può separare. Il corpo morrà, l’anima tuttavia vivrà e si ricorderà del popolo. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio solare può recarmi qualcosa di più giocondo della vostra carità? Il raggio mi è utile nella vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 13 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

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