Archive pour le 12 octobre, 2007

Visita dei tre Angeli ad Abramo

Visita dei tre Angeli ad Abramo  dans immagini sacre 26

 non avevo un santo particolare da mettere oggi così ho scelto un’immagine che mi piace: l’incontro di Abramo con i tre angeli;

Foto Archivio
Tav. 26
Visita dei tre Angeli ad Abramo (cm 21,4×29,3) Reggio Calabria, Museo della Magna Grecia.

La tavoletta presenta tagli irregolari sui lati minori (della figura di Abramo, a destra, è visibile solo un lembo di stoffa rossa) e, allo stesso modo del San Gerolamo penitente, tracce di doratura su quelli maggiori.
Registrata nei vecchi inventari del Museo con la dicitura « scuola di Antonello », si deve a L. Venturi (1908) la prima attribuzione al pittore messinese che trova concorde, sia pure con qualche perplessità, gran parte della critica.
Il soggetto, inteso prima come una scena notturna con un presepe o una natività, è stato individuato correttamente da Brunelli (1908), mettendo a confronto il dipinto reggino con il gonfalone raffigurante la Visita dei tre angeli ad Abramo attribuito ad Antonino Giuffrè già nella chiesa della Triade di Forza d’Agrò.
L’esatta interpretazione del tema iconografico viene confermata dalla tavola di analogo soggetto dell’ Art Museum di Denver, resa nota da Fiocco (1937) e attribuita al pittore provenzale Josse Lieferinxe, non escludendo così l’ipotesi di Bottari (1937; 1939) che possa trattarsi di una derivazione da « un modello vaneyckiano o comunque di ascendenza vaneyckiana, forse di Petrus Christus ». Come per il San Gerolamo penitente, gli elementi di cultura fiamminga e l’avvio di nuove ricerche prospettiche – si pensi al « teoremino in prospettiva del tavolinetto tondo » notato da Longhi (1953) oltre a confermare lo stesso tempo di esecuzione delle due opere, rendono più plausibile una datazione negli inoltrati anni sessanta.

(Gioacchino Barbera. Antonello da Messina. 1997 by Electa Milano. Elemond Editori Associati. Banco Ambrosiano Veneto).

http://www.santamariadegliangeliroma.it/dettagliofotosing.html?chiave=1127&lingua=ITALIANO&ramo_home=Photo_Gallery&codice_url=antonello#

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Lasciate che Dio sia il Signore

dal sito:

http://www.paginecristiane.it/?p=1483

Lasciate che Dio sia il Signore 

O siamo uomini ai margini del mondo, o siamo secolarizzati, il che significa che non crediamo più nel Regno di Dio. O siamo nemici della terra, perché ci sentiamo migliori di essa, o siamo nemici di Dio, perché egli ci rapisce la terra, nostra madre. O fuggiamo davanti alla potenza della terra, o ci appoggiamo ad essa ostinatamente e senza lasciarci muovere da niente. Ma noi siamo come i pellegrini, che amano la terra che li porta – e ciò per il solo fatto che essa li porta incontro a quel paese straniero che amano più di ogni altra cosa – altrimenti non sarebbero in cammino. E’ capace di credere al Regno di Dio solamente chi è così in cammino, chi ama la terra e Dio insieme.
Uomini ai margini del mondo siamo da quando abbiamo ricavato quel pessimo trucco per cui siamo religiosi, anzi “cristiani”, a spese della terra. Si vive molto bene in questa zona così al margine del mondo. Ogni volta che la vita incomincia a divenire pericolosa o troppo impegnativa, si spicca un volo e ci si solleva leggeri e senza preoccupazioni, nelle cosiddette regioni eterne. Si salta il presente, si disprezza la terra, ci si sente migliori di essa; infatti accanto alle sconfitte in questo mondo si hanno a disposizione vittorie eterne, che possono essere ottenute con grande facilità. E’ pure facile consolare e predicare con questo atteggiamento. Una chiesa ai margini del mondo può essere certa di conquistare facilmente tutti i deboli, tutti quelli che amano essere ingannati e traditi, tutti i sognatori e i figli infedeli di questa terra. Del resto, quando la situazione incomincia a divenire pericolosa, chi non sarebbe tanto umano da non esser pronto a salire in fretta sul carro che scende dall’alto e promette di portare in un aldilà migliore? Quale chiesa sarebbe così crudele, così inumana da non venire incontro, pietosa, a questa debolezza dell’umanità che soffre – per mettere così al sicuro il suo bottino di anime per il paradiso? L’uomo è debole, non tollera la vicinanza della terra che lo porta, non la tollera perché essa è più forte e perché lui vuol essere migliore della malvagia terra. Egli cerca di svincolarsi, di sottrarsi alla sua serietà. Chi potrebbe prendersela con lui per questo – se non l’invidia di chi nulla ha? L’uomo è debole, non c’è nulla da fare; e come tale accetta la religione che lo pone ai margini del mondo – e d’altra parte sarebbe senza aiuto? Sarebbe questo lo spirito di Gesù Cristo? No, l’uomo debole deve ricevere aiuto, e questo gli viene da Cristo. Ma Cristo non vuole questa debolezza, al contrario egli rende l’uomo forte. Non lo conduce ai margini del mondo in una fuga religiosa dal mondo, ma lo restituisce alla terra come suo fedele figlio.
Non siate uomini ai margini della realtà, ma siate forti!
L’altra possibilità è che siamo figli di questo mondo. Chi non si sente affatto toccato da quanto detto sopra, dovrebbe stare attento se quanto segue lo può ferire. Noi siamo divenuti schiavi del secolarismo; ed intendiamo del secolarismo devoto, cristiano. Non si pensi affatto all’ateismo o al bolscevismo nelle sue espressioni culturali, ma alla rinunzia cristiana a Dio come Signore della terra. E con ciò si dimostra che siamo asserviti alla terra. Dobbiamo chiarire il nostre atteggiamento di fronte ad essa. Non c’è via di scampo. Potenza si oppone a potenza. Il mondo si oppone alla chiesa, la mondanità alla religione. Che altra possibilità c’è se non che religione e chiesa siano costrette a chiarire la loro posizione, a lottare? Perciò la fede deve rinforzarsi e divenire costume religioso e morale; la chiesa, un organo d’azione per un nuovo edificio etico-religioso.
La fede, dunque, si arma, perché le potenze della terra ve la costringono. Dobbiamo difendere la causa di Dio. Dobbiamo costruirci una fortezza resistente, nella quale poter vivere sicuri con Dio. E così costruiamo il Regno. Anche con questo allegro secolarismo si può vivere ottimamente. L’uomo – anche l’uomo religioso – prova piacere ad azzuffarsi e a mettere alla prova le sue forze. Chi vorrebbe biasimarlo per questo dono della natura – se non l’invidia di chi nulla possiede? E inoltre si può anche parlare e predicare ottimamente con questo secolarismo devoto. La chiesa può star certa che – se si comporta solo un pochino più risolutamente – in questo allegro conflitto avrà dalla sua tutti gli uomini coraggiosi decisi, bene intenzionati, tutti i figli troppo fedeli a questa terra. Quale uomo giusto non sarebe pronto a difendere la causa di Dio in questo mondo malvagio? Egli lo farebbe come si racconta degli antichi Egiziani, i quali portavano i loro idoli contro il nemico per nascondersi dietro di loro; ma ora li porterebbe non solo di fronte al nemico, al mondo, ma addirittura davanti a quel Dio che spezza i suoi idoli in terra, che non vuole che l’uomo in terra cerchi di difenderlo, solo perché dotato di forza esuberante – come il forte difende il disarmato -, ma che vuol condurre lui stesso la sua causa e prendersi cura o meno dell’uomo secondo la sua libera grazia, che vuol essere lui il Signore in terra, e quindi considera molto mal servita la sua causa da questo allegro zelo. Proprio con questa nostra prontezza nel difendere i diritti di Dio nel mondo non facciamo altro che sfuggire a lui stesso; amiamo la terra per amore della terra stessa e di questa lotta: ecco il nostro secolarimo cristiano. Ma non possiamo sfuggire a Dio. Egli si riprende l’uomo e lo conduce sotto la sua signoria.
Diventate deboli nel mondo e lasciate che Dio sia il Signore! 

Dietrich Bonhoeffer 

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Predicatore del Papa: a che servono i miracoli?

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12186?l=italian

 Predicatore del Papa: a che servono i miracoli? 

Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima 

 

ROMA, venerdì, 12 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima, XXVIII del tempo ordinario. 

* * *

XXVIII Domenica del tempo ordinario [C]

2 Re 5,14-17; 2 Timoteo 2, 8-15; Luca 17, 11-19

A CHE SERVONO I MIRACOLI? 

Mentre Gesù era in viaggio verso Gerusalemme, all’ingresso di un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi. Fermatisi a distanza, essi gridarono: « Gesù, maestro, abbi pietà di noi! ». Gesù si impietosì e disse loro: « Andate a presentarvi ai sacerdoti ». Durante il tragitto, i dieci lebbrosi si scoprirono tutti miracolosamente guariti. Anche la prima lettura riferisce di una guarigione miracolosa dalla lebbra: quella di Naaman Siro per opera del profeta Eliseo. È chiara dunque l’intenzione della liturgia di invitarci a una riflessione sul senso del miracolo e in particolare del miracolo che consiste nella guarigione dalla malattia.

Diciamo anzitutto che la prerogativa di fare miracoli è tra le più attestate nella vita di Gesù. Forse l’idea dominante che la gente si era fatta di Gesù, durante la sua vita, più ancora che quella di un profeta, era quella di un operatore di miracoli. Gesù stesso presenta questo fatto come prova della autenticità messianica della sua missione: « I ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti sono risuscitati » (cfr. Mt 11,5). Non si può eliminare il miracolo dalla vita di Gesù, senza smagliare tutta la trama del vangelo.

Insieme con i racconti di miracoli, la Scrittura ci offre anche i criteri per giudicare della loro autenticità e del loro scopo. Il miracolo non è mai, nella Bibbia, fine a se stesso; tanto meno deve servire ad innalzare chi lo compie e a mettere in luce i suoi poteri straordinari, come quasi sempre avviene nel caso di guaritori e taumaturghi che fanno la pubblicità di se stessi. Esso è incentivo e premio della fede. È un segno e deve servire a elevare a un significato. Per questo Gesù si mostra così rattristato quando, dopo aver moltiplicato i pani, si accorge che non hanno capito di che cosa ciò era « segno » (cfr. Mc 6,51).

Il miracolo appare, nel Vangelo stesso, come ambiguo. È visto ora positivamente, ora negativamente. Positivamente, quando esso è accolto con gratitudine e gioia, suscita fede in Cristo e apre alla speranza di un mondo futuro senza più né malattia né morte; negativamente, quando è richiesto, o addirittura preteso, per credere. « Quale segno fai, perché possiamo crederti? » (Gv 6, 30). « Se non vedete segni e prodigi non credete », diceva con tristezza Gesù ai suoi ascoltatori (Gv 4,48). L’ambiguità continua, sotto altra forma, nel mondo d’oggi. Da una parte c’è chi ricerca il miracolo a tutti i costi; è sempre a caccia di fatti straordinari, si ferma ad essi e alla loro utilità immediata. Sul versante opposto, ci sono quelli che non fanno alcun posto al miracolo; lo guardano anzi con un certo fastidio, come si trattasse di una manifestazione deteriore di religiosità, senza accorgersi che, in tal modo, si pretende insegnare a Dio stesso cos’è vera religiosità e cosa no.

Alcuni recenti dibattiti suscitati dal « fenomeno Padre Pio » hanno messo in luce quanta confusione c’è ancora in giro circa il miracolo. Non è vero, per esempio, che la Chiesa considera miracolo ogni fatto inspiegabile (di questi, si sa, è pieno il mondo e anche la medicina!). Considera miracolo solo quel fatto inspiegabile che, per le circostanze in cui avviene (e rigorosamente accertate), riveste il carattere di segno divino, cioè di conferma data a una persona, o di risposta a una preghiera. Se una donna, priva dalla nascita delle pupille, a un certo punto comincia a vederci, pur continuando a mancare delle pupille, questo può essere catalogato come fatto inspiegabile, ma se ciò avviene proprio mentre si confessa da Padre Pio, come di fatto è successo, allora non basta più parlare semplicemente di « fatto inspiegabile ».

I nostri amici « laici » con il loro atteggiamento critico nei confronti dei miracoli danno un contributo prezioso alla stessa fede, perché rendono attenti alle falsificazioni facili in questo campo. Devono però, anch’essi, guardarsi da un atteggiamento acritico. È ugualmente sbagliato sia il credere a priori a tutto quello che viene spacciato come miracoloso, sia il rifiutare a priori tutto, senza neppure darsi pena di esaminarne le prove. Si può essere dei creduloni, ma anche degli…increduloni, che non è poi tanto diverso. 

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Una marcia ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12184?l=italian

 

Una marcia ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943

 ROMA, venerdì, 12 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Domenica prossima, 14 ottobre, una marcia ricorderà la deportazione di oltre 1.000 ebrei romani da parte delle forze naziste dopo la retata del 16 ottobre 1943.

Di tutti i deportati, condotti nel campo di concentramento di Auschwitz, solo 16 – tra cui un’unica donna – riuscirono a tornare a casa.

La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma, dal 1993, ricordano ogni anno questa tragica pagina della storia romana organizzando, come ricorda un comunicato di Sant’Egidio, un “pellegrinaggio della memoria”, perché – come spiega una nota dell’associazione ecclesiale – “non c’è futuro senza memoria”.

L’appuntamento è per le 18.00 in Piazza di S. Maria in Trastevere, nel cuore di Roma. Una marcia silenziosa si snoderà lungo il percorso dei deportati di quel 16 ottobre 1943, che dal ghetto vennero condotti al Collegio Militare di Trastevere prima di essere imprigionati nei treni che li avrebbero portati nell’orrore di Auschwitz.

La manifestazione si concluderà alle 19.00 in Largo 16 ottobre 1943, accanto alla Sinagoga.

Prenderanno la parola nel corso dell’evento il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, il Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna, il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Leone Paserman e il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

La retata di Roma iniziò verso le 5.30 del 16 ottobre. Più di cento tedeschi armati di mitra circondarono il quartiere ebraico, mentre altri duecento militari si distribuivano nelle 26 zone operative in cui il Comando tedesco aveva diviso la città alla ricerca di altre vittime. Alla fine del rastrellamento erano stati catturati 1022 ebrei romani.

Due giorni dopo vennero trasferiti ad Auschwitz in 18 vagoni piombati.

“La memoria del 16 ottobre è uno degli eventi maggiori della storia della nostra Roma contemporanea”, ha affermato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

“A partire da questa memoria si costruisce un’idea di Roma e di solidarietà tra i romani – ha aggiunto –. E’ la memoria di una ferita all’intera città, ma soprattutto alla Comunità ebraica perpetrata, come un ladro nella notte, dopo che si era provveduto a isolare quella Comunità con le leggi razziste e con la politica fascista”.

“A partire da quella memoria si afferma la volontà di un patto tra i romani per non dimenticare, per non isolare mai più nessuna comunità, per considerare la Comunità ebraica di questa città come uno dei luoghi decisivi per la nostra identità”, ha sottolineato infine. 

 

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno resplendent-quetzal

A male resplendent quetzal 

Photograph by Steve Winter 

 

National Geografic 

 

http://animals.nationalgeographic.com/animals/birds/quetzal.html?nav=FEATURES

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« Se io scaccio i demoni con i dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio »

Sant’Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contro le eresie, V,5,2 ; SC 153, 63

« Se io scaccio i demoni con i dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio »

Enoch, per essere stato gradito a Dio, è stato preso in cielo nel suo corpo, prefigurando l’elevazione dei giusti. Anche Elia è stato rapito tale quale si trovava nella sostanza della sua carne creata (2 Re 2,11), profetizzando così il rapimento degli uomini spirituali. Il loro corpo non ha fatto in nulla ostacolo a tale elevazione, a tale rapimento. Dalle stesse mani con le quali erano stati plasmati all’origine (Gen 2,7), essi sono stati elevati e rapiti. Infatti, in Adamo, le mani di Dio si erano abituate a dirigere, a tenere e a portare l’opera da esse plasmata, a trasportarla e a collocarla dove volevano. Dove dunque è stato collocato il primo uomo? Nel paradiso senza alcun dubbio, secondo ciò che dice la Scrittura: « Poi il Signore piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato » (v.8). E da questo luogo egli è stato scacciato in questo mondo, per aver disobbedito…

Qualcuno ritiene forse impossibile che degli uomini possano vivere tanto tempo quanto i primi patriarchi?… O crede forse che quando Elia è stato rapito nella sua carne, la sua carne è stata consumata sul carro di fuoco? Consideri dunque che Giona, dopo esser stato precipitato nel profondo del mare e inghiottito nel ventre del pesce, è stato rigettato sano e salvo sull’asciutto per ordine di Dio (Gn 2,11). Anania, Misaele e Azaria, gettati nella fornace con il fuoco acceso sette volte più del solito, non hanno provato alcun male e neppure l’odore del fuoco era penetrato in essi (Dn 3,27). Se la mano di Dio li ha assistiti e ha adempiuto in loro cose straordinarie e impossibili alla natura umana, perché stupirti se, in coloro che sono stati elevati, questa stessa mano abbia anche realizzato una cosa straordinaria, operando la volontà del Padre? Ora questa mano, è il Figlio di Dio (cfr. Dn 3,25).

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