buona notte

dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090514
San Mattia apostolo, festa : Jn 15,9-17
Meditazione del giorno
Tertulliano (155? – 220?), teologo
De praescriptione, 20-21 : CCL 1, 201-203
« Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi »
Cristo Gesù, Signore nostro, per tutto il tempo che visse sulla terra manifestò chi egli era, chi era stato, qual era la volontà del Padre. Questa rivelazione la fece apertamente al popolo e separatamente ai discepoli, fra i quali scelse i Dodici, come partecipi del suo magistero universale. Perciò, escluso uno di loro, sul punto di ritornare al Padre, dopo la risurrezione, ordinò agli altri Undici di andare e di ammaestrare le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).
Gli apostoli – il cui nome significa « mandati » – sorteggiarono come dodicesimo del loro gruppo Mattia al posto di Giuda e ciò in ossequio all’autorità profetica del salmo di Davide (108, 8). Avendo ricevuto, secondo la promessa, lo Spirito Santo che doveva renderli capaci di fare i miracoli e predicare, testimoniarono la fede in Gesù Cristo prima in Giudea e poi in tutto il mondo, istituendo ovunque chiese particolari. Ovunque fecero risuonare il medesimo insegnamento e annunziarono la medesima fede…
Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere. Perciò, ogni dottrina che si accordi con queste chiese apostoliche, madri e fonti della fede, deve essere ritenuta vera in quanto contiene ciò che le chiese hanno ricevuto dagli apostoli, gli apostoli da Cristo, e Cristo da Dio.
Pope Benedict XVI arrives to lead a mass outside the Church of the Nativity, the site revered as the birthplace of Jesus, in Manger Square in the West Bank town of Bethlehem May 13, 2009. Pope Benedict went to the West Bank on Wednesday, offering Vatican support for a Palestinian state alongside Israel and his prayers for an end to Israel’s embargo on the Gaza Strip.
REUTERS/Osservatore Romano (WEST BANK POLITICS RELIGION)
dal sito:
http://www.30giorni.it/it/articolo_stampa.asp?id=9892
«È impossibile essere fedeli alla Scrittura e non prendere sul serio Maria»
di René Laurentin
Un commento alla Dichiarazione comune della Commissione internazionale anglicano-cattolica (Arcic)
Maria: grazia e speranza in Cristo
La Vergine Maria ha avuto un posto davvero trionfale nella Chiesa, sotto la spinta del Movimento mariano (1600-1958) – pur in presenza di esagerazioni e talvolta deviazioni –, fino alla fine del pontificato di Pio XII; mentre è ritornata a occupare un rango meno elevato nella Chiesa a causa della legittima preoccupazione di non fare ombra all’ecumenismo, ma anche per reazione contro le enfatizzazioni e gli oltranzismi del già nominato Movimento mariano, e più ancora a causa del trionfo postconciliare dello spirito critico in teologia e nella catechesi.
Gli sforzi di Giovanni Paolo II per ridare un posto più elevato a Maria, per obbligare le università a istituire di nuovo un insegnamento mariologico istituzionale (cosa che non accade né spesso né bene, in genere) e finanche per mettere in risalto il segreto di Fatima, non hanno avuto che un’eco limitata nel contrastare tale retrocessione.
Ecco perché 30Giorni giustamente mi chiede un articolo sulla Dichiarazione comune della Commissione internazionale anglicano-cattolica (Arcic), del 16 maggio 2005, su Maria: grazia e speranza in Cristo. Che non solo conferma l’accordo su Maria Vergine e Madre di Dio, ma anche la fondatezza dei due dogmi pontifici sull’Immacolata Concezione (Pio IX, 8 dicembre 1854) e sull’Assunzione (Pio XII, 1° novembre 1950).
Questo accordo deve essere collocato all’interno del dialogo drammaticamente movimentato tra anglicani e cattolici.
L’origine dello scisma
Nel XIV secolo, per l’azione svolta da Wyclif e dagli eretici Lollardi, il Parlamento inglese aveva limitato la dipendenza dell’Inghilterra dal papato di Roma. Ma è per ragioni personali legate al problema del suo divorzio che re Enrico VIII proclamò la sua supremazia sulla Chiesa di Inghilterra (1534), supremazia che fu posta in atto grazie all’opera di Thomas Cromwell, vicario generale, con i “Dieci articoli” (1536), confessione di fede ispirata alla riforma luterana. Sotto Edoardo VI (1547-1553) fu pubblicato nel 1552 il Book of common prayer e la Chiesa di Inghilterra prese la sua forma definitiva. Si trattò quindi di un’iniziativa insulare e personale dei sovrani, preoccupati di controllare la Chiesa, che dette luogo a una religione di Stato, a imitazione dei protestanti.
Si trattò quindi di uno scisma, e non di un’eresia, nonostante lo scisma si fosse appoggiato sul montante protestantesimo luterano e poi calvinista, e si fosse progressivamente radicalizzato. Era uno scisma artificiale, perché la struttura e la preghiera essenziale della Chiesa (la Lex orandi) in Inghilterra sussistevano nella formalità di una fede cattolica.
Un progetto di unione
È la constatazione che lucidamente aveva fatto il cardinal Mercier, prima e dopo la guerra del 1914-1918. Essendo l’ecumenismo nell’aria presso i protestanti, con la creazione progressiva del Consiglio ecumenico delle Chiese, egli tentò di reintegrare la Chiesa di Inghilterra nella Chiesa cattolica, attraverso contatti assidui, cordiali e profondi con lord Halifax.
Roma, allora, dell’ecumenismo non si preoccupava; si temevano compromessi, e la Santa Sede pubblicò ufficialmente la dichiarazione che le ordinazioni della Chiesa di Inghilterra erano invalide, inficiate da una delle prime ordinazioni di vescovi, fatta indipendentemente da Roma.
Fu uno choc non solo nella Chiesa di Inghilterra, ma anche per tutta la nazione inglese e per la Corona. Una battuta d’arresto che vanificò il dialogo in corso.
Lord Halifax e altri rappresentanti anglicani erano allora a Malines, al capezzale del moribondo cardinal Mercier. Erano là quando il cardinale fece celebrare davanti a loro una messa privata, “la messa di Maria mediatrice” che aveva ottenuto come privilegio da Roma. Perché nel suo pensiero la priorità dell’ecumenismo non era separata dalla sua priorità spirituale per la Vergine Maria. Questa profonda alleanza tra l’ecumenismo e Maria, madre dell’unità, doveva essere menzionata come un segno delle grandi intenzioni e delle grandi iniziative per l’unità tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Inghilterra che, purtroppo, non hanno avuto fortuna.
Se la dichiarazione di Roma circa l’invalidità delle ordinazioni fu un freno duraturo contro l’unione, ha portato almeno questo beneficio: che i vescovi anglicani, preoccupati della constatazione della Santa Sede fondata su documenti storici, si sono progressivamente organizzati per assicurare alle loro ordinazioni vescovi validi, benché scismatici. Non gli ortodossi, che avrebbero rifiutato un tale “compromesso”, ma i “vecchi cattolici” d’Olanda. Molti vescovi anglicani oggi fanno rilevare, per lo meno nei loro contatti con cattolici e ortodossi, che la loro ordinazione a rigore è validata dal massiccio numero di recenti ordinazioni con partecipazione di vescovi validi secondo la tradizione cattolica.
Nonostante questa interruzione del progetto Mercier, il dialogo riprese, nell’ambito del rilancio ecumenico operato da Giovanni XXIII fin dall’inizio del suo pontificato.
Ma gli anglicani, peraltro fedeli alla tradizione, si lasciarono irretire, dalle correnti femministe, a promuovere l’ordinazione delle donne come preti e vescovi. Questa decisione della Comunione anglicana crea l’ostacolo più grave, e più difficilmente superabile, alla speranza dell’unione, dopo l’esclusione più netta che mai dell’ordinazione delle donne formulata da Giovanni Paolo II. Cosa esclusa anche dalla tradizione apostolica della Chiesa ortodossa.
La situazione è peggiorata ancora nel 2003 in seguito all’approvazione da parte della Chiesa episcopaliana (anglicana) degli Stati Uniti della consacrazione di un vescovo omosessuale. La Santa Sede fu obbligata a «mettere in mora» la pubblicazione di una «dichiarazione comune di fede» tra le due Chiese, pur «impegnandosi a continuare il dialogo».
La pubblicazione del rapporto sulla Vergine Maria conferma allora che i ponti, gravemente danneggiati, non sono del tutto tagliati, anche se l’estendersi dell’omosessualità ostentata presso sacerdoti e vescovi episcopaliani, e le ordinazioni di donne costituiscono un problema permanente (soprattutto in America).
Un accordo importante
Fare il resoconto del recente documento sarebbe troppo lungo. Ne sottolineiamo alcuni aspetti.
Esso testimonia una considerazione positiva e addirittura una devozione fervente verso Maria. L’accordo attinge «dalla Scrittura e dalla comune tradizione che precede la Riforma e la Controriforma» (XVI secolo). Scrittura e tradizione sono la costante del documento: «È impossibile essere fedeli alla Scrittura e non prendere sul serio Maria».
Seguendo il Vangelo di Luca, nella Dichiarazione congiunta si legge: «L’annunciazione e la visita a Elisabetta sottolineano che Maria è in maniera unica la destinazione dell’elezione e della grazia di Dio».
Il nuovo nome dato a Maria (in greco Kecharitoméne), implica «una primigenia santificazione da parte della grazia divina». È un notevole commento, aperto all’Immacolata Concezione.
Il documento si fonda costantemente sulla concezione verginale di Gesù espressa secondo Matteo e Luca in termini molto diversi, ma perfettamente convergenti e ancor più significativi. «Il concepimento verginale può apparire in primo luogo come un’assenza, cioè l’assenza di un padre umano. Tuttavia, in realtà, è un segno della presenza e dell’opera dello Spirito [...]. Per i credenti cristiani, è un segno eloquente della figliolanza divina di Cristo e della vita nuova attraverso lo Spirito».
Secondo il documento, quindi, la concezione verginale di Gesù è insieme un dato fondamentale della Rivelazione e un segno ricco di conseguenze per la nostra vita, così come è stato sviluppato dai Padri della Chiesa, per i quali la Madre di Dio non poteva che essere vergine e solo una vergine poteva essere Madre di Dio.
Alcuni teologi e scrittori francesi hanno contestato con vigore e insistenza la verginità perpetua di Maria, facendone una madre di famiglia di tanti bambini, con una forzatura e deformazione dei testi biblici. L’accordo con gli anglicani professa che Maria è «rimasta sempre vergine. Nella loro [di anglicani e cattolici] riflessione la verginità è compresa non solo in termini di integrità fisica, ma come una disposizione interiore di apertura, obbedienza e fedeltà unanime a Cristo, che informa di sé la sequela cristiana e produce una ricchezza di frutti spirituali». Questa è proprio la problematica, purtroppo incompresa, dei Padri della Chiesa.
L’accordo dell’Arcic cita poi «il ruolo di Maria nella redenzione dell’umanità […]. Lei [«nuova Eva», precisa il testo] è associata al suo Figlio nella vittoria sull’antico nemico. [...] L’obbedienza della Vergine Maria apre la strada alla salvezza».
Si può dunque andare assai lontano con gli anglicani, se si evita il titolo, discusso anche fra i cattolici, di “corredentrice”. Giovanni XXIII aveva chiesto con discrezione alla Commissione dottrinale del Concilio, alla quale io partecipavo come esperto, di non usare questa parola.
L’accordo verte anche sul posto di Maria nel culto. Vi si dice così: «A seguito [...] dei Concili di Efeso e di Calcedonia [...], si stabilì gradualmente una tradizione di preghiera con Maria e di lode a Maria. Dal IV secolo, specie in Oriente, essa è stata associata con la richiesta della sua protezione». Cosa che resta in uso nella Chiesa anglicana di oggi.
Fare il resoconto del recente documento sarebbe troppo lungo. Testimonia una considerazione positiva e addirittura una devozione fervente verso Maria. L’accordo attinge «dalla Scrittura e dalla comune tradizione che precede la Riforma e la Controriforma» (XVI secolo). Scrittura e tradizione sono la costante del documento: «È impossibile essere fedeli alla Scrittura e non prendere sul serio Maria». Seguendo il Vangelo di Luca, nella Dichiarazione congiunta si legge: «L’annunciazione e la visita a Elisabetta sottolineano che Maria è in maniera unica la destinazione dell’elezione e della grazia di Dio»
Vi si accettano anche «le feste in suo onore». Si ammette anche la legittimità della festa della Concezione di Maria creata in Oriente nel VII secolo e adottata nelle isole britanniche fin dal secolo XI.
Vi si riconosce l’intercessione di Maria e la «sua presenza» nella vita della Chiesa, pur ammettendo le esagerazioni del Medioevo che, in maniera ambigua, chiamò Maria “mediatrice presso Cristo mediatore”; vi si sottolinea con il Concilio Vaticano II che Cristo è il solo mediatore e che Maria è mediatrice solo «in Cristo», come ha scritto Giovanni Paolo II riprendendo la formula ammessa prima del Concilio, nel 1950, dal luterano tedesco Hans Asmulsen, come avevo avuto modo di notare fin da prima del Concilio, nel mio Court traité sur la Vierge Marie.
Vi si data la fede nell’intercessione di Maria a partire dal Concilio di Efeso (431) e si cita l’Ave Maria, di cui si nota la diffusione nel V secolo, riconoscendo che «i riformatori inglesi hanno criticato questa invocazione e altre simili forme di preghiera, perché credevano che mettessero in discussione l’unica mediazione di Gesù Cristo». L’accordo dunque su questo punto segna una tappa positiva. Si sottolinea poi che il Concilio Vaticano II ha avallato la pratica ininterrotta dei credenti che chiedono a Maria di pregare per loro dal momento che «la funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo (Lumen gentium 60)».
Tale positivo apprezzamento merita di essere citato. Uno degli ultimi paragrafi (p. 34) è intitolato: “Intercessione e mediazione nella comunione dei santi”.
Accordo sull’origine immacolata e sull’assunzione di Maria
La cosa nuova e notevole è l’accordo, limitato ma sostanziale e positivo, sulle due definizioni pontificie sulla Vergine Maria (1854 e 1950), tanto contestate non solo dalla Riforma, ma anche dagli ortodossi.
Nel centocinquantesimo anniversario della definizione di Pio IX sull’origine immacolata di Maria, il documento sottolinea che Maria ha avuto «bisogno di Gesù Cristo». Un punto che era essenziale e fondamentale per Pio IX, perché egli non ha definito solo la purezza originale di Maria. Ha dichiarato anche che Maria è stata proprio riscattata per preservazione (contro coloro che pensano che questo privilegio fosse dovuto alla nuova Eva, in quanto appartenente alla prima creazione e così sottratta alla discendenza di Adamo).
Il documento riconosce anche la fondatezza della definizione laconica di Pio XII, perché si è preoccupato di attenersi all’essenziale. Non ha voluto definire la morte di Maria, ma soltanto che «fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».
Gli anglicani riconoscono che questa è una formulazione armoniosa della fede comune, perché, essendo tutti i cristiani chiamati alla Resurrezione, nulla impedisce che questa promessa sia già realizzata per colei che ha generato corporalmente Cristo resuscitato (mentre per esempio Karl Rahner voleva estendere questo privilegio a tutti i cristiani a differenza di Schillebeeckx).
La fede formulata nell’accordo è per noi allora pienamente comune, con la seguente differenza: il problema che queste due definizioni pongono agli anglicani è che esse sono per i cattolici un dogma di fede. Essi credono volentieri la stessa cosa come una giusta interpretazione della fede, ma non come un obbligo imposto dalla Rivelazione, perché queste due dottrine non sono esplicite nella Scrittura. Alcuni cattolici, d’altra parte si dicono imbarazzati a giustificarle biblicamente, senza che per questo si muova loro alcun rimprovero. Da parte mia ho dimostrato, con una lettura penetrante ma rigorosa della Scrittura, che queste due dottrine sono non solo implicitamente ma formalmente presenti nella Scrittura.
«Tuttavia», continua la Dichiarazione, «nella comprensione cattolica, così come si esprime in queste due definizioni, la proclamazione di un dato insegnamento come dogma comporta che l’insegnamento in questione venga considerato “divinamente rivelato” e pertanto da credere “fermamente e inviolabilmente” da parte di tutti i fedeli». Ciò pone un problema agli anglicani, come ad altre confessioni cristiane. Si chiedono se siano necessarie queste espressioni di rigore. Essi aderiscono senza difficoltà alle due dottrine così come sono espresse nella costituzione dogmatica Lumen gentium, secondo una formulazione meno giuridica, e secondo la dottrina della costituzione dogmatica Dei Verbum sulla Scrittura definita come testimonianza.
Si legge ancora nella Dichiarazione: «Gli anglicani hanno domandato se tra le condizioni di un futuro ristabilimento della piena comunione sarà loro richiesto di accettare le definizioni del 1854 e del 1950. I cattolici giudicano difficile immaginare un ristabilimento della comunione nel quale l’accettazione di determinate dottrine sarebbe richiesta agli uni e non agli altri. Nell’affrontare questi problemi, siamo stati memori del fatto che “una conseguenza della nostra separazione è stata la tendenza sia degli anglicani sia dei cattolici di esagerare l’importanza dei dogmi mariani in sé, a spese di altre verità più strettamente correlate con i fondamenti della fede cattolica” (Autorità nella Chiesa II, n. 30). Gli anglicani e i cattolici concordano sul fatto che le dottrine dell’assunzione e dell’immacolata concezione di Maria devono essere comprese alla luce di una verità più centrale, quella della sua identità di Theotokos, che a sua volta dipende dalla fede nell’incarnazione».
Secondo l’accordo cattolico-anglicano abbiamo integralmente la stessa fede riguardo alla Vergine Maria, ma occorrerebbe che quelle verità definite dopo la separazione fossero presentate in un contesto meno giuridico, conformemente alle puntualizzazioni del Vaticano II, più attente all’unità della fede e alla gerarchia dei dogmi.
«Di contro, gli anglicani dovrebbero accettare che quelle definizioni sono una legittima espressione della fede cattolica, e devono essere rispettate come tali, anche se da loro formulazioni del genere non sono state utilizzate. Vi sono, negli accordi ecumenici, esempi in cui ciò che uno dei partner ha definito de fide può essere espresso dall’altro partner in modo diverso, come ad esempio nella Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa assira dell’Oriente (1994) o nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione tra la Chiesa cattolica romana e la Federazione luterana mondiale (1999)». In conclusione, i firmatari dell’accordo pensano di non aver solo negoziato una conciliazione o un riavvicinamento, ma di aver «illuminato in modo nuovo il posto di Maria nell’economia della speranza e della grazia».
Sono le ultime parole: «La nostra speranza è che, mentre condividiamo quel solo Spirito dal quale Maria è stata preparata e santificata per la sua singolare vocazione, possiamo partecipare insieme a lei e a tutti i santi all’incessante lode di Dio».
L’accordo spirituale e dottrinale anglicano-cattolico su Maria va più lontano di quanto si poteva immaginare, pur con le rigidità e al di là degli alti e bassi e degli impacci ecumenici di cui si è parlato e delle loro conseguenze per quella piena comunione che già il cardinal Mercier aveva ragione a voler realizzare, secondo il nostro desiderio comune che è anche la volontà di Gesù Cristo: «Che siano una sola cosa come il Padre e io siamo una sola cosa» (Gv 17, 21).
dal sito:
http://www.zenit.org/article-18245?l=italian
L’uomo non è “grumo di materia”, ma cifra dell’infinito
Omelia del Cardinale Bagnasco per i funerali di don Gianni Baget Bozzo
di Antonio Gaspari
GENOVA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Nel corso dell’omelia della Messa d’esequie per don Gianni Baget Bozzo, svoltasi a Genova lunedì 11 maggio, il Cardinale Angelo Bagnasco ha spiegato che l’umanità non è un mero “grumo di materia” destinata solo a morire, ma al contrario una grandezza incompiuta il cui fine è la felicità.
Secondo l’Arcivescovo di Genova, “il secolarismo diffuso spinge a vivere come se Dio non ci fosse e tutto si riducesse alla vita terrena. Come se l’esistenza fosse solo una rapida sequenza di giorni, un’ inarrestabile corsa verso il nulla. Come se la morte – come affermava Nietzsche – fosse la nostra ‘cupa compagna di viaggio’ ».
“Tutto allora si appiattisce sull’immediato, su ciò che risponde e soddisfa interessi e bisogni senza futuro”, ha aggiunto.
“Se l’uomo è un grumo di materia organica solo un po’ più sviluppata – ha continuato il porporato –, se non siamo anche anima, allora non esiste futuro, vita eterna, infinito. Allora ognuno è prigioniero di se stesso, chiuso nel mondo angusto del suo piccolo e fuggevole presente, dove i valori dell’amore fino al sacrificio di sé difficilmente trovano fondamento e linfa rinnovatrice”.
“In sostanza – ha sottolineato il porporato –, senza l’anima l’uomo è una ‘passione inutile’”.
“La fede invece, ma anche la ragionevolezza e l’esperienza universale – ha ribadito –, dicono che l’uomo è una grandezza incompiuta, e quindi desiderio e apertura oltre se stesso, verso una cifra che, pur superando il limite della creatura, misteriosamente gli appartiene: è la cifra dell’infinito, della pienezza, della felicità senza ombre e per sempre”.
Per il Cardinale Bagnasco il Vangelo è “sorgente inesauribile di umanesimo” e ci invita a guardare avanti con fiducia, perché “la vita terrena non è un vagabondare rassegnato e mesto verso il vuoto, ma il pellegrinaggio serio e responsabile verso Dio che è Padre: nel suo grembo di verità deporremo le nostre azioni e i nostri pensieri”.
Parlando di don Gianni Baget Bozzo, l’Arcivescovo di Genova ha ricordato che è stato ordinato nel 1967, a 42 anni, dal Cardinale Giuseppe Siri che fu suo insegnante di Religione al Liceo Doria.
Don Gianni ricoprì subito incarichi di fiducia, come la direzione della rivista teologica « Renovatio », del Quadrivium, centro di attività culturali, la cattedra di teologia dogmatica nel Seminario.
“Scrittore fecondo e non banale, fu termine di confronto per molti in Italia. Il Cardinal Siri ne riconobbe da sempre le doti di intelligenza e cultura. Ma anche di fede e preghiera”.
Il Cardinale Bagnasco ha ricordato anche che “ciò non gli impedì, purtroppo, di percorrere alcune strade in palese contrasto con la disciplina della Chiesa, fino a dolorosi provvedimenti che la grande e affettuosa paternità dell’Arcivescovo dovette assumere, e che prontamente cessarono appena vennero meno alcune oggettive circostanze”.
L’Arcivescovo ha confessato che don Gianni Baget Bozzo, “spesso, recentemente, mi ha confidato il suo dolore per aver addolorato il suo Cardinale. Oggi, nella luce di Dio, tutto si chiarisce e si purifica”.
Il Cardinale Bagnasco ha quindi concluso affidando l’anima immortale di don Gianni al Signore, rammentando un tema molto caro alla meditazione di don Baget Bozzo e sul quale scrisse anche un’opera, “l’anima e la vita eterna”.