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24.6.18 NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

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24.6.18 NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Omelia (24-06-2018)
padre Ermes Ronchi
La nascita del Battista ci insegna che i figli non sono nostra proprietà

Il passaggio tra i due Testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al sacerdozio, volata via dal tempio, si sta intessendo nel ventre di due madri, Elisabetta e Maria. Dio scrive la sua storia dentro il calendario della vita, fuori dai recinti del sacro.
Zaccaria ha dubitato. Ha chiuso l’orecchio del cuore alla Parola di Dio, e da quel momento ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire. Eppure i dubbi del vecchio sacerdote (i miei difetti e i miei dubbi) non fermano l’azione di Dio. Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio… e i vicini si rallegravano con la madre.
Il bambino, figlio del miracolo, nasce come lieta trasgressione, viene alla luce come parola felice, vertice di tutte le natività del mondo: ogni nascita è profezia, ogni bambino è profeta, portatore di una parola di Dio unica, pronunciata una volta sola.
Volevano chiamare il bambino con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma i figli non sono nostri, non appartengono alla famiglia, bensì alla loro vocazione, alla profezia che devono annunciare, all’umanità; non al passato, ma al futuro.
Il sacerdote tace ed è la madre, laica, a prendere la parola. Un rivoluzionario rovesciamento delle parti. Elisabetta ha saputo ascoltare e ha l’autorevolezza per parlare: «Si chiamerà Giovanni», che significa dono di Dio (nella cultura biblica dire ?nome? è come dire l’essenza della persona).
Elisabetta sa bene che l’identità del suo bambino è di essere dono, che la vita che sente fremere, che sentirà danzare, dentro di sé viene da Dio. Che i figli non sono nostri, vengono da Dio: caduti da una stella fra le braccia della madre, portano con sé lo scintillio dell’infinito. E questa è anche l’identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è ?dono perfetto?.
E domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse… Il padre interviene, lo scrive: dono di Dio è il suo nome, e la parola torna a fiorire nella sua gola. Nel loro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appartiene ad una storia più grande. Che il segreto di tutti noi è oltre noi.
A Zaccaria si scioglie la lingua e benediceva Dio: la benedizione è un’energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall’alto e dilaga. Benedire è vivere la vita come un dono: la vita che mi hai ridato/ ora te la rendo/ nel canto (Turoldo).
Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere vita che viene da altrove, oltre a un amore diventato visibile? Cosa porterà al mondo questo bambino, dono unico che Dio ci ha consegnato e che non si ripeterà mai più?

Publié dans:feste, San Giovanni Battista |on 22 juin, 2018 |Pas de commentaires »

29 SETTEMBRE I SANTI ARCANGELI

https://it.zenit.org/articles/gli-arcangeli-rendono-palpabile-la-presenza-divina-sulla-terra/

Gli Arcangeli rendono palpabile la presenza divina sulla terra
Se invocati hanno la capacità di aiutare a discernere tra il bene e il male

29 SETTEMBRE I SANTI ARCANGELI

di Pietro Barbini

ROMA, sabato, 29 settembre 2012 (ZENIT.org) – Oggi la Chiesa celebra la festa dei Santi arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele. Gli arcangeli, figure presenti sia nell’ebraismo che nella religione islamica, sono una sorta di angeli “superiori”, non a caso collocati nelle sfere più alte delle gerarchie angeliche, attraverso i quali opera lo spirito Santo. Questi “angeli”, spesso nell’iconografia rappresentati con grandi ali e molti occhi, hanno il compito di “gestire, coordinare e distribuire” la luce divina, che loro stessi riflettono essendo in continua contemplazione del volto di Dio, e dunque, rendere percepibile l’azione salvifica del creatore sulla terra. Gli arcangeli, in sostanza, come indica lo stesso termine (composto dalle parole greche “archein”, comandare, e “anghelos”, angelo), servendosi degli angeli delle schiere inferiori, dei quali sono messi a capo, si preoccupano e dispongono che il “disegno divino” prenda concretamente forma.
L’angelologo Haziel, dopo un approfondito studio sui testi della cabala e della dottrina ebraica, riporta i nomi di 9 arcangeli (Metatron, Raziel, Binael, Hesediel, Camael, Raffaele, Haniel, Michele e Gabriele), che presidierebbero l’attività dei 9 cori celesti, più un decimo, Sandalphon, che, secondo la cabala, sarebbe preposto alla “sfera energetica” della Terra. Nonostante la Chiesa riconosca l’esistenza di migliaia di angeli, autorizza solamente il culto di Michele, Raffaele e Gabriele, in quanto sono gli unici ad essere citati esplicitamente nella Bibbia.
San Michele, infatti, è presente con molteplici nomi, “Angelo del Signore”, “Angelo dell’Eterno”, “Angelo della sua presenza”, “Angelo dell’alleanza”, solamente nella lettera di Giuda però viene definito “Arcangelo”. Tradizionalmente è considerato il capo supremo degli angeli, principe e comandante delle milizie celesti (nel libro di Giosuè si presenta come “il capo dell’esercito dell’Eterno” e nel libro di Daniele viene chiamato “il gran principe”), colui che ha sconfitto Satana e le sue schiere, precipitandole sulla terra. Il suo nome, che in ebraico significa “chi è come Dio?”, è la frase pronunciata contro gli angeli ribelli di Lucifero. Nell’Apocalisse è sempre l’arcangelo Michele a guidare gli angeli in battaglia contro il “dragone”, che simboleggia Satana; per questi fatti è considerato il sommo guerriero, protettore dei cristiani e della Chiesa, simbolo della lotta del bene contro il male, portatore della luce della conoscenza ed emblema di giustizia (nell’iconografia orientale è spesso raffigurato con in mano una bilancia, piuttosto che la spada).
Gabriele, invece, che significa “Dio è la mia Forza”, è colui che rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 8,16), annunzia a Zaccaria la nascita del Battista (Lc 1,11) e alla vergine Maria quella di Gesù (Lc 1, 26). Inoltre, secondo la tradizione, fu lui ad apparire ai pastori, annunciando la nascita del “salvatore”, e a confortare Gesù nel Getsemani. Nell’apocalisse ebraica, invece, appare come l’angelo del castigo, o della morte (definito “principe del fuoco”), mentre la tradizione islamica lo colloca a capo di tutti gli angeli (si dice abbia dettato il Corano a Maometto).
Raffaele, dall’ebraico “Dio guarisce”, accompagna e custodisce Tobia nel suo lungo viaggio, caccia i demoni dalla futura moglie Sara e guarisce il padre cieco (appare anche con gli altri 2 arcangeli per guarire Abramo); in virtù di questi fatti è considerato l’angelo guaritore e invocato contro le malattie dell’anima e del corpo, protettore dei pellegrini, dei farmacisti e dei fidanzati.
E’ interessante notare che in origine il 29 settembre veniva celebrato unicamente San Michele arcangelo, il cui culto gode di una tradizione secolare senza pari. Don Marcello Stanzione, in un suo articolo, ci fa notare come il culto di san Michele sia legato sopratutto alla grotta (spesso i santuari a lui dedicati sono stati edificati in luoghi sotterranei o in prossimità di grotte; lo stesso imperatore Costantino fece erigere in suo onore una chiesa sulla grotta della natività, mentre sua madre, sant’Elena, ne costruì una sulla grotta del Santo sepolcro), in quanto, nella teologia cristiana la grotta è da sempre messa in relazione al mistero della presenza divina (essendo il luogo natale, la tomba e dove si manifestò Cristo) e, non a caso, l’arcangelo viene considerato come l’angelo esorcista che scaccia i demoni dalle grotte dove, precedentemente, c’era il culto dei falsi dei pagani (vedi Mitra). Il martirologio romano, non a caso, in questo giorno ricorda la dedicazione della basilica di san Michele sul monte Monte sant’Angelo, considerato uno dei luoghi di culto più antichi della cristianità, la cui montagna è considerata sacra in virtù delle molte miracolose apparizioni dell’arcangelo avvenute nella grotta del Gargano.

Publié dans:ARCANGELI (GLI), feste |on 28 septembre, 2017 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II E IL CORPUS DOMINI

http://www.comunitanext.org/2012/06/giovanni-paolo-iie-il-corpus-domini/

GIOVANNI PAOLO II E IL CORPUS DOMINI

di don Mariusz Frukacz

6 giugno 2012

CZESTOCHOWA, (ZENIT.org)- Un giorno alla Solennità del Corpus Domini, una ricorrenza cui il beato Giovanni Paolo II era molto legato. Sull’argomento Zenit ha intervistato monsignor Stanislaw Nowak, arcivescovo di Czestochowa.
Eccellenza, come ricorda il giorno in cui Giovanni Paolo II ha rinnovato la tradizione della processione del Corpus Domini a Roma?
Mons. Stanislaw Nowak: Ricordo sempre quanto si parlava a Cracovia dei primi giorni del pontificato di Giovanni Paolo II e di quanto succedeva a Roma dopo l’elezione del cardinale Wojtyla sul Trono di San Pietro.
Soprattutto ricordo che si parlava tanto del fatto che Giovanni Paolo II avrebbe rinnovato la processione del Corpus Domini a Roma. Si diceva che il Santo Padre aveva voluto compiere questo gesto perché amava infinitamente questa processione, di cui era molto coinvolto anche in quanto vescovo di Cracovia.
Va detto, infatti, che, già come vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla attribuiva una grande importanza nella processione Corpus Domini in quanto “professione di fede in Dio sulla strada”, al centro della città. Aveva sofferto molto quando, ai tempi del comunismo, fu interrotta la grande tradizione di Cracovia – risalente a prima della seconda guerra mondiale – di svolgere la processione eucaristica fino alla piazza principale della città.
Il grande arcivescovo di Cracovia suo predecessore, Adam Sapieha, aveva guidato questa processione fino alla piazza principale, attraversando con il Santissimo Sacramento le strade della centro storico. Durante la dura era comunista, purtroppo, non fu possibile organizzare tutto questo: la processione aveva luogo soltanto sulla collina del castello di Wawel ed era vietato andare per le strade della città.
Da cardinale, quindi, Karol Wojtyla lottò tanto per riportare la processione del Corpus Domini per le strade.
Perché, dunque, la processione del Corpus Domini sulle strade della città è stata così importante per il cardinale Wojtyla?
Mons. Stanislaw Nowak: In Polonia esisteva la grande tradizione dei quattro altari durante la processione pubblica del Corpus Domini e come cardinale di Cracovia, il beato Wojtyla ha predicato la parola di Dio con grande attualità in ciascuno dei quattro altari.
Egli parlò di libertà, chiedendo il rispetto da parte dello Stato per le tradizioni cattoliche e del ripristino della Facoltà di Teologia a Cracovia. La processione del Corpus Domini, quindi, all’epoca di Wojtyla era, da un lato, una grande confessione di fede e, dall’altro, un richiamo alle autorità dello Stato a ristabilire la giustizia in Polonia.
Alla luce di questo, possiamo dire che esiste una relazione interessante fra il rinnovamento della processione del Corpus Domini a Roma e quella di Cracovia. Quando l’allora cardinale Karol Wojtyla fu eletto Papa, rinnovando e celebrando la prima processione a Roma, allo stesso tempo le autorità comuniste diedero il permesso cha la processione del Corpus Domini tornasse nella piazza principale di Cracovia. E questo, per noi polacchi fu una grande gioia.
*Mons. Stanislaw Nowak è nato l’11 luglio 1935 in Jeziorzany. Ordinato sacerdote il 22 giugno 1958 dall’Arcivescovo di Cracovia Eugeniusz Baziak, iniziò il ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Cracovia – come un vicario – in Choczni vicino a Wadowice, in Ludzmierz e Rogoznik Podhale.
Negli anni 1963-1979 è stato il padre spirituale del Seminario di Cracovia e, allo stesso tempo, ha proseguito gli studi specializzati in teologia negli anni dal 1967 al 1971 presso l’Istituto Cattolico di Parigi.
Dal 1971 è stato, poi, docente alla cattedra di Teologia della vita interiore della Pontificia Facoltà di Teologia a Cracovia e, dal 1981, alla Facoltà di Teologia della Pontificia Accademia di Teologia. Nei anni 1984-1992 mons. Nowak è stato il quarto ordinario vescovo della diocesi di Czestochowa e, dal 1992 è il primo Metropolita di Czestochowa.
Durante i miei studi a Roma ho potuto partecipare per tre volte alla processione del Corpus Domini, guidata da Giovanni Paolo II, negli anni 2001-2003, dunque nell’ultimo periodo del suo grande Pontificato.
Il Santo Padre era già un uomo che aveva patito molte sofferenze; allo stesso tempo, però, era un uomo di straordinaria forza spirituale, e per questo posso dire che, durante la processione del Corpus Domini, il beato Wojtyla ha dato una grande testimonianza dell’amore di Cristo presente nel Santissimo Sacramento.
Ricordo che una volta andai molto vicino al Santo Padre e avvertii subito la sua grande fede e il profondo amore che da lui traspariva. Quando guardò Cristo fu davvero un’emozione unica, perché amava veramente Cristo: lo ha portato con sé fino alla fine, con la Sua croce, quando, nonostante la sofferenza, guidò la processione del Corpus Domini.
Questa processione, infatti, è stata per me un’esperienza profonda, una lezione di fede, di amore e di umiltà. Credo che quando Giovanni Paolo II ha seguito Cristo per le strade della Città Eterna, dalla Basilica di San Giovanni in Laterano fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, ha insegnato a tutti a rivolgere il nostro sguardo a Cristo, imparando quindi a guardare con amore, ma anche con umiltà e pace, dentro il cuore di ogni persona che incontriamo sul cammino della nostra vita.
La solennità del Corpus Domini risale al 1264, per volontà di Papa Urbano IV che istituì la festa «affinché il popolo cristiano riscoprisse il valore del mistero eucaristico». A distanza di più di 700 anni la tradizione continua ininterrotta: Benedetto XVI, infatti, presiederà, questo giovedì, la Santa Messa sul sagrato di San Giovanni in Laterano, per poi guidare la processione del Corpo di Cristo fino alla basilica di Santa Maria Maggiore.
“Un momento importante per la fede dei cristiani e per la vita ecclesiale della Diocesi di Roma” ha dichiarato il cardinale Vicario, Agostino Vallini. Soprattutto un’occasione “per ringraziare il Signore del dono inestimabile dell’Eucaristia, per testimoniare pubblicamente la nostra fede e l’unità della Chiesa di Roma intorno al suo Vescovo”.
In vista di tale evento, ZENIT ha incontrato padre Giuseppe Midili, O.Carm., direttore dell’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma, che ci ha raccontato la storia e il significato di questa festa in cui “la Chiesa si manifesta come Corpo unico e unitario”.
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Il Corpus Domini celebra l’Eucarestia, fulcro della fede cristiana. Qual è il significato di questa solennità?
Padre Midili: Eucaristia significa rendimento di grazie. Ogni giorno – specialmente la domenica – la Chiesa si raduna per celebrare i santi misteri e rendere grazie al Padre per il dono del Figlio, che ha offerto la sua vita in sacrificio per noi e ci ha meritato la salvezza. La solennità del Corpo e del Sangue del Signore è l’occasione liturgica di un ringraziamento speciale. La comunità cristiana si raduna per prendere coscienza che solo nell’Eucaristia trova il culmine e la fonte di tutta la sua vita. Ogni atto di fede, ogni forma di pietà, di devozione, ogni forma di autentica carità non può prescindere mai da questo sacramento, che è costitutivo del cristiano.
A quando risale la nascita di tale ricorrenza?
Padre Midili: La solennità del Corpo e del Sangue del Signore fu istituita nel 1264 da papa Urbano IV, perché il popolo cristiano potesse partecipare con speciale devozione alla Santa Messa e alla processione e così testimoniasse la fede in Gesù, che ha voluto rimanere presente sotto le specie del pane e del vino consacrati. Nel corso dei secoli questa solennità ha costituito il punto più alto di devozione eucaristica, perché ha unito l’adorazione devota a quell’evento originante imprescindibile che è la celebrazione della Messa.
La celebrazione del Corpus Domini a san Giovanni in Laterano è entrata nella tradizione della diocesi di Roma grazie a Giovanni Paolo II. Perché il beato Papa ha voluto dargli una così grande
importanza?
Padre Midili: Sin dall’anno 1979 Papa Giovanni Paolo II volle che a Roma la solennità del Corpo e Sangue del Signore si celebrasse il giovedì, perché proprio il giovedì santo Gesù radunò i suoi discepoli e durante la cena istituì il nuovo ed eterno sacrificio, il convito nuziale dell’amore. Mentre nella sera del giovedì santo si rivive il mistero di Cristo che si offre nel pane spezzato e nel vino versato, nella ricorrenza del Corpus Domini questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio.
Il Papa volle celebrare nella Cattedrale di Roma, insieme con tutti i sacerdoti e i fedeli della città, perché l’Eucaristia è mistero di comunione con Dio, ma anche tra le persone. La migliore immagine di Chiesa, infatti, è quella che si costituisce intorno al Vescovo, per celebrare i divini misteri, mangiare e bere del Corpo e Sangue del Signore, rendere grazie e così testimoniare la comunione e l’amore che Gesù ha insegnato.
Qual è il senso di celebrare questa festa nella piazza antistante la Basilica di San Giovanni?
Padre Midili: Piazza S. Giovanni è allo stesso tempo il sagrato della Basilica Cattedrale di Roma, ma è anche il luogo delle manifestazioni pubbliche per la città e per l’Italia; spesso è teatro di concerti, di eventi politici e purtroppo anche di scontri; è l’agorà degli antichi. È diventata un simbolo del nostro paese, è un sagrato-piazza.
Celebrare la Santa Messa in un luogo così significativo nel giorno della festa dell’Eucaristia ribadisce che Gesù è in mezzo al suo popolo in ogni momento della vita. Con la sua presenza egli santifica la quotidianità, vede e risana la sofferenza, è per tutti un segno di speranza. Gesù non è lontano da noi e dalla nostra vita, ma è sempre presente, si è fatto vicino. Possiamo incontrarlo nell’Eucaristia celebrata e nel pane consacrato. Egli ci viene incontro.
Il Corpus Domini è un momento fondamentale per il popolo cristiano. Soprattutto la processione, guidata dal Santo Padre, è un evento di grande impatto la cui idea centrale è che “Cristo cammina in mezzo a noi”….
Padre Midili: La Santa Messa e la processione nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore sono un unico evento, che manifesta la Chiesa come Chiesa. É la festa della comunità radunata. I credenti si ritrovano insieme per celebrare il sacrificio di Cristo e nella celebrazione rendono grazie a Dio per tutto quello che hanno ricevuto. La migliore immagine di Chiesa è quella che si raduna intorno al suo Vescovo per celebrare i santi misteri, mangiare e bere del Corpo e del Sangue del Signore, rendere grazie e così testimoniare la comunione e l’amore che Gesù ci ha insegnato.
L’adorazione è prosecuzione dell’Eucaristia celebrata, testimonianza d’amore e di fede verso Gesù, prolungamento del ringraziamento dopo ogni S. Comunione. La processione è cammino di sequela. Ancora una volta la Chiesa si identifica con il popolo in cammino, che segue il suo maestro. Si ripete l’esperienza dei discepoli di Emmaus, che percorrono un tratto di strada con Gesù e lo ascoltano mentre li istruisce. Nella processione eucaristica la comunità cammina con Gesù, ma non lo riconosce più mentre spezza il pane. Noi riconosciamo il Maestro presente in quel pane.

CORPUS DOMINI – LA FESTA

http://www.santiebeati.it/dettaglio/90912

CORPUS DOMINI

22 giugno (celebrazione mobile)

Con questa festa onoriamo e adoriamo il “Corpo del Signore”, spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini, fatto cibo per sostenere la nostra “vita nello Spirito”. L’Eucaristia è la festa della fede, stimola e rafforza la fede. I nostri rapporti con Dio sono avvolti nel mistero: ci vuole un gran coraggio e una grande fede per dire: “Qui c’è il Signore!”.

Martirologio Romano: Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: con il suo sacro nutrimento egli offre rimedio di immortalità e pegno di risurrezione.

La festività del Corpus Domini ha una origine più recente di quanto sembri. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell’Eucaristia ed è stata istituita grazie ad una suora che nel 1246 per prima volle celebrare il mistero dell’Eucaristia in una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l’idea e la celebrazione dell’Eucaristia divenne una festa per tutto il compartimento di Liegi, dove il convento della suora si trovava.
In realtà la festa posa le sue radici nell’ambiente fervoroso della Gallia belgica – che San Francesco chiamava amica Corporis Domini – e in particolare grazie alle rivelazioni della Beata Giuliana di Retìne. Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un’estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra: da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo, che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento. Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini.
La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l’ottava della Trinità. Più tardi, nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l’antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone. Ed è a Bolsena, proprio nel Viterbese, la terra dove è stata aperta la causa suddetta che in giugno, per tradizione si tiene la festa del Corpus Domini a ricordo di un particolare miracolo eucaristico avvenuto nel 1263, che conosciamo sin dai primi anni della nostra formazione cristiana. Infatti, ci è raccontato che un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino liturgico (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina.
Venuto a conoscenza dell’accaduto Papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa del Corpus Domini estendendola dalla circoscrizione di Liegi a tutta la cristianità. La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). Così, l’11 Agosto 1264 il Papa promulgò la Bolla « Transiturus » che istituiva per tutta la cristianità la Festa del Corpus Domini dalla città che fino allora era stata infestata dai Patarini neganti il Sacramerito dell’Eucaristia. Già qualche settimana prima di promulgare questo importante atto – il 19 Giugno – lo stesso Pontefice aveva preso parte, assieme a numerosissimi Cardinali e prelati venuti da ogni luogo e ad una moltitudine di fedeli, ad una solenne processione con la quale il sacro lino macchiato del sangue di Cristo era stato recato per le vie della città. Da allora, ogni anno in Orvieto, la domenica successiva alla festività del Corpus Domini, il Corporale del Miracolo di Bolsena, racchiuso in un prezioso reliquiario, viene portato processionalmente per le strade cittadine seguendo il percorso che tocca tutti i quartieri e tutti i luoghi più significativi della città.
In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa. Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all’Istituzione dell’Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l’attenzione si sposta sull’intima relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell’Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.

29 SETTEMBRE: GLI ARCANGELI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=128073

29 SETTEMBRE: GLI ARCANGELI MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE

(è il mio onomastico… Gabriella)

Essi vengono da Dio «inviati in servizio, a vantaggio di coloro che devono essere salvati». La nostra «azione di grazie», l’ Eucaristia, è una «concelebrazione» in cui ci uniamo agli Angeli nel triplice canto: «Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo».

            Michele, nome ebraico che vuol dire « Chi è come Dio? » viene ricordato nel libro di Daniele del popolo eletto (Dan 10,13 e 12,1). La lettera di san Giuda lo presenta in lotta contro Satana per il corpo di Mosè. Anche l’Apocalisse ricorda il combattimento di Michele e dei suoi angeli contro il drago. La liturgia dei defunti lo vuole accompagnatore delle anime. Molto venerato dagli Ebrei divenne presto assai popolare nel culto cristiano. Il 29-IX cade l’anniversario della dedicazione di una chiesa in suo onore sulla via Salaria (sec. V).

          Gabriele «forza di Dio», si presentò a Zaccaria come «colui che sta al cospetto di Dio» (Lc 1,19). Portare l’annuncio di Dio è il compito che gli riconosce Daniele (8,16; 9,21): annunziò infatti la nascita del Battista e di Gesù Cristo (Lc 1,5-22.26-38).

          Raffaele, «Dio ha curato», compare nel libro di Tobia come accompagnatore nel viaggio del giovane Tobia e come portatore di salvezza al vecchio padre cieco.

          San Luca mostra sovente l’intervento degli angeli nelle origini della Chiesa perché con la venuta di Cristo l’umanità è entrata nell’era definitiva in cui Dio è vicino all’uomo e il cielo è unito alla terra. Essi vengono da Dio «inviati in servizio, a vantaggio di coloro che devono essere salvati». La nostra «azione di grazie», l’ Eucaristia, è una «concelebrazione» in cui ci uniamo agli Angeli nel triplice canto: «Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo». 
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa
          E’ da sapere che il termine «angelo» denota l’ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.
          Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l’arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi. A essi vengono attribuiti nomi particolari, perché anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguono le loro persone, ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall’ufficio che esercitano.
Così Michele significa: Chi è come Dio?, Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio.
          Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall’azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L’antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo: Salirò in cielo (cfr. Is 14, 13-14), sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all’Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all’estremo supplizio. Orbene egli viene presentato in atto di combattere con l’arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: «Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12, 7).
          A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell’umiltà per debellare le potenze maligne dell’aria. Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero.
          Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni.

Preghiera
San Michele Arcangelo,
difendici nella lotta;
sii nostro aiuto contro la cattiveria e le insidie del demonio.
Gli comandi Iddio,
supplichevoli ti preghiamo:
tu, che sei il Principe della milizia celeste,
con la forza divina rinchiudi nell’inferno Satana
e gli altri spiriti maligni
che girano il mondo
per portare le anime alla dannazione.
Amen.

Angeli e arcangeli nella fede cattolica
            Le affermazioni sugli angeli, nella fede cattolica, sono precise ed insieme discrete. Se ne riconosce come verità di fede l’esistenza ed il ministero di servitori di Cristo e della sua opera di salvezza e, perciò, la loro presenza a vantaggio dell’uomo e della Chiesa. E’ la testimonianza biblica il continuo punto di riferimento per queste affermazioni teologiche.

Gli angeli nel Catechismo della Chiesa cattolica
            L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione.

Chi sono?
             Sant’Agostino dice a loro riguardo: “Angelus officii nomen est, non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus – La parola angelo designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo” [Sant'Agostino, Enarratio in Psalmos, 103, 1, 15]. In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che “vedono sempre la faccia del Padre. . . che è nei cieli” (Mt 18,10), essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” (Sal 103,20).
            In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali [Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm., 3891] e immortali [Cf Lc 20,36]. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria [Cf Dn 10,9-12].

Cristo “con tutti i suoi angeli”
            Cristo è il centro del mondo angelico. Essi sono “i suoi angeli”: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli… ” (Mt 25,31). Sono suoi perché creati per mezzo di lui e in vista di lui: “Poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Sono suoi ancor più perché li ha fatti messaggeri del suo disegno di salvezza: “Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?” (Eb 1,14).
            Essi, fin dalla creazione [Cf Gb 38,7] e lungo tutta la storia della salvezza, annunciano da lontano o da vicino questa salvezza e servono la realizzazione del disegno salvifico di Dio: chiudono il paradiso terrestre, [Cf Gen 3,24] proteggono Lot. [Cf Gen 19] salvano Agar e il suo bambino, [Cf Gen 21,17] trattengono la mano di Abramo; [Cf Gen 22,11] la Legge viene comunicata “per mano degli angeli” (At 7,53), essi guidano il Popolo di Dio, [Cf Es 23,20-23] annunziano nascite [Cf Gdc 13] e vocazioni, [Cf Gdc 6,11-24; Is 6,6] assistono i profeti, [Cf 1Re 19,5] per citare soltanto alcuni esempi. Infine, è l’angelo Gabriele che annunzia la nascita del Precursore e quella dello stesso Gesù [Cf Lc 1,11; Lc 1,26].
            Dall’Incarnazione all’Ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata dall’adorazione e dal servizio degli angeli. Quando Dio “introduce il Primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio” (Eb 1,6). Il loro canto di lode alla nascita di Cristo non ha cessato di risuonare nella lode della Chiesa: “Gloria a Dio… ” (Lc 2,14). Essi proteggono l’infanzia di Gesù, [Cf Mt 1,20; Mt 2,13; Mt 1,19] servono Gesù nel deserto, [Cf Mc 1,12; Mt 4,11] lo confortano durante l’agonia, [Cf Lc 22,43] quando egli avrebbe potuto da loro essere salvato dalla mano dei nemici [Cf Mt 26,53] come un tempo Israele [Cf 2Mac 10,29-30; 2Mac 11,8]. Sono ancora gli angeli che “evangelizzano” (Lc 2,10) annunziando la Buona Novella dell’Incarnazione [Cf Lc 2,8-14] e della Risurrezione [Cf Mc 16,5-7] di Cristo. Al ritorno di Cristo, che essi annunziano, [Cf At 1,10-11] saranno là, al servizio del suo giudizio [Cf Mt 13,41; Mt 25,31; Lc 12,8-9].

Gli angeli nella vita della Chiesa
            Allo stesso modo tutta la vita della Chiesa beneficia dell’aiuto misterioso e potente degli angeli [Cf At 5,18-20; At 8,26-29; At 10,3-8; At 12,6-11; At 27,23-25].
            Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; [Messale Romano, “Sanctus”] invoca la loro assistenza (così nell’“In Paradisum deducant te angeli…” – In Paradiso ti accompagnino gli angeli – della Liturgia dei defunti, o ancora nell’“Inno dei Cherubini” della Liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi).
            Dal suo inizio [Cf Mt 18,10] fino all’ora della morte [Cf Lc 16,22] la vita umana è circondata dalla loro protezione [Cf Sal 34,8; Sal 91,10-13] e dalla loro intercessione [Cf Gb 33,23-24; Zc 1,12; Tb 12,12]. “Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita” [San Basilio di Cesarea, Adversus Eunomium, 3, 1: PG 29, 656B]. Fin da quaggiù, la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio.

Publié dans:angeli, feste |on 27 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

OMELIA PER IL CORPUS DOMINI – T’ADORIAMO OSTIA DIVINA, T’ADORIAMO OSTIA D’AMORE

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/18659.html

OMELIA – PADRE ANTONIO RUNGI

T’ADORIAMO OSTIA DIVINA, T’ADORIAMO OSTIA D’AMORE

Celebriamo oggi la Solennità del Corpus Domini che per antica tradizione è la festa più importante e sentita della cristianità circa il culto eucaristico. Il centro della vita di ogni cristiano è la SS.Eucaristia, sia come celebrazione del memoria della pasqua del Signore, sia come partecipazione alla mensa eucaristica ed al banchetto del cielo che la SS.Eucaristia anticipa sacramentalmente.
Intorno a questa festa si sono sviluppate importanti manifestazioni di culto e di fede, che, soprattutto in alcune comunità conservano la loro freschezza, validità, incisività nella vita spirituale dei cristiani. Parliamo della Processione del Corpus Domini che in questa giornata si svolge in tutte le nostre comunità, ove la solennità la si festeggia di Domenica. Alla scuola della SS.Eucaristia si sono formati i santi che oggi vengono riproposti come modelli di vita per quanti sentono nel loro cuore l’urgenza di una vera comunione con il Signore e nel Signore con tutti i nostri fratelli nella fede e nell’umanità. I bellissimi canti religiosi e liturgici dedicati all’Eucaristia costituiscono per se stessi una catechesi ed una lezione di spiritualità eucaristica. Tutti i santi attratti dal grande mistero della fede, che racchiude in sé la presenza in corpo, sangue, anima e divinità di nostro Signore Gesù Cristo, hanno scritto ed hanno composto canti in onore di Gesù Sacramentato. Dai Padri della Chiesa, ai grandi teologi, ai santi di ieri e di oggi. Ascoltando loro e leggendo i testi composti da chi davvero è stato attratto dall’Amore Eucaristico noi possiamo capire il senso di questa odierna celebrazione. Il classico canto che conosciamo tutti quanti « T’adoriamo, ostia divina » ci invita a rinnovare la nostra lode a Dio, il nostro grazie verso colui che ha dato la vita per noi, Gesù Cristo Redentore. Rinnoveremo questa lode al Signore anche quest’anno con il partecipare prima di tutto alla liturgia eucaristica e poi alla solenne processione del Corpus Domini, che è la madre di tutte le processioni che si svolgono nelle nostre città e nei nostri quartieri, in quanto a camminare per le strade della nostra vita quotidiana è lo stesso Cristo nel santissimo sacramento dell’altare. Non è l’immagine della Madonna e neppure di santi, non sono le icone del Cristo, della Vergine Santa e dei Santi, ma è Gesù stesso che passa per le nostre strade a benedire, confortare e consolare, ma anche a chiedere un impegno di vita cristiana che parta proprio dal culto eucaristico e che si sviluppi in questo orizzonte.

Il testo della sequenza che leggeremo oggi nella liturgia della santa messa ci immette nei contenuti teologici della SS.Eucaristia. « Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l’antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l’ombra: luce, non più tenebra. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l’esito! Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell’intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona ».
La liturgia della parola è chiaramente tutta improntata ai testi eucaristici, a partire dalla prima lettura tratta dal libro della Gènesi, nella quale si parla del sacrificio offerto al Signore dal sacerdote Melkisedek. Testo di chiaro riferimento al mistero dell’eucaristia, che è sacrificio di lode e di ringraziamento.
La seconda lettura, tratta dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, ci presenta il momento dell’istituzione dell’eucaristia e la trasmissione orale di questo grande avvenimento alla vigilia della passione di Cristo che si celebra nel cenacolo, alla quale anche Giuda, il traditore, prende parte. Forte richiamo a quale tipo di approccio spirituale abbiamo noi con l’Eucaristia. Con la sensibilità di Giovanni o l’indifferenza di Giuda? A vedere come ci si accosta alla SS.Eucaristia in molte chiese e soprattutto a livello personale dovremmo pensare davvero che l’Euacristia sta diventando la grande sconosciuta nella vita dei cristiani, a partire dagli stessi bambini che hanno fatto la prima comunione e dopo le feste e festiccine si domenticano facilmente dell’eucaristia e l’abbandonano immediatamente. Come è triste sapere che tanti bambini e giovani una volta ricevuto il sacramento vi si accostano raramente o per niente. I frutti di un approccio più positivo all’Eucaristia difficilmente lo recuperiamo. Giustamente allora l’Apostolo Paolo rammenta ai cristiani di Corinto questo fatto speciale: l’istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio cattolico in quell’ultima memorabile cena di Dio tra noi.

Ma è soprattutto il Vangelo a far convergere l’attenzione sul mistero dell’eucaristia con il presentarsi la moltiplicazione dei pani che, come si sa nel Vangelo dice chiaro riferimento al mistero eucaristico. Dal Vangelo secondo Luca, ascoltiamo, infatti, il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Chiudiamo questa nostra riflessione sul Corpus Domini con quanto diremo nel Prefazio dell’Eucaristia che ci introduce nel mistero della transustanziazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù. Chi mangia questo cibo e beve questa bevanda ha la vita eterna e non va incontro al giudizio di condanna. « Nell’ultima cena con i suoi Apostoli, egli volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione e si offrì a te, Agnello senza macchia, lode perfetta e sacrificio a te gradito. In questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra. E noi ci accostiamo a questo sacro convito, perché l’effusione del tuo Spirito ci trasformi a immagine della tua gloria ».

Accostiamoci spesso a questo sacro convinto soprattutto di domenica, nei tempi forti dell’anno liturgico e in tutte le feste e ricorrenze. Saremo felici davvero e per l’eternità, in quanto ricevendo il corpo del Signore noi siamo intimamente legati a Lui e lo amiamo davvero più della nostra stessa vita.

2 GIUGNO 2013 – CORPUS DOMINI – LECTIO DIVINA: LC 9,11B-17

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/09-Corpus-Domini-2013/09-Corpus-Domini-2013_C-JB.html

2 GIUGNO 2013  | 9A DOM. : CORPUS DOMINI – T. ORDINARIO C  |  PROPOSTA DI LECTIO DIVINA

LECTIO DIVINA: LC 9,11B-17

Durante il suo ministero pubblico Gesù è stato, spesso, ospite e commensale: ha condiviso la fame dell’uomo e la sua sete di stare insieme. Dando da mangiare alle folle che lo avevano ascoltato, ha moltiplicato il poco pane e ha saziato il bisogno di quanti hanno creduto in Lui. Prima di saziare la loro fame di pane, aveva colmato il loro bisogno di Dio; ha solo dato ascolto al bisogno di chi lo aveva ascoltato. Il miracolo è una conseguenza dell’ascolto della Parola. Ed è significativo che per operare il portento Gesù facesse ricorso all’aiuto, piccolo ma non insignificante, dei suoi discepoli; per aver messo a sua disposizione il poco che avevano, videro come Gesù riusciva a soddisfare una moltitudine.
I cristiani devono apprendere dai gesti che ripetono, se vogliono realizzare il mandato del loro Signore, poiché nell’Eucaristia dovranno ripetere il suo gesto di prendersi cura della fame degli uomini dividendo loro il pane di Dio che è Cristo Gesù; e nessuno, che si riconosce discepolo, ha poco da dare, poiché basterà che offra ciò che ha.

In quel tempo, 11 b Gesu parlava alla folla del regno di Dio e guariva coloro che ne avevano bisogno.
12 Giunti a sera, i dodici vennero a lui e gli dissero:
« Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle fattorie dei dintorni a trovare cibo e alloggio, perché siamo allo scoperto ».
13 Rispose: « Date loro voi stessi da mangiare ».
Essi gli dissero:
« Noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo a comprare i viveri per tutta questa gente » [15 Poiché essi erano circa cinquemila uomini]
Gesù disse ai suoi discepoli: « Dite loro di mettersi in gruppi di cinquanta »
Lo fecero, e tutti si sistemarono.
16 Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione su di loro, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla gente. 17 Tutti mangiarono a sazietà, e raccolsero gli avanzi: dodici canestri.
 1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Anche se il testo narra di un miracolo, il racconto è centrato su un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli. Il miracolo avrà la folla come beneficiaria, ma questa non lo aveva chiesto: si era solo, innanzitutto, lasciata annunciare il Regno e si era fatta guarire da Gesù; poi sarà servita dai discepoli. Gesù soddisfa la fame solo di quanti hanno ascoltato il suo messaggio. E il pane che non era stato nemmeno desiderato, diventa puro dono, e in abbondanza.
Gesù mantiene l’iniziativa per tutto l’episodio, meno che all’inizio della conversazione con i suoi discepoli. Loro avrebbero voluto sbarazzarsi delle persone, una volta evangelizzate. E per una buona ragione: avevano cibo solo per loro. Avevano, sì, buoni sentimenti: avevano preso in considerazione la possibilità di acquistare per tante persone. Con quali soldi? Qui la loro obbedienza, più che la loro povertà, è il « supporto » del miracolo: più che mettere a disposizione quel poco che avevano, si sono messi loro a disposizione di Gesù e della folla. Senza questo cambiamento di atteggiamento non ci sarebbe stato alcun miracolo.
Il prodigio si accentua soltanto alla fine. Il cibo miracoloso è narrato come un pasto eucaristico. Per il narratore esiste un alimento che sazia veramente e non si può perdere: il pane benedetto da Gesù e distribuito dai suoi discepoli.
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!
Il mistero che oggi motiva la nostra festa è, senza dubbio, fondamentale per la nostra vita di fede. Come ogni mistero della fede, nasconde una straordinaria storia d’amore: Cristo Gesù non si limitò a dare la sua vita per noi, oltre ad aver vissuto in mezzo a noi; cercò, in più, il modo di rimanere, in sua assenza, in corpo e anima, a nostra disposizione. Solo un amore divino giunge ad essere così fantasioso! Solo la potenza di Dio può essere così onnipotente! Chi ci aveva amato tanto da dare la vita per noi, continua ad amarci tanto da rimanere a nostra disposizione; nel pane e nel vino eucaristico Cristo è a disposizione della nostra fame e del nostro bisogno.
Oggi, Corpus Domini, celebriamo e ringraziamo questa volontà di Gesù di fare l’impossibile – e questo è quello che ha fatto – riuscendo a diventare il nostro cibo normale, solo per esserci di aiuto e di sostegno nella vita quotidiana.
E’ proprio questo sforzo di Gesù per soddisfare il nostro bisogno ciò che vuole oggi ricordare il Vangelo; moltiplicando pani e pesci, Gesù ha saziato il bisogno assillante di una folla che era venuta ad ascoltarlo, con grande stupore dei suoi discepoli. La scena continua ad essere significativa per noi: le persone che hanno ricevuto il pane erano andate da Gesù solo per soddisfare la loro fame di Dio; ascoltandolo parlare del Regno, avevano dimenticato la loro fame; e avevano ritardato di andare a mangiare, per sentire Gesù più a lungo. Coloro che lo accompagnavano lo fecero capire: né Gesù né la folla lo avevano notato; entrambi erano impegnati per Dio e per il suo regno. Gesù non ha seguito il consiglio dei suoi discepoli che lo spingevano a liberarsi da una folla senza alloggio e senza cibo; i discepoli, consapevoli della loro povertà, non sapevano cosa fare con così tante persone all’aperto con due pesci e cinque pani; non sapevano ancora che avere Gesù significa contare sui miracoli che si verificano solo per chi ama al di là di ogni immaginazione.
In questo caso, nel comportamento dei suoi protagonisti siamo coinvolti tutti. Rivediamo brevemente con quale di loro ci identifichiamo di più e capiremo cosa ci manca ancora perché la nostra pratica eucaristica finalmente sazi il nostro bisogno di Dio e il nostro bisogno di vita. Le persone erano andate per ascoltare Gesù e alcune più bisognose, a chiedere la guarigione; rimaste ad ascoltarlo parlare del Regno e vedendolo guarire i malati, hanno perso la cognizione del tempo e la sensazione della fame; sono stati i discepoli che, preoccupati dalla scarsità dei mezzi, hanno fatto prendere coscienza a Gesù della responsabilità che si sarebbero addossati. La folla, che si vide sorpresa per il miracolo, non aveva pensato a questo; con Gesù, che parlava loro di Dio e del suo regno, non poteva sentire il bisogno più vitale, la fame di pane; con Gesù, che curava quanti avevano bisogno di lui, non avevano bisogno di alloggio né di cibo.
Ma Gesù glielo ha dato: aveva fornito ciò che era più importante, Dio, ciò che era necessario, il suo regno; non li avrebbe lasciati soli, a cielo aperto, senza soddisfare almeno il loro bisogno di cibo. Per ottenere da Dio il miracolo minore, si deve avere il coraggio di desiderare da Lui il miracolo più grande: Gesù ha moltiplicato il pane per una folla che ha preferito restare affamata piuttosto che far a meno di Dio, che ha trascorso il suo tempo a farsi guarire dentro, prima di procurarsi il cibo. Non sappiamo ciò che ci stiamo perdendo, come stiamo perdendo tempo nel soddisfare i nostri piccoli bisogni, senza alimentare la nostra fame di Dio, il profondo e radicale bisogno di Lui e il sentirci curati e guariti da Lui. Chi è dedicato all’ascolto di Dio, come la folla, lasciando per dopo il proprio bisogno, si vedrà sorpreso dalla preoccupazione che avrà Dio di saziare la sua necessità. Occuparsi delle cose di Dio coinvolgerà Dio nelle nostre cose.
Le Eucaristie alle quali partecipiamo, non hanno l’effetto desiderato per noi, il miracolo che ci serve, perché siamo soliti mettere le nostre esigenze al di sopra della volontà di Dio; siamo tanto occupati per quello che ancora ci manca, che non facciamo altro che presentare a Dio le nostre carenze; e non gli lasciamo il tempo perché Lui si presenti come la risposta al nostro bisogno. Andare da Gesù, come la folla perché ci parli di Dio e ce lo renda vicino, è il modo più efficace per vedere saziato il nostro bisogno, senza averlo sentito e senza neanche averlo chiesto! Il pane moltiplicato, il proprio bisogno esaudito, lo ottiene gratis chi mette Dio e il suo regno prima della sua fame e della sua necessità; dimenticarlo ci sta condannando a non sperimentare oggi i grandi miracoli; mettendo la nostra fame, per quanto sia insopportabile, e queste nostre esigenze, per quanto insaziabili possano apparirci, al di sopra e davanti a Dio e del suo regno, veniamo privati del pane di Dio e della sua vita. Ritorniamo, come la folla, ad ascoltare Gesù e a stare attenti a ciò che ci insegna; e lui tornerà a sentire il nostro bisogno e a fare in modo di soddisfarlo. Un Dio tenuto in conto è un Dio attento.
Consideriamo logico il comportamento dei discepoli, allarmati per la situazione creata in un campo, alla fine della giornata, con risorse limitate e una folla che non aveva ancora mangiato. Non ci scandalizza la loro poca fede o il loro tentativo di sbarazzarsi di coloro che avevano bisogno del loro aiuto. Nel loro atteggiamento possiamo identificarci tutti noi discepoli di Gesù: la loro paura di dover intraprendere qualcosa con così poche risorse è una mancanza di fiducia nel Signore, in colui che avevano ascoltato allo stesso modo della folla. Loro pensavano di avere il sufficiente per se stessi e credevano di doversi liberare della necessità degli altri; la loro mancanza di generosità ha impedito loro di prevedere la generosità del loro maestro: non potevano aspettarsi un miracolo così grande, perché tanto grande era il loro egoismo così come la loro mancanza di cibo; siccome avevano pochi pani nella cesta, non poteva contenersi nel cuore il bisogno di una folla; sono diventati tirchi, perché si credevano poveri; ma più che poveri di beni, erano mancanti di fede. Come noi.
Moltiplicando le loro scorte, Gesù mostrò ai suoi discepoli che quelli che vivono con lui devono aprire la propria esistenza, per quanto povera, al bisogno degli altri; non si può vivere con Gesù e non struggersi dinanzi alla fame di tanta gente. Avevano visto come curava i malati e li guariva, come accostava gli emarginati e li restituiva alla società, come accoglieva i peccatori e li ridava a Dio; ma non avevano imparato la lezione; ancora pensavano che erano poco buoni per potersi dedicare a fare del bene agli altri, che avevano poche cose per far fronte a tanti bisogni: la loro poca fede non poteva moltiplicare i loro pochi beni. Pur potendo contare su Gesù, non aspettavano da lui alcun miracolo.
Serve poco, ed è solo un esempio, che i cristiani si comunichino con il Corpo di Cristo, che affoghino il loro bisogno di Dio nel ricevere il pane eucaristico, se diventano insensibili dinanzi al bisogno di pane che oggi hanno tanti uomini. Come i discepoli di Gesù, continuiamo a pensare che i nostri pani e i nostri pesci sono pochi per le nostre esigenze e così ci disinteressiamo di quanti, molti più numerosi di noi, non hanno altro che bisogno e una vita povera. Il discepolo di Gesù, sapendo che della sua fame, di Dio e di pane, se ne occupa già il suo Maestro, deve impegnarsi a soddisfare la fame degli altri. Solo così diventa efficace e affidabile la nostra ricezione del suo Corpo e della sua Vita: chi ha Dio per cibo, deve nutrire gli affamati. Dimenticarlo sarebbe disprezzare il corpo di Cristo che riceviamo. Né più né meno.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

Publié dans:feste, feste del Signore, LECTIO |on 31 mai, 2013 |Pas de commentaires »

LA PENTECOSTE: IL TRAGITTO SI COMPIE (ANNO B, credo)

http://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Commento-al-Vangelo/La-Pentecoste-il-tragitto-si-compie

LA PENTECOSTE: IL TRAGITTO SI COMPIE (ANNO B, credo)

Domenica 12 giugno, Pentecoste. Il senso di un tragitto si compie: il disceso alla terra, l’innalzato in croce e l’asceso al cielo effonde il suo Spirito, il senza volto unicamente leggibile nelle tracce che lascia a  cui alludono le molteplici immagini partorite dal linguaggio umano: colomba-nube-acqua-fuoco-vento-iconografo interiore-maestro interiore-respiro e altro ancora. Immagini le cui tracce o frutti rimandano al nesso inscindibile Spirito-vita.

DI GIANCARLO BRUNI

Domenica 12 giugno, Pentecoste. Letture: At 2,1-11; 1Cor 12.3b-7.12-13; Gv 20,19-23

di GIANCARLO BRUNI

Eremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. Il senso di un tragitto si compie: il disceso alla terra, l’innalzato in croce e l’asceso al cielo effonde il suo Spirito, il senza volto unicamente leggibile nelle tracce che lascia a  cui alludono le molteplici immagini partorite dal linguaggio umano: colomba-nube-acqua-fuoco-vento-iconografo interiore-maestro interiore-respiro e altro ancora. Immagini le cui tracce o frutti rimandano al nesso inscindibile Spirito-vita. Lo Spirito colomba che plana sulla creatura e come nube la avvolge è all’uomo arido, spento e insipiente acqua che lo fa fiorire, fuoco che lo rende incandescente e vento apportatore di semi di saggezza. È presenza interiore che disegna l’essere a similitudine di Cristo iniziandolo alla conoscenza profonda del suo Vangelo. Spirito pertanto uguale a principio di novità, a generazione dell’inedito sotto il sole: l’uomo a immagine del Signore Gesù e, aggiungiamo, la società a immagine della Trinità, una e distinta nella libertà, nell’amore e nella reciprocità. Questo è lo Spirito che il Padre alita a Pentecoste tramite il Risorto dando avvio alla nuova creazione chiamata ad un esistere contrassegnato da un respiro «santo», cioè altro. Al respiro fisico che dà vita fisiologica e al respiro culturale che dà vita sapiente, e «sapienza è poco sapere, niente potere, molto sapore» (Roland Barthes), si aggiunge il Respiro santo che dà figura al cristiforme e al deiforme facendolo emergere dalla deformità. Capire questo è cogliere bene il nesso Signore-Spirito-uomo convertendolo in preghiera: il «Vieni Signore Gesù» è in vista del «Vieni santo Spirito», e quest’ultimo è in vista dell’«uomo vieni alla luce» a  misura dell’«Ecco l’uomo» (Gv 19,5), il Cristo. Il Padre dona alla terra il Figlio, il Figlio dona alla terra lo Spirito, lo Spirito dona alla terra l’uomo nuovo, umanissimo, al contempo adoratore del cielo e amante alla follia della terra.

2. È all’interno di questa ottica di novità che vanno lette le pagine evangelica e paolina. Il giorno della sua stessa resurrezione il Vivente appare ai suoi adempiendo su di essi un  gesto singolare: «Alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito santo» (Gv 20,22). Gesto che rimanda alla prima creazione (Gen 2,7; Sap 15,11), gesto che inaugura la nuova creazione, gesto che indica il posto e il ruolo dello Spirito donato. Egli è costitutivamente l’«interposto», il «posto tra» generando «relazioni di pace tra»: sta tra il Padre e il Figlio come legame d’amore tra i due; sta in noi spingendoci con il suo soffio verso rapporti filiali con il Padre, amicali con il Signore Gesù, fraterni tra uomo e uomo e nazione e nazione, custodi nei confronti del creato e eterni nei confronti della morte. Lo Spirito invera in noi e tra di noi la parola del Risorto: «Pace a voi» (Gv 20,19.21), una riconciliazione a tutto campo affidata alla litania mai conclusa dei perdoni: «Rimettete i peccati» (Gv 20,23), abitate il perdono attraverso il quale Dio ritesse giorno dopo giorno la trama ferita della pace, di quella unità resa possibile ai «battezzati in un solo Spirito…agli abbeverati a un solo Spirito» (1Cor 12,13), a coloro che leggono se stessi e ciò che hanno come dono dello Spirito per la edificazione della casa  comune.

Il messaggio è chiaro e domanda attenzione per essere intuito e accolto in un cuore semplice e laudativo: l’amore del Padre contemplato nella benevolenza del Figlio si consuma nella effusione di uno Spirito uguale a rugiada che dischiude l’essere al « versus» dall’«adversus», all’atto cioè dell’accoglienza non condizionata dell’altro (1Cor 12,13) nell’atto del dono incondizionato di sé all’altro sempre aperto al perdono. Questo modo di abitare la terra nel ringraziamento per averlo compreso è la traccia dell’esserci e del passaggio dello Spirito.

3. Il messaggio della Pentecoste riguarda l’uomo in quanto tale, dire Chiesa è dire frammento inclusivo e indicativo di una possibilità che concerne tutti. Chiesa sulla quale il Risorto alita il suo Soffio di novità in ogni celebrazione domenicale, il giorno della convocazione nel giardino della nuova creazione, quella degli iniziati ad ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese nell’oggi storico (Ap 2,7).
Dice di essere liberato da ogni prigionia, ad esempio la contiguità ecclesiastica con mondi socio-economico-politici dominanti per sprigionare tutta la sua forza profetica; ad esempio l’eccessiva accentuazione del versante gerarcologico della Chiesa per poter esprimere tutta la sua potenzialità di creatore di comunione in un camminare insieme nella uguaglianza, nella valorizzazione della differenza, nel dialogo e nella libertà di coscienza. E ancora domanda di essere liberato dalla paura (Gv 20,19) di un mondo guardato con occhi di risentimento e di rivalsa per potersi raccontare ad esso, in mitezza-dolcezza-franchezza, come fonte nascosta di un esserci visibile nella bontà. Chiesa come declinazione dell’azione dello Spirito in termini di bellezza, bello è l’uomo icona di Cristo, bella è l’umanità icona della Trinità. Pentecoste è dire sì alla sorgente del nuovo secondo Dio.

Publié dans:feste, meditazioni |on 18 mai, 2013 |Pas de commentaires »

“Voi sarete santi, perché io sono Santo” (Lv 11, 44; 19, 2; 20, 7).

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/RELIGIONE/VITA%20CRISTIANA/voisaretesantipercheiosonosantoCarmeloSAnnaCarpineto.htm

Monastero Carmelo Sant’Anna a Carpineto Romano

“Voi sarete santi, perché io sono Santo” (Lv 11, 44; 19, 2; 20, 7).

Così comanda il Signore a noi che siamo stati creati a sua immagine.

Domani si celebra la solennità di tutti i Santi, vale a dire di tutti coloro che hanno ascoltato e messo in pratica il comando del Signore: “Voi sarete santi….”
Questa celebrazione iniziò in Europa nei secoli VIII-IX per poi affermarsi a Roma, in particolare, dal IX secolo. Tale festa ha come peculiarità quella di ricordare tutti i santi, quelli conosciuti e quelli noti solo al cuore di Dio.
La Santa Madre Chiesa ci fa celebrare questa ricorrenza come solennità, cioè in modo grandioso. In questa giornata, infatti, celebriamo il mistero pasquale realizzato dai santi che, come Cristo hanno sofferto –anche il martirio- sono morti e risorti e come Gesù e con Gesù sono entrati nella gloria, come ci ricorda la Sacrosanctum Concilium.
“Se il chicco di grano caduta in terra non muore, rimane solo; ma se muore produce molto frutto” (Gv 12, 44). E “chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 25). Essi sono morti in Cristo e in Cristo risorti. Non hanno temuto di perder la loro vita, ma l’hanno ritrovata. E ora sono gloriosi in cielo. Per questo la Chiesa gloriosa intimamente unita alla chiesa ancora pellegrinante e sofferente fa festa.
Ognissanti è una festa che ci parla di speranza, che ci ricorda che anche noi un giorno potremo far parte della loro schiera beata.
Questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto, ci incoraggiano a non demordere di fronte alle difficoltà, alle malattie… ma a continuare a lottare e a vincere per la speranza che portiamo nel cuore, quella di raggiungerli.
Essi, sono la parte di chiesa “riunita” al Signore, che Dio ha chiamati.
Tutti coloro che si salvano sono santi per i meriti di Cristo Gesù risorto e lavano le “loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello” (Ap 7, 14). Anche noi, siamo chiamati a far parte di questa immensa schiera di santi che stanno davanti al trono di Dio e dell’Agnello, rivestiti di bianche vesti e con palme nelle mani (Ap 7, 9).
Fratelli e sorelle, per farci santi Dio non ci chiede opere straordinarie, meravigliose, strabilianti, miracoli, ma il compimento fedele dei suoi comandamenti nel quotidiano umile e semplice, della nostra vita.
Rallegratevi, esultate, i vostri nomi sono scritti in cielo.

Auguri a tutti/e.

Madre Maria Elvira del SS.mo Sacramento,
Priora Monastero Carmelo Sant’Anna a Carpineto Romano

Publié dans:feste, meditazioni |on 31 octobre, 2012 |Pas de commentaires »

Omelia per la festa di Tutti i Santi: Tutti quanti, indistintamente

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=26728

Tutti quanti, indistintamente

padre Gian Franco Scarpitta 

Tutti i Santi (01/11/2012)

Vangelo: Mt 5,1-12  

Il calendario liturgico ordinariamente ne contempla uno (anche più) al giorno; ve ne sono alcuni per i quali la liturgia prevede un culto speciale, altri che vengono solo appena menzionati nelle rubriche e nei Messali, come pure tanti altri che passano inosservati poiché citati solamente nelle voluminose enciclopedie o addirittura dopo lunghissime ricerche bibliografiche. Alcuni di essi sono arcinoti per i miracoli, per le virtù e per il fascino che ancora trasmettono e per il quale turbe di popolo affollano i Santuari ad essi dedicati; altri sembra invece (erroneamente!) che oggigiorno non abbiano più nulla da dire e altri ancora sono stati gettati nel dimenticatoio. Per alcuni di essi è consentito un culto solamente locale e circoscritto e per questo li si definisce « Beati », per altri la Chiesa ha concesso invece l’esercizio di una cultualità universale per la quale sono adesso Santi propriamente detti e li si può venerare in ogni angolo del mondo. Ce ne sono tanti altri per i quali non è stato avviato neppure il processo di canonizzazione eppure meriterebbero di essere preconizzati come tutti gli altri e al termine della sua descrizione del grandissimo Cardinale Borromeo, Manzoni commenta come tante volte personaggi meritori di ammirazione per la loro generosità e umanità non vengano neppure considerati dalla storia.
I Santi non godono insomma tutti dello stesso metro di attenzione da parte nostra, poiché sia da parte della soggettività devota sia da parte della liturgia ecclesiastica ci si atteggia in modo differente con ciascuno di essi; ma al cospetto del Signore tutte queste differenziazioni non sussistono, poiché egli concede loro la stessa ricompensa di gloria conseguente ai meriti terreni e tutti in ugual misura vivono la pienezza della vita eterna contemplando il volto di Dio. Se una certa differenziazione nei loro riguardi sussiste da parte nostra, a motivo del culto o della devozione popolare da parte nostra, da parte di Dio non esistono disparità, né si pongono categorie e gradazioni, poiché egli considera tutti coloro che hanno raggiunto la perfezione meritori della stessa corona di gloria.
Ed è per questo che la liturgia della Chiesa provvede, con questa solennità speciale odierna, ad esaltare tutti i Santi, indistintamente e senza separazione o differenziazione alcuna: in questa giornata a loro dedicata in modo del tutto peculiare si vuole attribuire ogni merito a tutti coloro che hanno meritato la visione definitiva di Dio, siano essi agiograficamente noti a tutti, siano essi trascurati o dimenticati: a tutti spetta il medesimo riconoscimento delle virtù eroiche e della grandezza di perfezione cristiana.
In tutti questi personaggi noi abbiamo un saggio della grandezza dei prodigi di Dio che opera sempre portenti lasciando un solco profondo nella vita di ogni uomo; sperimentiamo come il Suo amore sia esaustivo per la vita tutti gli uomini e come esso da una sola persona possa illuminare ed edificare tutta la società e la comunità cristiana; di tutti questi uomini e donne illustri nella perfezione evangelica non possiamo non ammirare il valore della vita esemplare di virtù che essi hanno saputo coltivare nel vortice della vita terrena; attraverso l’esemplarità della loro vita assumiamo consapevolezza che la loro natura non è stata differente dalla nostra e che anche noi è possibile raggiungere i medesimi obiettivi di con decorazione divina e intanto godere al presente dei favori immediati che le virtù ci garantiscono. Ma soprattutto lo stile di vita e la perfezione di tutti questi uomini e donne oggi considerati indistintamente ci conduce sempre più alla conoscenza di Cristo Figlio di Dio fato uomo che costituisce la Perfezione assoluta che è stata di fatto l’oggetto principale della loro emulazione, poiché essere santi equivale ad essere perfetti come Perfetto il Cristo è Dio Padre che è nei cieli.
L’eroismo dei santi non è finalizzato a se stesso e non si circoscrive in un solo ambito storico o in una sola dimensione, ma è di sprone a che tutti quanti noi ci adoperiamo con il medesimo spirito di virtù ai fini di edificare noi stessi per cambiare in meglio il mondo che ci circonda, nella sequela del Cristo Signore che è la sommità della perfezione. Non per niente il Concilio Vaticano II ci ragguaglia della nostra comune vocazione alla santità: la vocazione ad essere perfetti ad immagine del Santo che ci ha chiamati (1Pt 1, 14 – 15).
Quando, come oggi, i Santi vengono celebrati tutti in una sola liturgia ci si immerge nella varietà dei carismi e delle prerogative appartenute a questi uomini ammirabili, che si sono distinti tutti nelle virtù di fede, speranza e carità e ciascuno secondo un aspetto particolar di virtù o di impronta ministeriale e questo ci conduce alla consapevolezza che la santità è possibile anche per noi ed è per noi eredità comune dello stesso Signore. Anche se al giorno d’oggi il termine Santo si riferisce alla sola categoria delle persone elevate agli altari, in effetti esso è in origine applicato a tutti i cristiani (vedi le lettere Paoline e gli Atti degli Apostoli) poiché sarebbe prerogativa di tutti i battezzati l’aspirazione alla santità, cioè alla perfezione sull’esempio di Cristo.
Scrive Paolo ai Corinzi: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo. Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. » (1 Cor 11, 1-3)
L’apostolo riconosce che Cristo è già sufficiente come via per arrivare a Dio Padre e ottenere la salvezza; sa benissimo che Egli, Verbo Incarnato, è l’unico modello ed esempio di perfezione per tutti gli uomini e che basta comportarsi come Lui si è comportato (1 Gv) per fare la volontà di Dio su questa terra e raggiungere la salvezza.
E’ anche vero che il cammino verso la santità non sempre è agevolato e anzi molto spesso irto di spine e di contrarietà dovute alle immancabili devianze e alle defezioni della natura umana, non esente da limiti e da imperfezioni; anche le insidie del peccato e le ricorrenti tentazioni nonché il maligno che sfrutta la nostra debolezza è un continuo ostacolo e una sfida al raggiungimento della nostra perfezione, tuttavia lo stesso sostegno di grazia che Cristo apporta nella nostra vita ci è di sprone alla fiducia e alla perseveranza. E ulteriore incentivo ci viene dato dalla vita stessa di tutti questi uomini illustri che oggi veneriamo nella globalità e indistintamente.

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