Santa Teresa D’Avila

dal sito:
http://www.maranatha.it/Feriale/santiProprio/1015Text.htm
Ricordiamoci sempre dell’amore di Cristo
Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, Vergine
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6-7, 14)
Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi.
Ne ho fatto molte volte l’esperienza, e me l’ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. E’ da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà.
Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l’aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia.
Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell’amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell’accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.
dal sito:
http://www.ocds.it/S.Teresa%20d’Avila.htm
S.Teresa d’Avila
Donna di una ricchezza femminile eccezionale -
- Mistica dalle esperienze spirituali uniche – i suoi Scritti l’hanno resa Dottore della Chiesa -
- Fondatrice delle Monache e Frati Carmelitani Scalzi
(riforma Teresiana) –
Avila (Spagna) 1534. Una giovane donna di 19 anni bussa alle porte del monastero delle carmelitane. Veste in modo elegante e raffinato. E’ bella. Tutte le riesce bene. Non le manca nulla apparentemente. L’aspetta un brillante avvenire ed è guardata da tutti con ammirazione.
* E perché dunque vuol entrare al Carmelo?
Perché ha sete, una sete profonda, che nessuna acqua al mondo è capace di soddisfare. Si è convinta che solo Gesù può donarle quest’acqua viva, che disseta. Era già capitato alla Samaritana e sembra ora un luogo comune: ma, davvero, d’allora in poi è capitato, e capita ancora, a milioni di persone.
E’ un amore che è nato, e cresce dentro di lei, irresistibile, praticando ciò che lei chiama orazione.
E altro non è che « una conversazione intima d’amicizia frequentemente promossa e sostenuta nel silenzio e nella solitudine con Colui da cui sa di essere amata ». Questo Gesù, sempre più esigente e geloso, che le fa capire di non più tollerare che il cuore di Teresa resti ancora troppo coinvolto con certe amicizie umane, che per quanto siano irreprensibili, occupano troppo il suo amore, impedendole di mettersi completamente a disposizione di Colui che non ha esitato a dare la sua vita per lei.
E’ necessario che la brillante Donna Teresa de Ahumada y Cepeda, come la chiamano ancora nel monastero, diventi la bruciante tutta innamorata Teresa di Gesù. Ed è proprio ciò che capita un giorno di primavera del 1554, mentre prega davanti a Cristo tutto coperto di piaghe. D’allora si sente addosso lo sguardo di Lui accorato e quasi implorante d’amore.
Da quel momento, la sua vita più non le appartiene, non è più sua, ma Gesù in lei. Un Gesù che le si fa sempre più presente e così pressante da sognarlo anche di notte. Rivelerà al suo confessore un giorno che sembrava impossibile che si potesse amare più di così: « Non smetteva mai di parlare a Lui o di parlare di Lui! ». Non ricordava di essersi dimenticata di Lui per più di tre minuti, anche in mezzo agli affari e alle preoccupazioni delle sue fondazioni. Un tale amore la porta progressivamente a non ricercare altro che l’onore e l’interesse di Lui.
* »Il mondo è in fiamme »
Eresie, scismi e guerre affliggono la Chiesa in Europa. Fame, pestilenze, ignoranza… « quante anime che si perdono ».
Che fare per arrestare questo disastro? « Avrei dato mille volte la vita pur di salvare anche una sola di queste anime… Ma, essendo donna e imperfetta, mi vedevo impossibilitata a realizzare ciò che avrei voluto per la gloria di Dio. Il mio grande desiderio era, ed è tuttora, che, dato che Egli ha tanti nemici e così pochi amici, questi almeno gli fossero devoti. Mi decisi dunque di fare quel poco che dipendeva da me: seguire i consigli evangelici con tutta la perfezione possibile e indurre a questo impegno le religiose di questo monastero ».
Questo monastero è quello di San Giuseppe ad Avila, fondato un po’ fuori le mura il 24 agosto 1562.
Sarà sarà seguito da una quindicina di altri, impostati sullo stesso modulo. Un modulo di vita rigorosamente evangelica, praticando strettamente la povertà, la semplicità, il distacco, nella solitudine e nella preghiera, in condizione fraterna.
La Carmelitana non si ripara dietro le grate per godervi egoisticamente la presenza del suo Gesù.
E’ impossibile. Lui stesso non lo permetterebbe.
La Carmelitana intende lì, tra quattro mura, fare della sua vita un sacrificio di lode, d’amore, di gioia, partecipando totalmente al mistero di Cristo e della Chiesa.
Proprio come dirà più tardi Edith Stein una delle più commoventi figlie di Santa Teresa, morta in un campo di concentramento hitleriano: « La sposa di Cristo sta ritta al suo fianco, come la Chiesa e come la Madre di Dio, che è la Chiesa nella sua forma perfetta. Il dono totale del suo essere e della sua vita la fanno entrare nella Vita e nella Passione di Cristo, permettendole di patire e di morire con Lui di una morte che diventa per l’umanità sorgente di vita. Così la sposa di Cristo arriva a sperimentare una maternità spirituale che abbraccia l’umanità intera, sia che prenda parte attiva alla conversione delle anime, sia che ottenga per l’immolazione sua frutti di grazia per coloro che umanamente non incontrerà mai ».
Mentre un’altra sua gloriosa figlia, S.Teresa di Lisieux entusiasticamente e appassionatamente si identificherà con la missione: « …nel cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l’Amore ». E getterà la sua vita, come si gettano i petali di una rosa, giorno per giorno…, per amore.
Per la realizzazione di un’opera così prodigiosa, Teresa trova un aiuto inappagabile in un altro gigante di santità, San Giovanni della Croce, capofila del ramo maschile della riforma teresiana.
Come quest’ultimo, la Santa del Carmelo ci ha lasciato il suo pensiero e la sua grande riconosciuta esperienza mistica in libri che sono considerati veri gioielli della letteratura spagnola e cristiana. L’orazione è l’argomento dominante, indispensabile per una seria, progressiva, esaltante esperienza di Dio. Parte da una considerazione molto elementare: ciascuno di noi, fin dal battesimo, porta in sé, nel profondo del proprio cuore, il Creatore del mondo.
Che ci pensiamo o no, che noi ci rifiutiamo o che l’amiamo, è Lui che ci dona la Vita e la Luce, è Lui che ci fa il dono di respirare e di cantare. Fare orazione è esporre la propria anima ai raggi di questo Sole per lasciarci da Lui riscaldare e illuminare.
Praticare tali autorevoli insegnamenti porta ad una trasformazione della propria vita.
Teresa di Gesù muore a 67 anni, consumata dalle fatiche per la fondazione dei suoi 17 monasteri.
Prima di spirare esclama: « Signore mio e Sposo mio, è arrivata finalmente l’ora in cui potrò saziarmi di Te, che ho tanto desiderato!« .
dal sito:
http://www.zenit.org/article-12200?l=italian
Solo Dio Amore può guarire la lebbra dello spirito, ricorda il Papa
In occasione dell’Angelus domenicale
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 15 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della recita dell’Angelus insieme ai pellegrini e ai fedeli riuniti in piazza San Pietro in Vaticano.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa domenica presenta Gesù che guarisce dieci lebbrosi, dei quali solo uno, samaritano e dunque straniero, torna a ringraziarlo (cfr Lc 17,11-19). A lui il Signore dice: « Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato! » (Lc 17,19). Questa pagina evangelica ci invita ad una duplice riflessione. Innanzitutto fa pensare a due gradi di guarigione: uno, più superficiale, riguarda il corpo; l’altro, più profondo, tocca l’intimo della persona, quello che la Bibbia chiama il « cuore », e da lì si irradia a tutta l’esistenza. La guarigione completa e radicale è la « salvezza ». Lo stesso linguaggio comune, distinguendo tra « salute » e « salvezza », ci aiuta a capire che la salvezza è ben più della salute: è infatti una vita nuova, piena, definitiva. Inoltre, qui Gesù, come in altre circostanze, pronuncia l’espressione: « La tua fede ti ha salvato ». E’ la fede che salva l’uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l’aprirsi dell’uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: « grazie »!
Gesù guarisce dieci malati di lebbra, infermità allora considerata una « impurità contagiosa » che esigeva una purificazione rituale (cfr Lv 14,1–37). In verità, la lebbra che realmente deturpa l’uomo e la società è il peccato; sono l’orgoglio e l’egoismo che generano nell’animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell’umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male.
« Convertitevi e credete al Vangelo » (cfr Mc 1,15). Gesù dette inizio alla sua vita pubblica con quest’invito, che continua a risuonare nella Chiesa, tanto che anche la Vergine Santissima nelle sue apparizioni specialmente degli ultimi tempi, ha sempre rinnovato quest’appello. Oggi, pensiamo in particolare a Fátima dove, proprio 90 anni or sono, dal 13 maggio al 13 ottobre 1917, la Vergine apparve ai tre pastorelli: Lucia, Giacinta e Francesco. Grazie ai collegamenti radiotelevisivi, vorrei rendermi spiritualmente presente in quel Santuario mariano, dove il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha presieduto a mio nome le celebrazioni conclusive di un così significativo anniversario. Saluto cordialmente lui, gli altri Cardinali e Vescovi presenti, i sacerdoti che lavorano nel Santuario ed i pellegrini venuti da ogni parte del mondo per l’occasione. Alla Madonna chiediamo per tutti i cristiani il dono di una vera conversione, perché sia annunciato e testimoniato con coerenza e fedeltà il perenne messaggio evangelico, che indica all’umanità la via dell’autentica pace.
[Il Papa ha quindi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Continuano a giungere quotidianamente dall’Iraq gravi notizie di attentati e violenze, che scuotono la coscienza di quanti hanno a cuore il bene di quel Paese e la pace nella Regione. Tra queste, apprendo oggi la notizia del sequestro di due buoni sacerdoti dell’Arcidiocesi siro-cattolica di Mossul, minacciati di morte. Faccio appello ai rapitori perché rilascino prontamente i due religiosi e, nel ribadire ancora una volta che la violenza non risolve le tensioni, elevo al Signore un’accorata preghiera per la loro liberazione, per quanti soffrono violenza e per la pace.
Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al folto gruppo venuto da Desio nel 150° anniversario della nascita del Papa Pio XI. Saluto inoltre i fedeli di Lamezia Terme, Altamura e Padova, come pure l’Associazione Musici e Sbandieratori di Floridia. A tutti auguro una buona domenica.
Sant’Afraate (?-circa 345), monaco e vescovo a Nìnive, nell’Iraq attuale
dimostrazioni, n° 3 Del digiuno ; SC 349, 277
« Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione »
I figli di Nìnive fecero un digiuno puro, quando Giona predicò loro la conversione. Così è stato scritto infatti: Quando sentirono la predicazione di Giona, bandirono un digiuno continuo, una supplica ininterrotta seduti sulla cenere. Tolti i manti delicati, si coprirono di sacco. Rifiutarono ai bimbi il seno della madre, agli animali, grandi e piccoli il pascolo (Gn 3)…
Ed ecco ciò che dice la Scrittura: « Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosi riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece ». Non dice: « Vide un’astinenza da pane e da acqua, con il sacco e la cenere », bensì: « Che si erano convertiti dalla loro condotta malvagia »… Questo è stato un digiuno puro; e fu accettato, il digiuno che fecero gli abitanti di Nìnive, quando si convertirono dalla loro condotta malvagia e dalla rapacità delle loro mani…
Infatti, amico mio, quando uno digiuna, è sempre l’astinenza dalla malvagità ad essere la migliore.E’ meglio dell’astinenza da pane e da acqua, migliore del piegare come un giunco il capo, « avere sacco e cenere per letto » come dice Isaia (58,5). Infatti, quando uno si astiene da pane, da acqua o da qualche cibo, quando si copre con il sacco e la cenere o si lamenta, questi, sì, è amato, bello e gradito. Ma è più gradito quando umilia se stesso, « scioglie le catene » dell’empietà e « toglie i legami » della menzogna. Allora « la sua luce sorgerà come l’aurora, e davanti a lui camminerà la sua giustizia. Sarà come un giardino irrigato, come una sorgente le cui acque non inaridiscono » (Is 58,6s).