Maria ed Elisabetta

Sant Alfonso-Maria de Liguori (1696-1787), vescovo e dottore della Chiesa
Opere, t.14
« Dare la propria vita in riscatto per molti »
Un Dio che serve, che spazza la casa, che si dedica a lavori penosi – quanto uno solo di questi pensieri dovrebbe colmarci di amore! Quando il Salvatore ha cominciato a predicare il suo Vangelo, si è fatto « il servo di tutti », dichiarando lui stesso che « non era venuto per essere servito, ma per servire ». È come se avesse detto che voleva essere il servitore di tutti gli uomini. E, al termine della sua vita, non si è contentato, dice san Bernardo, « di aver preso la condizione di servo per mettersi al servizio degli uomini; ha voluto prendere la forma del servo indegno, per lasciarsi colpire, e subire la pena che era dovuta a noi, a causa dei nostri peccati ». Ecco che il Signore, obbediente servo di tutti, si sottomette alla sentenza di Pilato, per quanto ingiusta sia, e si consegna ai suoi carnefici… Così, Dio ci ha tanto amato, da voler obbedire come schiavo, per amore nostro, fino a morire e a morire di una morte dolorosa e infame, il supplizio della croce (Fil 2,8).
Ora, in tutto questo, obbediva non in quanto Dio, ma in quanto uomo, che aveva assunto la condizione di schiavo. Un certo santo si è consegnato come schiavo per riscattare un povero, e si è attirato l’ammirazione del mondo per questo atto eroico di carità. Ma cos’è questa carità in confronto a quella del Redentore? Essendo Dio e volendo riscattarci dalla schiavitù del diavolo e della morte che avevamo meritata, si fa lui stesso schiavo, si lascia legare e inchiodare sulla croce. « Perché il servo diventasse maestro, dice san Agostino, Dio ha voluto farsi servo ».
dal sito on line di « Avvenire »
TESTIMONI DEL ’900
L’arcivescovo di Milano: «Lottò instancabilmente per la libertà degli uomini del suo tempo»
«Nel mondo di oggi
col coraggio di Pio XI»
Il cardinale Tettamanzi ha aperto a Desio le celebrazioni per i 150 anni
dalla nascita di Achille Ratti
Dal Nostro Inviato A Desio (Milano) Maurizio Carucci
Le campane della basilica dei Santi Siro e Materno hanno accolto il cardinale Dionigi Tettamanzi con il loro suono famoso in tutto il mondo. È stata una giornata di festa speciale quella di domenica a Desio: in coincidenza con
la Pentecoste, sono infatti cominciate le celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Pio XI, al secolo Achille Ratti, nato nel 1857 proprio a due passi dalla basilica. Una ricorrenza cui l’arcivescovo di Milano non poteva mancare: ha visitato la casa natale di Pio XI, dove ha inaugurato la terza edizione della Biennale d’arte sacra in Brianza e si è raccolto in preghiera nella stanza in cui nacque papa Ratti. Ma soprattutto, durante i vespri in basilica, ha ricordato l’attualità di questa grande figura del Novecento. Un Papa che ci ricorda come anche oggi sia «tempo di testimoniare con entusiasmo la nostra fede cristiana, senza temere le immancabili difficoltà o incomprensioni o emarginazioni, ma confidando pienamente nel Signore che ci accompagna e ci sostiene». Per la sua riflessione Tettamanzi ha preso spunto da un brano tratto dall’enciclica Ubi arcano Dei consilio , la prima di Pio XI, del 23 dicembre 1922. Il passo scelto sottolineava che Gesù Cristo regna nella mente degli individui, nella famiglia e nella società civile «quando è riconosciuto alla Chiesa di Gesù Cristo il posto che Egli stesso le assegnava nella società umana, costituendola depositaria e interprete del suo pensiero divino, e perciò stesso maestra e guida delle altre società: non per menomare l’autorità loro, ma per farne valido aiuto agli uomini nel conseguimento del fine ultimo, ossia dell’eterna felicità». In questo contesto il cardinale Tettamanzi ha sottolineato l’importanza della famiglia «cellula fondamentale della società ieri, oggi e sempre». E ha ricordato che Pio XI si scontrò con i totalitarismi per affermare la libertà dell’educazione: «Egli non ebbe paura dei dittatori e pretese che tutti i credenti fossero testimoni convinti e coraggiosi. Pio XI volle farsi servo dell’uomo e del suo destino di felicità. È quello che siamo chiamati a fare anche noi: testimoniare con gioia la nostra fede». «Pio XI – ha continuato l’arcivescovo di Milano – era e rimase, anche da papa, un prete, un uomo immerso in Dio e per amore di Dio totalmente dedito ai fratelli e alle sorelle che ogni giorno incontrava nel suo ministero». Quando papa Ratti fu eletto, nel 1922, ha proseguito Tettamanzi, «si rendeva perfettamente conto che lo attendevano tempi difficili, ma aveva obbedito a Dio e questo lo rendeva, nonostante tutto, profondamente sereno». «Non erano affatto momenti tranquilli – ha ricordato -. Fumavano ancora le ceneri della Prima guerra mondiale con i suoi quasi 20 milioni di morti, feriti, dispersi. Eppure Pio XI non ebbe sgomento. Con il forte carattere, di cui Dio lo aveva dotato, assunse il suo compito, il suo ministero con chiarezza di intenzioni. Per lui una sola cosa era importante, era centrale e decisiva: la vera pace di Cristo non può essere che nel Regno di Cristo. Occorreva restaurare, come si diceva allora, il regno di Cristo. Oggi – ha aggiunto il porporato – con altro linguaggio potremmo dire che occorreva annunciare, rendere presente il Vangelo, la proposta, l’appello di Gesù. Occorreva, per Pio XI, rendere presente Gesù. Ecco il termine forse più semplice, ma insieme più concreto e denso di contenuto per indicare la missione della Chiesa e dei cristiani. Renderlo presente nella famiglia, cellula fondamentale e primaria di tutta la società. Renderlo presente nel campo educativo, e dunque tra i ragazzi e i giovani, che sono il futuro della società, della nazione». «Papa Ratti – ha affermato ancora l’arcivescovo – lottò instancabilmente per la libertà degli uomini e delle donne del suo tempo: anche a lui noi siamo debitori se oggi i principi di libertà di coscienza, di educazione, di istruzione e di informazione sono maggiormente sentiti come valori intangibili e sacri per ogni essere umano».
dal sito on line della Radio Vaticana
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=136335
Con il suo rinnovato impegno missionario,
la Chiesa offre la salvezza di Cristo agli uomini del nostro tempo: così, Benedetto XVI nel Messaggio per
la Giornata Missionaria Mondiale
Tutti i cristiani sono chiamati ad essere missionari, a testimoniare il Vangelo in questo nostro tempo. E’ l’esortazione di Benedetto XVI contenuta nel Messaggio – reso noto oggi – per
la Giornata Missionaria Mondiale, che ricorre quest’anno il 21 ottobre. Il tema della Giornata è « Tutte le Chiese per tutto il mondo ». Il documento, firmato dal Papa il 27 maggio scorso – giorno di Pentecoste – ribadisce l’urgenza di un rinnovato slancio missionario, compito al quale
la Chiesa “non può sottrarsi”. Sui passaggi salienti del messaggio, il servizio di Alessandro Gisotti:
“Ogni comunità cristiana nasce missionaria, ed è proprio sulla base del coraggio di evangelizzare che si misura l’amore dei credenti verso” il Signore: è quanto sottolineato da Benedetto XVI nel Messaggio per
la Giornata missionaria mondiale. L’impegno missionario, si legge nel documento, resta “il primo servizio che
la Chiesa deve all’umanità di oggi per orientare ed evangelizzare le trasformazioni culturali, sociali ed etiche”. E’, così, prosegue, che
la Chiesa offre la salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo, “in tante parti del mondo umiliato e oppresso a causa di povertà endemiche, di violenza, di negazione sistematica di diritti umani”. A questa missione universale, è il richiamo del Papa,
la Chiesa “non può sottrarsi”, perché è per essa “una forza obbligante”. E ricorda che avendo Cristo affidato “in primo luogo” a Pietro e agli Apostoli il mandato missionario, questo compete oggi anzitutto al Successore di Pietro e ai vescovi “direttamente responsabili dell’evangelizzazione”. Ribadisce, poi, che in questa impegnativa opera di evangelizzazione, siamo sostenuti dalla certezza che Cristo è “la fonte inesauribile della missione della Chiesa”. D’altro canto, prosegue il Pontefice, un ulteriore motivo che ci spinge a un rinnovato slancio missionario è la ricorrenza del 50.mo anniversario dell’Enciclica Fidei Donum di Pio XII, con la quale “venne promossa e incoraggiata la cooperazione tra le Chiese per la missione ad gentes”.
Nel Messaggio, Benedetto XVI mette l’accento sull’“urgente necessità di rilanciare l’azione missionaria di fronte alle molteplici e gravi sfide del nostro tempo”. Il Signore, è la sua riflessione, chiama a questo compito in primo luogo le cosiddette Chiese di antica tradizione. “Dinanzi all’avanzata della cultura secolarizzata, che talora sembra penetrare sempre più nelle società occidentali, considerando inoltre la crisi della famiglia” e la “diminuzione delle vocazioni”, scrive il Santo Padre, “queste Chiese corrono il rischio di rinchiudersi in se stesse, di guardare con ridotta speranza al futuro e di rallentare il loro sforzo missionario”. Ma proprio questo, è l’esortazione del Papa, è il momento “di aprirsi con fiducia alla Provvidenza di Dio”, che con la potenza dello Spirito Santo guida il suo popolo verso “il compimento del suo eterno disegno di salvezza”. Alla missio ad gentes, aggiunge, il Signore invita anche le Chiese di recente evangelizzazione. Alcune di queste comunità, rileva, abbondano di sacerdoti che vengono inviati a svolgere il loro ministero pastorale anche nelle terre di antica evangelizzazione. Si assiste, così, ad un “provvidenziale scambio di doni”. Di qui, l’invito contenuto nel Messaggio, affinché si intensifichi la “cooperazione missionaria”, nella consapevolezza che “tutta
la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alla gente”. Benedetto XVI fa sua l’invocazione di Papa Pacelli nella Fidei Donum, affinché “lo spirito missionario penetri più a fondo nel cuore di tutti i sacerdoti” e attraverso di loro nel cuore di tutti i fedeli.
Il Papa menziona i frutti ottenuti dalla cooperazione missionaria in Africa e ricorda le schiere di sacerdoti, religiosi e laici, che hanno lasciato la propria comunità d’origine per mettere le loro energie “al servizio di comunità talora appena nate, in zone di povertà”. Tra loro, sottolinea Benedetto XVI, “ci sono non pochi martiri che, alla testimonianza della parola e alla dedizione apostolica, hanno unito il sacrificio della vita”. Il loro esempio, è l’esortazione del Papa, “susciti ovunque nuove vocazioni e una rinnovata consapevolezza missionaria del popolo cristiano” e faccia crescere “la comunione tra le comunità” anche nell’utilizzo dei mezzi “necessari per evangelizzare”.
La Giornata missionaria mondiale, è l’auspicio del Papa, serva ad “elaborare insieme appropriati itinerari spirituali e formativi che favoriscano la cooperazione fra le Chiese e la preparazione di nuovi missionari per la diffusione del Vangelo”. Il Papa rammenta che la preghiera è “il primo e prioritario contributo” che siamo chiamati ad offrire all’azione missionaria della Chiesa. Il Messaggio si conclude con l’invocazione a Maria, affinché, rendendoci consapevoli di essere tutti missionari, ci “ottenga una nova Pentecoste di amore”.
dal sito Zenith:
Data pubblicazione: 2007-05-28 Lettera del Papa per il IV centenario della morte di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 28 maggio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito
la Lettera che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Ennio Antonelli, in occasione delle Celebrazioni per il IV centenario della morte di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. * * * Al Venerato Fratello
il Signor Cardinale Ennio Antonelli
Arcivescovo di Firenze In occasione del IV centenario della morte di santa Maria Maddalena de’ Pazzi, sono lieto di unirmi all’amata Chiesa fiorentina, che desidera ricordare questa sua figlia illustre, particolarmente cara per essere figura emblematica di un amore vivo che rimanda all’essenziale dimensione mistica di ogni vita cristiana. Mentre con affetto saluto Lei, Signor Cardinale, e l’intera Comunità diocesana, rendo grazie a Dio per il dono di questa Santa, che ogni generazione riscopre singolarmente vicina nel saper comunicare un ardente amore per Cristo e per
la Chiesa. Nata a Firenze il 2 aprile 1566 e battezzata al fonte del « bel San Giovanni » con il nome di Caterina, santa Maria Maddalena de’ Pazzi fin dalla fanciullezza mostrò una particolare sensibilità verso il soprannaturale e fu attratta dall’intimo colloquio con Dio. Come era consuetudine per le fanciulle di nobile casato, la sua educazione fu affidata alle Cavalieresse di Malta, nel cui monastero ricevette la prima comunione il 25 marzo 1576 ed appena qualche giorno dopo si consegnò per sempre al Signore con una promessa di verginità. Rientrata in famiglia, approfondì il cammino della preghiera con l’aiuto dei Padri Gesuiti, che frequentavano il palazzo. Abilmente, riusciva a non lasciarsi condizionare dalle esigenze mondane di un ambiente che, se pur cristiano, non le bastava nel suo desiderio di diventare più simile al suo Sposo crocifisso. In questo contesto maturò la decisione di lasciare il mondo e di entrare nel Carmelo di Santa Maria degli Angeli, a Borgo san Frediano, dove il 30 gennaio 1583 ricevette l’abito del Carmelo e il nome di suor Maria Maddalena. Ammalatasi gravemente nel marzo del 1584, chiese di poter emettere la professione prima del tempo e, il 27 maggio, festa della Trinità, portata in coro su un lettino, pronunciò per sempre davanti al Signore i suoi voti di castità, povertà e obbedienza.
Da questo momento ebbe inizio un’intensa stagione mistica dalla quale sarebbe venuta alla Santa la fama di grande estatica. Sono cinque i manoscritti in cui le Carmelitane di Santa Maria degli Angeli hanno riportato le esperienze straordinarie della loro giovane consorella. A « I Quaranta Giorni » dell’estate 1584, fanno seguito « I Colloqui » della prima metà dell’anno successivo. L’apice della mistica conoscenza che Dio concesse di sé a suor Maria Maddalena si trova in « Revelationi e Intelligentie », otto giorni di splendide estasi che vanno dalla vigilia di Pentecoste alla festa della Trinità dell’anno 1585. Una intensa esperienza che, a soli 19 anni di età, la rendeva capace di spaziare su tutto il mistero della salvezza, dall’incarnazione del Verbo nel seno di Maria alla discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste. Seguirono cinque lunghi anni d’interiore purificazione – Maria Maddalena de’ Pazzi ne parla nel libro della « Probatione » –, nei quali il Verbo suo Sposo le sottrasse il sentimento della grazia e la lasciò come Daniele nella fossa dei leoni, tra molte prove e grandi tentazioni. E’ in questo contesto che si inserisce il suo ardente impegno per il rinnovamento della Chiesa, dopo che nell’estate del 1586 bagliori di luce dall’alto vennero a mostrarle il vero stato in cui essa si trovava nell’epoca post-tridentina. Come Caterina da Siena, si sentì « forzata » a scrivere alcune lettere per sollecitare, presso il Papa, i Cardinali di Curia, il suo Arcivescovo ed altre personalità ecclesiastiche, un deciso impegno per la « Renovatione della Chiesa », come dice il titolo del manoscritto che le contiene. Si tratta di dodici lettere dettate in estasi, forse mai spedite, ma che rimangono come testimonianza della sua passione per
la Sponsa Verbi.
Con
la Pentecoste del 1590 ebbe termine la dura prova. Questo le permise di dedicarsi con ogni energia al servizio della comunità ed in particolare alla formazione delle novizie. Suor Maria Maddalena ebbe il dono di vivere la comunione con Dio in una forma sempre più interiorizzata, sì da diventare un riferimento per tutta la comunità, che ancora oggi continua a considerarla come « madre ». L’amore purificato, che pulsava nel suo cuore, la apriva al desiderio della piena conformità con Cristo, suo Sposo, fino a condividere con lui il « nudo patire » della croce. Gli ultimi tre anni della sua vita furono per lei un vero calvario di sofferenze. La tisi cominciò a manifestarsi chiaramente: Suor Maria Maddalena si vide costretta a ritrarsi pian piano dalla vita attiva della comunità per immergersi sempre più nel « patir nudamente per amore di Dio ». Si ritrovò oppressa da pene atroci nel fisico e nello spirito che durarono fino alla morte, sopravvenuta il venerdì 25 maggio 1607. Si spense intorno alle tre del pomeriggio, mentre una gioia insolita pervadeva tutto il monastero.
Non erano passati vent’anni dalla sua morte che già il Pontefice fiorentino Urbano VIII la proclamava beata. Fu poi il Papa Clemente IX ad iscriverla nell’Albo dei Santi il 28 aprile 1669. Il suo corpo rimasto incorrotto è meta di costanti pellegrinaggi. Il monastero in cui
la Santa visse è oggi sede del Seminario arcivescovile di Firenze, che la venera come Patrona, e la cella in cui morì è diventata una cappella nel cui silenzio si percepisce ancora la sua presenza.
Santa Maria Maddalena de’ Pazzi rimane una spirituale presenza ispiratrice per le Carmelitane dell’Antica Osservanza. In lei esse vedono la « sorella » che ha percorso interamente la via dell’unione trasformante con Dio e che addita in Maria la « stella » del cammino verso la perfezione. Per tutti questa grande Santa ha il dono di essere maestra di spiritualità, particolarmente per i sacerdoti, verso i quali nutrì sempre una vera passione.
Auspico vivamente che le presenti celebrazioni giubilari della sua morte contribuiscano a far conoscere sempre più questa luminosa figura, che a tutti manifesta la dignità e la bellezza della vocazione cristiana. Come, mentre era in vita, attaccandosi alle campane sollecitava le sue consorelle con il grido: « Venite ad amare l’Amore! », la grande Mistica, da Firenze, dal suo Seminario, dai monasteri carmelitani che a lei si ispirano, possa ancora oggi far sentire la sua voce in tutta
la Chiesa, diffondendo l’annuncio dell’amore di Dio per ogni creatura umana.
Con questo augurio, affido Lei, Venerato Fratello, e
la Chiesa fiorentina alla celeste protezione di santa Maria Maddalena de’ Pazzi e di cuore imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 29 Aprile 2007
BENEDICTUS PP. XVI