Archive pour le 5 septembre, 2014

GiovannI Paolo II e Madre Teresa di Calcutta

 GiovannI Paolo II e Madre Teresa di Calcutta dans immagini sacre madre_teresa_papa

http://www.religionenlibertad.com/articulo.asp?idarticulo=35285

Publié dans:immagini sacre |on 5 septembre, 2014 |Pas de commentaires »

PAPA GIOVANNI PAOLO II E MADRE TERESA DI CALCUTTA (M. 5 SETTEMBRE)

http://www.moscati.com/Ital3/SA_GPaolo2_MTC.html

PAPA GIOVANNI PAOLO II E MADRE TERESA DI CALCUTTA (M. 5 SETTEMBRE)

Esempi di vera missione apostolica

Sonia Andreoli

L’Immagine di Cristo sofferente
Il Papa Giovanni Paolo II ha lasciato un « segno » nella storia, non solo in chi crede in Dio, o in chi è cattolico convinto, ma anche in chi l’ha apprezzato come uomo « coerente » con le sue idee e la sua scelta di fede. Il suo lungo pontificato ha dato testimonianza del suo reale voler seguire Cristo in tutto, e questo si evidenzia anche nel precedente corso della sua esistenza, di cui si è tanto parlato grazie ai media.
Il particolare che ha indotto molti a riflettere è come sia stato apprezzato anche dai non credenti o dagli appartenenti ad altre religioni: chiunque l’abbia anche solo guardato non poteva non percepire in lui una particolare « luce » che traspariva non solo dal suo sguardo, ma da ogni suo gesto.
Ognuno di noi ha in sè una « scintilla divina », ma figure come Giovanni Paolo II – o come Madre Teresa di Calcutta – si sono resi talmente strumenti di Dio da far sì che quella « scintilla » divenisse sempre più grande, visibile, feconda. Questo ha permesso, e ancora permette a noi che consideriamo la loro vita, di comprendere e si può dire « toccare con mano » che il Signore ha un « grande progetto » per ognuno di noi. Dio attende e desidera solo che liberamente gli apriamo la porta del nostro cuore…
Se impariamo a considerare i santi, o chi si sforza di tendere alla santità tramite una vita vissuta nell’amore di Dio e nel servizio del prossimo, non come « esseri speciali » o dotati di qualche « potere straordinario », ma come nostri fratelli, che hanno la stessa nostra natura, non ci daremmo comode « attenuanti » quando non riusciamo a seguire il loro esempio.
Si tende sempre a voler evitare la sofferenza, a leggerla come una condanna, e spesso ci si accosta alla preghiera, e si chiede l’intercessione dei santi, solo per esserne « risparmiati ». Chi di noi può considerarsi immune dal pensiero di domandare a Dio che ci risparmi i mali fisici…?! In quanto creature umane siamo limitate e fragili, ma proprio per questo è necessario nutrire – con la grazia di Dio – una salda Fede, che ci consenta, dopo aver detto come Gesù nel Getsemani di « allontanare da noi il calice amaro », di ricordare come anche allora Gesù si affidò nelle mani del Padre, accettando la dolorissima passione e la ignominosa morte…
Quando si è indotti erroneamente a pensare: « Sì, ma Lui era il Figlio di Dio… noi siamo invece dei semplici esseri umani… », è il momento di ricordare che Gesù, avendo anche la natura umana oltre quella divina, ha sofferto pene indicibili come accadrebbe per ognuno di noi nella stessa situazione, con la differenza che l’ha patito per amor nostro ed offrendosi a subire quel martirio per la nostra salvezza…
I miracoli che più « colpiscono » l’opinione pubblica sono le guarigioni miracolose. Queste ovviamente rivestono un ruolo importante, però sono « segni » di un orizzonte più vasto che solo lo Spirito Santo ci permette di scorgere… Tornando a considerare la figura di Papa Giovanni Paolo II, possiamo pensare: se la Vergine Maria ha deviato il proiettile che avrebbe dovuto indurlo alla morte fisica, non avrebbe anche potuto evitargli le innumerevoli altre patologie che l’hanno condotto a lasciare questa dimensione terrena dopo tanto patire…? Sicuramente sì…
Ma evidentemente non era quella la missione che il Signore aveva affidato a questo grande Papa: Giovanni Paolo II doveva rappresentare sulla terra anche l’immagine del volto di Cristo sofferente… Come evitare di notare la sofferenza del non poter riuscire a parlare nei suoi « ultimi tempi » trascorsi qui tra noi? Era stato sempre un uomo molto attivo, ma alla fine si è trovato costretto all’invalidità… Ma la « luce » che sempre lo aveva accompagnato non appariva certo « spenta », anzi: dal suo sguardo traspariva un grande amore, quello stesso amore che non era altro che il « riflesso » della sua consacrazione a Cristo e del sul « affidamento » a Maria Santissima, espresso dal suo « motto »: « Totus tuus ».
E’ dal vero amore verso Dio che deriva quella forza « positiva » che spinge ad amare gli altri, anche quando ci sembrano tanto diversi da noi. Molti hanno apprezzato il perdono che ha concesso a colui che lo poteva uccidere, ma non ci si dovrebbe sorprendere: come si può seguire Cristo senza applicare nella propria vita i suoi insegnamenti…? E’ lo stesso criterio che si dovrebbe applicare nella preghiera: è facile lodare Dio quando tutto « scorre » secondo i nostri voleri, anzi, forse, in questo caso ci si dimentica anche di ringraziarlo; invece è più semplice – e frequente! – « addossargli » la colpa dei nostri malcontenti, non comprendendo che non sempre i nostri « disegni » corrispondono ai Suoi e che spesso quello che può sembrare un male alla fine non lo è ma si rivela anzi una grazia.
Quanti di noi hanno attestato di essere « grati » di aver avuto alcune malattie perchè li hanno resi meno « ciechi »…? Talvolta proprio quello che in apparenza potrebbe sembrare un « lungo calvario » porta con sè una gran luce… Papa Giovanni Paolo II non si è tirato indietro dinanzi all’accettazione del suo « calvario personale », dandoci così una grande testimonianza di come si debba servire il Signore in tutte le circostanze e corrispondere sempre al suo amore, ricordando che su questa terra siamo solo di passaggio e che tutte le nostre sofferenze, se offerte a Lui, contribuiranno a farci « conquistare » il vero premio… la vera Vita dove non ci sarà più posto nè per il dolore nè per le malattie.
Questa dovrebbe essere la meta di ogni cristiano, e dovrebbe esserci d’aiuto per non sentirci sconfortati nei periodi « bui », ricordando che il Signore non ci abbandona mai, né è sordo alle nostre richieste di aiuto. Anzi, siamo noi che, talvolta, non comprendiamo fino a che punto ci ama e, presi dalle « faccende quotidiane » non ascoltiamo la Sua voce.
Servire il Signore, farsi suoi strumenti attivi, vedere la propria vita come una vera « missione », non è certo esclusiva di pochi, non è riservato solo a chi fa parte di ordini religiosi… Questa chiamata è infatti valida per tutti, e quando si incontra Cristo nella propria vita non si può evitare di seguirlo…

Madre Teresa di Calcutta: una vita spesa per il prossimo
Cosa accomuna la figura del Papa Giovanni Paolo II con la « piccola » grande Madre Teresa di Calcutta…? Entrambi hanno tratto la loro forza dalla Fede, dalla contemplazione meditativa di Dio, seguita dal dedicare la loro esistenza al bene del prossimo,e per « prossimo » hanno inteso prorio tutti: Madre Teresa, coadiuvata dalle sue consorelle, non domandava ai suoi « pazienti », cioè ai tanti malati che curava amorevolmente, quale fosse il loro « credo », ma si dedicava a tutti amorevolmente solo perchè erano creature di Dio.
Anche S.Francesco ebbe inizialmente delle reticenze dinanzi al lebbroso… Abbiamo sempre la nostra parte « umana » che reclama i suoi diritti, che è sensibile ai « cattivi odori », soggetta ad avere simpatie ed antipatie… Ma sentendoci forti nella nostra « debolezza », come dice S.Paolo, e cioè traendo la nostra forza solo da Colui che ce la può donare, si possono superare tanti limiti umani…
Ci fu chi criticò Madre Teresa quando seppe che aveva incontrato la Principessa Diana, ma lei, con il solito suo umorismo, rispose di non aver visto la « principessa » Diana, bensì, l’infelice Diana… Ecco un altro dono dello Spirito Santo: questo poter « leggere » nei cuori e vedere « al di là dei comuni occhi di carne », per poter regalare amore a chi si sente triste e sta facendo un cammino privo della luce divina.
Chi avrebbe potuto immaginare che una donna tanto profonda ed altruista provasse « aridità » spirituale e sentisse Dio come lontano da lei…? Eppure i suoi scritti ci confermano che era così, però nonostante questo ha continuato per anni ad amare e servire il Signore, non diminuendo le ore trascorse in contemplazione ed in preghiera.
Si racconta che – per attestare l’importanza che dava all’adorazione del Santissimo – quando accompagnò all’uscio un sacerdote che aveva detto, durante una catechesi fatta a lei ed alle sue consorelle, che non era « indispensabile » inginocchiarsi dinanzi al Santissimo, ma poteva bastare un semplice inchino, Madre Teresa gli disse come non fosse « indispensabile » che lui ritornasse da loro…
Le suore dell’ordine di Madre Teresa fanno sempre « coesistere » il loro apostolato con una vita contemplativa molto intensa, dando testimonianza di come non ci si possa « scusare » di pregare poco dietro la banale attenuante della mancanza di tempo: è ben noto come queste religiose impieghino il tempo prodigandosi nell’assistenza ai bisognosi, eppure non dimenticano mai Chi deve avere la supremazia su tutto: il Signore…!

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II, S - BEATI |on 5 septembre, 2014 |Pas de commentaires »

7 SETTEMBRE 2014 | 23A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/5-Ordinario-A-2014/Omelie/23a-Domenica-A/03-23a-Domenica-A-2014-JB.htm

7 SETTEMBRE 2014 | 23A DOMENICA A – T. ORDINARIO | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : MT 18,15-20

Molto presto la comunità cristiana dovette affrontare la realtà del peccato al suo interno: i cristiani non riuscivano a vivere all’altezza del volere di Dio. Scoperto il potere del peccato, riconoscono il potere della grazia: si sanno non solo delegati da Gesù per il perdono, ma, inoltre, elaborano un procedimento particolare per esercitare il potere di perdonare i peccati. L’insistenza nella correzione fraterna, la delicatezza pedagogica come metodo per riuscire ad ottenere la conversione del fratello, la ripetizione dei tentativi ed il progresso nelle misure non riescono a far dimenticare la radicalità della decisione finale: l’espulsione del fratello che respinge il perdono. La possibilità di essere perdonato impone la scomunica se non si ritorna alla grazia. Avere a portata di mano la grazia, quando si vive in comune la fede ed il peccato, non la converte in una opzione: chi respinge la conversione, deve essere respinto da una comunità che è nata e vive della grazia gratuita, ma non economica, di Dio. Giocare con la propria conversione è giocarsi la vita in comune.
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli
15 « Se tuo fratello pecca, rimproveralo da solo tu e lui. Se ti ascolta, hai salvato il tuo fratello.
16 Se non ti ascolta, chiama uno o altri due, affinché tutto quanto rimanga confermato per bocca di due o tre testimoni.
17 Se non ascolta neanche loro, dillo alla comunità, e se non ascolta neanche comunità, consideralo come un gentile o un pubblicano.
18 Vi assicuro che tutto quello che legherete sulla terra rimarrà legato nel cielo, e tutto quello che slegherete sulla terra rimarrà sciolto anche nel cielo.
19 Vi assicuro, inoltre, che se due di voi si mettono d’accordo sulla terra per chiedere qualcosa, il mio Padre celeste glielo darà.
20 Perché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì io sono in mezzo ad essi. »
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Dentro un lungo discorso che spiega le leggi che dirigono la vita comune (Mt 18), nel nostro paragrafo Gesù impone la correzione fraterna a chi vive in comunità e segnala, inoltre, una metodologia precisa per metterla in pratica. L’evangelista, pastore realistico, assume il peccato come fatto innegabile dentro la convivenza fraterna, ma non scusa la sua dissimulazione né la connivenza che lo tolleri. La comunità cristiana che sa di non essere libera dal peccato, deve sapere come agire col fratello che pecca. Che non si possa evitare il peccato non la libera di dover affrontare il peccatore. Avvertenza, certamente, molto attuale.
In 18,15-20 il redattore ha raggruppato otto sentenze, separate in due blocchi. Fratello è il termine chiave di un paragrafo che stabilisce la normativa da seguire nel trattamento del peccatore dentro la comunità (15-17) la cui autorità viene legittimata di seguito (18-20). Tanto chi pecca, come chi corregge, rimangono uniti per la fraternità: salvare chi sbaglia, correggendolo, è opera di fratelli.
Le cinque primi frasi (15-17) sono formulate di forma analoga: si contempla un caso, espresso in condizionale, e si offre una soluzione, sempre in imperativo. Costituiscono una piccola unità chiusa, di tono marcatamente legalista: nei casi contemplati si deve agire nella forma indicata (‘norme di diritto divino’).
Le tre seguenti (18-20) servono da motivazione. La separazione è evidente nel cambiamento del tu al voi/essi, nell’introduzione enfatica (18.19) e, soprattutto, nella tematica. Quello che decide la comunità sarà confermato da Dio, a patto che lo chieda come comunità orante.
Che si stabilisca un procedimento disciplinare presuppone tensioni intracomunitarie. Si accetta non solo l’esistenza del peccato e la sua origine, ma si danno anche norme precise affinché il peccatore si allontani dal suo peccato. Dettagliando l’iter della correzione, questa diventa ineludibile: conoscere quello che si deve fare converte in inescusabile la correzione di colui che non ascolta.

2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Per estraneo che sembri, Gesù sapeva che il peccato si sarebbe fatto presente nella vita dei suoi discepoli. Sapeva bene che i suoi seguaci non seguiranno sempre le esigenze del Padre suo e che neanche i suoi più vicini avrebbero vissuto a pieno il volere di Dio. Per ciò non si scoraggiò: fece in modo che imparassero un vero recupero del peccatore, dove l’offerta del perdono doveva essere ripetuta con perseveranza. La comunità cristiana dovette imparare a perdonare, perché dovette riconoscere che il peccato era una realtà al suo interno. Convivere con chi pecca doveva convertire alla gratuità del perdono.
Il fatto stesso che Gesù si vedesse obbligato ad insegnare un metodo per perdonare i peccati svela il suo interesse per la santità dei suoi discepoli: non volle far passare per imperdonabili le loro mancanze e debolezze, ma neanche li lasciò soli con esse. Non condannò il peccatore, ma neanche condannò la comunità a vivere nel peccato; insegnando come perdonare al peccatore, Gesù obbligò i suoi discepoli affinché prendessero sul serio l’offesa commessa dai fratelli e mostrò loro la strada per perdonarla. Non permise che quelli che riuscivano a seguirlo senza mancanze né titubanze si disinteressassero di quanti trovavano più difficoltà nel vivere secondo il suo volere.
È consolante contemplare questo Gesù che non si scoraggia davanti a situazioni di ovvio peccato tra i suoi discepoli. Non critica chi non riuscì a mantenersi all’altezza delle esigenze divine; ma responsabilizza il fratello che l’accompagna nella vita e gli raccomanda che badi al peccatore e tenti di recuperarlo per la santità comune; lungi dall’accanirsi sul male del cristiano, impone a colui che è riuscito a conservarsi buono di preoccuparsi del suo fratello più debole. Essere meno peccatore degli altri, ci insegna oggi Gesù, dovrebbe farci più responsabili: chi pecca meno, deve perdonare di più. Nella sequela di Gesù la lotta contro il peccato non passa di moda, finché c’è un solo cristiano che non riesca a vivere come tale. Se il peccatore non merita il rimprovero di Gesù, è perché conta che avrà dei fratelli impegnati nella sua conversione.
Sfortunatamente, i migliori tra noi normalmente vivono la vita cristiana preoccupati di evitare il peccato ignorando il mandato di Gesù: chi è libero dal peccato, non è rimasto liberato dalla sua responsabilità per il fratello che pecca ancora. Non basta fuggire dal proprio fallimento per essere autentico discepolo di Gesù; bisognerà aiutare il fratello perché eviti i peccati; lasciare abbandonato chi è caduto, solo perché noi non lo siamo, suppone lasciare incompiuto il mandato di Gesù. Il cristiano non si accontenta, dunque, di essere buono, se ancora non lo sono quelli che seguono Gesù con lui; finché c’è un cristiano peccatore, tutti abbiamo un compito da soddisfare ed un mandato di Gesù da compiere.
Gesù non esige dai suoi discepoli che perdonassero, mostrò loro come dovevano fare: con delicatezza e tatto, con perseveranza ed interesse, con progressività e fermezza, il discepolo deve tentare di convertire chi pecca. Ma nota anche Gesù – per duro che ci sembri – che non si dovrà considerare fratello chi persiste nella sua mancanza: a chi rifiuta il perdono offerto bisogna rifiutargli la convivenza fraterna. Non può esserci familiare chi persevera nella sua malvagità. Non può considerarsi fratello che non desidera vivere in pace con il nostro Padre. Questa imposizione di Gesù non è meno esigente della prima: ci risulta più facile perdonare chi pecca o convivere con lui?
Frequentemente, i cristiani, perfino quelli che ci crediamo buoni, conviviamo con chi vive respingendo Dio. Non siamo sufficientemente coraggiosi di rompere con chi ha rotto, ostensibilmente ed apertamente, con Dio, nostro Padre. Ci sbagliamo considerando degno di noi chi non considera degno di sé il nostro Dio. Se Dio ci interessasse realmente, dovremmo interessarci affinché non fosse sottovalutato né dimenticato e non dovremmo mostrare troppo interesse per chi non l’apprezza abbastanza o lo maltratta. Se non perdoniamo ai nostri amici più intimi quando si dimenticano di Dio, gli facciamo capire che non sono essi, ma Dio, quello che più ci importa. Chissà se non è quello che stanno aspettando da noi per convertirsi al nostro Dio!
Non è raro tra i buoni cristiani di sentirsi dimenticati da Dio. Sembra che Dio non ascolti le nostre domande né prenda a cuore le nostre necessità. Invece, Gesù nel vangelo ci ha appena promesso che quello che chiediamo nel suo nome, ci sarà concesso. Non è fedele alla sua parola? o non sarà, piuttosto, che Gesù non può compiere il suo impegno di ascoltarci, perché noi non abbiamo compiuto prima il nostro obbligo di offrire il perdono a chi avesse avuto bisogno di lui? Non bisogna dimenticare che Gesù promise che Dio avrebbe ascoltato coloro che, riuniti nel suo nome, si sarebbero preoccupati di recuperare il fratello peccatore, per avvicinarlo a Dio.
Se ci preoccupassimo più della parola di Dio, non lo teniamo più occupato con i nostri piccoli discorsi. Dovremmo imparare che non basta chiedere, se prima non abbiamo ubbidito; pregare nel nome di Gesù, senza averlo seguito da vicino, è un esercizio inutile. Il dialogo che non venga preceduto dallo sforzo di avere lasciato soddisfatti i diritti di Dio, non può contare sulle sue attenzioni: non è molto logico che tentiamo Dio perché sappia quello che ci manca, se non ci siamo informati sugli uomini che non hanno ancora Dio come Padre né per i fratelli che ancora non conoscono il nostro Dio. Chi ha la sicurezza di avere fatto quello che doveva, prega con sicurezza di raggiungere quello che desidera.
Ma non finisce qui la promessa di Gesù: nonostante la presenza dei peccatori, la comunità che lo serve e perdona, non otterrà solo quanto chiede nel nome di Gesù, ma l’avrà per mezzo suo. Gesù si è impegnato a stare vicino a quanti pregano, dopo avere fatto l’impossibile per recuperare il fratello peccatore, che si allontanò e si perse. Vale la pena, avere fratelli che ci perdonano quando abbiamo bisogno di lui e che non si disinteresseranno di noi, benché li abbiamo lasciati, vale la pena di appartenere ad una comunità dove Cristo Gesù è presente. Vale la pena, per potere chiedere a Dio nel nome di Gesù quanto abbiamo di bisogno con la sicurezza di essere esauditi, di sapere che Gesù condivide le nostre parole e le nostre necessità mentre preghiamo, vale la pena di appartenere ad una comunità nella quale il perdono è offerto in modo permanente.
Vale la pena di continuare ad essere discepoli di Gesù, costi quel che costi, e vivere in comune il nostro sforzo di fedeltà, gomito a gomito con chi è obbligato ad aiutarmi quando io ne ho bisogno ed aiutare chi ha bisogno di me. È certo che le esigenze di Dio sono grandi, ma le sue promesse non sono meno stupende: avere il fratello come responsabilità ed il suo peccato personale come faccenda da sbrigare ci ottiene di avere Dio come Padre e Gesù in mezzo a noi. Il nostro Dio non esige più di quanto ci ha dato; ma neanche ci chiede di meno.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb,

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31