Archive pour novembre, 2009

Sant’Andrea Apostolo

Sant'Andrea Apostolo dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 30 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Il Natale rivela il progetto che Dio si era proposto. Dio ha voluto comunicarsi completamente…

dal sito:

http://proposta.dehoniani.it/txt/incarnaz.html

MANIFESTAZIONE DELLA BONTÀ DI DIO E DEL SUO AMORE PER GLI UOMINI (cf. Tt 3,4)

1) Il Progetto di Dio: farsi uomo

Il Natale rivela il progetto che Dio si era proposto. Dio ha voluto comunicarsi completamente a un altro essere differente da lui. Si è degnato darsi in dono a qualcuno. Dio non ha voluto rimanere unicamente Dio. Il creatore ha deciso di farsi anche creatura. Non ha inteso comunicare solamente il suo bene, la sua verità, la sua bellezza. Egli ha inteso fare qualcosa di molto più grande. Ha voluto donarsi: Dio dà se stesso. E per dare se stesso è necessario che esista qualcuno differente che lo possa ricevere.

Questo qualcuno capace di ricevere Dio è l’uomo. Nell’ebreo Gesù di Nazaret è presente Dio in assoluto. L’uomo possiede dunque senso pieno solo in quanto abitazione di Dio. È per questo che è stato creato. Nel suo fratello Gesù di Nazaret l’uomo trova il senso e la realizzazione piena della propria esistenza, pensata e voluta per ospitare Dio.

Il Verbo si è fatto carne nel seno della Vergine Maria e da lei è nato l’uomo – Dio. Colui che nessuno aveva mai visto, colui che gli uomini supplicavano « Signore mostraci il tuo volto », si è mostrato così com’è. Rimanendo il Dio che era da sempre, ha iniziato ad essere uomo.

Dio non è rimasto nel suo mistero indecifrabile; è uscito dalla sua luce inaccessibile per venire nelle tenebre umane. Non è rimasto nella sua onnipotenza eterna; è penetrato nella fragilità della creatura.

Nel presepio si sono manifestati « la bontà di Dio, nostro salvatore, e il suo amore per gli uomini » (Tt 3,4). Dio diventa uomo, si mostra così com’è: il nostro Dio è piccolo perché è grande nell’amore. Egli ha voluto essere realmente come uno di noi, come me, come te, fuorché nel peccato: un uomo limitato che cresce, che impara e interroga, che ascolta e risponde. Dio non ha assunto un’umanità astratta. Sin dal primo momento del suo concepimento, egli si è fatto Gesù di Nazaret, un uomo di razza e di religione ebrea. È cresciuto e maturato dentro gli angusti confini della Palestina, nel ristretto ambiente umano di un paesino sperduto. Non sapeva né il greco, né il latino, ma parlava l’aramaico con l’accento della Galilea. Ha sentito l’oppressione delle forze di occupazione del suo paese, ha conosciuto la fame, la sete, la solitudine, le lacrime per la morte dell’amico, la gioia dell’amicizia, la tristezza, la paura, le tentazioni, lo spavento di fronte alla morte. È passato attraverso la notte oscura dell’abbandono di Dio.

Tutto questo Dio ha preso su di sé in Gesù Cristo. Nulla gli è stato risparmiato. Ha assunto tutto ciò che è autenticamente umano, come l’ira giusta e la sana allegria, la bontà e la durezza, l’amicizia e il conflitto, la vita e la morte. Il Natale ci mostra di che cosa Dio è veramente capace. Egli può farsi realmente altro, un uomo come noi, senza cessare di essere Dio.

La fede cristiana ci insegna che Dio è amore: amore nella sua pienezza originaria ed eterna. È quindi un amore che non ha origine da altri ed è origine di ogni altro. Tale amore si comunica, esce da sé, si dona senza limiti e senza riserve. Da questa pienezza di autodonazione sorge il Verbo come espressione assoluta del mistero dell’amore. Il mistero dell’amore si chiama Padre, la sua espressione assoluta Figlio. Dio non ha nient’altro da dare che se stesso. Quando Dio si dà è Padre. Ciò che scaturisce da questa donazione è il Figlio. Nel Figlio si esprimono e si concretizzano tutta la verità, la bontà, la bellezza e l’infinita ricchezza d’essere del Padre. Qui tutto è infinito ed eterno.

Nel Figlio il Padre esprime anche tutta la ricchezza, la bellezza, la bontà, la verità finite e temporali che possono essere create. Il Padre si rispecchia in tutta la creazione e poiché tutto è stato creato nel Figlio, tutto rispecchia pure il Figlio. Così tutta la creazione, materiale e spirituale, presenta le tracce del Padre e del Figlio. Tutte le cose possiedono una caratteristica paterna e filiale. Tutti sono figli e figlie, fratelli e sorelle insieme con il fratello maggiore, il Figlio eterno, nella casa del Padre.

Tra tutti gli esseri filiali c’è una specie che è, per eccellenza, l’immagine del Padre e del Figlio: l’uomo. Ogni uomo rispecchia, in un modo personale, unico e irripetibile, il Padre e il Figlio. Ma tra questi uomini ce n’è uno che Dio ha predestinato ad essere sua Immagine totale nella creazione, rivelazione assoluta del Padre e del Figlio nella storia: Gesù di Nazaret. Il Figlio eterno ha voluto unirsi a lui perché potesse amare Dio, fuori di Dio, come Dio ama; per poter essere finito rimanendo Infinito, per poter essere creatura senza cessare di essere Dio creatore.

Gesù è stato il primo nell’intenzione di Dio, anche se non è stato il primo nell’esecuzione. Adamo era già immagine di Cristo, perché Dio lo ha plasmato pensando a Cristo.

Il progetto di Dio è dunque farsi uomo. Duemila anni fa questo progetto è diventato realtà concreta. Nel Natale celebriamo e attualizziamo questo evento di dolcezza umana e divina. Dio possiede dunque un’umanità che, nel disegno divino, è eterna. L’umanità è espressione temporale del Figlio eterno. Dire che il Figlio si è fatto uomo non significa che il Figlio ha smesso di essere Figlio. Non significa neppure che il Figlio rimane Figlio e che l’umanità gli si è aggiunta come puro strumento di manifestazione e di azione. No, l’umanità di Dio non è un travestimento col quale Dio ci dà l’impressione di assumere la nostra condizione, ma in realtà continua a rimanere nella sua luce inaccessibile senza comunicarsi. Il fatto che Dio è diventato uomo esprime qualcosa di Dio stesso. Dice che egli si è fatto nostro prossimo, ha dato pienamente se stesso nella creazione e nel tempo.

In questo modo l’umanità di Gesù è veramente l’umanità di Dio e la divinità di Gesù è di fatto la divinità dell’uomo. Chi parla con Gesù parla con Dio, chi lo incontra, incontra Dio, chi lo ascolta e lo comprende, ascolta e comprende Dio. L’umanità di Gesù significa la presenza totale di Dio nel mondo, significa la dedizione totale dell’amore del Padre per l’uomo.

Grande cosa dev’essere l’uomo perché Dio ha voluto essere uomo. Se l’uomo è la più grande comunicazione di Dio nella creazione, Gesù è il culmine della comunicazione di Dio nella storia. È per consentire la realizzazione del progetto di Dio che l’uomo è stato pensato e voluto dall’eternità e posto nel tempo con la creazione. Gesù Cristo, Dio e uomo, è il progetto divino totalmente realizzato.

Da questa meditazione si deduce che il Figlio con l’incarnazione non ha raggiunto soltanto la santa umanità di Gesù di Nazaret. Egli ha toccato in qualche modo tutti gli uomini. Ognuno di noi, nel disegno eterno, è stato fatto dal Figlio, per lui, con lui e in lui. Siamo tutti figli nel Figlio. Entrando nella storia e assumendo l’umanità concreta di Gesù, egli ha assunto in certo modo tutti noi che partecipiamo di questa umanità. Il Concilio Vaticano II facendo eco alla grande tradizione della fede, insegna: « Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato » (GS 22). In tal modo siamo tutti fratelli di Gesù Cristo. Ogni uomo è suo rappresentante. Ogni persona traduce un aspetto originale del Figlio eterno. L’uomo è veramente una realtà sacra. Chi gli fa violenza, fa violenza al Figlio di Dio, chi lo ama e lo accoglie, ama e accoglie Dio stesso (Mt 25,40). È stato così fin dall’inizio dell’esistenza dell’uomo e sarà così fino alla fine. Il Figlio riempie della sua presenza tutta la storia: « Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo… Venne tra la sua gente » (Gv 1, 9-11). Il Natale cominciava ad essere preparato e il Figlio avviava il suo processo di incarnazione con la creazione del mondo e in maniera decisiva con la creazione dell’uomo. Perciò la storia è gravida di Cristo.

Egli è cresciuto a poco a poco fino a squarciare il velo della invisibilità e comparire in tutta la sua aperta evidenza.

Nella sua terza omelia sul Natale, san Leone Magno (+461) insegnava « Sin dalla creazione del mondo, Dio ha costituito un unico principio di salvezza per tutti. La grazia di Dio, per la quale tutti i santi sono stati giustificati, è aumentata ma non ha avuto inizio con la nascita di Cristo; e questo mistero di grande misericordia che riempie ora il mondo intero è già stato efficace nei suoi simboli: l’hanno raggiunto sia quelli che ne hanno accolto la promessa, sia quelli che l’hanno ricevuto quando ci è stato dato… Smettano dunque di lamentarsi coloro che, con empia mormorazione, criticano il piano divino sotto il pretesto del ritardo nel tempo per la nascita del Signore, come se non fosse stato concesso nei tempi passati ciò che si è realizzato nell’ultima età del mondo. » (III Sermone, 4). Cristo possiede una portata cosmica. La festa del Natale non è unicamente la festa della nostra storia, ma di tutta la storia, non solo dei cristiani, ma di tutti gli uomini. In tutti i figli continua a nascere il Figlio eterno di Dio e nostro fratello Gesù Cristo.

•••

L’evangelista Giovanni ci dice che « Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste… Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui » (Gv 1. 3-10). Non è solo l’umanità ad essere compenetrata dal Figlio; anche l’universo intero e, in qualche modo, il suo corpo. Con l’incarnazione « la carne non è più terrena; è carne verbificata (fatta Verbo) », afferma arditamente s. Atanasio (Contra Arianos 3, 34). Con il Figlio la filiazione ha invaso il mondo. Lo stesso sant’Atanasio (+373) insegna qualcosa di più: con l’incarnazione « il Figlio nobilita tutta la creazione… rendendola divina e trasformandola in Figlio e così la conduce al Padre » (Ad Serapionem 1, 25). C’è dunque un carattere filiale e fraterno in tutta la creazione, e non solamente nella sfera umana. C’è una cristificazione in atto nella materia. Tutto ciò che esiste è in rapporto con il Figlio di Dio in quanto siamo tutti fratelli del Figlio primogenito. San Giovanni Damasceno (+749) predicava: « Il Padre si è compiaciuto di realizzare l’unione di tutti gli esseri nel suo Figlio unico. Essendo infatti un microcosmo, l’uomo unisce in sé tutte le realtà visibili e invisibili; è piaciuto al Signore, che ha creato e governa tutte le cose, unire nel suo Figlio unico e consostanziale la divinità all’umanità e, attraverso questa, all’insieme di tutte le creature affinché Dio fosse tutto in tutto » (PG 96).

A causa di questa visione cosmica dell’incarnazione di Dio, la liturgia antica della Chiesa cantava: « Pieni di gioia per la nascita di Cristo, le montagne e le colline si inchinano e gli elementi del mondo, con gaudio ineffabile, eseguono in questo giorno una melodia sublime » (PL 86). È la celebrazione cosmica che sfugge agli occhi e agli orecchi sensibili, ma è percepita dalla fede. Sappiamo che il mondo è stato definitivamente visitato da Dio. La creazione si rallegra, canta ed è in estasi per l’ospite divino. Siamo tutti cristificati. Siamo fratelli. San Francesco l’aveva capito bene e lo ha mirabilmente manifestato nel Cantico delle Creature.

Il Natale è la festa dei doni perché Dio ci ha dato un dono che non ha prezzo: ci ha dato se stesso in un bambino.

Papa Benedetto : Sant’Andrea Apostolo

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060614_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 14 giugno 2006 

Andrea, il Protoclito

Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime due catechesi abbiamo parlato della figura di san Pietro. Adesso vogliamo, per quanto le fonti permettono, conoscere un po’ più da vicino anche gli altri undici Apostoli. Pertanto parliamo oggi del fratello di Simon Pietro, sant’Andrea, anch’egli uno dei Dodici. La prima caratteristica che colpisce in Andrea è il nome: non è ebraico, come ci si sarebbe aspettato, ma greco, segno non trascurabile di una certa apertura culturale della sua famiglia. Siamo in Galilea, dove la lingua e la cultura greche sono abbastanza presenti. Nelle liste dei Dodici, Andrea occupa il secondo posto, come in Matteo (10,1-4) e in Luca (6,13-16), oppure il quarto posto come in Marco (3,13-18) e negli Atti (1,13-14). In ogni caso, egli godeva sicuramente di grande prestigio all’interno delle prime comunità cristiane.

Il legame di sangue tra Pietro e Andrea, come anche la comune chiamata rivolta loro da Gesù, emergono esplicitamente nei Vangeli. Vi si legge: “Mentre Gesù camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini»” (Mt 4,18-19; Mc 1,16-17). Dal Quarto Vangelo raccogliamo un altro particolare importante: in un primo momento, Andrea era discepolo di Giovanni Battista; e questo ci mostra che era un uomo che cercava, che condivideva la speranza d’Israele, che voleva conoscere più da vicino la parola del Signore, la realtà del Signore presente. Era veramente un uomo di fede e di speranza; e da Giovanni Battista un giorno sentì proclamare Gesù come “l’agnello di Dio” (Gv 1,36); egli allora si mosse e, insieme a un altro discepolo innominato, seguì Gesù, Colui che era chiamato da Giovanni “agnello di Dio”. L’evangelista riferisce: essi “videro dove dimorava e quel giorno dimorarono presso di lui” (Gv 1,37-39). Andrea quindi godette di preziosi momenti d’intimità con Gesù. Il racconto prosegue con un’annotazione significativa: “Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo», e lo condusse a Gesù” (Gv 1,40-43), dimostrando subito un non comune spirito apostolico. Andrea, dunque, fu il primo degli Apostoli ad essere chiamato a seguire Gesù. Proprio su questa base la liturgia della Chiesa Bizantina lo onora con l’appellativo di Protóklitos, che significa appunto “primo chiamato”. Ed è certo che anche per il rapporto fraterno tra Pietro e Andrea la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli si sentono tra loro in modo speciale Chiese sorelle. Per sottolineare questo rapporto, il mio predecessore Papa Paolo VI, nel 1964, restituì l’insigne reliquia di sant’Andrea, fino ad allora custodita nella Basilica Vaticana, al Vescovo metropolita ortodosso della città di Patrasso in Grecia, dove secondo la tradizione l’Apostolo fu crocifisso.

Le tradizioni evangeliche rammentano particolarmente il nome di Andrea in altre tre occasioni che ci fanno conoscere un po’ di più quest’uomo. La prima è quella della moltiplicazione dei pani in Galilea. In quel frangente, fu Andrea a segnalare a Gesù la presenza di un ragazzo che aveva con sé cinque pani d’orzo e due pesci: ben poca cosa – egli rilevò – per tutta la gente convenuta in quel luogo (cfr Gv 6,8-9). Merita di essere sottolineato, nel caso, il realismo di Andrea: egli notò il ragazzo – quindi aveva già posto la domanda: “Ma che cos’è questo per tanta gente?” (ivi) – e si rese conto della insufficienza delle sue poche risorse. Gesù tuttavia seppe farle bastare per la moltitudine di persone venute ad ascoltarlo. La seconda occasione fu a Gerusalemme. Uscendo dalla città, un discepolo fece notare a Gesù lo spettacolo delle poderose mura che sorreggevano il Tempio. La risposta del Maestro fu sorprendente: disse che di quelle mura non sarebbe rimasta pietra su pietra. Andrea allora, insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, lo interrogò: “Dicci quando accadrà questo e quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi” (Mc 13,1-4). Per rispondere a questa domanda Gesù pronunciò un importante discorso sulla distruzione di Gerusalemme e sulla fine del mondo, invitando i suoi discepoli a leggere con accortezza i segni del tempo e a restare sempre vigilanti. Dalla vicenda possiamo dedurre che non dobbiamo temere di porre domande a Gesù, ma al tempo stesso dobbiamo essere pronti ad accogliere gli insegnamenti, anche sorprendenti e difficili, che Egli ci offre.

Nei Vangeli è, infine, registrata una terza iniziativa di Andrea. Lo scenario è ancora Gerusalemme, poco prima della Passione. Per la festa di Pasqua – racconta Giovanni – erano venuti nella città santa anche alcuni Greci, probabilmente proseliti o timorati di Dio, venuti per adorare il Dio di Israele nella festa della Pasqua. Andrea e Filippo, i due apostoli con nomi greci, servono come interpreti e mediatori di questo piccolo gruppo di Greci presso Gesù. La risposta del Signore alla loro domanda appare – come spesso nel Vangelo di Giovanni – enigmatica, ma proprio così si rivela ricca di significato. Gesù dice ai due discepoli e, per loro tramite, al mondo greco: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (12,23-24). Che cosa significano queste parole in questo contesto? Gesù vuole dire: Sì, l’incontro tra me ed i Greci avrà luogo, ma non come semplice e breve colloquio tra me ed alcune persone, spinte soprattutto dalla curiosità. Con la mia morte, paragonabile alla caduta in terra di un chicco di grano, giungerà l’ora della mia glorificazione. Dalla mia morte sulla croce verrà la grande fecondità: il “chicco di grano morto” – simbolo di me crocifisso – diventerà nella risurrezione pane di vita per il mondo; sarà luce per i popoli e le culture. Sì, l’incontro con l’anima greca, col mondo greco, si realizzerà a quella profondità a cui allude la vicenda del chicco di grano che attira a sé le forze della terra e del cielo e diventa pane. In altre parole, Gesù profetizza la Chiesa dei greci, la Chiesa dei pagani, la Chiesa del mondo come frutto della sua Pasqua.

Tradizioni molto antiche vedono in Andrea, il quale ha trasmesso ai greci questa parola, non solo l’interprete di alcuni Greci nell’incontro con Gesù ora ricordato, ma lo considerano come apostolo dei Greci negli anni che succedettero alla Pentecoste; ci fanno sapere che nel resto della sua vita egli fu annunciatore e interprete di Gesù  per il mondo greco. Pietro, suo fratello, da Gerusalemme attraverso Antiochia giunse a Roma per esercitarvi la sua missione universale; Andrea fu invece l’apostolo del mondo greco: essi appaiono così in vita e in morte come veri fratelli – una fratellanza che si esprime simbolicamente nello speciale rapporto delle Sedi di Roma e di Costantinopoli, Chiese veramente sorelle.

Una tradizione successiva, come si è accennato, racconta della morte di Andrea a Patrasso, ove anch’egli subì il supplizio della crocifissione. In quel momento supremo, però, in modo analogo al fratello Pietro, egli chiese di essere posto sopra una croce diversa da quella di Gesù. Nel suo caso si trattò di una croce decussata, cioè a incrocio trasversale inclinato, che perciò venne detta “croce di sant’Andrea”. Ecco ciò che l’Apostolo avrebbe detto in quell’occasione, secondo un antico racconto (inizi del secolo VI) intitolato Passione di Andrea: “Salve, o Croce, inaugurata per mezzo del corpo di Cristo e divenuta adorna delle sue membra, come fossero perle preziose. Prima che il Signore salisse su di te, tu incutevi un timore terreno. Ora invece, dotata di un amore celeste, sei ricevuta come un dono. I credenti sanno, a tuo riguardo, quanta gioia tu possiedi, quanti regali tu tieni preparati. Sicuro dunque e pieno di gioia io vengo a te, perché anche tu mi riceva esultante come discepolo di colui che fu sospeso a te … O Croce beata, che ricevesti la maestà e la bellezza delle membra del Signore! … Prendimi e portami lontano dagli uomini e rendimi al mio Maestro, affinché per mezzo tuo mi riceva chi per te mi ha redento. Salve, o Croce; sì, salve davvero!”. Come si vede, c’è qui una profondissima spiritualità cristiana, che vede nella Croce non tanto uno strumento di tortura quanto piuttosto il mezzo incomparabile di una piena assimilazione al Redentore, al Chicco di grano caduto in terra. Noi dobbiamo imparare di qui una lezione molto importante: le nostre croci acquistano valore se considerate e accolte come parte della croce di Cristo, se raggiunte dal riverbero della sua luce. Soltanto da quella Croce anche le nostre sofferenze vengono nobilitate e acquistano il loro vero senso.

L’apostolo Andrea, dunque, ci insegni a seguire Gesù con prontezza (cfr Mt 4,20; Mc 1,18), a parlare con entusiasmo di Lui a quanti incontriamo, e soprattutto a coltivare con Lui un rapporto di vera familiarità, ben coscienti che solo in Lui possiamo trovare il senso ultimo della nostra vita e della nostra morte.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, SANTI APOSTOLI |on 30 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

30 novembre – Sant’Andrea Apostolo

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/22000

Sant’ Andrea Apostolo

30 novembre
 
Bethsaida di Galilea – Patrasso (Grecia), ca. 60 dopo Cristo

Andrea, già discepolo di Giovanni Battista, fratello di Pietro, gli comunicò la scoperta del Messia. Entrambi furono chiamati dal Maestro sulle rive del lago per diventare ‘pescatori di uomini’. Nel prodigio della moltiplicazione dei pani segnala a Gesù il fanciullo dei cinque pani e dei due pesci. Egli stesso insieme a Filippo riferisce che alcuni Greci vogliono vedere Gesù. Crocifisso a Patrasso secondo la tradizione, è particolarmente venerato nella Chiesa greca. (Mess. Rom.)

Patronato: Pescatori

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Emblema: Croce decussata, Rete da pescatore

Martirologio Romano: Festa di sant’Andrea, Apostolo: nato a Betsaida, fratello di Simon Pietro e pescatore insieme a lui, fu il primo tra i discepoli di Giovanni Battista ad essere chiamato dal Signore Gesù presso il Giordano, lo seguì e condusse da lui anche suo fratello. Dopo la Pentecoste si dice abbia predicato il Vangelo nella regione dell’Acaia in Grecia e subíto la crocifissione a Patrasso. La Chiesa di Costantinopoli lo venera come suo insigne patrono.

Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: « Ecco l’agnello di Dio! ». Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: « Abbiamo trovato il Messia! ». Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale « fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa” ». Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: « Seguitemi, vi farò pescatori di uomini » (Matteo 4,18-20).
Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo « con grande potenza e gloria » (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.
E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: « Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen ». Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.
Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso.

Autore: Domenico Agasso 

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno Impatiens%20omeiana

Impatiens omeiana

http://www.mygarden.ws/october.htm

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San Giovanni Crisostomo: Primo chiamato ; Primo a testimoniare

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091130

Sant’Andrea, apostolo, festa : Mt 4,18-22
Meditazione del giorno
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelie sul vangelo di Giovanni, 19,1 ; PG 59, 120-121

Primo chiamato ; Primo a testimoniare

« Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme » (Sal 132, 1). Andrea, dopo essere restato con Gesù (Gv 1,39), e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse : « Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo) » (Gv 1,41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo ? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e dall’altra rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento.

Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia. Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale…  « Abbiamo trovato il Messia, disse, non un messia qualsiasi, bensì proprio il Messia che aspettavamo ».

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno Lionfish-m

Lionfish

http://www.ics.uci.edu/~eppstein/pix/lbaq/Lionfish.html

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Sant’Antonio di Padova: Le due venute del Signore

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20091129

I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO C : Lc 21,25-28#Lc 21,34-36
Meditazione del giorno
Sant’Antonio di Padova (circa 1195 – 1231), francescano, dottore della Chiesa
Omelie per la domenica, 3° domenica di Avvento

Le due venute del Signore

“Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi” (Fil 4,6). Doppia gioia a motivo di un doppio beneficio: la prima e la seconda venuta. Dobbiamo rallegrarci perché il Signore, nella sua prima venuta, ci ha portato ricchezze e onore. Dobbiamo rallegrarci ancora perché, nella sua seconda venuta ci darà “lunghi giorni in eterno senza fine” (Sal 20,5). Secondo i Proverbi,  “lunghi giorni sono nella sua destra e nella sua sinistra ricchezze e onore” (3,16). La sinistra è la prima venuta, con le sue ricchezze gloriose, l’umiltà e la povertà, la pazienza e l’obbedienza. La destra è la seconda venuta, con la vita eterna.

Della prima venuta, Isaia parla in questi termini: “Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non hai tu forse fatto a pezzi il superbo, non hai trafitto il drago? Forse non hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso e non hai fatto della profondità del mare una strada perché vi passassero i redenti? (Is 51, 9-10). Il braccio del Signore, è Gesù Cristo, Figlio di Dio, per mezzo di lui e in lui Dio ha fatto tutte le cose… O braccio del Signore, o Figlio di Dio, svegliati; vieni a noi, dalla gloria di tuo Padre, prendendo la nostra carne. Rivestiti della forza della divinità, per lottare contro “il principe di questo mondo” (Gv 12,31) e per “scacciare l’uomo forte”, tu che sei quello “più forte di lui” (Lc 11,21-22). Svegliati per riscattare il genere umano, come hai liberato, nei giorni antichi, il popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto… Hai prosciugato il Mar Rosso; ciò che hai fatto, lo farai ancora…, come hai tracciato nelle profondità degli inferi una strada perché vi passassero i riscattati.

Della seconda venuta il Signore parla in questi termini nel profeta Isaia: “Farò di Gerusalemme – la Gerusalemme celeste, costituita dagli angeli e dagli uomini – una gioia, del suo popolo un gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto” (Is 65, 18-19), perché come sta scritto altrove: “Il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto” (Is 25,8).

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 29 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

PARUSIA (il sito è in cirillico, più di così non capisco)

PARUSIA (il sito è in cirillico, più di così non capisco) dans immagini sacre fresca_parusia
http://www.nfhram.ru/hramy/sobor/index.html

Publié dans:immagini sacre |on 28 novembre, 2009 |Pas de commentaires »

Vivere l’Avvento come il gioco delle bambole russe (presentazione dell’Avvento, è l’anno A, ma lo studio mi sembra molto bello)

dal sito:

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.pax?mostra_id=3473

Vivere l’Avvento come il gioco delle bambole russe

don Mario Campisi 

I Domenica di Avvento (Anno A) (28/11/2004)
Vangelo: Mt 24,37-44  

Ho sempre avuto l’impressione che si guarda l’Avvento un po’ troppo dalla parte dell’uomo e meno, o per nulla tante volte, dalla parte di Dio.
C’è una parola chiave che caratterizza questo tempo forte dell’anno liturgico ed è: attesa.
E’ come una bambola russa. Se la apri ve ne trovi un’altra: vigilanza. Se apri anche questa, ci trovi dentro la speranza. E così via fino alla più piccola della stessa famiglia.
E’ un gioco bellissimo di implicazioni e di esplicazioni, che ci fa vedere quanto sia grande il campo di azione su cui deve esprimersi la nostra conversione nel tempo di Avvento che ci prepara al Natale.
Attesa. Vigilanza. Speranza. Preghiera. Povertà. Penitenza. Conversione. Testimonianza. Solidarietà. Pace. Trasparenza. Dopo aver meditato i testi biblici, sarebbe interessante sedersi attorno ad un tavolo con la gente e chiedere, per ogni bambola russa, il nome delle altre successivamente racchiuse. Ne verrebbe fuori un campionario di atteggiamenti interiori davvero interessante che potrebbe essere assunto come telaio ascetico su cui disegnare il cammino dell’Avvento.
Ma, con questa esperienza, rimarremmo ancora troppo ancorati alla sfera dell’umano. Si dà troppo l’impressione che l’avvento costituisca un espediente che ci stimola a ricentrare la vita sul piano morale, e basta.
Senza dubbio, tutto questo non sarebbe sbagliato. Però si correrebbe il rischio di trasformare l’Avvento in una specie di palestra spirituale, in cui si pratica l’allenamento alle buone virtù, andando così a disincarnare il mistero che significa: l’Incarnazione del Dio-Amore.
Occorre anche guardare l’Avvento dalla parte di Dio. Sì, perché anche in cielo oggi comincia l’Avvento, l’attesa di Dio. Qui sulla terra è l’uomo che attende il Signore. Nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo.
E’ una visione splendida questa che ci fa recuperare una dimensione meno preoccupata degli aspetti morali della vita cristiana e più interessata a cogliere il disegno divino di salvezza.
Ancha qui si potrebbe ripetere il gioco delle bambole russe. Visto che anche per Dio la parola chiave dell’Avvento è attesa, quali ulteriori parole si potrebbero trovare l’una all’interno dell’altra? Cercando di cogliere l’anima dei testi biblici di oggi, che le proclamano, proviamo ad indicarne due: salvezza e pace.
La parola salvezza evoca il progetto finale di Dio, così come leggiamo nella prima lettura e nel salmo responsoriale. I popoli che salgono al monte del Signore e si riuniscono nella Gerusalemme celeste esprimono il trasalimento di Dio, che vede attorno a sé tutte le genti nello stadio finale del Regno.
Attese di comunione. Solidarietà con l’uomo. Bisogno di comunicargli la propria vita. Disponibilità a un perdono senza calcoli. Questi sono i sentimenti di Dio, così come ci suggeriscono le letture di oggi.
In questa prima domenica di Avvento è impossibile non rifarsi alla tenerezza del Padre, alle sue sollecitudini, alle sue ansie per il ritorno a casa di ogni figlio. E verrebbe subito in mente la già nota parabola del padre misericordioso: « Mentre era ancora lontano, il padre lo vide » (Lc 15,20). Di qui l’avvio della speranza in ognuno di noi.
Di qui anche l’avvio dell’impegno. Che cosa fare per non deludere le attese del Signore? Quali sono le « opere delle tenebre » che bisogna gettare, e quali le « armi della luce » di cui bisogna rivestirsi? (2^ lettura v. 12).
Non si potrebbe magari oggi iniziare da un ceck-up, individuale e collettivo, in fatto di comunione?
La parola pace evoca tutta una serie di percorsi obbligati per poter giungere alla salvezza.
Oggi non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione della concretezza, per dire senza retorica che pace, giustizia e salvaguardia del creato sono il compito primordiale di ogni comunità cristiana.
La prima lettura non tollera interpretazioni di comodo. Se noi cristiani permetteremo l’ingrandirsi degli arsenali delle spade e delle lance a danno dei depositi dei vomeri e delle falci, non risponderemo alle attese di Dio.
Così pure, se non sapremo leggere in termini fortemente critici le esercitazioni dei popoli nell’arte della guerra, sviliremo Isaia, estingueremo la nostra carica profetica, e difficilmente, nella notte di Natale, potremo accogliere l’esplosione dello « shalom », annunciato dagli angeli agli uomini che Dio ama (Lc 2,14).

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