Archive pour le 2 mai, 2007

buona notte

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Santi Filippo e Giacomo, apostoli, fondamenta della città santa (Ap 21,19)

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Esposizioni sui salmi, Sal 86

Santi Filippo e Giacomo, apostoli, fondamenta della città santa (Ap 21,19)

« Le sue fondamenta sono sui monti santi. Il Signore ama le porte di Sion » (Sal 86, 1-2)… « Voi siete concittadini dei santi, familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo » (Ef 2,19-20)… Ebbene, questa pietra angolare e i monti (che sono gli Apostoli e i grandi Profeti) reggono la costruzione di questa città e costituiscono un edificio vivente. Grida ora dai vostri cuori questo edificio? È la magistrale mano di Dio che compie tutto questo per mezzo della nostra lingua, affinché siate squadrati e immessi nella struttura di quell’edificio…

Guardate alla forma d’una pietra squadrata: il cristiano deve essere simile ad essa! Di fronte a qualsiasi tentazione il cristiano non cade. Anche se è spinto e, quasi, capovolto, egli non cade. Una pietra di forma quadrata, infatti, da qualunque parte tu la giri, sta dritta… Siate, dunque, squadrati in questo modo, cioè pronti a qualsiasi tentazione. Qualunque cosa vi colpisca, non abbia a rovesciarvi!…

Quanto, poi, al crescere in questo edificio, lo si fa con affetto devoto, con sincera religione, con la fede, la speranza e la carità. La città celeste viene edificata mediante i suoi stessi cittadini: i cittadini ne sono le pietre. Essi, infatti, sono pietre viventi. Dice l’apostolo Pietro: « Voi, come pietre viventi, siate edificati in una dimora spirituale » (1 Pt 2,5)… Ma, perché sono fondamenta gli Apostoli e i Profeti? Perché la loro autorità sorregge la nostra debolezza. Perché attraverso loro noi entriamo nel regno di Dio: sono essi che ce lo annunciano. E, quando noi entriamo attraverso loro, entriamo attraverso Cristo, dato che egli è la porta (Gv 10,9).

Sant’Atanasio – 2.5.07

per Sant’Atanasio ho trovato solo (il meglio) dal sito « Santi e beati »: 

http://www.santiebeati.it/dettaglio/23100

Atanasio, nato ad Alessandria d’Egitto nel 295, è la figura più drammatica e sconvolgente della ricca galleria dei Padri della Chiesa. Caparbio difensore della ortodossia durante la grande crisi ariana, immediatamente dopo il concilio di Nicea, pagò la sua eroica resistenza alla dilagante eresia con ben cinque esili inflittigli dagli imperatori Costantino, Costanzo, Giuliano e Valente. Ario, un sacerdote uscito dal seno stesso della Chiesa d’Alessandria, negando l’uguaglianza sostanziale tra il Padre e il Figlio, minacciava di colpire al cuore il cristianesimo. Infatti, se il Cristo non è il Figlio di Dio, e non è egli stesso Dio, a che cosa si riduce la redenzione dell’umanità?
In un mondo che si risvegliò improvvisamente ariano, secondo la celebre frase di S. Girolamo, restava ancora in piedi un grande lottatore, Atanasio, elevato trentatreenne alla prestigiosa sede episcopale di Alessandria. Aveva la tempra del lottatore e quando c’era da dar battaglia agli avversari era il primo a partire con la lancia in resta: « Io mi rallegro di dovermi difendere », scrisse nella sua Apologia per la fuga. Atanasio di coraggio ne aveva da vendere, ma sapendo con chi aveva a che fare (tra le tante accuse mossegli dai suoi denigratori ci fu quella di aver assassinato il vescovo Arsenio, che poi risultò vivo e vegeto!), non stava ad aspettare in casa che lo venissero ad ammanettare. Talvolta le sue fughe hanno del rocambolesco. Egli stesso ce ne parla con molto brio.
Trascorse i suoi due ultimi esili nel deserto, presso gli amici monaci, questi simpatici anarchici della vita cristiana, che pur rifuggendo dalle normali strutture dell’organizzazione sociale ed ecclesiastica, si trovavano bene in compagnia di un vescovo autoritario e intransigente come Atanasio. Per essi il battagliero vescovo di Alessandria scrisse una grande opera,
la Storia degli ariani, dedicata ai monaci, di cui ci restano poche pagine, sufficienti tuttavia per rivelarci apertamente il temperamento di Atanasio: sa di parlare con uomini che non intendono metafore e allora dice pane al pane: sbeffeggia l’imperatore, chiamandolo con nomignoli irrispettosi e mette in burletta gli avversari; ma parla con calore e slancio delle verità che gli premono, per strappare i fedeli alle grinfie dei falsi pastori.
Durante le numerose involontarie peregrinazioni fu anche in Occidente, a Roma e a Treviri, dove fece conoscere il monachesimo egiziano, come stato di vita organizzato in maniera del tutto originale nel deserto, presentando il monaco ideale, nella suggestiva figura di un anacoreta, S. Antonio, di cui scrisse la celebre Vita, che si può considerare una specie di manifesto del monachesimo.

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La prima volta di Benedetto XVI in America latina – di Sandro Magister

dal sito: 

http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=135981

 

La prima volta di Benedetto XVI in America latina


Molti si aspettano che il papa finalmente parli ai cinquecento milioni di cattolici del continente, che da lui si sono sentiti fin qui trascurati. Ad Aparecida il possibile inizio d’un secondo tempo del pontificato

di Sandro Magister

ROMA, 26 aprile 2007 – A San Paolo del Brasile e al santuario dell’Aparecida, sul tropico del Capricorno, è autunno e le temperature sono miti. Ma il suo prossimo viaggio in quelle terre, dal 9 al 14 maggio, sarà per Benedetto XVI una prova del fuoco.

In due anni di pontificato né il Brasile né l’America latina sono mai apparsi al centro della sua attenzione, nonostante lì vivano cinquecento milioni di cattolici, quasi la metà del miliardo e cento milioni di cattolici di tutto il pianeta.

Lampi di passione per questo continente Joseph Ratzinger li aveva fatti balenare nei primi mesi dopo l’elezione a papa.

Aveva fissato lui, il 7 luglio del 2005, il tema della quinta conferenza generale dei vescovi dell’America latina e dei Caraibi: “Discepoli e missionari di Gesù Cristo”. Quinta dopo quelle di Rio de Janeiro nel 1955, di Medellín nel 1968, di Puebla nel 1979 e di Santo Domingo nel 1992:

Aveva voluto lui che che l’altra frase del titolo: “Perché tutti abbiano la vita” finisse specificando: “in Lui”. E che fosse aggiunta l’affermazione dello stesso Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita”.

Aveva stabilito lui la data e il luogo. Nell’ottobre del 2005, durante il sinodo dei vescovi, incontrando alcuni cardinali sudamericani chiese loro a bruciapelo quale fosse in Brasile il più frequentato santuario della Madonna. “L’Aparecida”, gli risposero. E il papa: “Vi riunirete lì. Nel maggio del 2007. E io ci sarò”.

Poi però ha interamente delegato ad altri la fase preparatoria: in curia al cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione per i vescovi e presidente della pontificia commissione per l’America Latina, e oltre Atlantico al cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo di Santiago del Cile e attuale presidente del CELAM, il consiglio episcopale latinoamericano.

Il cardinale Re è da anni il principale responsabile delle nomine dei nuovi vescovi in America latina, con questo e con il precedente papa. Si deve in buona parte a lui, quindi, se oggi l’episcopato latinoamericano è così povero di figure di spicco, di guide sicure e di grande visione. Le eccezioni sono rare. Il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio è una di queste: ma dalla preparazione della conferenza di Aparecida si è tenuto lontano e ha opposto un diniego insuperabile alla richiesta fattagli dallo stesso Benedetto XVI di trasferirsi a Roma a capo di un dicastero curiale.

In Vaticano il papa ha poi fatto venire, lo scorso ottobre, l’arcivescovo di San Paolo del Brasile, il cardinale Cláudio Hummes, come prefetto della congregazione per il clero. Ma senza alcun effetto visibile, sinora.

Hummes sa per esperienza diretta che il clero è uno dei punti critici della Chiesa del continente. Tranne che in Messico, Colombia, Cile e Argentina, in tutti gli altri paesi i preti indigeni sono pochissimi, uno ogni quindicimila battezzati, in proporzione dieci volte di meno che in Europa o nel Nordamerica dove pure il loro numero ha subito un forte ribasso.

Oltre che pochissimi, i preti sono male istruiti. Nelle aree rurali e sulle Ande il concubinato è prassi corrente. In molte chiese e parrocchie la messa domenicale è celebrata di rado e spesso in forma arbitraria: il che spiega i bassi indici di partecipazione regolare alla messa in questo continente pur così diffusamente cattolico.

I seminari sono anch’essi di qualità molto disuguale. Là dove le vocazioni al sacerdozio sono in ripresa – in qualche diocesi più viva, in qualche comunità carismatica – la difficoltà maggiore per il vescovo o il capo di comunità è trovare un seminario affidabile.

Tutto ciò è arcinoto, ma nei testi preparatori della conferenza di Aparecida e persino nella bozza del lunghissimo documento finale, predisposto in segreto negli uffici vaticani, se ne trova solo una flebile traccia.

Il 20 gennaio di quest’anno e poi il 17 febbraio Benedetto XVI ha letto i due soli discorsi fin qui da lui dedicati al tema: il primo rivolto ai membri della pontificia commissione per l’America Latina e il secondo ai nunzi di quel continente. Discorsi entrambi di routine, prodotti negli uffici del cardinale Re, senza un passaggio che denotasse la mano e la mente del papa, ben riconoscibili quando scrive di suo pugno.

Altrettanto di routine è stata la nomina dei 266 partecipanti alla conferenza di Aparecida, tra membri, invitati, osservatori ed esperti. Dei sedici la cui scelta spettava a Benedetto XVI undici erano d’obbligo in quanto capi di altrettanti uffici curiali. Dei rimanenti cinque, l’unico di rilievo è il cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Québec, canadese ma molto più competente in materia di tanti suoi colleghi latinoamericani.

Eppure grosse ragioni ci sarebbero perché Aparecida entri nella storia, come – per altre ragioni – due delle riunioni continentali che l’hanno preceduta: Medellín, in Colombia, nel 1968 e Puebla, in Messico, nel 1979.

Il discorso che Giovanni Paolo II pronunciò a Puebla ebbe un impatto forte, inaugurò la decennale battaglia che Roma avrebbe poi combattuto e vinto, con l’apporto inflessibile dell’allora cardinale Ratzinger, contro l’utopia marxista nelle vesti della teologia della liberazione.

Da allora però moltissimo è cambiato. Quando Karol Wojtyla mise piede in Messico nel 1979 e l’anno dopo in Brasile, in vari paesi del continente erano al potere regimi reazionari e anche sanguinari. Oggi per
la Chiesa la sfida è opposta e per certi aspetti ancora più ardua.

In Brasile, Cile, Uruguay, Argentina governano i progressisti di Lula, Michelle Bachelet, Vázquez, Kirchner, portatori di una visione laica simile a quella del Nord secolarizzato del mondo. Mentre in Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua domina il populismo di Chávez, Morales, Correa, Ortega. Il marxismo caro alla teologia della liberazione resiste solo a Cuba. La religione dei nuovi regimi populisti è semmai l’indigenismo, sono i miti dell’America precristiana.

Ma un cambiamento non meno forte è avvenuto sul terreno religioso. Nel 1980, quando Giovanni Paolo II si recò per la prima volta in Brasile, i cattolici avevano il quasi monopolio, erano l’89 per cento della popolazione. Al censimento del 2000 erano scesi al 74 per cento e oggi a San Paolo, a Rio e nelle aree urbane sono addirittura sotto il 60 per cento.

Contemporaneamente sono aumentati i senza religione – dall’1,6 per cento del 1980 al 7,4 per cento del 2000 – ma soprattutto i protestanti d’impronta pentecostale. Questi ultimi sono passati dal 5 per cento del 1980 al 15 per cento e nelle aree urbane anche al di sopra del 20.

Ma c’è di più: lo spirito del pentecostalismo raccoglie un numero crescente di seguaci anche tra chi continua ad appartenere alla Chiesa cattolica. Il Pew Forum on Religion & Public Life, in un’accurata indagine del 2006, ha accertato che in Brasile un cattolico su tre può essere oggi ascritto a questa tendenza. Che è in larga misura reattiva alla pressione secolarizzante e ama un cristianesimo puritano, comunitario, ispirato dall’alto, difensore della vita e della famiglia, impegnato sulla scena pubblica, con forte spirito di missione.

Giovanni Paolo II, a Santo Domingo nel 1992, bollò come “lupi rapaci” le comunità pentecostali protestanti, che in effetti sono spesso aggressive contro i simboli del cattolicesimo, dalla Madonna al papa.

Lo stesso Ratzinger, in una conferenza del 13 maggio 2004, accusò gli Stati Uniti di promuovere “la protestantizzazione dell’America latina e il dissolvimento della Chiesa cattolica”.

Ma da papa, lo scorso 17 febbraio, ha richiamato piuttosto
la Chiesa a interrogare se stessa.

Se tanti fedeli l’abbandonano e passano alle comunità pentecostali – fenomeno che interessa massicciamente anche l’Africa, l’Asia e il Nordamerica – è perché hanno sete di un Gesù vivo e vero che
la Chiesa annuncia troppo debolmente. Come il Gesù umanizzato e politicizzato dei libri di Jon Sobrino, il teologo della liberazione condannato lo scorso inverno dalla congregazione per la dottrina della fede.

In definitiva, per Benedetto XVI, la questione capitale è Gesù, anche per l’America latina. Chissà a San Paolo e ad Aparecida come saprà finalmente parlarle, e toccarla nel cuore. 

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La via migliore per conoscere Dio è l’amore: così il Papa all’udienza generale

traggo la catechesi del Papa dio questa mattina dal sito della Radio Vaticana perché ancora non vi sono le versioni dei giornalisti ed ogi volevo presentarvi anche quel poco di attualità, ossia il forte acquazzone (nubifragio? che era?) che si è abbattuto su Roma questa mattina, è stato fortissimo, io e mia sorella eravamo per strada, ma non ci si poteva stare, così noi, ed altri, ci siamo rifugiate in un Bar, è stato veramente forte anche se non è durato a lungo, veramente c’è lo Spirito del Signore nel Papa e in coloro che erano a Piazza San Pietro per rimanere lì ad ascoltare, dal sito:

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=131370 

La via migliore per conoscere Dio è l’amore: così il Papa all’udienza generale 

“La via privilegiata per conoscere Dio è l’amore”: è quanto ha detto Benedetto XVI stamani durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata anche oggi ad Origene, “grande maestro alessandrino” della Chiesa antica. Il Papa, facendo riferimento al mese di maggio dedicato in particolare a Maria, ha affidato i fedeli alla protezione materna della Vergine. Circa 30 mila i pellegrini presenti nonostante la giornata piovosa. Il servizio di Sergio Centofanti.

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 »Prendiamo la pioggia come una benedizione, si parla molto della siccita’ quindi il Signore dà un segno della grazia ».

Il Papa scherza sulla pioggia che cade abbondante in Piazza San Pietro, interrompendo brevemente la sua meditazione che continua ad incentrarsi sulle grandi personalità della Chiesa antica. Anche questo mercoledì come la settimana scorsa ha approfondito la figura di Origene, brillante scrittore e teologo, vissuto tra il secondo e il terzo secolo, torturato crudelmente durante la persecuzione di Decio nel 250 e morto qualche anno dopo, non ancora settantenne, fiaccato dalle sofferenze subite. Benedetto XVI ha sottolineato due aspetti della dottrina origeniana che considera tra i più importanti e attuali: il primo è relativo al fatto che un così grande conoscitore e studioso delle Sacre Scritture come Origene ritenga che “il più alto livello della conoscenza di Dio … scaturisce dall’amore”:

“A suo parere, infatti, l’intelligenza delle Scritture richiede, più ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. E se è vero che Cristo è il vero e ultimo autore con lo Spirito Santo della Scrittura è anche evidente che solo in un contatto vivo con Cristo si può comprendere
la Scrittura. Origene è convinto che la via privilegiata per conoscere Dio è l’amore, e che non si dia un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui”.

“Anche tra gli uomini – aggiunge il Papa a braccio – uno conosce realmente in profondità un altro solo se c’è amore, se si aprono i cuori”. E per dimostrare la sua tesi Origene si fonda su un significato dato talvolta al verbo “conoscere” in ebraico, quando cioè viene utilizzato per esprimere l’atto dell’amore umano:

“Così viene suggerito che l’unione nell’amore procura la conoscenza più autentica. Come l’uomo e la donna sono ‘due in una sola carne’ così Dio e il credente diventano ‘due in uno stesso spirito’. In questo modo la preghiera dell’Alessandrino approda ai livelli più alti della mistica”.

Origene – sottolinea inoltre il Papa – svolge un ruolo primordiale nella storia delle lectio divina, la lettura orante della Parola di Dio: è questo teologo infatti uno dei primi ad affermare che insieme ad una lettura perseverante e fiduciosa della Sacra Scrittura è assolutamente necessaria la preghiera per comprendere le cose Dio.
A questo proposito Benedetto XVI cita l’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla preghiera:

“Egli mostrava ai fedeli ‘come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore, fino a rendere la persona umana totalmente posseduta dall’Amato divino, vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel cuore del Padre…Si tratta’, proseguiva Giovanni Paolo II, ‘di un cammino interamente sostenuto dalla grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e conosce anche dolorose purificazioni, ma che approda, in diverse forme possibili, all’indicibile gioia vissuta dai mistici come unione sponsale’”.

Il secondo insegnamento di Origene riguarda il sacerdozio comune dei fedeli che richiede a tutti i credenti purezza e onestà di vita e soprattutto fede e accoglienza e studio della Parola di Dio. Si tratta – afferma il Papa – di un cammino di perfezione al cui vertice si colloca il martirio: significa, in profondità, rinunciare a tutto per prendere la propria croce e seguire Cristo. Una via percorribile solo tenendo fisso lo sguardo del cuore su di Lui.

Dopo la catechesi il Papa, salutando i fedeli nelle varie lingue, ha ricordato il suo ormai imminente viaggio apostolico in Brasile (partirà il 9 maggio) per inaugurare la quinta Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e caraibico, auspicando che questo importante incontro ecclesiale possa produrre abbondanti frutti di evangelizzazione e testimonianza cristiana.

Quindi, Benedetto XVI, ricordando che siamo all’inizio del mese tradizionalmente dedicato alla Vergine, ha voluto affidare tutti i fedeli alla protezione della Madre di Dio:

“Cari giovani, mettetevi ogni giorno alla scuola di Maria Santissima per imparare da Lei a compiere la volontà di Dio. Contemplando
la Madre di Cristo crocifisso, voi, cari malati, sappiate cogliere il valore salvifico di ogni croce, anche di quelle più pesanti. E voi, cari sposi novelli, invocate la sua protezione materna, perché nella vostra famiglia regni sempre il clima della casa di Nazareth”.

Infine, un particolare saluto il Papa lo ha rivolto ai rappresentanti della Società delle Missioni Africane, alla comunità del Pontificio Collegio Pio Romeno di Roma, che celebra in questi giorni il 70° anniversario di fondazione, e all’Azione Cattolica di Tempio-Ampurias, guidata dal vescovo Sebastiano Sanguinetti.

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buona notte

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« Chi vede me, vede colui che mi ha mandato »

 dal sito EAQ:

Catechismo della Chiesa cattolica
§ 238, 240-242

« Chi vede me, vede colui che mi ha mandato »

In molte religioni Dio viene invocato come « Padre ». Spesso la divinità è considerata come « padre degli dèi e degli uomini ». Presso Israele, Dio è chiamato Padre in quanto Creatore del mondo. Ancor più Dio è Padre in forza dell’Alleanza e del dono della Legge fatto a Israele, suo « figlio primogenito » (Es 4,22). È anche chiamato Padre del re d’Israele (2 S 7,14). In modo particolarissimo egli è « il Padre dei poveri », dell’orfano, della vedova, che sono sotto la sua protezione amorosa (Sal 68,6)…

Gesù ha rivelato che Dio è « Padre » in un senso inaudito: non lo è soltanto in quanto Creatore; egli è eternamente Padre in relazione al Figlio suo unigenito, il quale non è eternamente Figlio se non in relazione al Padre suo: « Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare » (Mt 11,27). Per questo gli Apostoli confessano Gesù come « il Verbo » che « in principio [...] era presso Dio e il Verbo era Dio » (Gv 1,1), come colui che « è immagine del Dio invisibile » (Col 1,15) e « irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza » (Eb 1,3).

Sulla loro scia, seguendo la Tradizione apostolica, la Chiesa nel 325, nel primo Concilio Ecumenico di Nicea, ha confessato che il Figlio è « consostanziale al Padre », cioè un solo Dio con lui. Il secondo Concilio Ecumenico, riunito a Costantinopoli nel 381, ha conservato tale espressione nella sua formulazione del Credo di Nicea ed ha confessato « il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre ».

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