Archive pour le 10 septembre, 2014

La protezione della Madre di Dio Theothokos

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Publié dans:immagini sacre |on 10 septembre, 2014 |Pas de commentaires »

ARTE E LITURGIA – ICONOGRAFIA DELLA NATIVITÀ

http://www.stpauls.it/vita/0911vp/0911vp24.htm

(le foto citate nel testo sul sito)

ARTE E LITURGIA

ICONOGRAFIA DELLA NATIVITÀ

DI MICAELA SORANZO

VITA PASTORALE N. 11 DICEMBRE 2009

Si definisce « natività » l’immagine in cui è presente solo la Sacra Famiglia, talvolta arricchita dalla presenza di santi e donatori (particolarmente sviluppata nel Rinascimento fiorentino), mentre sono « adorazioni » quelle in cui compaiono altri personaggi come i pastori o i Magi. Le componenti fondamentali della natività sono tre, Maria, Giuseppe e Gesù, da cui si originano due combinazioni: con i pastori e con i Magi.
Il racconto è caratterizzato da alcuni elementi significativi: la verginità della madre, la nascita nella grotta, la presenza della stella, l’arrivo dei Magi e la persecuzione di Erode, che sono riconducibili a un modello letterario diffuso in Oriente nella narrazione di nascite di eroi e di re, a cui viene affidato un destino di trasformazione della storia e per questo sono presentate come un dono del cielo. Altri elementi importanti sono la stella, gli angeli, l’asino e il bue, le pecore, i doni, la capanna, la mangiatoia, altri animali (cavalli, cammelli, cane, pavone) e i servitori. Vi è spesso la presenza di un paesaggio di sfondo, magari arricchito da piccole scene di vita, o un prato con fiori ed erbe.

Foto Catacombe Priscilla
Matteo e Luca, evangelisti dell’infanzia di Gesù, propongono il racconto della nascita come compimento delle profezie veterotestamentarie, anche se con notevoli differenze narrative, e ne sottolineano la dimensione cosmica con il racconto della visita dei pastori, del coro degli angeli e della visita dei Magi. La mancanza di particolari narrativi nei vangeli porta a ricercare ulteriori dettagli in altri testi, quali il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dello Pseudo Tommaso, i Vangeli arabo e armeno dell’Infanzia, la Legenda Aurea e le Meditazioni dello Pseudo Bonaventura.
Tra il V e il VI sec. i testi apocrifi, infatti, ebbero una grande influenza nella formazione del ciclo della natività, tanto da finire con l’essere recepiti dagli stessi Padri della Chiesa, come dimostrano i passi di Ambrogio e Prudenzio; ma a partire dal XIV sec. sono sostituiti dalle Rivelazioni di santa Brigida. La nascita è accompagnata da altri episodi dell’infanzia di Gesù, come la mano inaridita della levatrice incredula e il bagno del Bambino, raffigurati alla metà del VI sec. nelle catacombe di San Valentino e subito dopo nella chiesa di Santa Maria di Castelseprio (foto sotto).

Foto Pdart.
La più antica raffigurazione che allude alla natività è del III sec. e si trova nelle catacombe di Priscilla; qui la Vergine è seduta con il Bambino in braccio mentre il profeta che le è accanto indica la stella, in riferimento al profeta Balaam: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17). Nelle catacombe di S. Sebastiano a Roma troviamo già una raffigurazione di Gesù Bambino posto in una cassa di legno e adorato da due animali, ma non vi è nessun’altra presenza, per cui non può essere considerata una vera e propria natività, quanto un riferimento a Isaia.
Il bue e l’asino, infatti, pur non essendo menzionati né da Luca, né da Matteo, sono sempre rappresentati nelle scene della natività, facendo riferimento ai testi apocrifi e a un trattato scritto da Origene intorno al 220, in cui l’autore rimanda alla profezia di Isaia 1,3: «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». Origene ricollega questo brano alla nascita di Cristo, perché interpreta il bue, animale ritenuto puro, come simbolo degli ebrei e l’asino, ritenuto impuro, come simbolo dei pagani: solo questi ultimi sapranno riconoscere la greppia del loro padrone.
Sul coperchio di alcuni sarcofagi del IV sec. l’immagine essenziale di Gesù con i due animali può essere affiancata da uno o due pastori con la corta tunica romana legata in vita, il capo scoperto e il bastone curvo in cima, o anche da un profeta con un rotolo di pergamena. Maria, seduta su una pietra in disparte, appare solo se la scena è unita a quella dell’adorazione dei Magi e così pure la stella. Dal V sec. il profeta, e spesso anche il pastore, scompaiono per lasciare posto a Giuseppe seduto su un sasso dal lato opposto a Maria; è con il VI sec. che Maria diventa il secondo punto focale della composizione.
La vera e propria rappresentazione della natività compare molto tardi nell’arte cristiana: è il concilio di Efeso del 431 che, proclamando la divina maternità di Maria, dà inizio alla rappresentazione di questo tema. Fondamentale per il suo sviluppo è stata anche l’istituzione della festa del Natale il 25 dicembre, menzionata per la prima volta nella redazione della Depositio martyrum del 335, separandola dall’Epifania, e la costruzione nel 435, per volere di papa Sisto III, nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, di una cappella contenente le assicelle della mangiatoia e per questo detta « Sancta Maria ad Praesepe ». In seguito la rappresentazione di Greccio (1223) ne portò ovunque la diffusione.
In genere l’arte paleocristiana raffigura questo tema con tipi già esistenti nella tradizione greco-romana: Maria è adagiata su un fianco, con la testa velata e avvolta con un manto; Gesù è un putto fasciato deposto sulla mangiatoia sopra alla madre, su cui si affacciano il bue e l’asino adoranti; Giuseppe, un vecchio con una lunga barba e un’ampia toga raccolta su un braccio, siede da un lato, mentre dall’altro l’angelo in forma di vittoria alata appare ai pastori e in basso si trovano due levatrici che fanno il bagno a Gesù. Tra gli esempi più antichi e più interessanti, ci sono le ampolle di Monza del VII sec., in cui si vede la Vergine col Bambino al centro, mentre a destra e a sinistra sono raffigurati l’annuncio ai pastori e l’adorazione dei Magi.
Nelle icone bizantine, importanti per gli sviluppi delle immagini occidentali, il tema è rappresentato secondo uno schema fisso: nell’icona della natività di Andrei Rublev (XV sec.), ad esempio, la scena è dominata dalla montagna che si apre in una grotta, simbolo degli inferi. Maria è il roveto ardente che ha partorito Cristo, fasciato come un morto e deposto nella culla-sepolcro. L’asino e il bue rappresentano giudei e pagani; gli angeli (due che guardano verso il cielo e il terzo chino verso i pastori) la presenza della Trinità. Giuseppe viene tentato dal demone-pastore e le due levatrici rappresentano l’umanità incredula, su cui attenta vigila Maria. A sinistra i Magi che portano i doni al Bambino sono il segno che Cristo si è incarnato anche per gli stranieri e prefigurano le donne che portano aromi al sepolcro.
Nell’arte bizantina quindi la nascita di Cristo viene illustrata combinando le diverse scene della natività, dell’annuncio ai pastori e della venuta dei Magi, che in Occidente saranno oggetto di rappresentazioni distinte; Maria non appare più seduta su un trono come nelle raffigurazioni paleocristiane, ma distesa su un letto.
Fin dalle sue origini la natività presenta alcune componenti fisse: la fasciatura del Bambino, la mangiatoia, il bue e l’asino che, per il loro intrinseco valore simbolico, riceveranno una notevole attenzione, sia iconografica che letteraria. Già il vangelo di Luca intuisce numerose rispondenze tra l’episodio della natività e quello della deposizione di Cristo, individuando nelle fasce il simbolo della sepoltura. Una conferma di tale lettura si vede sia nella forte somiglianza iconografica esistente tra l’immagine del Bambino fasciato e quella consueta di Lazzaro avvolto nelle bende, sia nella particolarità di alcune scene della natività, dove la mangiatoia diviene simile a un vero e proprio sepolcro.
La mangiatoia, menzionata da Luca stesso come segno per riconoscere il Bambino, viene sostituita spesso con un tavolo, una cassa o una cesta di vimini. L’origine di quest’ultima è forse riconducibile al racconto del ritrovamento di Mosè in una cesta sulle acque, mentre nella variante del tavolo, solitamente coperto da un drappo, probabilmente è da vedere un altare, come a Chartres o a Klosterneuburg, secondo quanto suggeriscono alcuni passi di Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e Ambrogio, che definiscono la mangiatoia «un altare simbolico» e Cristo come il «pane vivente». Una lampada sospesa al soffitto e delle tende semiaperte accentuano a Chartres la somiglianza fra la mangiatoia e un altare: Gesù è offerto all’adorazione dei fedeli come su un’ara; è già il Redentore, futura vittima di espiazione dei peccati dell’umanità.
Nel XII e XIII sec. i racconti della nascita di Cristo si arricchiscono poco a poco di dettagli. Senza dubbio ciò è una conseguenza delle pie leggende e degli allestimenti degli spettacoli natalizi che facevano parte della liturgia. Nella maggior parte dei casi Maria è raffigurata sdraiata, come nell’arte bizantina; raramente i cuscini bassi sui quali riposa sono sostituiti da un letto, come si vede nel bassorilievo del 1240 che faceva parte del coro della cattedrale di Chartres. Un dettaglio interessante di questa raffigurazione è dato dalla tenda che compare dietro l’immagine: probabilmente queste tende erano usate nel dramma liturgico per separare lo spazio della rappresentazione dagli arredi sacri. Questo bassorilievo presenta anche un’eccezione riguardo al legame affettivo tra Maria e il Bambino: nelle raffigurazioni precedenti è raro trovare indizi di quella che potremmo chiamare « tenerezza materna », ma a partire dal XII sec. questo aspetto ricevette, specialmente nel Nord Europa, una certa attenzione, dovuta al contributo dei primi mistici come Bernardo di Chiaravalle.

Foto Censi.
Un tema a sé stante, che ha conosciuto una complessa evoluzione iconografica, è l’adorazione dei Magi. La tradizione dice che le loro reliquie furono portate a Sant’Eustorgio, Milano (vedi l’altare, foto sopra), rubate dal Barbarossa nel 1164 e portate a Colonia, dove sono molto venerate. Le prime rappresentazioni sono molto semplici e vogliono sottolineare il carattere simbolico del viaggio dei Magi verso il Bambino; infatti comprendono solo la Madonna con il Bambino e i Magi. Gesù è un bambino di circa due anni, in piedi, vestito con una corta tunica, in atto di benedire o stendere le mani verso i presenti; a destra si pone la Madonna e talvolta c’è anche Giuseppe come nell’Ara di Ratchis di Cividale del Friuli (foto a sinistra). Nei primi secoli i Magi sono imberbi e hanno tutti e tre la stessa andatura veloce; sono vestiti con una corta tunica, un mantello ondeggiante, i pantaloni aderenti e il berretto frigio, come a Ravenna (foto sotto). Recano le offerte su un semplice piatto e le mani sono coperte da un lembo del mantello, segno di purezza e di rispetto secondo il cerimoniale imperiale romano. Al XV sec. si fa risalire la tendenza a fissare il colore degli abiti, avendo ogni colore un significato simbolico, ma molti altri sono gli elementi simbolici nel racconto dei Magi.
Fra essi la stella è sicuramente il principale e appare fin dal III secolo. La stella può avere la forma di un fiore, un rosone o un cerchio luminoso, ma può essere sostituita dalla testa di un cherubino o da un angelo in volo; a volte è il Bambino stesso a guidare i Magi o la mano divina. Il vangelo di Matteo non precisa quanti siano i Magi e il numero tre è fissato da Leone Magno nel V sec.: è il numero divino per eccellenza ed è scelto in funzione dei doni, che hanno un significato simbolico, così come illustrato già alla fine del II secolo da sant’Ireneo. Fin dal IV secolo è rappresentato un Magio inginocchiato, ma è solo alla fine del XIII secolo che si diffonde tale raffigurazione e diventa classica l’immagine del primo Magio inginocchiato, a capo scoperto in atto di deporre simbolicamente la corona ai piedi del Bambino, e del secondo che indica la stella al terzo. A partire da questo momento si parla di « Adorazione dei Magi » (cf M. Soranzo, « Siamo venuti per adorarlo » in VP 12/04, pp. 26-31).

Foto Censi.
Una delle innovazioni più importanti è la comparsa del Re nero in un’opera di Mantegna del 1464 (foto sotto), con riferimento ai Padri della Chiesa che vedevano nei tre Re i discendenti dei tre figli di Noè: Sem, Cam e Jafet; dal XV sec. in poi diventano, quindi, immagine dei tre continenti allora conosciuti: Melchiorre rappresenta l’Europa, Baldassarre l’Asia e Gaspare l’Africa. Intanto dall’XI sec. i Magi appaiono nell’iconografia come Re per la lettura di alcuni testi biblici menzionati dai Padri; Tertulliano è il primo a chiamarli « Re » accostando al testo di Matteo il Salmo 72: «I re di Tarsis e delle isole porteranno offerte; i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni».

Foto Directmedia.
Dal XII sec. si precisa lo scenario dietro i personaggi: ma all’inizio c’è la roccia o la grotta, simbolo del legame tra cielo e terra che, pur restando in alcune rappresentazioni fino al Medioevo, viene generalmente sostituita da una specie di architettura, sia una tettoia o un portico, come nei dipinti gotici, o una struttura in legno incassata nella montagna come quella di Giotto agli Scrovegni o un semplice spiovente in stato di abbandono con grossi buchi nellapaglia che lo ricopre, come si può vedere fino al XV secolo. Gli artisti fecero a volte della mangiatoia una piccola costruzione simile a una versione ridotta della Chiesa della natività di Betlemme: una pianta a tre navate con una cappella ottagonale in corrispondenza dell’abside. La costruzione diviene poi sempre più complessa e talvolta un pavone, simbolo di immortalità, è appollaiato sul tetto (come nel quadro del Beato Angelico e Filippo Lippi, foto a destra). Le rovine o le ali di muro sbrecciate compaiono nei quadri alla fine del XV sec. (come in quello della cerchia di Bosch, foto a sinistra) e varie sono le interpretazioni: secondo i Padri della Chiesa le rovine sono il simbolo del vecchio mondo che crolla all’avvento di quello nuovo, segnato dalla nascita di Cristo.
Dal XVIII secolo si perde il calore devozionale per lasciare spazio al sentimentalismo. Con l’800 poi l’attenzione si sposta sulla fedeltà ambientale e sulla veridicità dei costumi più che sull’accentuazione del valore religioso.

Micaela Soranzo

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IO, PROTESTANTE CONVINTO DAL GESÙ DI PAPA BENEDETTO

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=127275

IO, PROTESTANTE CONVINTO DAL GESÙ DI PAPA BENEDETTO

Il nuovo libro del Papa Gesù di Nazaret non è un dono solo per i credenti. È un dono per tutte le persone in cerca della verità. Papa Benedetto è la voce cristiana più ascoltata in tutto il mondo. In questo libro non parla di un tema qualsiasi, bensì del centro della fede cristiana. Si tratta della figura di Gesù di Nazaret.
Il nuovo libro del Papa Gesù di Nazaret non è un dono solo per i credenti. È un dono per tutte le persone in cerca della verità. Papa Benedetto è la voce cristiana più ascoltata in tutto il mondo. In questo libro non parla di un tema qualsiasi, bensì del centro della fede cristiana. Si tratta della figura di Gesù di Nazaret.
E precisamente di due episodi nella sua vita in cui si decide se Gesù Cristo abbia un significato irrinunciabile anche per il XXI secolo. Al centro di questo secondo volume di Papa Benedetto sulla raffigurazione di Gesù vi sono la Croce e la Risurrezione. Nel libro del Papa su Gesù non si tratta, come lui stesso sottolinea, di una pubblicazione teologica. Questo libro non è stato preparato insieme a commissioni teologiche, il Papa qui presenta la sua personale descrizione di Gesù. In questo modo si è imbarcato senz’altro in un’impresa rischiosa.
Presentando il primo volume, il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha coniato un paragone: come l’apostolo Paolo ad Atene, il Papa ha osato andare all’agorà, sulla piazza del mercato delle opinioni contrastanti. Un’obiezione alla storicità delle parole dell’Ultima cena è che esse sarebbero impensabili in un contesto ebraico. Uno dei punti di forza del libro del Papa è la dimostrazione che proprio le affermazioni del Nuovo Testamento sulla morte di Gesù come espiazione del peccato dell’uomo diventano comprensibili solo con l’aiuto dell’Antico Testamento e della sua traduzione in ebraico antico. Anche qui si esprime una grande stima per l’ebraismo da parte del Papa, che a diritto ha trovato un’eco molto positiva nella stampa internazionale.
Fa parte di quei fenomeni difficili da comprendere il fatto che certi esegeti rilevino in modo particolare la devozione ebraica di Gesù, ma che al tempo stesso gli vogliano togliere quasi tutti i riferimenti alla Sacra Scrittura d’Israele. Ma questi riferimenti non si limitano a citazioni dirette. Le parole di Gesù sono intessute di allusioni all’Antico Testamento. Se le si volesse eliminare tutte, non rimarrebbe molto. Gesù ha vissuto nella Sacra Scrittura d’Israele, come tra l’altro anche il Papa. Non tutte le scoperte sui riferimenti all’Antico Testamento ha potuto desumerle dalla letteratura esegetica. Alcune cose derivano evidentemente da una meditazione sulle Sacre Scritture condotta durante tutta la vita.
Con il racconto evangelico della tentazione e della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani, Papa Benedetto chiarisce perché molte visioni non sono all’altezza di Gesù. Il Getsemani mostra Gesù, soprattutto nella raffigurazione del Vangelo di Luca (22,44) e della Lettera agli Ebrei (5,7-8), in tutta la sua vulnerabile e impaurita umanità. Tuttavia, il Padre celeste si aspetta da lui che beva «il calice» (Mc 14,36), che qui significa nel linguaggio dell’Antico Testamento l’ira distruttiva di Dio (Is 51,17). Ciò indica che Gesù deve essere più di un semplice uomo. Assolutamente di proposito l’evangelista Marco ha trasmesso proprio qui l’intima invocazione «Abbà, padre» nella sua forma semitica, così come si udì dalla bocca di Gesù. «Solo se Gesù è risorto, è accaduto veramente qualcosa di nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo.
Allora lui diventa il criterio su cui noi possiamo fare affidamento. Perché Dio si è mostrato davvero. Per questo nella nostra ricerca della figura di Gesù la Risurrezione è il punto decisivo. La risposta alla domanda se Gesù ‘era’ solamente oppure ‘è’ dipende dalla Risurrezione. Nel rispondere sì o no non si tratta di un singolo evento di fianco ad altri, bensì della figura di Gesù in quanto tale» (p. 202; pp. 212-3).
In questo ineludibile «aut aut» il Papa ha l’apostolo Paolo al suo fianco, che nella prima Lettera alla comunità di cristiani di Corinto scriveva: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo». (1Cor 15,14-15). «Solo un avvenimento vero di qualità radicalmente nuova poteva rendere possibile la predica apostolica, non spiegabile con speculazioni o esperienze interiori mistiche. Essa vive nella sua audacia e novità dell’impeto di un accadimento che nessuno aveva inventato e che faceva saltare ogni immaginazione».

Publié dans:Papa Benedetto XVI, STUDI |on 10 septembre, 2014 |Pas de commentaires »

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