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ISAIA 55,6-9
6 Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. 7 L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona.
8 Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie — oracolo del Signore. 9 Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
COMMENTO
Isaia 55,6-9
La ricerca di Dio
Nella seconda parte del libro di Isaia (Is 40-55), opera di un profeta anonimo chiamato Deuteroisaia, si preannunzia e si prepara il ritorno nella loro terra dei giudei esiliati in Babilonia (538 a.C.). La sezione inizia con l’evocazione di una grande strada che si apre nel deserto, lungo la quale gli esuli si incamminano sotto la guida di Dio (Is 40), e termina con un poema nel quale si riafferma la fedeltà di Dio che porterà a compimento tutte le sue promesse (Is 55). Quest’ultimo capitolo si divide in tre parti: 1) il rinnovamento dell’alleanza davidica (vv. 1-5); 2) l’efficacia della parola di JHWH (vv. 6-11); 3) Rinnovamento di tutte le cose (vv. 12-13). Il testo liturgico riprende la prima metà della seconda parte di questo capitolo. Essa inizia con un’esortazione generale alla ricerca di Dio (v. 6), che diventa poi un invito alla conversione (v. 7), seguito da una motivazione di carattere teologico (vv. 8-9).
Il testo liturgico inizia con queste parole: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (v. 6). Il tema del «ricercare» (darash) Dio nasce dalla consuetudine diffusa in tutte le religioni di visitare il santuario di una divinità per poterla incontrare nella statua che la rappresenta e ottenere da essa doni e grazie. L’incontro con la statua era l’occasione di una forte esperienza religiosa. Anche in Israele il termine indicava originariamente la visita al santuario di JHWH per richiedere una responso per mezzo di un oracolo (cfr. Dt 17,9;). Il termine assume però altre connotazioni, quali l’essere fedeli a Dio (cfr. Os 10,12; Am 5,4.6; Is 9,12), pregarlo (cfr. Sal 69,23-24; 105,4), compiere la sua volontà (cfr. Is 31,1; Ger 10,21). In questo contesto l’invito a ricercare Dio è parallelo a quello di invocarlo e ha come motivazione il fatto che egli si fa trovare, è vicino. Rivolto agli esuli, questo invito ha lo scopo di renderli attenti alla presenza di Dio nella storia e disponibili lasciarsi coinvolgere nella sua azione, che sta per configurarsi in un intervento risolutivo a loro favore, la liberazione e il ritorno nella loro terra.
L’esigenza di cercare Dio comporta quindi un impegno preciso: «L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» (v. 7). Il termine «empio» (rasha‘), in parallelismo con «uomo iniquo» (îsh awen) indica colui che non si preoccupa di compiere il volere di Dio nella sua vita quotidiana. In questo contesto indica quei giudei che si erano stabiliti nella terra d’esilio integrandosi nella società in cui si trovavano senza più pensare alla possibilità di un ritorno nella loro terra. L’empio e l’iniquo sono invitati ad abbandonare rispettivamente la loro via e i loro pensieri. Per la legge del parallelismo i due termini sono equivalenti; ma le «vie» sono piuttosto i comportamenti pratici, mentre «pensieri» indicano più direttamente i propositi e i progetti che ne sono la causa. Secondo la mentalità biblica pensieri e azione sono intimamente collegati: per trasformare la prassi è indispensabile mutare la mentalità, il cuore delle persone. Positivamente l’empio è invitato a «ritornare» (shûb) a Dio. Questo verbo indica la «conversione», che consiste in un cambiamento di rotta per ritornare sul proprio cammino e incontrare nuovamente JHWH. Per colui che è andato fuori strada non è facile convertirsi, soprattutto se sussiste l’immagine di un Dio vendicativo e crudele. Perciò il profeta sottolinea che JHWH è un Dio misericordioso e disponibile al perdono. Per colui che si è allontanato un gesto radicale di cambiamento è possibile solo se è sicuro di ottenere il perdono.
Per cogliere fino in fondo la misericordia infinita di Dio bisogna superare la tendenza spontanea a immaginare Dio con categorie umane. È questo il problema di ogni pratica religiosa. Il profeta lo affronta in questi termini: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (vv. 8-9). Anche Dio ha i suoi pensieri e le sue vie, ma sia gli uni che le altre sono totalmente diversi da quelli dell’uomo. I pensieri di Dio sono i suoi progetti in favore del cosmo e dell’uomo. Le sue vie sono i suoi interventi nella storia. Ciò che Dio pensa e per cui agisce è solo la salvezza del suo popolo e in prospettiva di tutta l’umanità. I pensieri e le vie di Dio non solo sono diversi, ma «sovrastano» quelli dell’uomo, sono più alti di essi come è più alto il cielo rispetto alla terra. I piani di Dio sono quindi sconosciuti all’uomo, e questo non solo perché Dio è un Dio misterioso (cfr Is 45,15), ma anche e soprattutto perché l’uomo è rivolto alle cose che gli interessano, mentre Dio cerca il vero bene di tutti. Dio progetta e dirige la storia in un modo superiore e sovrano. L’esilio e il ritorno lo rivelano a quelli che sanno comprendere.
Linee interpretative
In questo testo il Deuterosisaia presenta Dio da una parte come Colui che è immensamente superiore all’uomo, che ha pensieri e comportamenti diametralmente opposti ai suoi. D’altra parte però lo presenta anche come Colui che è vicino e si lascia trovare dall’uomo. In forza della sua trascendenza, Dio non può essere definito, perché inevitabilmente sarebbe ridotto a categorie umane. Di lui si può dire con più sicurezza quello che non è che non quello che è. Tutto quanto si dice di Lui non può essere che una metafora, un’analogia totalmente inadeguata al suo vero essere. Tuttavia questo Dio inaccessibile si fa vicino all’uomo e gli parla attraverso gli eventi della storia, interpretati dai suoi profeti. Costoro sono persone che hanno una percezione più diretta e immediata del divino così come si manifesta nel mondo e nella storia. La loro parola è luce e guida per tutto il popolo, specialmente nei momenti più cruciali, come è quello del ritorno dall’esilio. Coloro a cui si rivolgono devono ascoltarli: ciò non li esime però da una ricerca personale, senza della quale non potranno discernere i veri dai falsi profeti.
Nel contesto biblico la ricerca di Dio non consiste in una riflessione astratta circa la sua natura e i suoi attributi, ma piuttosto in una «conversione» vissuta, che si esplica nell’impegno quotidiano per vivere secondo i suoi comandamenti. Nella prospettiva profetica questi non coincidono con le numerose prescrizioni della legge mosaica, ma in quello che ne è il fondamento, il decalogo. L’empio non è colui che rifiuta a Dio gesti esterni di culto, ma colui che gli nega il vero sacrificio di lode. Per trovare Dio gli israeliti devono anzitutto instaurare rapporti autentici di giustizia e di solidarietà tra di loro. L’amore del prossimo, mediante il quale si ricostituisce l’unità del popolo, sta alla base di una vera conversione e rappresenta il primo effetto dell’intervento di Dio e la condizione indispensabile perché esso giunga a compimento.