La « Guadalupegna » e Juan Diego

Io amo molto la Vergine di Guadalupe, qui a Roma i Padri Francescani messicani la chiamano la “Guadalupegna, ho cercato un testo sulla storia delle apparizioni, non è tutto, magari quando trovo di più lo metto sulle “Pages”, dal sito, eventuaòlmente controllate sul sito, perché il « collage » è stato un po’ complicato per la presenza di numerose immagini:
http://www.gesuiti.it/moscati/Ital2/Guadalupe_ER.html
ecco la « cronaca » delle apparizioni, quattro a Juan Diego (canonizzato da Giovanni Paolo II il 30 luglio 2002) e una allo zio Juan Bernardino.
Prima apparizione Nel giorno di sabato 9 dicembre del 1531 Juan Diego, di buon mattino, andava dal suo villaggio verso Santiago Tlatelolco. Mentre passava per la collina del Tepeyac fu colpito da un armonioso canto di uccelli. Incuriosito sale verso la cima e lì vede una nube bianca risplendente circondata da un arcobaleno. Al colmo dello stupore sente una voce che lo chiama affettuosamente, usando il linguaggio indigeno, il « nahuatl »: « Juanito, Juan Dieguito! » Ed ecco vide una bellissima Signora dirigersi verso di lui e dirgli: « Ascolta, figlio mio, piccolo mio, Juanito, dove vai? »Juan Diego risponde: « Signora e piccola mia, devo andare nella tua casa [tempio] di México-Tlatilolco, per ascoltare le cose del Signore che ci insegnano i nostri sacerdoti, delegati di Nostro Signore ». La Signora gli dice allora: Sappi e tieni bene in mente tu, il più piccolo dei miei figli, che io sono la sempre Vergine Santa Maria, Madre del vero Dio per il quale si vive, del Creatore che sta dappertutto, Signore del Cielo e della Terra. Avrai molto merito e ricompensa per il lavoro e la fatica con cui farai quello che ti raccomando. Vedi, questo è un mio incarico, figlio mio il più piccolo, vai e fai tutto ciò che puoi ».
La Santa Vergine chiede a Juan Diego di andare dal Vescovo di Città del Messico, per comunicargli il suo desiderio che su quella collina venga costruita una piccola chiesa, da dove lei avrebbe dato aiuto e protezione a tutti i messicani.
Juan Diego acconsente subito e dopo aver salutato rispettosamente
la Signora si reca al palazzo episcopale. Qui fu fatto attendere molto, finché il Vescovo, Juan de Zumàrraga, lo ricevette, ma dopo aver udito il racconto non gli diede credito e quindi lo congedò. Così Juan Diego, sconsolato, riprende la via del ritorno. Seconda apparizione Verso sera di quello stesso sabato 9 dicembre, Juan Diego arriva alla cima del Tepeyac, ed ecco che incontra di nuovo
la Santa Vergine. Desolato la informa dell’insuccesso del suo incarico, con espressioni tipiche del suo linguaggio nahuatl: « Signora, la più piccola delle mie figlie, Bambina mia: sono stato dove tu mi hai inviato per fare quanto mi hai chiesto… [Il Vescovo] mi ha ricevuto benignamente e mi ha ascoltato con attenzione, però, quando mi ha risposto, mi è sembrato che non credesse alle mie parole… Ho capito perfettamente, dal modo in cui mi ha parlato, che pensa che forse è una invenzione mia… che forse non è un tuo ordine… » E Juan Diego la prega poi di rivolgersi a una persona più capace di lui, più importante, perché potesse più facilmente convincere il Vescovo. Ma la Signora confermò la sua scelta, dicendo: « Ascolta figlio mio, piccolo mio, sappi che sono molti i miei servitori e messaggeri che potrei incaricare per comunicare il mio messaggio e la mia volontà. Ma io ti prego molto, figlio mio, il più piccolo tra i miei figli, e con forza ti domando che ancora una volta, domani mattina, tu vada a trovare il Vescovo, parlagli a nome mio e fagli sapere interamente la mia volontà, che deve cioè adoperarsi perché si faccia il tempio che gli chiedo. E digli che sono io in persona, la sempre Vergine Santa Maria, Madre di Dio, che ti invio. » Juan Diego, pieno di meraviglia nel comprendere che ancora una volta proprio
la Santa Vergine gli avesse parlato, assicurò che l’indomani avrebbe fatto quanto chiedeva, poi si congedò da lei e tornò al suo villaggio. Terza apparizione L’indomani, domenica 10 dicembre, dopo aver ascoltato
la Messa Juan Diego si presentò per la seconda volta al Vescovo Zumàrraga. Questi, vista la sua insistenza, gli rispose che chiedesse alla Signora una prova del suo essere
la Madre di Dio, e quando Juan Diego uscì ordinò che fosse seguito per avere maggiori informazioni. Gli incaricati del Vescovo però, una volta giunti presso il Tepeyac, lo persero di vista, e Juan Diego, arrivato alla cima della collina, per la terza volta incontrò
la Santa Vergine. Questa lo aspettava, poi, dopo aver sentito cosa il Vescovo chiedeva, gli disse di tornare l’indomani. Ma il giorno seguente, lunedì, Juan Diego non poté recarsi all’appuntamento, perché lo zio, Juan Bernardino, cadde gravemente infermo e dovette assisterlo. Quarta apparizione Nella mattinata di martedì 12 dicembre, Juan Diego, afflitto per la malattia dello zio infermo, decise di chiamare un sacerdote, perché lo aiutasse nel momento supremo della morte, che tutti giudicavano imminente. La strada che doveva fare passava per il Tepeyac, ma Juan Diego cercò di evitare l’incontro con
la Santa Vergine e decise di prendere un sentiero differente. Ma ecco che improvvisamente la vede davanti a sé, e Maria con la sua abituale dolcezza gli dice: « Figlio mio, piccolo mio, dove stai andando? » Juan Diego, vergognandosi per il mancato appuntamento del giorno prima, spiega la sua preoccupazione per lo zio infermo, e sente in risposta dalla Santa Vergine questa tenerissima espressione: « Non ci sono qua io che sono la tua cara Mamma? Non ti affliggere per nulla ». Maria confortandolo lo assicura che lo zio era già guarito. Poi gli chiede di salire in cima alla collina del Tepeyac, dove avrebbe potuto raccogliere alcuni fiori da portare al Vescovo. Juan Diego obbedisce prontamente, ed effettivamente trova delle bellissime rose di Castiglia , cosa inesplicabile in quella stagione, quando era appena iniziato l’inverno! Si pone allora a raccoglierle, le sistema nella parte anteriore della sua tilma (rustico mantello fatto di fibre vegetali), e si affretta a raggiungere il palazzo vescovile. Una volta davanti al Vescovo, apre davanti a lui il suo mantello, e quale fu lo stupore suo e dei presenti quando in quel povero tessuto si materializza miracolosamente l’immagine della Santa Vergine! A questo punto il Vescovo, stupefatto per il prodigio delle rose e per la prodigiosa immagine, cade in ginocchio, e con lui le altre persone che erano presenti. E’ questa la celebre immagine della « Vergine di Guadalupe » che tutti conosciamo, e che si è conservata intatta fino ad oggi. Miracolo anche questo, perché questi tessuti vegetali, usati dai poveri indios, dopo pochi anni si disfacevano. Ed è solo uno dei numerosi « misteri » dell’evento di Guadalupe che – nonostante le attuali e sofisticate ricerche scientifiche – restano inesplicabili. L’apparizione a Juan Bernardino Una quinta apparizione è quella testimoniata dallo zio di Juan Diego, Juan Bernardino, che come detto sopra era gravemente infermo. Vide
la Santa Vergine mentre giaceva nel suo povero giaciglio, e fu da lei guarito miracolosamente.
La Santa Vergine si presentò a lui dicendo di chiamarsi « Santa Maria di Guadalupe », e anche a Juan Bernardino comunicò il suo desiderio che si costruisse un tempio da dove Lei sarebbe venuta incontro alle necessità del popolo messicano. Così commenta P.Xavier Escalada s.j. a proposito di Juan Diego e di quanto si deduce dalle fonti storiche: « Quante volte Juan Diego ha raccontato la sua storia? Facendo un calcolo approssimativo di cinque volte al giorno (molte volte dovette ripetere il suo racconto molto più spesso), nei diciassette anni della sua vita che seguirono alle Apparizioni si arriva alla cifra impressionante di più di 31.250 ripetizioni, cosa che faceva molto volentieri, senza mai stanchezza o astio di tornare a riferire quanto aveva vissuto » (Xavier Escalada s.j.: San Juan Diego, Ediz. Aguilar 2002, p.34). Questa l’origine del famoso santuario di Guadalupe, centro di una venerazione viva e profonda che continua ancora oggi, non solo da parte del popolo messicano, ma anche da parte di tutti i popoli latinoamericani. Ma ormai non c’è parte del mondo cristiano che non conosca questo avvenimento che ha dato l’impulso decisivo all’evangelizzazione del « nuovo continente ». Santuari dedicati alla Madonna di Guadalupe si trovano anche in Italia, così come numerose cappelle in luoghi di culto anche celebri, come il Santuario mariano di Loreto.
Dal sito on line del giornale “Avvenire”:
La Chiesa ortodossa russa ritrova l’unità
Nella cattedrale moscovita di Cristo Salvatore, alla presenza del presidente Putin,
il patriarca Alessio II e il metropolita Lavr hanno firmato la riunificazione tra il Patriarcato e la comunità russa all’estero
Di Giovanni Bensi
La cattedrale di Cristo Salvatore, costruita in stile neobizantino nel 1889, distrutta da Stalin nel 1933, ricostruito da Boris Eltsin dopo la caduta del regime sovietico, è stata ieri teatro di un’eccezionale avvenimento: la riunificazione della Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca (Cor) con
la Chiesa ortodossa russa all’estero (Rocor), staccatasi e divenuta autonoma, sotto la guida del metropolita Antonij (Khrapovitskij) dopo la rivoluzione comunista del 1917.
La Rocor è diffusa in tutta il mondo, con centro a Jordanville, presso New York. Conta 400 parrocchie in 40 Paesi ed ha un numero di fedeli valutato intorno ai centomila
Alla presenza del presidente Vladimir Putin, i capi dei due rami della Chiesa russa, il patriarca di Mosca Alessio II ed il metropolita Lavr di New York e degli Usa Orientali, hanno recitato una preghiera di ringraziamento per la ritrovata unità. Quindi essi hanno firmato e dato solenne lettura dell’atto che sancisce la riunificazione delle due Chiese, mentre le campane della Cattedrale suonavano a festa.
La Rocor confluisce nella Cor e suoi rappresentanti prenderanno parte alle riunioni dei suoi organi dirigenti, ma manterrà la propria autonomia amministrativa, in particolare conserverà il proprio Sinodo dei vescovi. Nominerà di sua iniziativa vescovi e metropoliti, i quali però dovranno avere il via libera di Mosca.
Dopo la lettura del documento che ripristina la comunione canonica, nella Cattedrale, illuminata a festa come nel giorno di Pasqua, è incominciata la solenne liturgia, concelebrata da Alessio II e da Lavr, assistiti da 7 vescovi e 70 sacerdoti venuti dall’estero, più 14 vescovi e 56 sacerdoti residenti in Russia. Tutti indossavano paramenti bianchi (ieri era il giorno dell’Ascensione), e gli esponenti della gerarchia anche le scintillanti tiare bizantine. Con un’eccezione alle norme liturgiche, per tutta la celebrazione, durata più di tre ore e trasmes sa in diretta dai canali televisivi nazionali, è rimasta aperta la «porta regia» (tsarskie vratà), l’ingresso centrale dell’iconostasi, la parete di icone che separa l’altare dalla navata, dove erano raccolte migliaia di persone. In questo modo i fedeli hanno potuto essere testimoni della concelebrazione. I canti liturgici erano eseguiti dal coro della Laura della Trinità e San Sergio di Sergijev Posad, il monastero principale dell’ortodossia russa. Fra gli ospiti d’onore, in segno di riconciliazione nazionale, anche una rappresentante della casa ex-regnante dei Romanov, Olga Nikolajevna Kulikovskaja-Romanova, vedova di un nipote dello zar Nicola II, trucidato con la sua famiglia dai bolscevichi. Olga Nikolajevna attualmente vive a Toronto, in Canada.
Nell’omelia il patriarca Alessio II ha sottolineato come «superate le divisioni della Chiesa» sia «superata anche la contrapposizione nella società, ereditata dai tempi della rivoluzione e della guerra civile». Gli ha fatto eco il metropolita Lavr, auspicando che «legami fraterni possano favorevolmente influire sull’approfondimento della nostra unità nel comune servizio a Dio e al popolo russo in patria e nella diaspora».
Dopo i capi delle due gerarchie ha preso la parola anche Putin. Ringraziati Alessio II e Lavr, il presidente russo ha ricordato che «la separazione delle Chiese avvenne in seguito alla profondissima spaccatura politica della stessa società russa, in seguito all’accanita contrapposizione delle parti nella vita civile». Putin ha aggiunto che «il risultato di questo conflitto sono state gravi perdite per
la Chiesa e per i fedeli costretti per lungo tempo a vivere in un’atmosfera di alienazione e di reciproco sospetto». «L’attuale rinascita dell’unità della Chiesa – ha aggiunto Putin – è una condizione importantissima per la restaurazione dell’unità perduta di tutto il mondo russo, la base spirituale del quale è sempre stata la fede ortodossa». Alla fine Alessio II e Lavr hanno donato a Puti n uno skladen’, un insieme pieghevole di tre icone raffiguranti
la Trinità.
dal sito on line del giornale « Avvenire »:
arrivano gli embrioni chimera
Il mercato ha vinto
Marina Corradi
Il governo inglese autorizzerà la produzione di embrioni chimera formati da patrimonio genetico umano e animale, a scopo di ricerca scientifica. A sei mesi dalla decisione di vietare questi esperimenti a causa del « disagio » che l’ipotesi provocava alla popolazione, il ministro della Salute Caroline Flint ha cambiato idea. Potenza della lobby scientifica e farmaceutica, che in Gran Bretagna gode di una mancanza di vincoli unica in Europa. Quarantacinque illustri scienziati tre mesi fa hanno lanciato il loro appello sul Times: non si può fermare la ricerca. Benché le staminali embrionali in dieci anni non abbiano prodotto nel mondo una sola applicazione terapeutica, i ricercatori inglesi assicurano che la via degli embrioni chimera porterà a una cura per l’Alzheimer e il Parkinson.
Dunque, la nuova legge che sostituirà la ormai vecchia « Human and Fertilisation Embryology act » consentirà di ibridare embrioni di uomo con cellule o Dna animale, di bovino precisamente, traendone creature, se così si possono chiamare, la cui vita verrà interrotta entro il 14esimo giorno di sviluppo. Novantanove per cento uomo, un per cento mucca. Questa è l’ipotesi dei due progetti di ricerca già presentati e in impaziente attesa. Non possiamo permettere – ha detto il ministro – che la nostra ricerca perda la sua posizione di avanguardia. Come dire: se non autorizziamo le chimere, i nostri migliori cervelli andranno a produrle in Cina o in Corea, e addio a eventuali brevetti per l’industria britannica. È, insomma, « il mercato ».
C’era, è vero, un « disagio » espresso dalla popolazione nei confronti di questo incrociare uomini e mucche. A un sondaggio del Dipartimento della salute due anni fa arrivarono 324 risposte sulla questione delle ibridazioni. Di queste, 237 chiedevano che fossero proibite. Nei piccoli numeri, una proporzione non insignificante. L’idea di alterare le cellule che originano un uomo non piace alla gente semplice. Che avverte istintivamente il sapore , in queste manipolazioni, di un limite trasgredito; del gioco pericoloso di una scienza che non riconosce legge, al di fuori di quella di ciò che chiama « progresso ». Ma cosa può il dissenso della « strada », quando una lobby potente muove la stampa, e il Times magnifica le grandiose speranze delle ibridazioni? Rapidamente la signora Flint si è convinta della urgenza della ricerca.
Il professor John Burn della Newcastle University, dove dieci anni fa nacque la pecora Dolly, ha detto con paterna comprensione di poter capire «l’istintivo rifiuto che l’idea di ibridare uomo e bovino può generare. Ma ciò di cui stiamo parlando sono cellule su un banco di laboratorio, non un feto. Qualcosa di molto più piccolo di un seme».
Già, che rilevanza può avere una cosa così minima? Che senso ha spaventarsi per una faccenda di così infinitesimali proporzioni? Dunque, lo faranno. Un nucleo somatico umano dentro l’ovulo di una mucca. Quattordici giorni di vita, in una provetta. Servirà solo per trarne materia prima per la scienza. Quante storie per poche cellule invisibili (anche se viene in mente il Piccolo Principe di Saint Exupery: «L’essenziale è invisibile agli occhi»). E tuttavia non riusciamo a non pensare a quell’essere, figlio di un uomo e di una donna, preso e stravolto nella sua intima natura. Nei laboratori staranno a osservare eccitati lo sviluppo mai visto di una vita che non esiste nel creato. Nel Nuovo Mondo di Huxley i figli senza madre uscivano dalla catena di montaggio «con un vagito di orrore e di spavento». Ma in quei laboratori candidi, al quattordicesimo giorno, finirà nel silenzio la breve avventura di un uomo violato.