Archive pour le 22 octobre, 2007

Basilica di San Paolo fuori le mura

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http://www.carlopetrini.it/Marzia/index.htm

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Storia della Basilica di San Paolo fuori le mura

Storia della Basilica di San Paolo fuori le mura, dal sito:  

http://www.abbaziasanpaolo.net/hist.it.htm

San Paolo fuori le mura è un’abbazia benedettina, la cui storia si fonde con l’omonima Basilica, da cui ebbe origine e ne condivise gli avvenimenti lieti e tristi attraverso i secoli delle umane vicende.

La prima testimonianza di comunità monastiche presso la Basilica di San Paolo si ha dal « Praeceptum » marmoreo di San Gregorio Magno (590-604), che si conserva nel museo lapidario paolino.

Qui viene ricordato un monastero femminile, mentre del monastero maschile di San Cesario martire la prima memoria si ha nel « Liber diurnus », in cui si dice che il monastero giace però in rovina.

Il santo Pontefice Gregorio II (715-731) dispose che fosse unito a quello di Santo Stefano e restaurato, dando incarico ai monaci di mantenere le lampade nell’oratorio del protomartire e di amministrare i beni. Cosi’ questo Papa può considerarsi il vero fondatore del monastero paolino.

Più tardi i monaci di San Cesario acquistarono maggiori diritti e maggiori beni, tanto che essi rappresentavano legalmente la patriarcale basilica di fronte al pontefice. In quest’epoca il monastero accolse un’ospite illustre nella persona del papa Paolo I (756-767) che, affranto per l’avanzata età e ancor più per l’aspra ostilità dell’arcidiacono Teofilatto, quivi mori’.

Quando più tardi i Saraceni si ritirarono da Roma, dopo una prima invasione che aveva turbato la vita dei monaci, la loro minaccia di nuove irruzioni permaneva sempre.

Preoccupati di ciò, i papi pensarono di munire con valide fortezze le basiliche di San Pietro e di San Paolo.

Il primo a darne l’esempio fu Leone IV (855-872), che fece costruire dei bastioni difensivi attorno al Vaticano, i quali perciò furono chiamati « Città Leonina ».

Un poco più tardi l’esempio di Leone IV fu imitato per la basilica di San Paolo dal papa Giovanni VIII (872-882), il quale circondò basilica e monastero di mura e torri, vero borgo fortificato con chiesa, mulino, scalo sul Tevere e abitazioni, denominato « Giovannipoli » di cui attualmente non sopravvive che qualche traccia.

Era l’anno 866 quando il Rex Carolus ordinò al monaco Ingolberto, che coordinava un gruppo di amanuensi, miniaturisti e pittori, di realizzare una Bibbia destinata a corte.Questa opera grandiosa si doveva caratterizzare per la completezza dei testi nonchè per la sinuosità delle illustrazioni e decorazioni. La Bibbia fu probabilmente portata a Roma nell’875 per l’incoronazione ad imperatore di Carlo il Calvo, che la donò in tale occasione a Papa Giovanni VIII. Nel corso del Medioevo questa Bibbia fu sovente utilizzata per e giuramenti di fedeltà al Pontefice e venne poi affidata ai monaci benedettini dell’Abbazia di San Paolo furi le Mura, nella cui custodia rimane ancora oggi.

Se Roma era in continuo pericolo di avere incursioni saracene, in compenso riceveva l’omaggio dei monarchi inglesi che, un secolo prima, si erano convertiti per mezzo dei monaci benedettini alla fede cattolica.Venivano a venerare le Tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo,offrendo ricchi doni alle loro basiliche. Forse si deve a questa relazione religiosa se, nel tardo Medioevo, i sovrani di Inghilterra esercitarono la funzione di protettori su quella di San Paolo. Infatti gli antichi stemmi degli abati di San Paolo erano rappresentati con intorno allo scudo della spada una cinghia di cuoio col motto dell’Ordine della Giarrettiera:<>(sia maledetto chi pensa male), che fu istituito nel castello di Windsor nel 1344 o 1347.

Tuttavia la disciplina interna della vita monastica a poco a poco decade e a risollevarne le sorti fu chiamato a Roma l’abate della celebre abbazia di Cluny (Borgogna),Sant’Oddone(+942), che nel 936 venne a Roma per iniziarvi la riforma monastica non solo a San Paolo ma anche negli altri monasteri dell’Urbe.

Praticamente è da questo tempo che scompare la denominazione di « abbas et rector S.Stephani et S.Caesarii ad Sanctum Paulum » e resta quella più semplice e definitiva di « Abbas et rector Sancti Pauli ».

Dopo la riforma si succedettero a San Paolo degni abati fino a che Sant’Odilone di Cluny, invitato dall’imperatore stesso Ottone III, organizzò con severità sia la disciplina monastica che le celebrazioni liturgiche, proprio come nella sua abbazia borgognona.

In questo tempo molti romani vennero all’abbazia ostiense per vestirvi l’abito monastico. Tra questi va ricordato il papa Giovanni XVIII (1003-1009), della cui monacazione si ha soltanto questa scarsa notizia : »Post annos V et dimidium in sancto Paulo monachus discessit ». Quando mori’, una modesta lapide marmorea racchiuse il suo sepolcro monastico, sul quale fu scolpito soltanto il nome del defunto : « DOMS n’ IOHS XVIII n’ PAPA », titolo aggiunto in epoca posteriore.

Nel secolo XI tra il papa e l’imperatore a causa delle investiture ecclesiastiche nacquero gravi difficoltà che turbarono le pacifiche relazioni tra le due massime autorità del mondo cristiano. La delicata situazione in cui venne a trovarsi la Santa Sede ebbe una grande ripercussione anche sull’osservanza regolare del cenobbio paolino e sull’amministrazione del suo vasto patrimonio. Il monastero e la basilica si videro a poco a poco cadere in pieno abbandono e nella più squallida decadenza.

Leone IX (1049-1054), entrato in Roma, venne a conoscere lo stato di rovina in cui si trovavano il cenobio e la basilica paolina. Volle subito provvedere affidandone la cura al monaco Ildebrando, che sarà poi Gregorio VII nominandolo « provisor apostolicus » dell’abbazia. Dopo aver ridonato il suo decoro al sacro tempio,provvide il necessario per vivere alla spauruta comunità monastica, e la fece ben presto aumentare di numero e tornare alla regolare osservanza.

Eletto poi papa con il nome di Gregorio VII (1073-1085) continuò ad interessarsi della sua abbazia. Di lui rimangono ancora : la bolla di conferma del vasto patrimonio feudale emanata nel 1081; la Bibbia carolingia assai preziosa e ricca di miniature; la porta di bronzo lavorata con figure niellate con argento e smalto, eseguita a Bisanzio nel 1070 e che ora è sistemata dopo accurato restauro all’interno della Porta Santa della basilica.

Nei sec. XII e XIII il monastero ostiense raggiunge una notevole fioritura di grandezza spirituale ed economica. In questo periodo furono chiamati i più grandi artisti. Tra questi vanno nominati Pietro Vassalletto, autore del suggestivo chiostro romanico-cosmatesco e del tipico candelabro pasquale; i mosaicisti veneziani, fatti venire per eseguire la grandiosa e suggestiva opera musiva nel catino dell’abside; gli artisti toscani Pietro Cavallini, che decorò la facciata della basilica con mosaico e ornò di pregiati affreschi tutte le pareti, e Arnolfo di Cambio artefice dell’artistico e magnifico baldacchino gotico innalzato sul glorioso sepolcro dell’Apostolo.

Ma poi vennero i tristi tempi della « cattività avignonese », durante la quale tuttavia, l’abate di S. Paolo fu considerato come il prelato più importante presente in Roma, al quale venivano spesso affidate dai papi di Avignone ragguardevoli missioni. In questo tempo fiorirono anche insigni figure di monaci, come il B. Giovanni Elemosinario, tutto carità verso i poveri e morto nel 1330 a Todi ove era stato inviato quale vicario appunto dell’abate di S.Paolo. Inevitabilmente ne segue pure un periodo di decadenza nella vita monastica, in cui il papa Martino V (1417- 1431) affidò, con felice idea, il governo dell’abbazia al card. Gabriele Condulmer ( poi papa Eugenio IV, 1431-1447). La scelta non poteva essere più adatta e propizia, in quanto il Condulmer apparteneva a quel gruppo eletto di riforma della Chiesa iniziando proprio dagli ordini monastici.

Perciò fece venire il suo amico ed ex superiore di S. Giorgio in Alga a Venezia, Ludovico Barbo, il quale, poco prima, aveva iniziato nel monastero di S. Giustina di Padova una confederazione di monaci per riportare nei monasteri benedettini la vita claustrale regolare, che la commenda aveva finito di rovinare.

I monasteri benedettini riformati dal Barbo furono riuniti in congregazione detta « de Unitate » o di S. Giustina di Padova e finalmente, nel 1504, quando anche Montecassino entrò a far parte di questa riforma, fu detta Congregazione Cassinese. Il rinnovamento monastico, introdotto dal Barbo, risollevò le sorti della vita disciplinare, spirituale e amministrativa dei monasteri.

Fu riaccesa tra i monaci la passione per lo studio delle scienze sacre e profane, e il cenobio paolino divenne anche focolaio di santità e di cultura. Infatti i superiori della Congregazione Cassinese scelsero il monastero di S. Paolo come sede di un « gymnasium »filosofico e teologico approvato dal B. Innocenzo XI (1676-1687).

Questa scuola fu il germe dell’Ateneo internazionale benedettino, fondato sull’Aventino, da Leone XIII (1878-1903) e chiamato ora Collegio S. Anselmo, sede dell’Abate Primate dei benedettini confederati. Dall’Accademia paolina usci il monaco Barnaba Chiaramonti, lettore di filosofia per nove anni.

Il Chiaramonti, monaco professo del monastero di S. Maria di Cesena, sotto il pontificato di Pio VI (1775-1799) divenne vescovo e poi cardinale, fu eletto papa nel conclave tenuto nel monastero di S. Giorgio Maggiore di Venezia col nome di Pio VII (1800-1823). Il secolo XIX ha segnato per la basilica ostiense un triste ricordo.

La notte tra 15 e il 16 luglio 1823 un incendio fortuito la ridusse in breve a un cumulo di rovine.

La ricostruzione della basilica si protrasse praticamente per un intero secolo, conclusa con la posa in opera della monumentale porta centrale di bronzo nel 1931. Fu consacrata da Pio IX (1846-1876) il 10 dicembre 1854 con la partecipazione di molti cardinali e vescovi venuti a Roma per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione.

Con la soppressione degli ordini religiosi del 1866 e poi, per Roma, del 1870, tutti i loro beni furono confiscati dal Governo italiano e quindi anche il monastero di S. Paolo si trovò in condizioni precarie, tanto che i monaci potevano rimanere nella loro casa solo come custodi della basilica che era allora in ricostruzione. Sicchè essi non abbandonarono mai l’ufficiatura intorno al glorioso sepolcro dell’Apostolo delle genti.

La ripresa in pieno della vita monastica ed economica dell’abbazia ostiense iniziò alla fine del secolo XIX e prosegui’ nel XX. Lo sviluppo della rinascita religiosa fu così rapido e vigoroso che l’abbazia di San Paolo si sentì in forze spirituali sufficienti per aiutare validamente parecchi organismi monastici a riprendere la vita benedettina. In Germania (con i due fratelli Wolter), in Portogallo (con D. Francesco Villaca Ferreira), in Brasile (con D. Franco Amorin) e, possiamo aggiungere, anche in un certo senso in Francia, giacchè il ripristinatore della vita benedettina in quella nazione, D. Prospero Gueranger, emise la sua professione in S.Paolo il 26 luglio 1837 (la cerimonia, molto solenne, avvenne nella sacrestia perchè la basilica era ancora in costruzione): era tutto un fervore di vita monastica autenticamente benedettina. In Italia riaprì le due celebri abbazie di Farfa e di Pontida.

Si deve la rifioritura vigorosa di vita claustrale ad alcune grandi figure di monaci di quell’epoca: gli abati D. Leopoldo Zelli, D. Bonifacio Oslaender, B. Ildefonso Schuster (poi cardinale arcivescovo di Milano) e il monaco B. Placido Riccardi. Anche il fondatore di Nuova Norcia (Australia), Mons. Rudesindo Salvado, era di casa a S. Paolo e vi morì il 29 dicembre 1900.

Infine da tempo immemorabile l’abbazia si S. Paolo esercitava la giurisdizione diocesana su tre paesi del territorio romano: Capena, Nazzano e Civitella S. Paolo. Ora, con la nuova sistemazione dei territori diocesani e relative giurisdizioni, l’abate di S. Paolo ha la cura pastorale con potestà ordinaria (come quella dei vescovi diocesani e quindi è membro della Cei) della zona extraterritoriale della patriarcale basilica di S. Paolo secondo il decreto « Vetustissimam Abbatiam » di Giovanni Paolo II dell’11 luglio 1981.

La storia del Monastero è stata estrapolata dal volume :

Itinerario Paolino

« I Monaci Benedettini a San Paolo Fuori Le Mura di Roma »

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Per la Rai Saladino è buono e la Chiesa ha la faccia feroce

dal sito: 

http://www.fattisentire.net/modules.php?name=News&file=article&sid=2717

 

Per la Rai Saladino è buono e la Chiesa ha la faccia feroce 

Un santo ed un sultano al glucosio contro un cardinale dalle somiglianze a dir poco « sospette »…E la fiction francescana è servita!

 

 di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro 

 

Dopo aver visto in tv Chiara e Francesco, ne siamo più che mai convinti: proponiamo una moratoria di almeno dieci anni per le fiction dedicate ai santi. Anche Francesco d’Assisi è caduto vittima di questa alchimia mediatica, che trasforma il sale del Vangelo in zucchero ecumenico, il fuoco della vocazione in brodino caldo filantropico.
Lo sceneggiato della Lux Vide era cominciato benino con un’onesta rievocazione della vita del Poverello di Assisi. Fintantoché agli sceneggiatori non è saltato in mente di dedicare un terzo del tempo a loro disposizione alle Crociate. E qui è accaduto il fattaccio. Francesco va in Egitto per parlare con il Sultano, e chi trova a dar scandalo? Un cardinale guerrafondaio, armato fino ai denti, che pare appena uscito dalla marcia su Roma. Tutto vestito di nero, mascella volitiva, sguardo magnetico da «querciolo di Romagna», al prelato manca solo il balcone di Palazzo Venezia. Naturalmente spiega a Francesco che a lui la pace non interessa nulla, vuole vincere punto e basta. Come dire, è sempre «l’ora delle decisioni irrevocabili». E Francesco, invece di fare il bravo balilla, obietta che i Saraceni «credono nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe».
Ora, nessun uomo del Medioevo avrebbe mai potuto proferire un concetto del genere, perché un cristiano del Duecento non avrebbe mai detto che «i musulmani credono nel nostro stesso Dio»: e, a rigor di logica, non dovrebbe dirlo neanche oggi. In ogni caso, quando il vero Francesco andò dal Sultano, nel 1219, gli disse parole ben diverse: «I cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete».
Nella fiction della Rai, invece, quando il Sultano rimprovera il Poverello perché i cristiani hanno mosso guerra, lui non sa far di meglio che chiedergli scusa. Di più: si mette a trattare una spartizione della Terra Santa, neanche fosse il precursore della Comunità di Sant’Egidio.
Risultato: lo spettatore meno avvertito ne ricava che cristiani e musulmani avrebbero potuto vivere tranquillamente in pace, nel pieno rispetto della convenzione di Ginevra, se non fosse stato per quei cattivoni dei crociati.
In queste fiction dei giorni nostri, i protagonisti sono letteralmente sradicati dalla mentalità del loro tempo e ragionano come un uomo del Terzo millennio, imbevuto di politically correct. Nella fiction della Lux Vide, accanto ai «buoni» Francesco e Chiara si muovono schiere di vescovi e cardinali cattivissimi. In questo modo, la santità diventa davvero un miracolo inspiegabile, perché non si riesce a capire come una specie di associazione a delinquere quale appare la Chiesa del passato riesca poi a produrre figure di eccelsa moralità come un Francesco o una Chiara d’Assisi.
È la fiction, bellezza. Questi lavori, anche quando sono prodotti da cattolici come i fratelli Bernabei della Lux, non hanno nessuna intenzione di descrivere chi veramente fu un certo santo del passato. Preferiscono confezionare un fantoccio imbottito dei buoni sentimenti, della mentalità e dei luoghi comuni del tempo presente. Ma così facendo, non si fa un buon servizio ai credenti. Né tanto meno ai laici che vorrebbero sinceramente capire più da vicino che cos’è un santo: anche loro, l’altra sera, avrebbero probabilmente voluto incontra e Chiara d’Assisi. Ma quelli veri erano altrove.

 

 Il Giornale, 20 ottobre 2007 

 

 

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La passione per Cristo, base di un rinnovato ecumenismo missionario

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12279?l=italian

La passione per Cristo, base di un rinnovato ecumenismo missionario 

Il fondatore di “Russia Cristiana” propone l’unità della missione 

BERGAMO, domenica, 21 ottobre 2007 (ZENIT.org).- “Il fatto che l’Europa diventi sempre più terra di missione obbliga l’ecumenismo, oggi più che mai, ad essere un ecumenismo missionario”. E’ questa la proposta che padre Romano Scalfi ha lanciato nel cinquantesimo anniversario della fondazione di “Russia Cristiana”.

“Se non siamo uniti in ciò che è essenziale alla fede, la passione di annunciare Cristo, salvezza del mondo, rischiamo di costruire sulla sabbia”, ha avvertito il sacerdote, che nel 1957 ha fondato questa realtà allo scopo di far conoscere in Occidente la ricchezza della tradizione spirituale, culturale e liturgica dell’ortodossia russa, favorire il dialogo ecumenico sulla base del contatto vivo di esperienze e contribuire alla presenza cristiana in Russia.

Per celebrare questa anniversario, sabato 20 ottobre, si è svolto nella Villa Ambiveri, a Seriate (Bergamo), il Convegno internazionale della Fondazione “Russia Cristiana” sul tema: “Russia Cristiana: la passione per l’unità. 1957-2007: cinquant’anni di storia”. 

Tra i tanti messaggi arrivati, spicca quello dell’Arcivescovo Antonio Mennini, Rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, il quale ha scritto a padre Scalfi lodando il suo impegno per “l’unità della Chiesa, non come un progetto da realizzare, ma come esperienza dell’accoglimento di un dono al quale convertirsi e al quale rispondere per il bene dell’umanità”.

“E di conseguenza – continua il messaggio – l’unità della persona, nel suo modo di concepire la propria vita personale e il senso della vita di tutto il mondo, che le conferisce una irriducibilità ultima, dalla quale ripartire per ricostruire un mondo in frantumi”.

Secondo l’Arcivescovo Mennini, “il prezioso lavoro di informazioni e testimonianza svolto da Russia Cristiana in Occidente, è accompagnato da un altrettanto prezioso cammino di amicizia con comunità cristiane e persone di buona volontà presenti in Russia”.

Il presule ha quindi ricordato i frutti derivanti dalla “proficua opera svolta dal Centro Biblioteca dello Spirito, nello spirito di un dialogo aperto e fraterno con le diverse componenti della società russa e in particolare la Chiesa ortodossa”.

Nato nel 1993, a Mosca, in collaborazione con la locale Chiesa cattolica e alcune importanti istituzioni della Chiesa ortodossa russa, il Centro Culturale “Biblioteca dello Spirito” svolge un lavoro culturale, editoriale e di distribuzione libraria.

Recentemente ha pubblicato in russo l’Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger, con la prefazione del Metropolita Kirill, Presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca.

A conclusione del Convegno, padre Romano Scalfi ha svolto una relazione sulle “Prospettive di lavoro per il futuro”, nel corso della quale ha ribadito che non c’è nessuna possibilità di unità se non in Cristo.

“La prima cosa che desideriamo, per i nostri fratelli ortodossi – ha spiegato il fondatore di Russia Cristiana – è che si rafforzi nella loro Chiesa l’unità personale ed ecclesiale fra di loro. Non siamo capaci di pensare all’unità fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa come l’accordo ai vertici di due Chiese disunite in se stesse”.

“Pensiamo alla futura unione fra le due Chiese come dono dello Spirito – ha sottolineato padre Scalfi – che chiede a noi il contributo della fede, che si esprime in Concordia fra noi e con i fratelli ortodossi”.

“Per concordia – ha continuato il sacerdote – intendiamo una amicizia che rispetta l’identità di ciascuno e vive in comunione gli stessi valori fondamentali del cristianesimo, fra i quali, soprattutto oggi, noi vediamo la missione”.

Padre Scalfi ha infine ricordato il commento di un teologo greco-ortodosso il quale avvertiva: “Non possiamo tranquillamente fare dell’ecumenismo, indifferenti al fatto che le chiese si spopolano”.

Secondo il fondatore di Russia Cristiana oggi più che mai vale il detto, caro ai pensatori russi: “La vera fede non si dimostra, ma si mostra”.

“Si mostra soprattutto – ha continuato padre Scalfi – nella concordia in nome di Cristo. Quando nasce e cresce un’amicizia nel nome di Cristo e nella passione di annunciarlo al mondo, siamo sicuramente sulla via che porta all’unità”.

Una dimostrazione pratica della possibilità di una missione concordemente svolta è l’accordo dei “Cento libri”, recentemente stipulato fra la Commissione teologica ortodossa russa, presieduta dal Metropolita Filaret di Minsk e Slutsk – Esarca del Patriarcato di Mosca per la Bielorussia – , la diocesi cattolica di Mosca e Russia Cristiana, che si realizza attraverso la “Biblioteca dello Spirito” di Mosca.

“In questa direzione – ha concluso padre Scalfi – Russia Cristiana intende impegnare tutti i suoi sforzi, compresi quelli economici, sperando nella Provvidenza divina e nella comprensione del popolo cristiano”.

In campo editoriale, “Russia Cristiana” dispone di una rivista (il bimestrale “La Nuova Europa”) e di una editrice (“La casa di Matriona”, che oltre a numerosi volumi pubblica anche il prestigioso libro-calendario di icone). 

Publié dans:ZENITH |on 22 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

buona notte

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« Arricchire davanti a Dio »

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 34 : sul Salmo 149

« Arricchire davanti a Dio »

Fratelli, interrogate voi stessi, esaminate le vostre celle interiori. Guardate e riflettete su quanto siate ricchi in fatto di carità; e poi accrescete quel che avete riscontrato. Badate a tale tesoro, perché possiate essere interiormente ricchi. Anche delle altre cose che hanno un gran pregio si dice, è vero, che son cose care, e ciò non invano… Che cosa, miei fratelli, sarà più caro della carità in se stessa? Quale pensiamo possa essere il suo prezzo ? Dove si trova il suo prezzo? Prezzo del grano è qualche tua moneta, prezzo d’un campo è l’argento, prezzo di una pietra preziosa è l’oro; prezzo della carità sei tu stesso. Cerchi dunque come possedere un campo, una pietra preziosa, un giumento. Cerchi come comprare un campo e lo cerchi in tasca tua. Se però vuoi possedere la carità, cerca te stesso, trova te stesso.

Forse che stenti a darti per paura di consumarti? Tutt’altro! Se non ti darai sei perduto. La stessa carità ti parla per bocca della Sapienza e ti dice qualcosa che t’impedisce d’avere paura delle parole: « Da’ te stesso ». Se infatti qualcuno volesse venderti un campo ti direbbe: « Dammi del tuo oro », e se qualche altro volesse venderti cose simili, « dammi tue monete » – ti direbbe. Ascolta cosa ti dice la carità per bocca della Sapienza: « Dammi il tuo cuore, o figlio » (Prov 23,26). Era male quando esso era dalla parte tua, quando era tuo. Ti lasciavi infatti attrarre da vanità e da amori lascivi e perniciosi. Toglilo da li! Dove lo trasporterai? dove lo porrai? Dice: « Dammi il tuo cuore ». Appartenga a me e non perirà per te…

« Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua anima » (Mt 22,37)… Esige tutto te colui che ti ha creato.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 22 octobre, 2007 |Pas de commentaires »

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