buona notte

dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090601
Lunedì della IX settimana del Tempo Ordinario : Mc 12,1-12
Meditazione del giorno
Santa Caterina da Siena (1347-1380), terziaria domenicana, dottore della Chiesa, compatrona d’Europa
Dialogo della Divina Provvidenza, 23
Il Padrone della vigna
[Santa Caterina sentì Dio dirle] : « Ogni creatura che ha in sé ragione ha la vigna per se medesima, cioè la vigna de l’anima sua; della quale la volontà col libero arbitrio nel tempo n’è facto lavoratore, cioè mentre che elli vive. Ma poi che è passato ci tempo, neuno lavorio può fare, né buono né gattivo; ma mentre che elli vive può lavorare la vigna sua, nella quale Io l’ho messo. E ha ricevuta tanta fortezza questo lavoratore de l’anima che né dimonio né altra creatura gli ‘l può tollere se egli non vuole; però che ricevendo el sancto baptesmo si fortificò e fugli dato un coltello d’amore di virtú, e odio del peccato. El quale amore e odio truova nel Sangue, però che per amore di voi e odio del peccato mori l’unigenito mio Figliuolo, dandovi el Sangue, per lo quale Sangue aveste vita nel sancto baptesmo…
« Divellete le spine de’ peccati mortali e piantare le virtú… con la contrizione del cuore e dispiacimento del peccato e amore della virtú; e alora ricevarete il frutto d’esso Sangue. Ma in altro modo noi potreste ricevere, non disponendovi da la parte vostra come tralci uniti nella vite de l’unigenito mio Figliuolo, el quale dixe: «Io so’ vite vera; el Padre mio è il lavoratore, e voi sète i tralci» (Gv 15,1.5).
« E cosí è la veritá: che lo so’ il lavoratore, però che ogni cosa che ha essere è uscito ed esce di me. La potenzia mia è inextimabile, e con la mia potenzia e virtú governo tutto l’universo mondo. Veruna cosa è fatta o governata senza me. Si che Io so’ el lavoratore che piantai la vite vera de l’unigenito mio Figliuolo nella terra della vostra umanità, acciò che voi, tralci uniti con la vite, faceste frutto. »
dal sito:
http://www.monasterovirtuale.it/elepreg.html
Gesù, lava le mie colpe!
Gesù vieni, ho i piedi sporchi.
Per me fatti servo.
Versa l’acqua nel bacile.
Vieni, lava i miei piedi.
So che quel che dico è temerario;
ma temo la minaccia delle tue parole:
« Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me ».
Lavami dunque i piedi perche abbia parte con te.
Ma che dico, lava i miei piedi?
Questo l’ha potuto dire Pietro
che aveva bisogno di lavarsi solo i piedi
perche era tutto puro.
lo invece, una volta lavato i piedi,
ho bisogno di quel battesimo di cui il Signore ha detto:
« Quanto a me, con un altro battesimo
devo essere battezzato ».
Origene, Omelia V su Isaia, 2
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090531
Meditazione del giorno
San Bruno di Segni (circa 1045-1123), vescovo
Commento sull’Esodo, cap. 15
Dalla Pentecoste ebraica alla Pentecoste cristiana
Il monte Sinai è il simbolo del monte Sion… Notate a che punto le due alleanze si fanno eco l’una all’altra, con quale sintonia la festa della Pentecoste è celebrata in ciascuna di loro… Sul monte Sion, come sul monte Sinai, il Signore è sceso, lo stesso giorno e in modo molto simile…
Luca scrisse: «Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (At 2,2-3)… Sì, qui e là, un forte rumore si fa sentire, un fuoco si fa vedere. Ma al Sinai era un fumo denso, sul monte Sion lo splendore di una luce brillantissima. Nel primo caso si tratta di una «copia e un’ombra», nel secondo caso, delle «realtà» (Eb 8,5). Un tempo, si sentiva il tuono, ora si individuano le voci degli apostoli. Da un lato i lampi, dall’altro dei prodigi si manifestano in ogni luogo…
«Tutti uscirono dall’accampamento incontro a Dio e stettero in piedi alle falde del monte» (Es 19,17). Si legge negli Atti degli Apostoli: «Venuto quel fragore, la folla si radunò»… Da Gerusalemme, il popolo si radunò in piedi alla montagna di Sion, cioè nel luogo in cui Sion, figura della santa Chiesa, cominciava a edificarsi, a posare le sue fondamenta…
«Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco» dice l’Esodo (v.18)… Potevano forse non ardere, coloro che erano stati infiammati dal grande fuoco dello Spirito Santo? Come il fumo accenna alla presenza del fuoco, così con la franchezza dei loro discorsi e con la diversità delle lingue, il fuoco dello Spirito Santo manifestava la sua presenza nel cuore degli apostoli. Beati i cuori ricolmi di questo fuoco! Beati gli uomini infiammati da questo ardore. «Il monte tremava molto. Il suono della tromba diventava sempre più intenso» (V. 19)… Allo stesso modo, la voce degli apostoli e la loro predicazione divennero sempre più forti; si fecero sentire sempre più lontano finché «per tutta la terra si diffondesse la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18,5)
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Sabato della VII settimana di Pasqua : Jn 21,20-25
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorsi sul vangelo di Giovanni , n° 124 ; CCL 36, 685
Due apostoli, due vite, una Chiesa
La Chiesa conosce due vite, che le sono state rivelate e raccomandate da Dio, delle quali una è nella fede, l’altra nella visione; una appartiene al tempo della peregrinazione, l’altra all’eterna dimora; una è nella fatica, l’altra nel riposo; una lungo la via, l’altra in patria; una nel lavoro dell’azione, l’altra nel premio della contemplazione… La prima è simboleggiata nell’apostolo Pietro, l’altra in Giovanni… E non soltanto essi; questo è quanto fa la santa Chiesa tutta intera, la sposa di Cristo che attende di essere liberata da queste prove, per entrare in possesso della felicità eterna.
Queste due vite, la terrena e l’eterna, sono raffigurate rispettivamente in Pietro e in Giovanni: per la verità tutti e due camminarono in questa vita temporale per mezzo della fede, e tutti e due godono nella vita eterna della visione di Dio. Fu quindi a vantaggio di tutti i fedeli inseparabilmente appartenenti al corpo di Cristo, che Pietro, il primo degli Apostoli, per guidarli in questa tempestosa vita, ricevette, con le chiavi del regno dei cieli, la potestà di legare e di sciogliere i peccati (Mt 16,19); e del pari fu per condurre gli stessi fedeli al porto tranquillo di quella vita intima e segreta, che l’evangelista Giovanni riposò sul petto di Cristo (Gv 13, 23.25). Non è infatti soltanto Pietro, ma tutta la Chiesa che lega e scioglie i peccati; né Giovanni fu il solo ad attingere, come ad una fonte, dal petto del Signore, per comunicarla a noi, la verità sublime del Verbo che era in principio Dio presso Dio (Gv 7,38 ; 1.1)… Anzi è il Signore stesso che diffonde il suo Vangelo in tutto il mondo, affinché tutti ne bevano, ciascuno secondo la propria capacità.
dal sito:
http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/documents/hf_p-vi_aud_19721129_it.html
UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI
Catechesi del Santo Padre Paolo VI sullo Spirito Santo
Mercoledì, 29 novembre 1972
Noi ci siamo chiesti più volte quali siano i bisogni maggiori della Chiesa, noi che dalla meditata sapienza del Concilio abbiamo approfondito la conoscenza e la coscienza di questo fenomeno umano, polarizzato in Gesù Cristo, definito Popolo di Dio, suo Corpo mistico, di Cristo, in Lui compaginato e articolato (Cfr. Eph. 4, 16), destinato a fare del genere umano una società di fratelli, dall’aspetto così luminoso da orientare gli uomini, come segno e strumento, al loro destino religioso (Lumen Gentium, 1); noi, che dall’esperienza del mondo moderno, gigante meraviglioso di scienza e di potenza, ma a tratti cieco e folle su ciò che più importa, l’amore e la vita; noi, che intravediamo designarsi nei secoli passati e aprirsi al secolo nuovo più chiara, più diritta, più impellente la vocazione santificatrice e missionaria di lei, la Chiesa, e che la sentiamo impegnata a collaborare nel superamento del dislivello sociale, quasi scala, non ostacolo, che ancora separa e contrappone fra loro gli uomini a causa della diversa e spesso ingiusta fruizione del regno della terra, mentre tutti sono invitati, e più lo sono i poveri, al godimento del regno dei cieli; noi, quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa benedetta e diletta, quale?
Lo dobbiamo dire, quasi trepidanti e preganti, perché è il suo mistero, e la sua vita, voi lo sapete: lo Spirito, lo Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna (Cfr. Lumen Gentium, 5).
La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo.
La Chiesa ha bisogno d’essere tempio di Spirito Santo (Cfr. 1 Cor. 3, 16-17; 6, 19; 2 Cor. 6, 16), cioè di totale mondezza e di vita interiore; ha bisogno di risentire dentro di sé, nella muta vacuità di noi uomini moderni, tutti estroversi per l’incantesimo della vita esteriore, seducente, affascinante, corruttrice con lusinghe di falsa felicità, di risentire, diciamo, salire dal profondo della sua intima personalità, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito, che, come c’insegna S. Paolo, a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta Lui il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio (Cfr. Rom. 8, 26-27).
Ha bisogno la Chiesa di riacquistare l’ansia, il gusto, la certezza della sua verità (Cfr. Io. 16, 13), e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, anzi il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito; il Quale insegna «ogni verità» (Ibid.); e poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che a noi è stato dato» (Rom. 5, 5); e quindi, tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare un nuovo stimolo di attivismo, l’espressione nelle opere di questa carità (Cfr. Gal. 5, 6), anzi la sua pressione, il suo zelo, la sua urgenza (2 Cor. 5, 14), la testimonianza, l’apostolato.
Uomini vivi, voi giovani, e voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio, ci ascoltate? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo. Dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi-Chiesa.
Come mai si è affievolita questa pienezza interiore in tanti spiriti, che pur della Chiesa si dicono? come mai tante schiere di fedeli militanti nel nome e sotto la guida della Chiesa si sono impigrite e diradate? come mai molti si sono fatti apostoli della contestazione, della laicizzazione e della secolarizzazione, quasi pensando di dare più libero corso alle espressioni dello Spirito? o talvolta più fidando nello spirito del mondo, che in quello di Cristo? E ancora: come mai alcuni hanno allentato, anzi denunciato come catene moleste, i vincoli dell’obbedienza ecclesiale e della gelosa adesione alla comunione col ministero della Chiesa, per il pretesto di vivere secondo lo Spirito, affrancati dalle forme e dalle norme proprie delle istituzioni canoniche, di cui il corpo visibile della Chiesa pellegrina, storico ed umano, anche se mistico, deve essere compaginato? Sarebbe forse il ricorso allo Spirito Santo ed ai suoi carismi un pretesto, non forse troppo sincero, per vivere, o per credere di vivere, la religione cristiana in modo autentico, mentre chi di tale pretesto si serve, vive secondo il proprio spirito, il proprio libero esame, la propria arbitraria e spesso effimera interpretazione?
Oh! se cotesto fosse vero Spirito, non saremo noi certamente ad estinguerlo! (Thess. 5, 19) Ben sappiamo che «lo Spirito soffia dove vuole» (Io. 3, 8); e sappiamo che la Chiesa, se è esigente verso i veri fedeli per le sue stabilite osservanze, e se spesso ella si mostra cauta e diffidente verso le possibili illusioni spirituali di chi prospetta fenomeni singolari, ella è e vuol essere estremamente rispettosa delle esperienze soprannaturali concesse ad alcune anime, o dei fatti prodigiosi, che talvolta Iddio si degna miracolosamente inserire nella trama delle naturali vicende.
Ma vogliamo ancora una volta valerci dell’autorità della tradizione,espressa, com’è noto, da S. Agostino, il quale ci ricorda che«nulla deve più temere il cristiano quanto il separarsi dal corpo di Cristo. Se infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più membro di Lui; e se non membro di Lui, non è nutrito dallo Spirito di Lui (In Ev. Io. 27, 6; PL 35, 1618) «non vive dello Spirito di Cristo, se non il corpo di Cristo» (Ibid. 26, 13). Perché l’umile e fedele adesione alla Chiesa non solo non ci priva dello Spirito Santo, ma ci mette piuttosto nella migliore e sotto un certo aspetto nell’indispensabile condizione per godere personalmente e collettivamente della sua vivificante circolazione. La quale ciascuno di noi può mettere in attività. Primo con l’invocazione. Dobbiamo avere come prima «devozione» quella allo Spirito Santo (e quella alla Madonna ad essa ci porta, come a Cristo ci porta!). Secondo con il culto dello stato di grazia, si sa. E terzo con la vita tutta penetrata ed al servizio della Carità, che altro non è se non l’effusione dello Spirito Santo. Ecco: di Lui, soprattutto, ha oggi bisogno la Chiesa!
Dite dunque e sempre tutti a Lui: vieni! con la nostra Apostolica Benedizione.
dal sito:
GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 9 agosto 1989
1. La discesa dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste è il compimento definitivo del mistero pasquale di Gesù Cristo e realizzazione piena degli annunci dell’antico testamento, specialmente quelli dei profeti Geremia e Ezechiele, circa una nuova, futura alleanza che Dio avrebbe stabilito con l’uomo in Cristo e una “effusione” dello Spirito di Dio “sopra ogni uomo” (Gl 3, 1): ma essa ha anche il significato di una nuova iscrizione della legge di Dio “nel profondo” dell’“essere” umano, o come dice il profeta, nel “cuore” (cf. Ger 31, 33). Si ha così una “nuova legge”, o “legge dello Spirito”, che dobbiamo ora considerare per una più completa conoscenza del mistero del paraclito.
2. Abbiamo già messo in rilievo il fatto che l’antica alleanza tra Dio-Signore e il popolo d’Israele, costituita per mezzo della teofania del Sinai, era basata sulla legge. Al suo centro si trova il decalogo. Il Signore esorta il suo popolo all’osservanza dei comandamenti: “Se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 5-6).
Poiché quell’alleanza non fa custodita fedelmente, Dio, per il tramite dei profeti, annunzia che costituirà una alleanza nuova: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni. Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore”. Queste parole di Geremia, già riportate nella precedente catechesi, sono legate alla promessa: “Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31, 33).
3. Dunque la nuova (futura) alleanza annunciata dai profeti si doveva stabilire per mezzo di un cambiamento radicale del rapporto dell’uomo con la legge di Dio. Invece di essere una regola esterna, scritta su tavole di pietra, la legge doveva diventare, grazie all’azione dello Spirito Santo sul cuore dell’uomo, un orientamento interno, costituito “nel profondo dell’essere umano”.
Questa legge si riassume, secondo il Vangelo, nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Quando Gesù afferma che “da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22, 40), fa capire che essi erano contenuti già nell’antico testamento (cf. Dt 6, 5; Lv 19, 18). L’amore di Dio è il comandamento “più grande e primo”; l’amore del prossimo è “il secondo e simile al primo” (cf. Mt 22, 37-39), ed è anche condizione per l’osservanza del primo: “perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge”, come scriverà san Paolo (Rm 13, 8).
4. Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, essenza della nuova legge istituita da Cristo con l’insegnamento e l’esempio (fino a dare “la vita per i propri amici” [cf. Gv 15, 13]), viene “scritto” nei cuori dallo Spirito Santo. Per questo diventa la “legge dello Spirito”.
Come scrive l’Apostolo ai Corinzi: “È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori” (2 Cor 3, 3). La legge dello Spirito è dunque l’imperativo interiore dell’uomo, nel quale agisce lo Spirito Santo che diventa così maestro e guida dell’uomo dall’intimo del cuore.
5. Una legge così intesa è ben lontana da ogni forma di costrizione esterna dalla quale l’uomo sia soggiogato nei propri atti. La legge del Vangelo, contenuta nella Parola e confermata dalla vita e dalla morte di Cristo, consiste in una Rivelazione divina, che include la pienezza della verità sul bene delle azioni umane, e nello stesso tempo risana e perfeziona la libertà interiore dell’uomo, come scrive san Paolo: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8, 2). Secondo l’Apostolo, lo Spirito Santo che “dà vita”, perché per suo mezzo lo spirito dell’uomo partecipa alla vita di Dio, diventa allo stesso tempo il nuovo principio e la nuova fonte dell’agire dell’uomo: “perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito” (Rm 8, 4).
In questo insegnamento san Paolo avrebbe potuto appellarsi a Gesù stesso, che nel discorso della montagna avvertiva: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5, 17). Proprio un tale compimento, che Gesù Cristo ha dato alla legge di Dio con la sua Parola e col suo esempio, costituisce il modello del “camminare secondo lo Spirito”. In questo senso nei credenti in Cristo, partecipi del suo Spirito, esiste ed opera la “Legge dello Spirito”, da questo scritta “sulla carne dei cuori”.
6. Tutta la vita della Chiesa primitiva, come ci appare dagli Atti degli Apostoli, è una manifestazione della verità enunciata da san Paolo, secondo il quale “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5). Pur tra i limiti e i difetti degli uomini che la compongono, la comunità di Gerusalemme partecipa alla nuova vita che “viene data dallo Spirito”, vive dell’amore di Dio. Anche noi riceviamo questa vita in dono dallo Spirito Santo, il quale ci infonde l’amore – amore di Dio e del prossimo – contenuto essenziale del comandamento più grande. Così la nuova legge, impressa nei cuori degli uomini dall’amore come dono dello Spirito Santo, è in essi legge dello Spirito. Ed essa è la legge che libera, come scrive san Paolo: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8, 2).
7. Per questo la Pentecoste, in quanto è “l’effusione nei nostri cuori” dell’amore di Dio (cf. Rm 5, 5), segna l’inizio di una nuova morale umana, radicata nella “legge dello Spirito”. Questa morale è qualcosa di più della sola osservanza della legge dettata dalla ragione o dalla stessa Rivelazione. Essa deriva da una profondità maggiore e al tempo stesso giunge ad una profondità maggiore. Deriva dallo Spirito Santo e fa vivere di un amore che viene da Dio e che diventa realtà dell’esistenza umana per mezzo dello Spirito Santo “riversato nei nostri cuori”.
L’apostolo Paolo fu il più alto banditore di questa morale superiore, radicata nella “verità dello Spirito”. Lui che era stato uno zelante fariseo, buon conoscitore, meticoloso osservante e fanatico difensore della “lettera” dell’antica legge, diventato più tardi apostolo di Cristo, potrà scrivere di sé: “Dio . . . ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Cor 3, 6).