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PETRUM ET PAULUM APOSTOLOS
ESORTAZIONE APOSTOLICA DI SUA SANTITÀ
Nel XIX centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo
PAOLO PP. VI
VENERABILI FRATELLI SALUTE ED APOSTOLICA BENEDIZION
I santi Apostoli Pietro e Paolo sono giustamente considerati dai fedeli come colonne primarie non solo di questa Santa Sede Romana, ma anche di tutta la Chiesa universale del Dio vivo. Riteniamo, perciò, di fare cosa consona al Nostro ministero Apostolico esortando voi tutti, Venerabili Fratelli, a promuovere, spiritualmente a Noi uniti, ciascuno nella propria diocesi, una devota celebrazione della memoria, diciannove volte centenaria, del martirio, consumato in Roma, tanto dell’apostolo Pietro scelto da Cristo a fondamento della sua Chiesa, e primo Vescovo di quest’alma Città, quanto dell’apostolo Paolo, dottore delle Genti (Cf 1 Tm 2,7), maestro e amico della prima comunità cristiana in Roma.
La data di questa memorabile ricorrenza non può essere sicuramente fissata, in base ai documenti storici. È certo che i due apostoli furono martirizzati a Roma durante la persecuzione di Nerone, che infierì dall’anno 64 al 68. Il martirio è ricordato da san Clemente, Successore dello stesso Pietro nel governo della Chiesa Romana, nella sua lettera ai Corinzi, ai quali propone i validi esempi dei due atleti: Per invidia e per gelosia le più grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte (1 Epistula ad Corinthios, V, 1-2: ed. FUNK 1, p. 105).
Ai due Apostoli Pietro e Paolo fece corona un gran numero di persone (Cf TACITO, Annales, XV, 44) che costituisce la primizia dei martiri della Chiesa Romana, come scrive lo stesso Clemente: A questi uomini che vissero santamente si aggiunse una grande schiera di eletti, i quali, soffrendo per invidia molti oltraggi e torture, furono di bellissimo esempio a noi (Epistula ad Corinthios, VI, 1: ed. FUNK 1, p. 107).
Noi, poi, lasciando alle erudite discussioni la precisa determinazione della data del martirio dei due Apostoli, abbiamo scelto, per le celebrazioni centenarie, l’anno corrente, seguendo in ciò l’esempio del Nostro venerato Predecessore Pio IX, il quale volle solennemente ricordare nel 1867 il martirio di san Pietro.
E poiché la prima comunità cristiana di Roma esaltò insieme il martirio di Pietro e Paolo, e la Chiesa in seguito fissò la commemorazione anniversaria dell’uno e dell’altro Apostolo in un’unica festa liturgica (29 giugno), Noi abbiamo pensato di unire insieme, in questa celebrazione centenaria, il glorioso martirio dei Principi degli Apostoli.
E che Noi pure siamo tenuti a richiamare il ricordo di questo anniversario lo dice l’abitudine, ormai universalmente diffusa, di commemorare persone e fatti, che lasciarono un’impronta di sé nel corso del tempo, e che, considerati nella distanza degli anni trascorsi e nella vicinanza delle memorie superstiti, offrono a chi saggiamente li ripensa e quasi li rivive, non vane lezioni circa il valore delle cose umane, forse più palese ai posteri che oggi lo scoprono, che non ai contemporanei, che allora non sempre e non tutto lo compresero. L’educazione moderna al senso della storia a tale ripensamento facilmente ci piega, mentre il culto delle sacre tradizioni, elemento precipuo della spiritualità cattolica, stimola la memoria, accende lo spirito, suggerisce i propositi, per cui una ricorrenza anniversaria si traduce in una lieta e pia festività, infonde il desiderio della riviviscenza delle antiche venerande vicende, e apre lo sguardo sull’orizzonte del tempo passato e futuro, quasi che un disegno segreto lo unificasse e ne segnasse nella futura comunione dei santi il suo estremo destino. Questa spirituale esperienza sembra a noi doversi particolarmente effettuare mediante la rievocazione dei due sommi Apostoli Pietro e Paolo, che alla temporale mortalità pagarono col martirio per Cristo il loro umano tributo, e che dell’immortalità di Cristo trasmisero a noi e fino agli ultimi posteri sacramento perenne la Chiesa, guadagnando per sé l’eredità incorruttibile, incontaminata e inalterabile, riservata nei cieli (Cf 1 Pt 1,4).
E tanto più Ci piace commemorare con voi, Venerati Fratelli e Figli carissimi, questo anniversario, quanto maggiormente questi beati Apostoli Pietro e Paolo sono non solo Nostri, ma vostri altresì: essi sono gloria di tutta la Chiesa, perché delegati delle Chiese, gloria di Cristo (2 Cor 8,23) e da essi esce tuttora per tutta la Chiesa la voce: «Noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro» (Cf 2 Cor 1,14). Che se questo tragico e benedetto suolo romano raccolse il loro sangue e custodì, inestimabili trofei, le loro tombe, e alla Chiesa di Roma toccò l’incomparabile prerogativa di assumere e di continua re la loro specifica missione, questa non ha per fine la Chiesa locale, sì bene la Chiesa intera, consistendo principalmente quella missione nel fungere da centro della Chiesa stessa e nel dilatarne la visibile e mistica circonferenza ai confini dell’universalità; l’unità cioè e la cattolicità, che in virtù dei santi Apostoli Pietro e Paolo hanno nella Chiesa di Roma la loro precipua sede storica e locale, sono proprietà e sono note distintive di tutta la vera e grande Famiglia di Cristo, sono doni di tutto il Popolo di Dio, per il quale la viva e fedele tradizione romana li custodisce, li difende, li dispensa e li accresce.
Per questo il Nostro invito, oltre che per la nostra diletta diocesi di Roma «di cui sono i celesti patroni», è per voi tutti, che siete Successori degli Apostoli e Pastori della Chiesa universale, in quanto componenti con Noi quel Collegio episcopale, che il recente Concilio Ecumenico, con tanta ricchezza di dottrina e con tanti presagi di futuri incrementi ecclesiali, illustrò; è per voi, fedeli e ministri tutti della santa Chiesa; e così via, a Dio piacendo, per tutti i fratelli che, sebbene non ancora in piena comunione con Noi, sono tuttavia insigniti del nome cristiano, e che ben volentieri sappiamo cultori della memoria e dello spirito dei due Apostoli. In particolare ricordiamo con viva soddisfazione del Nostro animo che le venerande Chiese Orientali celebrano solennemente nelle loro liturgie i due Corifei degli Apostoli, e ne mantengono vivo il culto tra il popolo cristiano. Ci piace altresì rilevare come presso le Chiese e le Comunità Ecclesiali separate dell’Occidente sia viva l’idea dell’apostolicità, che la presente celebrazione mira a vedere sempre più perfetta ed operante, e che san Paolo esprime con quelle mirabili parole: Edificati sopra il fondamento degli apostoli (Ef 2,20).
In che cosa consiste praticamente il Nostro invito? Come insieme celebreremo il significativo anniversario? È costume di questa Sede Apostolica, quando intende rendere solenne e universale qualche singolare ricorrenza, elargire qualche beneficio spirituale (e non Ci rifiutiamo dal farlo anche in questa occasione); ma questa volta, più che donare, Ci piace domandare; più che offrire, vogliamo chiedere. E la Nostra domanda è semplice e grande: Noi vi preghiamo tutti e singoli, Fratelli e Figli Nostri, di voler celebrare la memoria dei santi Apostoli Pietro e Paolo, testimoni con la parola e col sangue della fede di Cristo, con un’autentica e sincera professione della medesima fede, quale la Chiesa da loro fondata e illustrata ha raccolto gelosamente e autorevolmente formulata. Una professione di fede vogliamo a Dio offrire, al cospetto dei beati Apostoli, individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca. Vogliamo che questa professione salga dall’intimo di ogni cuore fedele e risuoni identica e amorosa in tutta la Chiesa.
Quale migliore tributo di memoria, d’onore, di comunione potremmo offrire a Pietro e a Paolo che quello della fede stessa, che da loro abbiamo ereditata?
Voi sapete benissimo che il Padre stesso celeste rivelò a Pietro chi era Gesù: il Cristo, il Figlio del Dio vivo, il Maestro e il Salvatore da cui a noi deriva la grazia e la verità (Cf Gv 1,14), la nostra salvezza, il cuore della nostra fede; voi sapete che sulla fede di Pietro riposa tutto l’edificio della santa Chiesa (Cf Mt 16,16-19); voi sapete che quando molti abbandonavano Gesù, dopo il discorso di Cafarnao, fu Pietro che, a nome del Collegio Apostolico, proclamò la fede in Cristo Figlio di Dio (Cf Gv 6,68-69); voi sapete che Cristo medesimo si è fatto garante con la sua personale preghiera dell’indefettibilità della fede di Pietro, ed ha a lui affidato l’ufficio, nonostante le sue umane debolezze, di confermare in essa i suoi fratelli (Cf Lc 22,32); e voi anche sapete che la Chiesa vivente ha preso inizio, disceso lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, con la testimonianza della fede di Pietro (Cf At 2,32-40).
Che cosa potremmo a Pietro domandare a nostro vantaggio, a Pietro offrire a suo onore, se non la fede, donde ha origine la nostra spirituale salute, e la nostra promessa, da lui reclamata, d’essere forti nella fede? (1 Pt 5,9)
A voi è parimente noto quale assertore della fede è stato san Paolo: a lui la Chiesa deve la dottrina fondamentale della fede come principio della nostra giustificazione, cioè della nostra salvezza e dei nostri rapporti soprannaturali con Dio; a lui la prima determinazione teologica del mistero cristiano, a lui la prima analisi dell’atto di fede, a lui l’affermazione del rapporto tra la fede, unica e inequivocabile, e la consistenza della Chiesa visibile, comunitaria e gerarchica. Come non invocarlo nostro perenne maestro di fede; come non chiedere a lui la grande e sperata fortuna della reintegrazione di tutti i cristiani in un’unica fede, in un’unica speranza, in un’unica carità dell’unico Corpo Mistico di Cristo? (Cf Ef 4,4-16) E come non deporre sulla sua tomba di «Apostolo e martire» il nostro impegno di professare con coraggio apostolico, con anelito missionario, la fede, ch’egli alla Chiesa, al mondo, con la parola, con gli scritti, con l’esempio, col sangue, insegnò e trasmise?
Così che arride a Noi la speranza che la commemorazione centenaria del martirio dei santi Apostoli Pietro e Paolo si risolva principalmente per tutta la Chiesa in un grande atto di fede. E vogliamo ravvisare in questa ricorrenza la felice occasione che la divina Provvidenza appresta al Popolo di Dio per riprendere esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla. Non possiamo ignorare che di ciò l’ora presente accusa grande bisogno. È pur noto a voi, Venerati Fratelli e Figli carissimi, come, nella sua evoluzione, il mondo moderno, proteso verso mirabili conquiste nel dominio delle cose esteriori, e fiero d’una cresciuta coscienza di sé, sia incline alla dimenticanza e alla negazione di Dio, e sia poi tormentato dagli squilibri logici, morali e sociali, che la decadenza religiosa porta con sé, e si rassegni a vedere l’uomo agitato da torbide passioni e da implacabili angosce: dove manca Dio manca la ragione suprema delle cose, manca la luce prima del pensiero, manca l’indiscutibile imperativo morale, di cui l’ordine umano ha bisogno (Cf S. AGOSTINO, De civ. Dei, 8, 4: PL 41, 228-229; Contra Faustum, 20, 7: PL 43, 372).
E mentre vien meno il senso religioso fra gli uomini del nostro tempo, privando la fede del suo naturale fondamento, opinioni esegetiche o teologiche nuove, spesso mutuate da audaci, ma cieche filosofie profane, sono qua e là insinuate nel campo della dottrina cattolica, mettendo in dubbio o deformando il senso oggettivo di verità autorevolmente insegnate dalla Chiesa, e, col pretesto di adattare il pensiero religioso alla mentalità del mondo moderno, si prescinde dalla guida del magistero ecclesiastico, si dà alla speculazione teologica un indirizzo radicalmente storicistico, si osa spogliare la testimonianza della Sacra Scrittura del suo carattere storico e sacro, e si tenta di introdurre nel Popolo di Dio una mentalità cosiddetta post-conciliare, che del Concilio trascura la ferma coerenza dei suoi ampli e magnifici sviluppi dottrinali e legislativi con il tesoro di pensiero e di prassi della Chiesa, per sovvertirne lo spirito di fedeltà tradizionale e per diffondere l’illusione di dare al cristianesimo una nuova interpretazione arbitraria e isterilita. Che cosa resterebbe del contenuto della nostra fede e della virtù teologale che la professa, se questi tentativi, emancipati dal suffragio del magistero ecclesiastico, avessero a prevalere?
Ed ecco che a confortare la nostra fede nel suo autentico significato, a stimolare lo studio delle dottrine enunciate dal recente Concilio Ecumenico, e a sorreggere lo sforzo del pensiero cattolico nella ricerca di nuove e originali espressioni, fedeli tuttavia al deposito dottrinale della Chiesa, nello stesso senso e nello stesso modo di intendere (Cf VINCENZO LERINO, Commonitorium, 1, 23: PL 50, 668; D.-S. 3020), giunge sulla ruota del tempo questo anniversario Apostolico, il quale offre ad ogni figlio della santa Chiesa la felice opportunità: di dare a Gesù Cristo Figlio di Dio, Mediatore e Perfezionatore della rivelazione, l’umile e sublimante risposta: io credo, cioè il pieno assenso dell’intelletto e della volontà alla sua Parola, alla sua Persona, alla sua missione di salvezza (Cf Eb 12,2; CONC. VAT. I, Cost. dogm. de fide catholica, c. 3: DA. 3008, 3020; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 5: AAS 57 (1965), p. 7; CONC. VAT. П, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, nn. 5, 8: AAS 58 (1966), pp: 819, 821); e di onorare così quei sommi testimoni di Cristo, Pietro e Paolo, rinnovando l’impegno cristiano d’una sincera e operante professione della loro e nostra fede, e ancora pregando e lavorando per la ricomposizione di tutti i cristiani nell’unità della medesima fede.
Noi non intendiamo indire a tal fine un particolare Giubileo, quando appena è stato celebrato quello da Noi stabilito a conclusione del Concilio Ecumenico; ma fraternamente esortiamo voi tutti, Venerati Fratelli nell’Episcopato, a voler illustrare con la parola, a voler onorare con particolari solennità religiose, a voler soprattutto recitare solennemente e ripetutamente con i vostri sacerdoti e con i vostri fedeli il «Credo», in una o in altra delle formule in uso nella preghiera cattolica.
Ci piacerà sapere che il «Credo» è stato recitato espressamente, ad onore dei santi Pietro e Paolo, in ogni cattedrale, presenti il Vescovo, il Presbiterio, gli alunni dei Seminari, i Laici cattolici militanti per il regno di Cristo, i Religiosi e le Religiose, e quanto più numerosa possibile la santa assemblea dei fedeli. Analogamente faccia ogni Parrocchia per la propria comunità; e parimente ogni casa religiosa. Così suggeriamo che tale professione di fede sia, in un giorno stabilito, emessa in ogni singola casa ove dimori una famiglia cristiana, in ogni associazione cattolica, in ogni scuola cattolica, in ogni ospedale cattolico e in ogni luogo di culto, in ogni ambiente e in ogni riunione, ove la voce della fede possa esprimere e rinfrancare l’adesione sincera alla comune vocazione cristiana.
Noi rivolgiamo una particolare esortazione agli studiosi della Sacra Scrittura e della Teologia, affinché vogliano contribuire col magistero gerarchico della Chiesa a preservare la vera fede da ogni errore, ad approfondirne le insondabili profondità, a spiegarne rettamente il contenuto, a proporne i sani criteri di studio e di divulgazione. Similmente diciamo ai predicatori, ai maestri di religione, ai catechisti.
L’anno centenario commemorativo dei santi Pietro e Paolo sarà in tale modo l’anno della fede. Affinché la sua celebrazione abbia una certa simultaneità, Noi vi daremo inizio con la festa degli Apostoli medesimi, il 29 giugno prossimo venturo, e procureremo, fino allo scadere della medesima data dell’anno successivo, di renderlo fecondo di particolari commemorazioni e celebrazioni, tutte improntate al perfezionamento interiore, allo studio approfondito, alla professione religiosa, all’operosa testimonianza di quella santa fede senza la quale è impossibile piacere a Dio (Eb 1,6), e mediante la quale speriamo di raggiungere la promessa salvezza (Cf Mc 16,16; Ef 2,8; ecc.).
Dando a voi, Venerati Fratelli e diletti Figli, questo annuncio pieno di spirituali prospettive e di consolanti speranze, sicuri di avervi tutti solidali in piissima comunione, nel nome e con la potestà dei beati Apostoli e martiri Pietro e Paolo, sulle cui tombe riposa e fiorisce questa Chiesa Romana, erede, alunna e custode dell’unità e della cattolicità da loro qui per sempre incentrate e fatte scaturire, di gran cuore vi salutiamo e vi benediciamo.
Roma, presso S. Pietro, 22 febbraio, nella festa della Cattedra di san Pietro apostolo, dell’anno 1967, quarto del Nostro Pontificato.
PAOLO PP. VI