Archive pour le 16 mai, 2007

« Ancora un poco e non mi vedrete ; un po’ ancora e mi vedrete »

San Basilio (circa 330-379), monaco e vescovo di Cesarea in Cappadocia, dottore della Chiesa
Hexaemeron, 6

« Ancora un poco e non mi vedrete ; un po’ ancora e mi vedrete »

Se qualche volta, nella quiete di una notte serena, fissando gli occhi sulla bellezza inesprimibile degli astri, hai pensato all’autore dell’universo, chiedendoti chi ha seminato tali fiori sul firmamento, allora sei pronto a seguire questa assemblea e ad ascoltare il commento del racconto ispirato…Vieni pure : come si tengano per mano e si conducono nelle città quelli che non le conoscono, così sarò la vostra guida per farvi scoprire le meraviglie misteriose dell’universo. In questa città, nostra antica patria dalla quale siamo stati cacciati dal demonio che ha ridotto in schiavitù l’uomo per mezzo della seduzione, vedrai la creazione dell’uomo e la morte che si è impadronita di noi, questa morte nata dal peccato, creatura del demonio, maestro del male… Dio, mediante l’esperienza del presente, ci conferma nell’attesa dell’avvenire : se infatti i beni materiali sono così importanti, cosa saranno i beni eterni ? Se gli esseri visibili sono così belli, quale sarà la bellezza degli esseri invisibili ? Se la grandezza del cielo oltrepassa la misura dell’intelligenza umana, quale intelligenza potrà scoprire la natura di ciò che è eterno ? Se questo sole caduco è così bello, così grande, così veloce nei suoi moti, così regolare nel suo ciclo, di una grandezza così proporzionata al resto dell’universo, se nessuno può saziarsi di godersene, quale bellezza sarà quella di Cristo chiamato nella Scrittura « Sole di giustizia » (Mal 3,20). E se è un grande danno per il cieco essere privo del sole, che danno sarà per il peccatore essere privo della luce vera ed eterna…

Ascensione del Signore

ascension2.jpg

immagine dal sito francese:

http://eocf.free.fr/imag_ascension.htm

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La solidarietà dei vescovi africani

dal sito della Radio Vaticana:

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=133988

La solidarietà dei vescovi africani ai partecipanti alla V Conferenza generale degli episcopati latinoamericani. Intervista col il cardinale Peter Erdő

« Vorrei suggerirvi di fare tutti gli sforzi possibili per approfondire le diverse questioni dell’agenda della nostra Conferenza, tenendo sempre presente il tema centrale: discepoli e missionari di Gesù Cristo perché i nostri popoli abbiano vita ». Sono le parole del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi e della Pontificia Commissione per l’America Latina, indirizzate ai partecipanti alla grande conferenza degli episcopati latinoamericani in corso ad Aparecida. L’intervento del cardinale Re ha introdotto i lavori dell’incontro, inaugurato da Benedetto XVI. Il servizio di Luis Badilla Morales

« Il documento cosiddetto « Sintesis » – ha spiegato il cardinale Re – che raccoglie i contributi delle chiese latinoamericane e caraibiche, sotto la guida dei pastori, contiene un’ampia gamma di riflessioni, di analisi e di idee. Si tratta ovviamente di una grande ricchezza, ma c’è anche il rischio di voler toccare tutti i temi e, dunque, possiamo perderci nella vastità dell’analisi a scapito di una sintesi efficace che ci conduca a conclusioni condivise e pratiche, che possano veramente incidere nel futuro » delle chiese particolari della regione. Oltre a questo intervento del cardinale Re, ci sono stati tra ieri e oggi anche quelli di numerosi presidenti di Conferenze episcopali, tra i quali quelli di Messico, Brasile, Colombia, Costa Rica, Porto Rico e altri. Ciascuno, come prevede il metodo di lavoro, ha avuto 15 minuti per dare una prima opinione sul documento sintesi, che poi sarà analizzato capitolo per capitolo. Inoltre, i vescovi partecipanti hanno potuto ascoltare mons. Francisco João Silota, vescovo di di Chimoio, in Mozambico, e secondo vicepresidente delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SCEAM/ SELAM), che nel suo saluto si augurato che i frutti di questa Conferenza possano essere utili anche per le Chiese del resto del mondo e, naturalmente, quelle africane a nome delle quali ha espresso grande affetto e solidarietà. Mons. Francisco João Silota ha voluto anche ricordare l’incontro, nel 2000, tra il Celam e SCEAM/ SELAM tenutosi a Maputo e durante il quale furono stabiliti meccanismo di coordinamento e scambio di esperienze. “Perciò, ha sottolineato, tutto quanto accada qui in questi giorni sarà per noi molto importante e, in certo modo, ci sentiamo anche noi parte di questo incontro di fede e comunione”.

Tra i relatori intervenuti ieri, alla prima Giornata della V Conferenza degli episcopati latinoamericani e caraibici, c’era anche l’arcivescovo di Esztergom-Budapest, cardianle Peter Erdö, intervistato da Davide Dionisi

R. – Sentiamo il bisogno di questo scambio di esperienze. La parte orientale del continente europeo, per esempio, adesso ha tanti problemi riguardo alla giustizia sociale, problemi che esistevano anche cento anni fa. Nel frattempo, però, ci sono stati due tentativi abbastanza violenti di risolvere tali problemi. Ambedue cercavano una soluzione senza Dio, contro la tradizione cristiana del continente e ne conosciamo i risultati. Nessuno dei due grandi sistemi poteva risolvere il problema dell’uomo, il problema del peccato e del peso della natura umana. Dopo il crollo del comunismo, invece, non è arrivato il paradiso terrestre, ma è tornato il vecchio problema tradizionale del libero mercato, del bisogno della giustizia e tutti gli altri problemi umani. Quindi, dobbiamo conoscere meglio la reazione attuale della Chiesa in America Latina a simili sfide, che si trovano sempre nelle regioni periferiche del mondo occidentale. Dall’altra parte, l’occidente europeo sta cercando nuove vie, soprattutto dietro l’incoraggiamento di Giovanni Paolo II, per quanto riguarda la nuova evangelizzazione dell’Europa.

 
D. – Quali sono le sfide comuni tra il continente latinoamericano e l’Europa?

 
R. – Prima di tutto, esiste la secolarizzazione come ovunque nel mondo: la perdita del senso di alcuni valori, non soltanto cristiani, ma che anche all’epoca dell’Illuminismo erano considerati valori umani naturali. La cosiddetta « terza generazione » dei diritti umani sembra a volte cambiare la prima generazione di questi diritti fondamentali, oppure sembra cambiare il senso di questi diritti. Per esempio, il diritto alla vita o tutte le questioni della famiglia. Soprattutto, a livello dei progetti della Costituzione europea, c’è un cambiamento antropologico in corso e questo cambiamento da una parte significa che la cultura della parola scritta e detta sembra cedere il suo posto alla cultura, al linguaggio comunicativo delle immagini, della visualità, dei simboli. E per questo, dobbiamo anche noi nella nostra missione usare largamente tutte queste possibilità offerte dai mass media e offerte attraverso i grandi incontri internazionali, come per esempio le GMG. Queste esperienze rispondono già in una certa maniera a questo cambiamento antropologico. Ma d’altra parte, noi dobbiamo combattere per una cultura della parola. Noi portiamo la Parola di Gesù Cristo e Lui ci ha dato non soltanto alcuni segni simbolici, ma ha spiegato anche il senso di questi segni, ha dato anche un insegnamento verbale e noi dobbiamo trasmettere fedelmente questo insegnamento e dobbiamo usare anche la capacità umana di ragionare logicamente.

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Cardinale Carlos Amigo: “Per Benedetto XVI il dialogo è la via per la pace”

Du site: http://www.zenit.org/italian/

Data pubblicazione: 2007-05-16  Cardinale Carlos Amigo: “Per Benedetto XVI il dialogo è la via per la pace” Conferenza a Roma dell’Arcivescovo di Siviglia

ROMA, mercoledì, 16 maggio 2007 (ZENIT.org).- Consapevole che il dialogo interreligioso è la via imprescindibile – anche se non facile – per la pace, Benedetto XVI getta ponti “ben solidi” con le religioni non cristiane, ha constatato il Cardinale Arcivescovo di Siviglia Carlos Amigo, già Vescovo di Tangeri (Marocco) per otto anni. “Direi che non eravamo ancora usciti dalla Cappella Sistina [i Cardinali dopo il Conclave di elezione del nuovo Papa, ndr] che già avevamo gli orecchi pieni di questo interesse di Benedetto XVI per il dialogo tra musulmani e cristiani, e nel gettare ponti di amicizia”, ha rivelato.

Il Papa è convinto che il dialogo interreligioso “faccia parte dell’impegno della Chiesa al servizio dell’umanità nel mondo contemporaneo”, ha aggiunto.

“Benedetto XVI vuole parlare di Dio a tutti, e sentir parlare di Dio a tutti”: così il porporato spagnolo ha iniziato la sua conferenza il 3 maggio scorso, nel ciclo che l’Ambasciata di Spagna presso
la Santa Sede sta tenendo in occasione dell’80° compleanno di Papa Joseph Ratzinger e del secondo anniversario della sua elezione alla sede petrina.

“Benedetto XVI e il dialogo interreligioso” è stato il tema affrontato dal Cardinale Amigo.

“Si parla di alleanza di civiltà, ma anche di scontro di civiltà”; il fatto è che “per varie ragioni l’islam e i musulmani non passano inosservati”, per alcuni come “motivo di seria preoccupazione”, mentre “in altri si risveglia la necessità di una migliore conoscenza di questa religione e di questa cultura”, e “per tutti sarebbe una buona via quella di un rispettoso, reciproco e adeguato dialogo interreligioso e interculturale”, ha affermato il Cardinale Arcivescovo di Siviglia.

Il dialogo islamo-cristiano nella Chiesa è antichissimo, anche se il porporato ha fatto un riferimento speciale alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate (sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane), un documento “straordinario” che “in pochissime parole” afferma: “Rispettiamo i musulmani perché credono in Dio; per noi come cristiani questa è la cosa principale”. “I Papi, uno dopo l’altro, dopo il Concilio Vaticano II, in tutti e in ciascuno dei loro discorsi in relazione all’islam hanno sempre sottolineato questo principio fondamentale espresso nella ‘Nostra Aetate’”, ha ricordato.

Libertà religiosa e identità di credenti

In un dialogo di questo tipo “sarebbe sbagliato pensare che la cosa migliore per un’accettazione reciproca sarebbe che uno nascondesse la sua fede e i suoi comportamenti morali e che si limitasse a un incontro meramente umano, sociale, di cortesia, di carta bianca – ha avvertito il Cardinale Amigo –, perché si parte dal sospetto, dalla paura che l’interlocutore non sia capace di accettarci come siamo, come credenti”.

Seguendo il pensiero di Benedetto XVI, il porporato ha indicato come condizioni indispensabili per il dialogo interreligioso “la libertà religiosa e la lealtà alla propria identità di credenti”.

“Se si vuole camuffare la propria identità, il dialogo risulta falso, ingannevole e fraudolento, perché si nasconde la realtà dei credenti”, ha osservato.

“Si tratta di un dialogo tra credenti – ha insistito – e se il dialogo dimentica questa dimensione rimane un intrattenimento culturalista che non converte né diverte”.

Nel dialogo con i musulmani, i temi che suscitano maggior interesse in Benedetto XVI sono “la persona e la vita”, perché “la dignità della persona e la difesa dei diritti che derivano da questa dignità devono essere l’obiettivo di ogni progetto sociale e di ogni dialogo”, ha sottolineato il Cardinale Amigo.

Allo stesso modo, ha aggiunto, è importante nel pensiero del Papa il fatto che “la pace non sia il fine per noi, cristiani e musulmani, ma il principio di tutto, della nostra convivenza”, “perché siamo gente di pace e lavoriamo per la pace, e vogliamo vivere in pace”.

“Per questo il Papa dice che
la Chiesa vuole gettare ponti di amicizia” “e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro nella difesa della libertà religiosa, perché senza libertà religiosa è molto difficile poter vivere in dignità”.

Il porporato non ha esitato a parlare del fondamentalismo, “che ha le sue origini in sfere non religiose” e che provoca “l’annullamento della comunicazione” e impedisce “qualsiasi forma di dialogo”.

A questo proposito, ha ricordato che per il Santo Padre, riferendosi al dialogo islamo-cristiano, “non c’è spazio per l’apatia e per il disinteresse, e ancor meno per la parzialità e per il settarismo; non si può cedere alla paura né al pessimismo”, ma si deve “promuovere piuttosto l’ottimismo e la speranza”.

“Il dialogo interreligioso e interculturale è una necessità fondamentale per gli uomini che cercano il bene”, ha ribadito il Cardinale Arcivescovo di Siviglia.

Accorato appello

“In un mondo caratterizzato dal relativismo che troppo spesso esclude la trascendenza dall’universalità della ragione, abbiamo urgente bisogno di un autentico dialogo tra le religioni e tra le culture, che possa aiutarci a superare insieme tutte le tensioni provocate dal relativismo”, ha segnalato il Cardinale Amigo.

“Questo dialogo non è un cammino facile, ma è imprescindibile – ha aggiunto –, e di questo Benedetto XVI è consapevole, per cui ha cercato di costruire con le religioni non cristiane ponti, ben solidi ma estranei a qualsiasi forma di un relativismo compiacente che più che aiutare intorpidirebbe il vero dialogo interreligioso”.

In sintesi, “per Benedetto XVI il dialogo è la via per la pace”. 

di Sandro Magister: Dal Brasile risuona una parola tagliente più di una spada

una prima, ma importante lettura dei discorsi del Papa quella del giornalista Sandro Magister, ve la propongo, mentre io rileggo per una seconda volta il discorso alla allesblea del CELAM (Conferenza Episcopale Latino Americana), dal sito: 

http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=140861

Dal Brasile risuona una parola tagliente più di una spada


Una parola che è una persona: Gesù. Lo stesso al quale Benedetto XVI ha dedicato il libro della sua vita. Per il papa il futuro della Chiesa in America latina e nel mondo è legato all’obbedienza a Lui. E ha sentito il dovere di ricordarlo ai vescovi di Sandro Magister 
 

ROMA, 15 maggio 2007 – Tra i dodici discorsi, omelie, messaggi, saluti pronunciati da Benedetto XVI nei quattro giorni del suo viaggio in Brasile, il più atteso era il discorso inaugurale della quinta conferenza dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, ad Aparecida. Ma il discorso che sarà ricordato in futuro, come il più rivelatore degli obiettivi del papa, è stato un altro. È stato quello da lui rivolto ai vescovi del Brasile nella cattedrale di San Paolo, al termine dei vespri di venerdì 11 maggio .

È il discorso riprodotto più sotto.

Il papa lo comincia con parole « più taglienti di una spada »: le parole del Nuovo Testamento sull’obbedienza perfetta al Padre di Gesù, salvatore di tutti proprio perché obbediente in tutto, fino alla croce. I vescovi – afferma – sono semplicemente « legati » a questa obbedienza: la loro missione è predicare la verità, battezzare, « salvare le anime una ad una » nel nome di Gesù.

« Questa, e non altra, è la finalità della Chiesa », sottolinea Benedetto XVI. Quindi, dove latita la verità della fede cristiana e dove i sacramenti non sono celebrati « manca l’essenziale anche per la soluzione degli urgenti problemi sociali e politici ».

Le consegne date dal papa ai vescovi brasiliani nel seguito del discorso discendono tutte da questo fondamento. Il chiaro intento di Benedetto XVI è di ricentrare su Gesù vero Dio e vero uomo la vita della Chiesa latinoamericana: una Chiesa che a suo giudizio, negli ultimi decenni, s’è troppo decentrata sul terreno sociopolitico, sotto l’influsso della teologia della liberazione.

Per Benedetto XVI, una forte evangelizzazione è la vera risposta agli attacchi alla famiglia, ai delitti contro la vita, all’abbandono del cattolicesimo a vantaggio dei nuovi culti « evangelical » e pentecostali. Anche il celibato del clero vacilla quando « la struttura della totale consacrazione a Dio comincia a perdere il suo significato più profondo ». E anche ai poveri va offerto « il balsamo divino della fede, senza trascurare il pane materiale ».

Evangelizzare significa insegnare la verità cristiana integrale, come sintetizzata nel Catechismo. Significa celebrare i sacramenti, specialmente
la Confessione e l’Eucaristia:
la Confessione non collettiva ma individuale perché « il peccato costituisce un fatto profondamente personale » e l’Eucaristia con fedeltà alle norme perché essa « non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità ».

Ai vescovi, il papa chiede di vigilare sulla produzione teologica, di curare la formazione dei preti, di praticare l’ecumenismo senza dimenticare che « l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui ».

In ciascuna di queste consegne date da Benedetto XVI ai vescovi del Brasile è facile intuire le situazioni che le provocano: dallo sfrenato spontaneismo liturgico alle violazioni diffuse del celibato sacerdotale. Il papa non si è dilungato nel descrivere tali situazioni. Esattamente come non ha pronunciato nessuna parola esplicita – contrariamente alle attese di molti – sulla teologia della liberazione. Anche a un’analisi del successo dei culti pentecostali egli ha dedicato solo minimi cenni. E non ha incontrato nessuno dei leader di questi culti, nemmeno nel fuggevole saluto programmato a San Paolo con i capi di altre confessioni cristiane e religioni.

Viceversa, Benedetto XVI ha centrato tutta la sua predicazione sul fondamento da cui è partito nel discorso ai vescovi: Gesù. Ha fatto cioè la stessa opera di concentrazione sull’essenziale che caratterizza la sua enciclica « Deus caritas est » e il suo libro « Gesù di Nazaret ».

Le analisi e le linee d’azione le affida ai vescovi e ai delegati della conferenza continentale da lui inaugurata ad Aparecida il 13 maggio. A loro ha semplicemente indicato l’obiettivo.

Ad esempio, a proposito del « proselitismo aggressivo » dei culti pentecostali, egli non ha proposto una contro-propaganda dello stesso tipo. Ha detto invece, nell’omelia della messa di domenica 13 maggio:

 »
La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per ‘attrazione’. Come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così
la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore ».

È un messaggio che Benedetto XVI rivolge non solo al Brasile o all’America latina, ma alla Chiesa di tutto il mondo.

« Questa, e non altra, è la finalità della Chiesa… » di Benedetto XVI – San Paolo del Brasile, 11 maggio 2007

Amati fratelli nell’episcopato!

« Pur essendo Figlio di Dio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » (cfr Ebrei 5, 8-9).

1. Il testo che abbiamo appena ascoltato nella lettura breve dei Vespri odierni contiene un profondo insegnamento. Anche in questo caso constatiamo che
la Parola di Dio è viva e più tagliente di una spada a doppio taglio, penetra fino alla giuntura dell’anima, procurandole sollievo e stimolando i suoi servitori fedeli (cfr Ebrei 4, 12). [...]

2. Il Brasile accoglie con la sua tradizionale ospitalità i partecipanti alla V conferenza dell’episcopato latinoamericano. [...] Si tratta di un grande evento ecclesiale che si situa nell’ambito dello sforzo missionario che l’America Latina dovrà assumersi, proprio a partire da qui, dal suolo brasiliano. È per questo che ho voluto rivolgermi inizialmente a voi, vescovi del Brasile, evocando quelle parole dense di contenuto della Lettera agli Ebrei: « Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono ».

Esuberanti nel loro significato, questi versetti parlano della compassione di Dio per noi, espressa nella passione del suo Figlio; e parlano della sua obbedienza, della sua libera e cosciente adesione ai disegni del Padre, esplicitata in modo speciale nella preghiera nel monte degli Ulivi: « Non sia fatta la mia, ma la tua volontà » (Luca 22,42).

Così, è Gesù stesso che ci insegna che la vera via di salvezza consiste nel conformare la nostra volontà a quella di Dio. È precisamente ciò che chiediamo nella terza invocazione della preghiera del Padre Nostro: che sia fatta la volontà di Dio come in cielo così in terra, poiché laddove regna la volontà di Dio, lì è presente il Regno di Dio. Gesù ci attira con la sua volontà, con la volontà del Figlio, ed in questo modo ci guida verso la salvezza. Andando incontro alla volontà di Dio, con Gesù Cristo, apriamo il mondo al Regno di Dio.

Noi vescovi siamo convocati per manifestare questa verità centrale, poiché siamo legati direttamente a Cristo, Buon Pastore. La missione che ci è affidata, come maestri della fede, consiste nel ricordare, come lo stesso Apostolo delle Genti scriveva, che il nostro Salvatore « vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità » (1 Timoteo 2,4-6).

Questa, e non altra, è la finalità della Chiesa: la salvezza delle anime, una ad una. Il Padre perciò ha inviato il suo Figlio, e « come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi », è detto in San Giovanni (Giovanni 20, 21).

Da qui, il mandato di evangelizzare: « Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Matteo 28,19-20). Sono parole semplici e sublimi, nelle quali sono indicati l’obbligo di predicare la verità della fede, l’urgenza della vita sacramentale, la promessa dell’aiuto continuo di Cristo alla sua Chiesa.

Queste sono realtà fondamentali e si riferiscono all’istruzione nella fede e nella morale cristiana, così come alla pratica dei sacramenti. Laddove Dio e la sua volontà non sono conosciuti, dove non esiste la fede in Gesù Cristo, e nella sua presenza nelle celebrazioni sacramentali, manca l’essenziale anche per la soluzione degli urgenti problemi sociali e politici. La fedeltà al primato di Dio e della sua volontà, conosciuta e vissuta in comunione con Gesù Cristo, è il dono essenziale che noi Vescovi e sacerdoti dobbiamo offrire alla nostra gente (cfr Populorum Progressio, 21).

3. Il ministero episcopale ci spinge così al discernimento della volontà salvifica, nella ricerca di una pastorale che educhi il popolo di Dio a riconoscere ed accogliere i valori trascendenti, in fedeltà al Signore e al Vangelo.

È vero che i tempi presenti risultano difficili per
la Chiesa e molti dei suoi figli sono tribolati. La vita sociale sta attraversando momenti di smarrimento sconcertante. Viene attaccata impunemente la santità del matrimonio e della famiglia, cominciando dal fare concessioni di fronte a pressioni capaci di incidere negativamente sui processi legislativi; si giustificano alcuni delitti contro la vita nel nome dei diritti della libertà individuale; si attenta contro la dignità dell’essere umano; si diffonde la ferita del divorzio e delle libere unioni.

Più ancora: quando, in seno alla Chiesa, è messo in questione il valore dell’impegno sacerdotale come affidamento totale a Dio attraverso il celibato apostolico e come totale disponibilità a servire le anime, e si dà la preferenza alle questioni ideologiche e politiche, anche partitiche, la struttura della totale consacrazione a Dio comincia a perdere il suo significato più profondo.

Come non sentire tristezza nella nostra anima? Ma abbiate fiducia:
la Chiesa è santa e incorruttibile (cfr Efesini 5, 27). Diceva Sant’Agostino:  »
La Chiesa vacillerà, se vacilla il suo fondamento; ma potrà forse Cristo vacillare? Visto che Cristo non vacilla,
la Chiesa rimarrà intatta fino alla fine dei tempi » (Enarrationes in Psalmos, 103, 2, 5; PL 37, 1353).

Tra i problemi che affliggono la vostra sollecitudine pastorale c’è, senza dubbio, la questione dei cattolici che abbandonano la vita ecclesiale.

Sembra chiaro che la causa principale, tra le altre, di questo problema possa essere attribuita alla mancanza di un’evangelizzazione in cui Cristo e la sua Chiesa stiano al centro di ogni formulazione.

Le persone più vulnerabili al proselitismo aggressivo delle sette – che costituisce motivo di giusta preoccupazione – e incapaci di resistere agli assalti dell’agnosticismo, del relativismo e del laicismo sono in genere i battezzati non sufficientemente evangelizzati, facilmente influenzabili perché possiedono una fede fragile e, a volte, confusa, vacillante ed ingenua, anche se conservano una religiosità innata.

Nell’enciclica « Deus caritas est », ho ricordato che « all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva » (n. 1). È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa in Brasile, promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. Si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo, attraverso una pastorale dell’accoglienza che li aiuti a sentire
la Chiesa come un luogo privilegiato dell’incontro con Dio e mediante un itinerario catechistico permanente.

Si richiede, in una parola, una missione evangelizzatrice che interpelli tutte le forze vive di questo gregge immenso. Il mio pensiero pertanto va ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose ed ai laici che si prodigano, molte volte con difficoltà immense, per la diffusione della verità evangelica. Molti di loro collaborano o partecipano attivamente nelle associazioni, nei movimenti e nelle altre nuove realtà ecclesiali che, in comunione con i loro pastori ed in conformità con gli orientamenti diocesani, portano la loro ricchezza spirituale, educativa e missionaria nel cuore della Chiesa, come preziosa esperienza e proposta di vita cristiana.

In questo sforzo evangelizzatore, la comunità ecclesiale si distingue per le iniziative pastorali, inviando soprattutto nelle case delle periferie urbane e dell’interno i suoi missionari, laici o religiosi, cercando di dialogare con tutti in spirito di comprensione e di delicata carità. Tuttavia, se le persone incontrate vivono in una situazione di povertà, bisogna aiutarle come facevano le prime comunità cristiane, praticando la solidarietà perché si sentano veramente amate.

La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il « pane materiale ». Come ho potuto mettere in risalto nell’enciclica « Deus caritas est »,  »
la Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i sacramenti e
la Parola » (n. 22).

La vita sacramentale, specialmente attraverso
la Confessione e l’Eucaristia, assume qui un’importanza di prima grandezza.

A voi pastori spetta il compito principale di assicurare la partecipazione dei fedeli alla vita eucaristica e al sacramento della Riconciliazione; dovete vigilare perché l’accusa e l’assoluzione dei peccati siano ordinariamente individuali, così come il peccato costituisce un fatto profondamente personale (cfr Esort. ap. postsinodale Reconciliatio et Paenitentia, 31, III). Soltanto l’impossibilità fisica o morale esime il fedele da questa forma di confessione, potendo lui in questo caso ottenere la riconciliazione con altri mezzi (cfr can. 960; cfr Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 311). È opportuno, perciò, inculcare nei sacerdoti la pratica della disponibilità generosa ad accogliere i fedeli che ricorrono al sacramento della misericordia di Dio (cfr Lett. ap. Misericordia Dei, n. 2).

4. Ripartire da Cristo in tutti gli ambiti della missione, riscoprire in Gesù l’amore e la salvezza che il Padre ci dà, mediante lo Spirito Santo: tale è la sostanza, la radice della missione episcopale che fa del vescovo il primo responsabile della catechesi diocesana.

Spetta a lui, infatti, la direzione superiore della catechesi, circondandosi di collaboratori competenti e degni di fiducia. È ovvio, pertanto, che i suoi catechisti non sono semplici comunicatori di esperienze di fede, ma devono essere autentici araldi, sotto la guida del loro pastore, delle verità rivelate. La fede è un cammino condotto dallo Spirito Santo che si compendia in due parole: conversione e sequela. Queste due parole-chiave della tradizione cristiana indicano chiaramente che la fede in Cristo implica una prassi di vita fondata sul duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, ed esprimono anche la dimensione sociale della vita.

La verità suppone una conoscenza chiara del messaggio di Gesù trasmessa grazie ad un linguaggio inculturato comprensibile, ma necessariamente fedele alla proposta del Vangelo.

Nei tempi attuali è urgente una conoscenza adeguata della fede, com’è ben riepilogata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, con il suo Compendio. Fa parte della catechesi essenziale anche l’educazione alle virtù personali e sociali del cristiano, così come l’educazione alla responsabilità sociale. Precisamente perché fede, vita e celebrazione della sacra liturgia come fonte di fede e di vita sono inseparabili, è necessaria una più corretta applicazione dei principi indicati dal Concilio Vaticano II, riguardanti
la Liturgia della Chiesa, incluse le disposizioni contenute nel Direttorio per i Vescovi (cfr nn. 145-151), con il proposito di restituire alla Liturgia il suo carattere sacro. È con questa finalità che il mio Venerabile Predecessore sulla Cattedra di Pietro, Giovanni Paolo II, ha voluto rinnovare « un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà… La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i santi misteri » (Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia, 52).

Riscoprire e apprezzare l’ubbidienza alle norme liturgiche da parte dei Vescovi, come « moderatori della vita liturgica della Chiesa », significa rendere testimonianza della Chiesa stessa, una ed universale, che presiede nella carità.

5. Bisogna fare un salto di qualità nella vita cristiana del popolo, perché possa testimoniare la sua fede in maniera limpida e chiara. Questa fede, celebrata e partecipata nella liturgia e nella carità, nutre e rinvigorisce la comunità dei discepoli del Signore, mentre li edifica come Chiesa missionaria e profetica. L’episcopato brasiliano possiede una struttura di grande portata, i cui statuti sono stati recentemente rivisti per la loro migliore attuazione ed una più esclusiva dedizione al bene della Chiesa. Il papa è venuto in Brasile per chiedere che, al seguito della Parola di Dio, tutti i venerabili fratelli nell’episcopato sappiano essere portatori di eterna salvezza per tutti coloro che obbediscono a Cristo (cfr Ebrei 5,10).

Noi pastori, sulla scia dell’impegno assunto come successori degli Apostoli, dobbiamo essere fedeli servitori della Parola, senza visioni riduttive né confusioni nella missione che ci è affidata. Non basta osservare la realtà a partire dalla fede personale; è necessario lavorare con il Vangelo alla mano ed ancorati all’autentica eredità della Tradizione Apostolica, senza interpretazioni motivate da ideologie razionalistiche.

Così, « nelle Chiese particolari spetta al vescovo conservare ed interpretare
la Parola di Dio e giudicare con autorità ciò che risulta essere o non essere in conformità con essa » (Congregazione per
la Dottrina della Fede, Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, n. 19). Egli, come Maestro di fede e di dottrina, potrà contare sulla collaborazione del teologo che, « nella sua dedizione al servizio della verità, dovrà, per rimanere fedele alla sua funzione, tenere conto della missione propria del Magistero e con esso collaborare » (ibid., n. 20). Il dovere di conservare il deposito della fede e di mantenere la sua unità richiede una stretta vigilanza, in modo tale che esso sia « conservato e trasmesso fedelmente, e che le posizioni particolari siano unificate nell’integrità del Vangelo di Cristo » (Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi, n. 126).

Ecco quindi l’enorme responsabilità che assumete come formatori del popolo, specialmente dei vostri sacerdoti e religiosi. Sono loro i vostri fedeli collaboratori. Conosco l’impegno con il quale cercate di formare le nuove vocazioni sacerdotali e religiose. La formazione teologica e nelle discipline ecclesiastiche richiede un aggiornamento costante, ma sempre in accordo con l’autentico magistero della Chiesa.

Faccio appello al vostro zelo sacerdotale ed al senso di discernimento delle vocazioni, anche per sapere completare la dimensione spirituale, psico-affettiva, intellettuale e pastorale nei giovani maturi e disponibili al servizio della Chiesa. Un buono ed assiduo accompagnamento spirituale è indispensabile per favorire la maturazione umana, ed evita il rischio di deviazioni nel campo della sessualità. Tenete sempre presente che il celibato sacerdotale costituisce un dono « che
la Chiesa ha ricevuto e vuole conservare, convinta che esso è un bene per lei e per il mondo » (Direttorio per il Ministero e
la Vita dei Presbiteri, n. 57).

Vorrei raccomandare alla vostra sollecitudine anche le comunità religiose che si inseriscono nella vita della vostra diocesi. Esse offrono un contributo prezioso, poiché « vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito » (1 Corinti 12,4).
La Chiesa non può non manifestare gioia ed apprezzamento per tutto quello che i religiosi vanno realizzando attraverso le università, le scuole, gli ospedali ed altre opere ed istituzioni.

6. Conosco la dinamica delle vostre assemblee e lo sforzo per definire i diversi piani pastorali in modo che diano la priorità alla formazione del clero e degli operatori della pastorale. Alcuni di voi hanno incoraggiato movimenti di evangelizzazione per facilitare il raggruppamento dei fedeli in una certa linea d’azione. Il successore di Pietro conta su di voi, perché la vostra preparazione poggi sempre sulla spiritualità di comunione e di fedeltà alla sede di Pietro, affinché sia sicuro che l’azione dello Spirito non sia vana. Infatti, l’integrità della fede, insieme alla disciplina ecclesiale, è e sempre sarà un tema che richiederà attenzione e impegno da parte di tutti voi, soprattutto quando si tratta di trarre le conseguenze dal fatto che esiste « una sola fede ed un solo battesimo ».

Come sapete, tra i diversi documenti che si occupano dell’unità dei cristiani si trova il Direttorio per l’Ecumenismo, pubblicato dal pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. L’ecumenismo, ossia la ricerca dell’unità dei cristiani diventa in questo nostro tempo, nel quale si verifica l’incontro delle culture e la sfida del secolarismo, un compito sempre più urgente della Chiesa cattolica.

In conseguenza, però, della moltiplicazione di sempre nuove denominazioni cristiane e, soprattutto di fronte a certe forme di proselitismo, frequentemente aggressivo, l’impegno ecumenico diventa un lavoro complesso. In tale contesto, è indispensabile una buona formazione storica e dottrinale, che abiliti al necessario discernimento ed aiuti a capire l’identità specifica di ognuna delle comunità, gli elementi che dividono e quelli che aiutano nel cammino verso la costruzione dell’unità.

Il grande campo comune di collaborazione dovrebbe essere la difesa dei valori morali fondamentali, trasmessi dalla tradizione biblica, contro la loro distruzione in una cultura relativistica e consumistica; e ancora, la fede in Dio Creatore ed in Gesù Cristo, suo Figlio incarnato. Inoltre, vale sempre il principio dell’amore fraterno e della ricerca di comprensione e di avvicinamenti reciproci; ma anche la difesa della fede del nostro popolo, confermandolo nella gioiosa certezza che l’ »unica Christi Ecclesia… subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et Episcopis in eius communione gubernata » (« l’unica Chiesa di Cristo… sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui » – Lumen Gentium, 8).

In tale senso si procederà verso un dialogo ecumenico franco, per il tramite del consiglio nazionale delle Chiese cristiane, impegnandosi al pieno rispetto delle altre confessioni religiose, desiderose di rimanere in contatto con
la Chiesa cattolica che è in Brasile.

7. Non costituisce affatto una novità la constatazione che il vostro paese convive con un disavanzo storico di sviluppo sociale, le cui tracce estreme sono il vasto contingente di brasiliani che vivono in situazione di indigenza ed una disuguaglianza nella distribuzione del reddito, che arriva a livelli molto elevati.

A voi, venerabili fratelli, come gerarchia del popolo di Dio, spetta promuovere la ricerca di soluzioni nuove e colme di spirito cristiano. Una visione dell’economia e dei problemi sociali, dalla prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, porta a considerare le cose sempre dal punto di vista della dignità dell’uomo, che trascende il semplice gioco dei fattori economici. Bisogna, quindi, lavorare instancabilmente a favore della formazione dei politici, come anche di tutti i brasiliani che hanno un determinato potere di decisione, grande o piccolo che sia, ed in genere di tutti i membri della società, in modo tale che assumano pienamente le proprie responsabilità e sappiano dare un volto umano e solidale all’economia.

È necessario formare nelle classi politiche ed imprenditoriali un genuino spirito di veracità e di onestà. Coloro che assumono un ruolo di leadership nella società devono cercare di prevedere le conseguenze sociali, dirette ed indirette, a breve e lungo termine, delle proprie decisioni, agendo secondo criteri di massimizzazione del bene comune, invece di cercare profitti personali.

8. A Dio piacendo, carissimi fratelli, troveremo altre opportunità per approfondire le questioni che interpellano la nostra congiunta sollecitudine pastorale. Questa volta ho voluto, certamente non in maniera esaustiva, esporre i temi più rilevanti che si impongono alla mia considerazione di pastore della Chiesa universale.

Vi partecipo il mio affettuoso incoraggiamento, che è al tempo stesso una fraterna e sentita supplica: perché proseguiate e lavoriate sempre, come già andate facendo, nella concordia, avendo per vostro fondamento una comunione che nell’Eucaristia trova il suo momento culminante e la sua sorgente inesauribile.

Vi affido tutti a Maria Santissima, Madre di Cristo e Madre della Chiesa, mentre di cuore imparto a ciascuno di voi ed alle vostre rispettive comunità la benedizione apostolica.

Publié dans:Approfondimenti |on 16 mai, 2007 |Pas de commentaires »

buona notte

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« Egli vi guiderà alla verità tutta intera»

Sant’Antonio di Padova (circa 1195 – 1231), francescano, dottore della Chiesa
Discorsi

« Egli vi guiderà alla verità tutta intera»

Lo Spirito Santo, il Paraclito, il Difensore, è colui che il Padre e il Figlio mandano nell’anima dei giusti come un soffio. Per mezzo di lui siamo santificati e meritiamo di essere santi. Il soffio umano è la vita dei corpi; il soffio divino è la vita degli spiriti. Il soffio umano ci rende sensibili; il soffio divino ci rende santi. Questo Spirito è Santo, perché senza di lui nessuno spirito, sia angelico che umano, può essere santo. « Il Padre, dice Gesù, ve lo manderà nel mio nome » (Gv 14,26), cioè nella mia gloria, per manifestare la mia gloria; o ancora, perché egli ha lo stesso nome del Figlio: egli è Dio. « Egli mi glorificherà » perché vi renderà spirituali, e vi farà capire come il Figlio è uguale al Padre, e non è soltanto un uomo come appare ai nostri sensi, o perché vi toglierà il vostro timore e vi farà annunciare la mia gloria al mondo intero. Infatti la mia gloria, è la salvezza degli uomini.

« Egli v’insegnerà ogni cosa ». « Voi figli di Sion, dice il profeta Gioele, rallegratevi, gioite nel Signore vostro Dio, perché vi ha dato colui che insegna la giustizia »(2,23 Volg), che vi insegnerà quanto riguarda la salvezza

di Gianfranco Ravasi – La bellezza

 Di Mons: Gianfranco Ravasi Approfondimento della Bibbia

LA « BELLEZZA »Il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. (Luca 9,29)

Per 741 volte nell’Antico Testamento risuona un vocabolo simile a un soffio, tòb: il suo significato oscilla tra « buono » e « bello » e questo ci fa comprendere come per la Bibbia bellezza e bontà, estetica ed etica s’intreccino tra loro. Due esempi sono al riguardo emblematici. Da un lato, ecco la creazione: giunto al termine di ognuno dei sei giorni dell’opera creatrice, l’autore sacro osserva che « Dio vide che era tòb », cioè una realtà bella e anche buona (Genesi 1,4). Quando entra in scena l’uomo, si usa il superlativo perché quella creatura è « molto bella/buona » (1,31), vero vertice del creato.D’altro lato, ecco davanti a noi la figura di Cristo: il Vangelo di Giovanni la definisce con un’immagine biblica, quella del pastore. Si è soliti tradurre quella frase così: « Io sono il buon pastore » (Giovanni 10,11.14). In realtà, nell’originale greco si ha: « Io sono il bel (kalòs) pastore », proprio sulla scia del valore dell’aggettivo biblico tob che unisce in sé la bontà e l’amore del pastore Cristo con lo splendore della sua rivelazione che lo circonda quasi di luce, come era accaduto nell’evento della Trasfigurazione (Luca 9,29). Nella Bibbia la bellezza è, quindi, una qualità divina che si riflette nel creato in tutta la sua varietà e ricchezza. Non per nulla l’autore del libro della Sapienza dichiara che « dalla grandezza e dalla bellezza delle creature per analogia si conosce il loro Autore » (13,5). A essere uno specchio supremo della bellezza di Dio è l’uomo, creato « a sua immagine » (Genesi 1,27).Il Cantico dei cantici, con le sue delicate e appassionate descrizioni dei corpi della donna e dell’uomo in tutto il loro fascino, ne è la testimonianza più esplicita, tenendo però conto del fatto che il corpo nel mondo semitico non è la mera fisicità organica, ma è l’espressione dell’intera realtà della persona, anche nella sua interiorità. Questa unione fra spirito e corporeità fa comprendere come la bellezza si debba incrociare con la limpidità della coscienza, con
la luce dell’anima. In caso contrario si ha solamente una dimensione esteriore, perché « falsa è la grazia e vana è la bellezza, è la donna sapiente da lodare » (Proverbi 31,30). Si comprendono, allora, certi giudizi pesanti della tradizione popolare come questo, registrato sempre dal libro dei Proverbi: « Anello d’oro al muso di un maiale, così è una donna bella ma senza cervello » (11,22).
La bellezza, poi, ha una sua manifestazione particolare nel testo stesso delle Scritture. Esse, infatti, costituiscono un vero e proprio monumento letterario. Si hanno, così, pagine poetiche di straordinaria fragranza e intensità, come nel caso di Giobbe o del Cantico o di alcuni Salmi; si offre un arsenale di immagini e di simboli che hanno conquistato l’arte dei secoli successivi; la pagina biblica si impreziosisce di racconti di forte impatto e di parabole incantevoli come le 35 narrate da Gesù (72, se si allarga il discorso pure ai paragoni più sviluppati e alle similitudini più ampie). Perciò l’invito che viene rivolto anche a noi è quello di « cantare Dio con arte » (Salmo 47,8) perché la via pulchritudinis, la « via della bellezza » autentica, è una strada privilegiata per raggiungere il Dio della bellezza.

LE PAROLE PER CAPIRE

TRASFIGURAZIONE – Nel greco dei Vangeli l’esperienza vissuta da Gesù e dai tre apostoli testimoni sul ‘monte alto » della Galilea e comunemente detta « Trasfigurazione » èespressa col verbo metamorfoun, donde il vocabolo « metamorfosi » (Matteo 17,2; Marco 9,2). È letteralmente un « cambiare forma » che rende Gesù già simile al Risorto, glorificato e immerso nella luce, segno del divino e del mistero.TENDA – Era la tradizionale « casa » del nomade, costituita da un telo o da pelli cucite (sovente si usavano tessuti con peli di capra). La vita che si svolgeva attorno e nella tenda è spesso descritta nella Bibbia (ad esempio, Genesi 18) e questo manufatto diventa anche un simbolo del corpo e della vita umana (2 Corinzi5,1-4). La « tenda del convegno » è, invece, il santuario mobile degli Ebrei nel cammino esodico nel deserto e la sua descrizione accurata è presente in Esodo 25-30 e 35-40.

dal sito:

 http://www.novena.it/ravasi/2007/082007.htm  

 marieanges.jpg

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 16 mai, 2007 |Pas de commentaires »

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