Ascensione del Signore

dal sito:
http://www.sant-agostino.it/italiano/discorsi/index2.htm
Sant’Agostino
DISCORSO 263
ASCENSIONE DEL SIGNORE
La glorificazione di Cristo nella risurrezione e nell’ascensione.
1. La glorificazione dei Signore nostro Gesù Cristo è divenuta completa con la risurrezione e l’ascensione al cielo. Abbiamo celebrato la sua risurrezione nella domenica di Pasqua, oggi celebriamo la sua ascensione. Ambedue sono per noi giorni di festa. Infatti Cristo risuscitò per darci la prova della nostra risurrezione, e ascese al cielo per proteggerci dall’alto. Il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo dunque prima fu appeso alla croce, ora siede nei cieli. Pagò il nostro riscatto quando fu appeso alla croce; ora che siede nei cieli raduna intorno a sé coloro che ha comperato. Quando avrà radunato tutti quelli che dovrà radunare attraverso i vari secoli, alla fine dei tempi verrà e, come sta scritto, Dio verrà apertamente 1; non come venne la prima volta, nel nascondimento ma, come è detto, apertamente. Per poter essere giudicato era necessario infatti che venisse nel nascondimento; per giudicare invece verrà apertamente. Se la prima volta fosse venuto apertamente chi avrebbe osato giudicarlo mentre manifestava la sua identità? Dice infatti l’apostolo Paolo: Se lo avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 2. Ma se lui non fosse stato ucciso, la morte non sarebbe morta. Il diavolo è stato vinto per mezzo del suo stesso trofeo. Esultò infatti il diavolo quando, seducendolo, fece cadere nella morte il primo uomo. Seducendolo uccise il primo uomo: uccidendo invece l’ultimo (Cristo), gli scappò dai lacci il primo.
La trappola del diavolo fu la croce del Signore.
2. La vittoria del Signore nostro Gesù Cristo fu completa dunque quando risuscitò e salì al cielo; e si compì ciò che avete ascoltato quando vi è stato letto il libro dell’Apocalisse: Ha vinto il leone della tribù di Giuda 3. È stato chiamato leone ed è stato chiamato agnello: leone per la sua potenza, agnello per la sua innocenza; leone perché invincibile, agnello perché mansueto. Questo agnello ucciso con la sua morte vinse il leone che si aggira in cerca della preda da divorare. Il diavolo infatti è stato chiamato leone per la ferocia, non per la fortezza. L’apostolo Pietro dice: È necessario che stiamo in guardia contro le tentazioni, perché il vostro avversario, il diavolo, si aggira cercando la preda da divorare 4. E dice anche come si aggira: come leone ruggente si aggira cercando la preda da divorare. Chi non sarebbe preda dei denti di questo leone, se non lo avesse vinto il leone della tribù di Giuda? Contro un leone il Leone, contro il lupo l’Agnello. Il diavolo esultò quando morì Cristo, ma con la stessa morte di Cristo il diavolo fu sconfitto: ghermì l’esca rimanendovi però intrappolato. Godeva della morte di lui, come principe della morte. Ma proprio con ciò di cui godeva gli fu tesa la trappola. La trappola del diavolo fu la croce del Signore; l’esca per prenderlo fu la morte del Signore. Ed ecco che il Signore nostro Gesù Cristo risuscitò. Dove è più la morte che pendeva dalla croce? Dove son più gli scherni dei Giudei? Dove è più l’arrogante superbia di coloro che scuotevano il capo davanti alla croce e dicevano: Se è Figlio di Dio discenda dalla croce 5? E Cristo fece anche di più di quanto essi, insultandolo, pretendevano. È più strepitoso infatti risorgere da un sepolcro che scendere da una croce.
Salga con Cristo anche il nostro cuore.
3. Quanta è la gloria nel fatto che Cristo ascese al cielo e che siede alla destra del Padre? Ma tutto ciò non possiamo vederlo con questi nostri occhi, come non abbiamo potuto vederlo pendere dalla croce né risorgere dal sepolcro. Tutto questo lo crediamo per fede, lo vediamo con gli occhi del cuore. Siamo stati lodati per il fatto che abbiamo creduto anche senza aver veduto. Infatti anche i Giudei videro Cristo. Non è grande cosa vedere Cristo con gli occhi del corpo, ma è grande cosa credere in Cristo con gli occhi del cuore. Se in questo momento Cristo si presentasse a noi e rimanesse fermo davanti a noi, in silenzio, da dove sapremmo chi è veramente? E se stesse in silenzio, a che ci servirebbe [la sua presenza]? Non è meglio che, benché assente, parli attraverso il Vangelo anziché, pur presente, stia in silenzio? E poi non è neanche assente, se lo conserviamo nel cuore. Credi in lui e lo vedrai; non sta davanti ai tuoi occhi e tuttavia il tuo cuore lo possiede. Se infatti fosse assente da noi, sarebbero menzognere le parole che ora abbiamo ascoltato: Ecco, io sono con voi sino alla fine dei tempi 6.
dal sito:
di Don Bruno Maggioni (biblista)
Quella fine che apre il cammino
Nel brano di questa domenica (16,15-20) Marco conclude l’intero suo racconto evangelico. Una conclusione che non chiude, però, il discorso, bensì lo apre. Inizia un cammino nuovo, non più del solo Gesù, ma di Gesù e della sua Chiesa. Ma quale cammino? In che direzione? Con quale modalità?
Si tratta anzitutto di un cammino universale: in tutto il mondo, a ogni creatura, dappertutto (v. 20). Ciascun uomo, dovunque sia e a qualsiasi razza appartenga, ha il diritto di sentire l’annuncio del Vangelo. Per Gesù – e per i suoi missionari – non esistono i vicini e i lontani, i primi e gli ultimi. Gesù non dice ai discepoli di iniziare la missione da Gerusalemme: li invia subito in tutto il mondo.
Il compito è quello di «predicare», un termine questo che merita una spiegazione. Non significa semplicemente tenere una istruzione o una esortazione o un sermone edificante. Il verbo «predicare» indica l’annuncio di un evento, di una notizia, non di una dottrina. Si tratta di una notizia decisiva: non è solo un’informazione, ma un appello. Tanto è vero che proprio nella sua accoglienza o nel suo rifiuto l’uomo gioca il suo destino: «sarà salvato», «sarà condannato» (v. 16). È questa un’affermazione dura, e certamente da intendere con le dovute precisazioni. Ma è pur sempre un’affermazione che non si può cancellare dal Vangelo.
Il Vangelo predicato diventa credibile e visibile dai segni che il discepolo compie. Ma deve trattarsi di segni che lasciano trasparire la potenza di Dio, non quella dell’uomo. E deve trattarsi di segni che riproducono quelli compiuti da Gesù: le stesse modalità, lo stesso stile, gli stessi scopi. Non si dimentichi, poi, che il grande segno compiuto da Gesù è stata la sua vita e la sua morte: il miracolo di una incondizionata dedizione a Dio e agli uomini.
Gesù ha terminato il suo cammino e si siede, i discepoli invece iniziano il loro cammino e partono. Gesù sale in cielo e i discepoli vanno nel mondo. Ma la partenza di Gesù non è una vera assenza, bensì un’altra modalità di presenza: «Il Signore operava insieme con loro e dava fondamento alla Parola» (16,20).
Un’ultima osservazione: Gesù (16,14) «rimproverò i discepoli per la loro incredulità e durezza di cuore». Rimprovera i suoi discepoli per la loro incredulità e tuttavia li invia a predicare nel mondo intero. Un contrasto sorprendente. Il discepolo viene meno ma non viene meno la fedeltà di Gesù nei suoi confronti. È per questo che il cammino della Chiesa rimane, nonostante tutto, un cammino aperto e ricco di possibilità.
du site:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090523
Sabato della VIIsettimana di Pasqua : Jn 16,23-28
Meditazione del giorno
Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), monaco, vescovo, dottore della Chiesa
Proslògion, 26
« Perché la vostra gioia sia piena »
Signore Dio mio e mio Signore, mia speranza e la gioia del mio cuore, di’ all’anima mia se la sua gioia è quella stessa gioia di cui ci hai detto per bocca del Figlio tuo: «Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena». Ho trovato infatti una gioia piena anzi più che piena, poiché il cuore, lo spirito, l’animo, tutto il mio essere è ricolmo di questa gioia, questa abbonderà ancora senza misura. Non sarà essa ad entrare in coloro che si rallegrano; bensì sono loro che entreranno con tutto il loro essere in essa.
Parla, Signore! Di’ al tuo servo, nel fondo del suo cuore, se la gioia che prova è quella gioia nella quale entreranno coloro che prenderanno parte alla gioia del loro maestro (Mt 25,31). Ma questa gioia, di cui gioiranno i tuoi servi, «occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo» (1 Cor 2,9) Ti prego dunque, o Dio, fa’ che io ti conosca, ti ami per godere di te.
E se non lo posso pienamente in questa vita, che io avanzi almeno di giorno in giorno fino a quando giunga alla pienezza. Cresca qui la mia conoscenza di te e diventi piena nell’altra vita. Cresca il tuo amore e un giorno divenga perfetto, perché la mia gioia sia grande qui nella speranza e completa mediante il possesso definitivo nel futuro. Signore, per mezzo di tuo Figlio comandi, anzi consigli, di chiedere, e prometti che otterremo perché la nostra gioia sia piena… Io chiedo, o Signore, possa io ricevere ciò che prometti. Ne abbia fame l’anima mia, fino a quando io non entri nella gioia del mio Signore.
L’Eglise Sainte Marie à Mont Saint Aignan a une grande dévotion envers Sainte Rita, avocate des causes désespérées
dal sito:
http://blog.messainlatino.it/2009/05/aeterne-rex-altissimi-gli-inni-per.html
ASCENSIONE – INNO DEL MATTUTINO
Aeterne Rex altissime,
Redemptor et fidelium,
Cui mors perempta detulit
Summæ triumphum gloriæ.
Ascendis orbes siderum,
Quo te vocabat cœlitus
Collata, non humantius,
Rerum potestas omnium.
Ut trina rerum machina,
Cœlestium, terrestrium,
Et inferorum condita,
Flectat genu iam subdita.
Tremunt videntes Angeli
Versam vicem mortalium:
Peccat caro, mundat caro,
Regnat Deus Dei caro.
Sis ipse nostrum gaudium,
Manens olympo præmium,
Mundi regis qui fabricam,
Mundana vincens gaudia.
Hinc te precantes quæsumus,
Ignosce culpis omnibus[1],
Et corda sursum subleva
Ad te superna gratia.
Ut cum repente cœperis
Clarere nube judicis,
Pœnas repellas debitas,
Reddas coronas perditas.
Iesu, tibi sit gloria,
Qui victor in cœlum redis,
Cum Patre, et almo Spiritu,
In sempiterna sæcula. Amen.
***
Eterno Re Altissimo
e Redentore dei fedeli,
a cui la morte annientataconferì
un trionfo di somma gloria
Ascendi tra le orbite delle stelle,
dove Ti chiamava, dal cielo
conferita – non dagli uomini -,
la potestà su tutte le cose[2].
In modo che il triplice marchingegno delle cose,[3]
[quelle] del cielo, della terra
e degli inferi, [da Te] creato,
si inginocchi ormai sottomesso[4].
Gli Angeli tremano, mentre vedono
la rovesciata sorte dei mortali:
pecca la carne[5], la Carne[6] apporta la purificazione,
l’Uomo-Dio[7] regna come Dio.
Sii Tu stesso il nostro gaudio,
senza cessar d’essere[8] premio [anche] per il Cielo,
Tu che governi la costruzione del mondo
E sconfiggi [la vanità de]i gaudi mondani.
Da quaggiù. supplicandoti preghiamo,
perdona le colpe tutte,
e i cuori in alto solleva
verso di Te, per massima grazia.
In modo che, quando, all’improvviso[9], darai inizio
alla manifestazione della tua gloria, assiso come
giudice sulla nube[10], Tu possa allontanare le pene
dovute[11] [e] ridonare le corone perdute.
Gesù, a Te sia gloria, che,
vincitore, torni in Cielo,
con il Padre e il Santo Spirito, peR I SECOLI
Amen
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NOTE
[1] Ignosco: “non voler conoscere > passar sopra > perdonare: qui costruito con il dativo.
[2] “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28, 18).
[3] Cioè la tripartizione del mondo: celeste, terrestre, infernale.
[4] “… nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2, 10).
[5] Qui si intende la carne di Adamo.
[6] Qui si intende la Carne di Cristo – cioè la sua completa natura umana, sacramento di salvezza.
[7] Lett: “la Carne di Dio”. Eccezionale climax, dal peccato alla divinizzazione: quella carne che pecca, Gesù la assume, la rende strumento per purificare il genere umano e la associa al suo trionfo. Gesù ha reso la carne umana sua propria, e quindi questa è la Carne di Dio
[8] Lett.: rimanendo, perdurando.
[9] “… arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa” (Mt 24, 50).
[10] Lett.: su nube di giudice; “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande” (Lc 21, 27); “ »Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo »” (At 1, 11).
[11] Per i peccati.
dal sito:
http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/05-Maggio/Santa_Rita_da_Cascia.html
22 MAGGIO : SANTA RITA DA CASCIA (1381-1457)
QUANDO L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE
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“Ogni stagione del mondo,
attraversa una notte,
e l’uomo sempre si sente,
smarrito e bambino,
sente bisogno di stelle,
segni d’amore nel cielo,
e il Signore le accende,
nel cielo lassù”.
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L’uomo quando arriva il buio della “notte” e con essa lo smarrimento, la paura e l’angoscia del pericolo della propria vita si sente insicuro e vulnerabile. La sua insicurezza e fragilità vengono a galla e spesso prendono il sopravvento su di lui. Questo capita in circostanze tragiche come la guerra, atti gravi di terrorismo con centinaia di vittime, o quando siamo toccati dalla morte di qualche nostra persona cara. Ci sentiamo bambini indifesi e fragili, che hanno bisogno di segni d’amore. Nella notte buia sono la luna e le stelle, doni del Signore, che possono darci orientamento e coraggio. Nelle crisi della vita un segno d’amore, tra gli altri, che ci può dare coraggio e forza per ricominciare, è il ricordo dei santi. Anch’essi doni del Signore, anch’essi segni visibili del suo amore e della sua sollecitudine per ciascuno di noi. Questi segni ci sono: spetta a noi ricordarli, invocarli e imitarli.
“Il Signore le accende, nel cielo lassù”: così recita l’inno a Santa Rita da Cascia citato all’inizio. Nel firmamento dei santi e delle sante della Chiesa, Rita è certamente una stella di prima grandezza. Vissuta ben sei secoli fa, ma viva ancora oggi, ricordata, invocata, pregata nei casi più disperati da migliaia di devoti non solo in Italia ma in varie parti del mondo.
Anni fa è stato fatto un sondaggio in Italia per sapere chi erano i santi e le sante più “famosi”. Tra i primi risultarono San Francesco, Sant’Antonio e San Giovanni Bosco. Tra le colleghe sante invece la prima della lista risultò proprio santa Rita da Cascia. Come si vede il tempo logora tutto ma non il ricordo di questa santa italiana. I suoi devoti, meglio sarebbe dire le sue devote perché sono le donne che sentono una devozione particolare per lei, sono tra i più attivi e convinti specialmente durante i pellegrinaggi non solo al santuario di Cascia ma in altri sparsi in Italia e all’estero. A Torino, per esempio, ce n’è uno, molto bello e molto frequentato.
Un amore più grande di ogni difficoltà
Non è facile tracciare un profilo storico di santa Rita. Ci sono molti punti oscuri, e spesso le notizie di una certa attendibilità si mescolano alle leggende, che si formarono durante i secoli in diverse stratificazioni. Rita (Mancini era il suo cognome) nacque a Roccaporena vicino a Cascia verso il 1381 da genitori ormai anziani e senza figli. Fin da fanciulla si distinse per la sua bontà, laboriosità e pietà. Arrivata all’adolescenza Rita voleva farsi monaca, ma i genitori si opposero e la fecero maritare. Il prescelto si chiamava Paolo di Ferdinando. Non era proprio farina da fare ostie: impetuoso e aggressivo, arrogante e senza riguardo per nessuno, era riuscito senza troppi sforzi a farsi molti nemici.
In casa, Rita ne dovette subire subito la violenza e l’aggressività. Ma lei non si dette mai per vinta, nella speranza di poterlo ammansire e “convertire” a maniere più gentili, prima o poi. La sua pazienza, bontà, mansuetudine, preghiera ed eroica capacità di sopportazione alla fine vinsero. Dopo ben 18 lunghi, dolorosi anni. Quando sembrava tutto impossibile, il possibile divenne realtà. E arrivò la sospiratissima conversione del marito. Un vero “miracolo” visto il soggetto in questione. Ma la sua conversione non significava automaticamente anche il perdono da parte dei nemici che lui si era fatto in quegli anni e la cancellazione dei torti subiti. Questi, una notte, su una strada buia regolarono il conto finale: lo assalirono e lo uccisero. Rita dovette così affrontare anche il dolore di questa morte tragica. Lei perdonò gli assassini del marito, ma non altrettanto fecero i due figli, che ancora adolescenti giurarono vendetta. Rita insomma non riuscì a convincerli al perdono. Si narra che pregò Dio di impedire che si macchiassero di questo delitto rischiando così l’inferno, e se era necessario di toglierli dal mondo…
Non si è certi che questa fu la preghiera di Rita nei riguardi dei suoi due figli smaniosi di vendetta. È certo però che morirono non molto tempo dopo, probabilmente per qualche malattia. Caso non infrequente allora. Così Rita libera da legami familiari poteva coronare il sogno di farsi monaca. Ma all’inizio le porte del monastero di Cascia rimasero chiuse perché non fu accettata.
Durante questo periodo, ormai vedova e sola in casa, una volta ritornando da una visita ad una ammalata incontrò sul ciglio della strada una donna sfinita e lacera, distesa sulla neve. Veniva da Spoleto da dove era fuggita per salvarsi dai maltrattamenti del marito. Era anche stata aggredita e derubata dai ladri. Rita la portò a casa sua, e le donò l’unica veste che aveva. La persuase poi a tornare dal marito, di cui le assicurò la conversione. Questo spiega la particolare devozione che hanno le donne che patiscono ingiustizie e maltrattamenti di vario genere nell’ambito familiare, ma non vogliono lo stesso rompere il vincolo matrimoniale. Forse proprio per la storia personale Santa Rita è considerata la migliore avvocata e confidente di queste donne in difficoltà.
Le sue preghiere incessanti alla fine vinsero e Rita entrò nel monastero di Cascia, intitolato a Santa Maddalena (che oggi si chiama di Santa Rita). “Nel monastero visse per quarant’anni alternando la preghiera e la contemplazione a visite a malati e lebbrosi, e cercando spesso di pacificare le fazioni che si combattevano nella cittadina umbra. Ma il cuore della sua giornata erano la preghiera e la meditazione della Passione di Cristo. Finché un giorno, mentre era in contemplazione estatica davanti al Crocefisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte e produrle una profonda piaga purulenta e fetida, costringendola ad una perenne segregazione: era il 1432. Soltanto in occasione di un pellegrinaggio a Roma per perorare la causa di canonizzazione di san Nicola da Tolentino ottenne che la ferita si rimarginasse temporaneamente. Ormai l’immedesimazione alla Croce di Cristo era totale, e in croce visse gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche e dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dalla pratica dei flagelli…” (A. Cattabani).
“Tucta allui se diete”
Alla santa di Cascia viene associato un fiore in particolare: la rosa. È il simbolo della devozione a lei. Perché? Si narra che una cugina le fece visita, e Rita, ormai morente, espresse un ultimo desiderio: una rosa dal giardino che aveva lasciato. Si era d’inverno. La parente ubbidì, andò e trovò nell’orto coperto di neve una rosa fiorita. Gliela portò e Rita tutta felice la regalò al suo Crocefisso.
Quando morì, il 22 maggio 1447, ci fu un scampanio “spontaneo” cioè miracoloso di tutte le campane del paese. Cominciava così dal cielo l’attività taumaturgica di santa Rita.
Venne dichiarata santa da Leone XIII nel 1900, prima donna ad essere dichiarata tale nel Grande Giubileo di inizio del ventesimo secolo.
Nel primo centenario di questa canonizzazione, durante il Giubileo del 2000 davanti ad una grande folla di devoti della santa in Piazza San Pietro Giovanni Paolo II si chiedeva: “Ma quale è il messaggio che questa santa ci lascia? È un messaggio che emerge dalla sua vita: umiltà e obbedienza sono state la via sulla quale Rita ha camminato verso un’assimilazione sempre più perfetta al Crocefisso. La stigmate che brilla sulla sua fronte è l’autenticazione della sua maturità cristiana. Sulla Croce con Gesù, ella si è in un certo senso laureata in quell’amore, che aveva già conosciuto ed espresso in modo eroico tra le mura di casa e nella partecipazione alle vicende della sua città” cioè cercando di portare pace fra le varie fazioni contrapposte e in lotta fra loro.
Mentre nei primi testi agiografici si sottolineava la vita di Rita nel monastero, cioè la sua vita di religiosa. Dopo la canonizzazione si è insistito, per una precisa scelta pastorale di quegli anni e che vale ancora oggi, sulla prima parte: si mise in risalto la Rita moglie e madre, che a costo di grandi sacrifici e sofferenze personali tiene unita la famiglia e riafferma l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Il culto a santa Rita non ha mai conosciuto crisi, anche durante il ventennio fascista. Subito dopo la II Guerra Mondiale venne esaltata come eroina contro il divorzio. “Ma anche oggi il suo culto conosce un grande successo, dal momento che questa devozione sembra fornire una risposta ed un conforto alle fatiche e alle tensioni sopportate da un vasto strato – soprattutto femminile – della popolazione” (L. Scaraffia).
Giovanni Paolo II disse ancora: “La santa di Cascia appartiene alla grande schiera delle donne cristiane che «hanno avuto significativa incidenza sulla vita della Chiesa, come anche su quella della società». Rita ha bene interpretato il «genio femminile»: l’ha vissuto intensamente sia nella maternità fisica che in quella spirituale”. Forse la migliore definizione della santità di Rita da Cascia la troviamo nella iscrizione che è stata posta sull’urna contenente i suoi resti mortali: “Tucta allui se diete”. “Si diede tutta a Lui” cioè a Cristo, anche nel momento della crocifissione, che è la cosa più difficile.
MARIO SCUDU SDB
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090522
Venerdì della VI settimana di Pasqua : Jn 16,20-23
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorsi sul vangelo di Giovanni, n° 101
« Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà »
Il Signore ha detto : «Ancora un poco e non mi vedrete più, e un altro poco e mi vedrete» (Gv 16,16). E’ breve infatti tutto questo spazio in cui si svolge il tempo presente; per cui il medesimo evangelista nella sua lettera dice: «E’ l’ultima ora» (1 Gv 2, 18)… Queste parole sono una promessa per tutta la Chiesa, così come lo sono le altre: «Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Il Signore non ritarda il compimento della sua promessa: ancora un poco e lo vedremo, lassù dove non avremo più nulla da chiedergli, più nessuna domanda da fargli, perché non rimarrà alcun desiderio insoddisfatto, nulla di nascosto da cercare.
Questo breve intervallo di tempo a noi sembra lungo, perché dura ancora; allorché sarà finito, ci accorgeremo quanto sia stato breve. La nostra gioia, quindi, non sia come quella del mondo, il quale, come dice il Signore, «godrà»; tuttavia nel travaglio di questo desiderio, non dobbiamo essere tristi senza gioia, ma, come dice l’apostolo Paolo, dobbiamo essere «gioiosi nella speranza, pazienti nella tribolazione» (Rm 12, 12). Del resto, anche la donna in travaglio, alla quale siamo paragonati, gioisce per il bambino che attende più di quanto non sia triste per il suo dolore presente.