Archive pour octobre, 2014

Maria con il Bambino in gloria con i santi, Valencia

Maria con il Bambino in gloria con i santi, Valencia dans immagini sacre
http://www.santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=20500&pic=20500AE.JPG&dispsize=Original&start=0

 

Publié dans:immagini sacre |on 31 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI – LA COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20111102_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI

MERCOLEDÌ, 2 NOVEMBRE 2011

LA COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Cari fratelli e sorelle!

Dopo avere celebrato la Solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a commemorare tutti i fedeli defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci hanno preceduto e che hanno concluso il cammino terreno. Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cristiani è illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna.
Come già dicevo ieri all’Angelus, in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’è uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già raggiunto l’eternità.
Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo sco­priamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo.
Perché è così? Perché, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità.
Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è igno­to. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.
Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.
Oggi il mondo è diventato, almeno apparentemente, molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è sarebbe una copia di quella presente.
Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può an­che vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: «Io so­no la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).
Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quando, dopo aver percorso un tratto di strada con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalemme per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr Lc 24,13-35). Alla mente ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (Gv 14,1-2). Dio si è veramente mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo «da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che Egli stesso ha at­traversato; è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare sen­za alcuna paura, poiché Egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità.
Ogni domenica, recitando il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla. E proprio la fede nella vita eterna dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza. Grazie.

 

2 NOVEMBRE- COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI – E PER NOI, COS’È LA MORTE?

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/5-Ordinario-A-2014/Omelie/31a-Dom-I-Defunti-A/01-31a-I-Defunti-A-2014-EB.htm

02 Novembre 2014 | 31a Dom. – Commemorazione dei Defunti A – T. Ordinario | Omelia

E PER NOI, COS’È LA MORTE?

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

1ª messa: Gb 19,1.23-27a  » Sal 26  » 2 Rm 5,5-11  » Gv 6,37-40
2ª messa: Is 25,6a.7-9  » Sal 24  » 2 Rm 8,14-23  » Mt 25,31-46
3ª messa: Sap 3,1-9  » Sal 41  » Ap 21,1-5a.6b-7  » Mt 5,1-12a

In Francia, nazione che sappiamo oggi piuttosto scristianizzata, hanno condotto un’inchiesta a partire dalla domanda: Che cos’è la morte per te? E le risposte sono state davvero da paese scristianizzato.
 » Su cento persone, 8 si sono dichiarate senza un’opinione precisa;
 » 37 hanno detto che la morte è la fine di tutto, che dopo non c’è più niente;
 » altri 33 su cento hanno parlato di un passaggio verso un qualcosa, ma non hanno saputo dire di che cosa si tratti. Giunti di là, si vedrà;
 » soltanto il 22% dei francesi (cioè uno ogni cinque) ha saputo dare la risposta cristiana: la morte è l’ingresso nella vita eterna.
* Noi veniamo nelle chiese per tanti motivi: come per pregare, per capire il senso della vita alla scuola del Signore, e poi vivere ciò che abbiamo compreso. La liturgia di questo giorno dedicato alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti, ci aiuta ad approfondire. Oggi c’è la particolarità delle tre messe in suffragio dei defunti, che i sacerdoti possono celebrare il 2 novembre. E le Letture di queste messe gettano luce sul mistero della morte e dell’aldilà.
Proviamo a percorrere brevemente insieme queste Letture.

TANTA LUCE GIÀ DALL’ANTICO TESTAMENTO
Già i brani dell’Antico Testamento sono espliciti.
 » Il profeta Isaia annunciava al suo popolo: il Signore « eliminerà la morte per sempre, asciugherà le lacrime su ogni volto » (Is 25,8).
 » L’autore del libro di Giobbe gli fa dichiarare questa certezza sull’aldilà, sulla visione di Dio: « Vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno » (19,27). E chiedeva che le parole di questa sua convinzione « fossero fissate in un libro, impresse con stilo di ferro sul piombo, incise per sempre su roccia » (19,23).
 » un Sapiente d’Israele ha descritto così « il destino riservato ai giusti »:
« Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace ».
Ciò accade perché « Dio li ha provati, e li ha trovati degni di sé ». Ha spiegato quel sapiente che questa è la magnanimità di Dio: « Coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell’amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti » (Sapienza 3,1-9 passim).

DAL NUOVO TESTAMENTO LA LUCE PIENA
Sui destini dell’uomo il Nuovo Testamento porta una luce smagliante, di pieno conforto per noi.
 » Una luce che nasce anzitutto dalle parole di Gesù che i Vangeli ci riportano. Il Signore ci ha rivelato « la volontà del Padre », cioè « che chiunque vede il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna ». E ha precisato: « Io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (Gv 6,40).
Gesù è stato anche più esplicito con gli apostoli: « Nella casa del Padre mio c’è molto posto. Io vado a prepararvi un posto. Tornerò, e vi prenderò con me. Così anche voi sarete dove io sono » (Gv 14,2-3).
* Dobbiamo all’evangelista Giovanni, nella visione dell’Apocalisse, tanti particolari che pur nel loro simbolismo gettano luce sul futuro dell’uomo.
« Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una nuova terra… Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, pronta come una sposa adorna per il suo sposo… Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra loro, ed essi saranno il suo popolo, ed egli sarà il Dio con loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate… Io faccio nuove tutte le cose. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine » (Ap 21, 1-5 passim).
* San Paolo risulta altrettanto chiaro: « Siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo ». Di qui un motivo di conforto per l’oggi: « Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura! » (Rm 8,16-18).

LA PENULTIMA COSA
Gesù però ha anche precisato chi sono questi figli di Dio destinati al Regno. Essi sono gli uomini delle Beatitudini.
Non chiunque dice Signore, Signore!, ma « Beati i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati a causa della giustizia… ». Perché beati? Perché « di essi è il regno dei cieli ». (Mt 5,1-11).
* Gesù con la parabola del Giudizio universale ha precisato che sono figli di Dio quelli che compiono le opere di misericordia. Il Signore dirà loro: « Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo ». Perché benedetti? « Perché io ho avuto fame e sete, ero forestiero, nudo, malato, carcerato… e mi avete assistito » (MT 25,31-46).
Queste dunque le certezze con cui noi cristiani guardiamo ai nostri cari defunti e pensiamo anche al nostro destino.
* Queste verità cristiane vengono a dirci che la morte non è l’ultima cosa, ma – come si è espresso un teologo moderno – è solo la penultima. Ultima cosa sarà la risurrezione in Cristo e la vita eterna in Dio.
* Certo, per il cristiano la morte rimane un mistero, ma un mistero pienamente illuminato dalla fede. Conosciamo il fatto: anche Gesù Cristo è morto, ma Dio Padre con la sua risurrezione lo ha strappato alla morte, e noi sappiamo – perché Gesù ce lo ha detto – che strapperà dalla morte anche noi e i nostri cari. È questa la novità del discorso cristiano sulla morte: una novità inaugurata dalla risurrezione di Gesù.
A volte sentiamo i nostri defunti tanto lontani, ma pure la fede ce li fa sentire vicini. In realtà « Non esiste un regno dei vivi e un regno dei morti, esiste solo il Regno di Dio; e noi – vivi o morti – ci siamo tutti dentro » (Georges Bernanos).

RISPOSTE DI ALCUNI CRISTIANI AUTENTICI
Se per caso capitasse anche a noi come in Francia di essere intervistati con la domanda: « Che cos’è per te la morte », come risponderemmo? Ecco come hanno risposto alcuni cristiani autentici.
 » Papa Giovanni XXIII: « La morte è il passaggio dalla stanza di sotto a quella di sopra ».
 » Il domenicano padre Antonin Sertillanges: « In fondo nessuno muore, perché non si esce da Dio ».
 » Il compositore Charles Gounod: « Morire è uscire dall’esistenza, per entrare nella vita ».
 » Il teologo Karl Rahner: « La morte è una caduta, che la fede interpreta come caduta fra le braccia del Dio vivente che si chiama Padre ».
 » San Giovanni Crisostomo: « Non affliggerti per chi muore. Quale assurdo: credere in un paradiso eterno, e poi compiangere chi ci va? ».
 » Santa Teresa di Liseux morente: Io non muoio, entro nella vita ». E ha aggiunto: « Non è la morte che verrà a cercarmi, è il buon Dio

CONCLUSIONI PER NOI
Il distacco dei nostri cari provoca in noi una mestizia austera, ma ci lascia una speranza fiduciosa. Al cimitero troviamo le tombe dei nostri cari. Esse sono « monumenti collocati ai limiti di due mondi » (Bernardin Saint-Pierre).
Il pensiero dei morti ci stimola a pregare per loro, ma serve ancor più a noi per una riflessione sulla nostra vita, sul senso della nostra storia e sul nostro orientamento a Dio. Sentiamo il bisogno di una vita che sia degna dei nostri cari. Essi ci vogliono coraggiosi nelle prove, forti nel dolore, sereni e pieni di speranza per il futuro, fiduciosi nelle nostre risorse e fiduciosi in Dio.
* Spiegava il card. Giacomo Biffi ai suoi diocesani, i bolognesi: « Mangiare i tortellini con la prospettiva della vita eterna rende migliori anche i tortellini, più che mangiarli con la prospettiva di andare a finire nel nulla ».

Enzo Bianco, sdb

OMELIA (01-11-2014) – UNA MOLTITUDINE DI SANTI CHE CI INSEGNANO LA VITA DELLA SANTITÀ

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/32899.html

OMELIA (01-11-2014)

PADRE ANTONIO RUNGI

UNA MOLTITUDINE DI SANTI CHE CI INSEGNANO LA VITA DELLA SANTITÀ

Gli ultimi santi di questi mesi, quelli elevati agli onori degli altari e quindi da poter venerare, ci dicono quanto sia possibile a tutti raggiungere quella che è la meta e il traguardo più importante della nostra vita: il santo paradiso. Papi, Vescovi, sacerdoti, religiosi laici, di tutte le età, condizioni sociali, nazionalità fanno parte della schiera ufficiale dei santi riconosciuti. Nonostante il numero elevato, se fossero soltanto e semplicemente loro i santi, allora il paradiso sarebbe davvero molto vuoto ed anche triste. Invece i santi sono tutti quelli che anche la parola di Dio di questa solennità annuale con data fissa ci fa considerare ed anche pregare.
Nella visione della Gerusalemme celeste, San Giovanni Evangelista ci descrive quella consolante realtà del cielo, dove tutti quanti aspiriamo ad arrivare, non senza fatica e dolore. I santi sono i salvati, coloro che hanno risposto con amore all’Amore, fino a dare la vita per il Signore. Quel Signore, Gesù Cristo, morto sulla croce, che ha dato la sua vita per noi, proprio per riportarci all’amicizia eterna con Dio. E allora chi sono i santi? «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». La santità è purificazione ed oblazione, è capacità di accettare la volontà di Dio e fare della sua volontà il proprio cibo spirituale. Santi, allora, non è soltanto Giovanni Paolo II, Giovanni XXIII e tutti i santi riconosciuti dalla Chiesa, ma sono tutti coloro che si sono salvati, perché si sono purificati dalle loro macchie, dal peccato, da tutto che allontana il cuore dell’uomo da Dio. Santi sono e saranno su questa terra, quanti sono poveri in spirito, secondo quanto afferma Gesù nel celebre discorso della montagna che passa come le Beatitudini. Santi sono coloro che sono nella sofferenza di ogni genere e che accettano tutto per amore di Dio, salendo con Cristo il calvario del dolore, ma soprattutto dell’amore che si fa dono. Santi sono i miti che come il mite Agnello, Gesù Cristo, vanno alla morte senza proferire parole, si donano nel silenzio e nel sacrificio di ogni giorno. Santi sono quelli che lottano per la giustizia e la pace e che questi motivi vengono massacri ed uccisi. Santi sono coloro che sanno perdonare, anche di fronte alle offese, calunnie, infamie e maldicenze ricevute. Santi sono coloro che nutrono nel cuore alti valori morali, spirituali e sentimentali e che non vedono ombra di malizia e peccato in nessuna parte. Santi sono i pacifisti e pacificatori che credono e lottano per un modo in cui l’uomo sia all’uomo non un lupo, ma un agnello mansueto. Santi sono anche tutti coloro che da sempre ed oggi rischiano la loro vita per difendere i diritti dei poveri e degli ultimi. La sostanza del vangelo sta, infatti, in questa opzione preferenziale per i poveri e nessuno deve umiliarli o maltrattarli. Santi sono coloro che portano avanti nel mondo il pluralismo della fede, rivendicando giustamente il rispetto della fede cristiana. Quanti martiri anche oggi per questo motivo in varie parti del mondo.
La consapevolezza di essere in un posto speciale dell’immenso cuore di Dio Padre, noi possiamo di dire con l’Apostolo Giovanni di avere una identità che nessuno potrà mai toglierci e una verità assoluta che non può essere messa in discussione: « Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è ». Figli di Dio e la che dopo la morte saremo simili a Lui, perché lo vedremo faccia a faccia. Il Paradiso dei santi a cui aspiriamo è guardare e contemplare in eterno il volto d’amore di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo, il volto della Santissima Trinità, il volto più bello e perfetto che ha incarnato sulla terra il volto di Dio, Maria Santissima, che ci attende in paradiso. Pensare al paradiso non è, come qualcuno afferma, drogarsi nella vita, illudersi senza avere certezze di alcuni tipo. Pensare al paradiso è pensare all’essenza dell’uomo, che è stato fatto per la felicità con una identità poco meno inferiore degli angeli. E’ avere una speranza che non delude, ma rende puri, come ricorda l’evangelista Giovanni nel testo della sua prima lettera: Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
Preghiamo tutti i nostri santi, i nostri protettori e in questo giorno di festa in cielo, sia anche festa in terra, nei nostri cuore, nelle nostre famiglie, nelle nostre nazioni, tra tutte le persone che amano Dio e l’uomo nella sincerità del loro cuore, per cui sono in festa, in quanto nell’amore c’è la gioia e la santità vera. 

The Greek inscription says “Mother of God.”, Basilica di Santa Sophia in Istambul

The Greek inscription says “Mother of God.”, Basilica di Santa Sophia in Istambul dans immagini sacre dscf4004

http://bosph.wordpress.com/2011/04/07/the-haghia-sophia-and-basilica-cistern/

Publié dans:immagini sacre |on 30 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

LA FEDE – PER DIVENTARE AUTENTICI TESTIMONI DI CRISTO

http://www.comboniani.org/?page_id=4382

LA FEDE – PER DIVENTARE AUTENTICI TESTIMONI DI CRISTO

P. Giovanni Taneburgo
Missionari Comboniano

Considerare il tema della Fede nella Chiesa e nella nostra vita, tenendo presente il contesto del mondo in cui viviamo, è cosa estremamente importante. Perché?
Perché la Fede è stata così tanto impoverita nel suo significato. Molti infatti pensano di avere fede solo perché credono che Dio esiste (Intellettualismo). Altri pensano che avere fede significhi andare in chiesa per la Messa nei giorni festivi, recitare il rosario, dire le preghiere mattino e sera, fare qualche elemosina… (Devozionismo). Non dico che queste cose non hanno senso; dico che la fede è una realtà molto più ricca e più complessa delle pratiche elencate e che eventualmente anche quelle pratiche devono essere espressioni di quella fede che dà vita. La consideriamo adesso nei suoi elementi che mi sembrano più importanti.
Per la Sacra Scrittura, la Fede è la sorgente di tutta la nostra vita nel contesto di una relazione creativa con Dio, con noi stessi, con gli altri e con il creato. Al piano di salvezza che Dio realizza nella storia, rispondiamo mediante la Fede che è fiducia in Dio, abbandono a Lui e impegno per la crescita del suo Regno; realtà queste che generano serenità, gioia nei cuori e impegno nella Missione.
San Paolo dice chiaramente che la giustificazione è frutto della Fede e che questa rende il credente certo dell’Amore di Dio manifestato in Cristo (Rm 8,28 s; Gal 2,16; Ef 3,19…). In Giovanni, la Fede è adesione a Cristo che genera luce e vita eterna e che richiede sempre una scelta chiara tra morte e vita, tra luce e tenebre con la vittoria naturalmente della vita e della luce (Gv 3,16; Gv 7,47). Com’è forte la seguente proclamazione: “Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra Fede (1 Gv 5,4).
Nei Vangeli, Gesù stesso dà grande importanza alla fede. Prima di compiere dei miracoli egli vuol vedere nei cuori di chi è nel bisogno una fede se non altro iniziale. Così nel passo della risurrezione di Lazzaro. Marta mostra sofferenza per la morte di suo fratello e si lamenta con Gesù; direi che quasi quasi rimprovera Gesù per aver permesso alla morte di prendersi Lazzaro: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Gesù le dice: “Io sono la risurrezione e la vita…Credi questo?” E siccome Marta esprime una risposta affermativa, suo fratello, nella tomba da quattro giorni, viene fuori, di nuovo in vita, risuscitato da Gesù.
Consideriamo allora la fede in tutta la sua ricchezza, facendo riferimento all’esperienza di due persone: Abramo e la Madonna. Ascoltiamo ciò che la Scrittura ci dice: Gen 12,1-9; Lc 1,26-38.
La Fede è innanzi tutto un incontro privilegiato tra Dio e la persona che si apre a Lui, tra Dio e la comunità dei credenti, tra Dio e noi. In questo incontro Dio parla e noi ascoltiamo, noi parliamo e Dio ascolta, Dio si dona a noi e noi ci doniamo a Lui.
Il Signore disse ad Abramo…” – “L’angelo Gabriele fu mandato da Dio… a una vergine… che si chiamava Maria”.
Notiamo la concretezza di questi incontri!
Per noi cristiani, l’incontro con Dio avviene nel Cristo Risorto che per noi deve diventare sempre più un’esperienza profonda di vita; attraverso di essa siamo sempre più conquistati da Cristo e dal suo amore, e diventiamo figli e figlie del Padre nel Figlio. Diventiamo Testimoni.
L’esperienza di Cristo ha tre elementi costitutivi:
– la convinzione che Cristo non è soltanto un grande personaggio del passato, come lo è per molti. Cristo è anche questo. Ma Cristo è vivo. E’ questa la grande realtà proclamata da San Paolo in modo energico: 1Co 15,12-22
– la convinzione che la presenza di Cristo non è passiva. Cristo parla e opera per la nostra salvezza e per la salvezza del mondo: Rm 8,31-39.
– l’ospitalità, cioè l’accoglienza di Cristo e della sua azione salvifica a livello intellettuale, di cuore e viscerale: Fil 2,5-11
La Fede è poi disponibilità, è una risposta libera e impegnativa alla proposta di Dio.
“Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore”. – “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
Poche parole, ma quanto impegno e che rischio!
Anche per noi la disponibilità dinanzi a Dio diventa sempre apertura al rischio dell’abbandono delle nostre sicurezze per aprirci al futuro di Dio. E’ il rischio dei sogni. Dio è il più grande sognatore e noi sogniamo con Lui tenendo presente che “beati sono quelli che sognano e che mentre sognano si impegnano perché i loro sogni diventino realtà”.
La Fede è conversione, cioè una grande trasformazione prima di tutto nel profondo del nostro essere e poi nei nostri comportamenti.
Abramo diventò padre di una numerosa discendenza e padre di tutti credenti. – Maria divenne la Madre di Gesù e anche Madre nostra. E tutto avvenne non senza sofferenza!
La nostra conversione non può esserci senza sofferenza. Quando ci si apre alle proposte di Dio e della vita, ci si espone alla sofferenza della trasformazione operata da Dio stesso con la nostra collaborazione. Mentre ci si abbandona a Dio come creta nelle mani del vasaio, ci si espone a quel sacrificio implicito in chi si dichiara pronto a fare la sua volontà, senza sapere dove essa ci porterà; si corre il rischio di non essere capiti e anche il rischio di dubbi e di notti oscure. Ciò richiede coraggio, quel coraggio che è dono di Dio, ma che, allo stresso tempo, è un’arte che siamo chiamati a sviluppare. Il risultato è meraviglioso.
La Fede è Missione, cioè condivisione con gli altri di tutti i doni di salvezza che Dio ci ha dato e che continuamente riversa su di noi; in particolare, condivisione della Parola di Vita e della nostra esperienza di Chiesa; promozione umana e cammino insieme nell’Amore e nella concretezza della vita; accoglienza di tutto il bene che incontriamo negli altri, con un profondo senso di rispetto e di gratitudine.
L’episodio della visita di Maria a santa Elisabetta ci ispira nel nostro capire il come fare missione, come l’episodio dell’Annunciazione ci ispira nel nostro capire il come diventare ed essere sempre missionari e missionarie in modo creativo (Lc 1,39-56).
______________________________
Un forte augurio di crescita nella Fede in un cammino di vita spesa per la gloria di Dio e il bene di tutti!

“DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

una storia viva e aperta al futuro:
ricordando le meraviglie che Dio ha operato nel nostro passato,
celebrando la potenza del suo amore nel nostro presente,
e credendo che quel Dio che ci ha sostenuto fino a oggi,
ci sosterrà fino al termine del nostro cammino
per la vita eterna.

 

Publié dans:meditazioni, missioni |on 30 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

CAMBIAMENTO DI MENTALITÀ PER UN NUOVO UMANESIMO N. 8

http://www.misolida.org/scritti/cambiamento-di-mentalita-per-un-nuovo-umanesimo-n-8.html

CAMBIAMENTO DI MENTALITÀ PER UN NUOVO UMANESIMO N. 8

Giovedì 11 Agosto 2011

Gli Orientamenti che l’episcopato italiano propone alle Chiese d‘Italia per il prossimo decennio 2010-2020, è quello di collocare al centro della vita e della missione della Chiesa il tema dell’educazione. Sono molto contento di tale proposta perché, finalmente, arricchirà le nostre riflessioni sulla necessità di una buona formazione ed educazione di coscienza e cambiamento di mentalità per un nuovo umanesimo ricco di valori psicofisico – spirituali.
L’educazione è un’arte delicata e sublime che oggi, rappresenta una sfida culturale e un segno dei tempi. Cosi il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), presenta il tema dell’orientamento pastorale per 2010 – 2020, cioè, “EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO”. Nel testo si affronta l’emergenza educativa e si sottolinea come a soffrirne di più sia la famiglia indebolita anche da tanti condizionamenti esterni come il sostegno inadeguato alla maternità, le difficoltà dovute all’impegno lavorativo, le convivenze di fatto ed i divorzi sempre più numerosi, oltre agli ostacoli di quadro fiscale che disincentivano la propria azione ed ai tentativi di equiparare alla famiglia forme nuove di convivenza tra le persone dello stesso sesso. Il documento ribadisce il primato educativo della famiglia, un ruolo rilevante nell’educazionesvolta poi dalla scuola e dall’università ma anche da fattori nuovi come la cultura digitale ed Internet.
I vescovi sostengono che si esige un particolare impegno della comunità cristiana ed inoltre la capacità di una nuova generazione di laici cristiani capaci di impegnarsi a livello politico con competenza e rigore morale. Tra i temi centrali del documento vi è l’immigrazione. La Chiesa, si legge, promuove gli incontri e l’accoglienza tra gli uomini. Dunque, è un opera educativa che aiuta a superare paura, pregiudizi e diffidenza.Nel percorrere l’itinerario educativo prospettato dai vescovi italiani l’Arcivescovo di Messina Mons. Calogero La Piana invita tutti noi credenti di lasciarci illuminare e guidare dalla Parola di Dio. Egli mantiene che la Sacra Scrittura deve essere al centro dell’azione pastorale perché nutrendoci e lasciandoci educare dalla Parola di Dio impariamo meglio a conoscere, amare e seguire le “Vie” del Maestro. Il programma dell’impegno educativo del decennio pastorale in Italia (2010 – 2020) con l’assunzione della Parola di Dio come strumento indispensabile per l’educazione della vita di fede è raccolto sotto il titolo “Verso la tua parola guida il mio cuore”. Si tratta di un cammino fondato sulla vita cristiana e sulla Parola rivelata, accolta, ascoltata e praticata. “Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Dt 30,14). Occorre sapere “fare” e non essere semplicemente “ascoltatori” della Parola; spettatori della celebrazione del culto. Invece, dobbiamo lasciarci coinvolgere, avvolgere, formare ed educare dall’insegnamento delle Sacre Scritture e purificare, santificare ed illuminare i diversi ambiti dell’esistenza umana, contrassegnata dalla fragilità umana e dal rifiuto all’invito di continua conversione.
Quindi, “La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere” (Gravissimum educationis, n. 1). La scuola occupa un ruolo fondamentale per la formazione ed educazione di coscienza e cambiamento di mentalità. Uno sguardo panoramico sulla nuova generazione denutrita dai valori tradizionali e spirituali richiede urgentemente un’educazione basata sulla Divina Parola e sulla sacra Tradizione.Il Papa Benede tto XVI, consapevole della necessità di tale formazione ed educazione di coscienza, rivolgendosi alla nuova generazione scrive: «L’emergenza educativa richiede oggi la più ampia collaborazione possibile. Si affievoliscono, specie tra le giovani generazioni, i valori naturali e cristiani, che danno significato al vivere quotidiano e formano ad una visione della vita aperta alla speranza; emergono invece desideri effimeri e attese non durature, che alla fine ge-nerano noia e fallimenti … Persino l’amore rischia di ridursi a “una semplice cosa che si può comprare e vendere” e “anzi l’uomo stesso diventa mercé” (BENEDETTO XVI, L’Osservatore Romano, 13 gennaio 2009,1). In questa linea ritengo che la vita umana nella totalità dei suoi aspetti fisici, psichici e spirituali è un dono prezioso che richiede da parte di tutti un servizio d’amore ed un rispetto assoluto del suo valore, dell’individualità del suo essere unico, irripetibile e insostituibile.
La persona umana non è una cosa e non può essere oggetto di commercio e di strumentalizzazione. Quindi, senza la formazione ed educazione di coscienza basata sulla realtà umana e sulla fede in Dio, l’uomo rimane un solitario nel pianeta delle meraviglie e la sua vita non avrà nessun senso perché è come qualsiasi animale che perisce.Scrive il Papa Giovanni Paolo II, l’uomo è alienato quando è solo o si stacca dalla realtà, quando rinuncia a pensare e a credere in un Fondamento. L’umanità intera è alienata quando si affida a progetti solo umani, a ideologie e a utopie false (Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: l.c., 843-845.). In seguito, il Papa Benedetto XVI afferma che la creatura umana, in quanto di natura psicofisico – spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. A questo riguardo, la ragione trova ispirazione e orientamento nella rivelazione cristiana, secondo la quale la comunità degli uomini non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, come accade nelle varie forme di totalitarismo, ma la valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è un tutto verso un altro tutto (Secondo San Tommaso “ratio partis contrariatur rationi personae” in III Sent. d. 5, 3, 2.; anche “Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua” in SummaTheologiae I-II, q. 21, a. 4, ad 3um). Come la comunità familiare non annulla in sé le persone che la compongono e come la Chiesa stessa valorizza pienamente la “nuova creatura” (Gal 6,15; 2 Cor 5,17) che con il battesimo si inserisce nel Corpo mistico di Cristo, così anche l’unità della famiglia umana non annulla in sé le persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti l’uno verso l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità (Cfr. Benedetto XVI, Caritas in Veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009, 53).
Lo sviluppo della persona nella totalità del suo essere richiede l’armonizzazione tra la sfera razionale e quella affettiva, tra l’intelligenza e il sentimento, tra la mente, il cuore e lo spirito per orientarla verso: il senso globale della realtà, la ricerca della verità, la libera adesione al bene e la stessa contemplazione della bellezza. Una robusta educazione cristiana deve rivolgersi non soltanto alla testa ed alle emozioni, ma anche all’intelletto e alla volontà.(Mons. Calogero La Piana, Verso la tua Parola guida il mio cuore, Messina 2010, p. 6). La fede, infatti, è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e della capacità di amare. Il Cardinale Angelo Bagnasco in un intervista afferma che “è necessario recuperare la capacità della ragione; la ragione come la capacità del vero, la capacità di accogliere il reale così come è in tutti i suoi aspetti. Fondamentale è la testimonianza, che ciascuno dà con la sua vita. Guardando ed annunziando Gesù Cristo, la Chiesa annunzia l’amore di Dio come il vero umanesimo. Questo è la grande missione della Chiesa. Naturalmente, la fede aiuta la ragione ma non sostituisce la ragione” (Mons. Angelo Bagnsco, Intervista TG1, 25 Feb 2009). Parliamo di una ragione e di una fede che vengono educate e formate per poter vivere un umanesimo vero e reale. Infatti, il rapporto tra fede e ragione in cui la Chiesa crede profondamente da sempre è un elemento essenziale per la sfida educativa. “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo”(DV, 21). Continua la Dei verbum, “La Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si preoccupa di raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle sacre Scritture, per poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole”; perciò affida ai ministri della divina parola il delicato compito di “offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all’amore di Dio”(DV, 23). L’Educazione e la formazione di coscienza richiedono un impegno morale e spirituale per la promozione della verità dell’uomo. L’educazione è chiamata a rendere trasparente la realtà, illuminare la coscienza morale e stimolare l’uomo a mettere in pratica ciò che ha imparato.Secondo Sant’Annibale Maria Di Francia, l’educazione e la formazione dei fanciulli è l’arte più difficile affidata alle mani più inesperte. Bisognerebbe che uno fosse teologo, filoso e santo per sapere bene educare. Il Padre ritiene che bisogna tenere presente la grande importanza … di avviare le tenere anime ad una sana educazione morale e civile (Antologia Rogazionista, p. 304). P. Annibale si interessa molto dell’educazione basata suisani principi.
Proprio perché crede che l’educazione decide le sorti dell’uomo. Nel cuore del fanciullo sta chiuso l’uomo grande, forse dorme anche un genio dell’arte, della scienza, come in un piccolo germe l’albero gigantesco. Ai giovani in formazione, il Padre scrive: “Voi avete bisogno di crescere, come l’adorabile divin Redentore, in grazia e sapienza presso Dio e presso gli uomini. Voi avete bisogno di santificarvi, ed è questo il tempo propizio! Ora che siete giovanetti, ora che siete in formazione, potete lavorare, potete con facilità estirpare le passioni nascenti, potete rendervi docili alle operazioni della grazia. Cominciate l’opera della vostra santificazione, e cominciatela con la meditazione delle eterne verità (dal “Discorso”, Ottobre 1891 in Antologia Rogazionista, p. 164). Dunque, occorre educare tanto alla solidarietà, quanto alla libertà ed alla collaborazione leale ed onesta al fine di trasformare positivamente la persona e rendere migliori le cose.Secondo il Padre, il cambiamento di mentalità non avviene soltanto attraverso la formazione ed educazione di coscienza ma anche per mezzo dell’orazione quotidiana.
Tutti i santi scrittori, appoggiati alla parola di Dio e agli insegnamenti dei Padri e della S. Chiesa e all’esperienza, hanno ritenuto sempre l’orazione come indispensabile perl’avanzamento nella santa perfezione, cosicché non vi può essere alcuna solida virtù in un’anima, se viene trascurato l’esercizio dell’orazione. L’orazione attira grandi lumi nello spirito per conoscere le proprie miserie e detestarle, ingenera il santo timore di Dio, illumina l’anima sulle verità eterne, la mette in comunicazione con Dio, aumenta mirabilmente la fede e la speranza, e muove potentemente il cuore al divino amore. Un’anima senza orazione è una terra sterile e maledetta; un’anima amante dell’orazione è una terra innaffiata dalla rugiada della grazia (da L’Anima del Padre. Testimonianze, p. 432). È forte il pensiero del Padre sul cambiamento che avviene attraverso le orazioni. Per lo più, egli scrive: “Se noi meditassimo spesso le verità della fede, se noi spesso ci raccogliessimo alla divina presenza, se fossimo amanti dell’orazione e in essa perseverassimo le intere ore, e poi tutto il giorno, in tutte le azioni tenessimo sempre presenti i misteri della fede, oh, quali sovrumani cambiamenti avverrebbero in noi! A poco a poco un raggio dell’infinito splendore di Dio entrerebbe in noi, mentre le tenebre verrebbero discacciate, il nostro intelletto si riempirebbe di divina luce: con questa conosceremmo il male per detestarlo, il bene per abbracciarlo, mentre un fuoco celeste infiammerebbe il nostro cuore e muoverebbe efficacemente la nostra volontà”. (L’Anima del Padre. Testimonianze, p. 433).
Sant’Annibale ci rivela che il principale beneficio dell’educazione e formazione accompagnata dall’orazione quotidiana è l’acquisizione delle virtù che ci permettono di distinguere il bene dal male e di scegliere il bene e perseguirlo. Direi che l’uomo ha bisogno di Dio per vivere bene la sua vita. Educare e formare l’uomo ad entrare in una relazione amicale con Dio è l’unica via per la sua piena realizzazione.Afferma Benedetto XVI che l’estrema importanza dell’educazione nella vita dell’uomo e la sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo sono oggetto di attenta considerazione da parte del sacro Concilio ecumenico.In effetti l’educazione dei giovani, come anche una certa formazione permanente degli adulti, sono rese insieme più facili e più urgenti dalle circostanze attuali. (Tra i documenti che illustrano l’importanza dell’educazione cf. soprattutto: BENEDETTO XV, Lett. Apost. Communes Litteras, 10 apr. 1919: AAS 11 (1919), p. 172. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, 31 dic. 1929: AAS 22 (1930), pp. 49-86 [in parte Dz 3685-98]. : Encicliche e Discorsi di S. S. Paolo VI, I, Roma 1964, pp. 601-603. Gli Acta et Documenta Concilii Oecumenici Vaticani II apparando, serie I, Antipreparatoria, vol. III, pp. 363-364, 370-371, 373-374 in Dichiarazione sull’educazione cristiana, gravissimum educationis, proemio e n. 1). Il Sacro Sinodo afferma che i fanciulli e giovani hanno diritto ad essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all’amore di Dio. Perciò si chiede e si raccomanda a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione, di fare in modo che mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto. Si esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutti i settori dell’educazione, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi benefici dell’educazione e dell’istruzione a tutti, nel mondo intero. (Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra,15 Maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 441 s. in Gravissimum educationis, I, paragrafo 3).
Non ci si deve meravigliare che, dopo oltre 50 anni della sollecitazione del Sacro Concilio Ecumenico, esiste ancora una gran maggioranza della popolazione sulla terra che non può accedere liberamente all’istruzione e che la maggior parte di quelle persone che vi entrano rimangono, alla fine, deluse.Prendiamo, per esempio, una nazione dove il sistema educativo è arretrato, il costo dell’istruzione è elevatissimo, chi potrà accedere all’istruzione se non chi ha genitori che possono affrontare le spese? La possibilità di accedere all’istruzione non è per tutti allo stesso modo, il che equivale ad una cattiva politica. Non è comprensibile una politica che parla bene dell’importanza dell’istruzione ma tratta male gli insegnanti non retribuendoli per diversi mesi; che abbandona gli studenti senza lezioni per diversi mesi; che non è capace di creareposti di lavoro per quei studenti che completano i loro studi. Ecco, perché è necessario una buona formazione ed educazione di coscienza e cambiamento di mentalità.
Bisogna aiutare i fanciulli ed i giovani a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità, nello sforzo sostenuto per ben condurre la loro vita personale e la conquista della vera libertà, superando con coraggio e perseveranza tutti gli ostacoli. Bisogna avviarli alla vita sociale, in modo che, forniti dei mezzi necessari ed adeguati, possano attivamente inserirsi nei gruppi che costituiscono la comunità umana, che siano disponibili al dialogo con gli altri e contribuiscano di buon grado all’incremento del bene comune. Bisogna cambiare la mentalità totalitaria che non permette all’uomo di relazionarsi liberamente con il suo simile e con il mondo; quella mentalità utilitaristica capitalista ove si fa tutto in base ad un’utilità immediata. Il guadagno, l’interesse, il tornaconto e l’utile personale determina l’agire dell’uomo. Questa mentalità individualista ed egoista si dilaga ancora oggi in vari modi. Si occupa un posto di onore, non perché si vuole veramente servire, per il bene comune, ma perché ci si sente gratificati dall’essere serviti dagli altri. Bisogna quindi, superare la fama di guadagno egocentrico per dare più attenzione alla giustizia distributiva ed al servizio gratuito e responsabile. Promuovere il bene comune, perché tutti possano essere felici e sorridenti. Bisogna riprendere l’etica della giustizia distributiva, uguaglianza, responsabilità, servizio gratuito, sacralità della vita e riscoprire il senso del vero, del bene e del bello nel creato e nel creatore e promuovere la santità di ognuno.
Occorre una sana formazione ed educazione di coscienza individuale e comunitaria.Oggi, tutti chiedono di avere una politica responsabile, incorrotta, disponibile a sacrificarsi per il bene comune, dove nessuno si senta escluso o emarginato; una politica che mira alla sana dottrina dell’etica e della fede; una politica di uomini semplici, rispettosi, sapienti, maturi, industriosi e credenti convinti; una politica che sappia dialogare con serenità per rispondere ai grandi interrogativi della vita dell’uomo, una politica capace e che si impegni a provvedere per tutti, una politica basata sul programma e non sulle chiacchiere; una politica cittadina che sappia coniugare istruzione, lavoro, divertimento, riposo, sanità, fede ed arte; una politica basata sulla famiglia, quale cellula della società e della continuità delle specie umana. Deve essere una politica che sappia dare alle famiglie le risposte alle domande che, le famiglie, lasciate da sole, non potrebbero avere, una politica che accolga e rispetti gli immigrati. Tutto ciò richiede un sistema che abbia un programma e che prenda seriamente l’adempimento del programma stabilito.
Una politica che non è in grado di provvedere, per i cittadini, ad unbuon sistema d’istruzione, di lavoro, di cure mediche, di mercato ben regolato sui prezzi e di trasporto ordinato, è una politica inadeguata ed incapace. Non può essere una buona politica quella in cui la gente rimane senza nemmeno il diritto alla sopravivenza. C’è ancora, oggi, una grande maggioranza della popolazione sulla terra, soprattutto i bambini, i portatori di handicap, le casalinghe e gli anziani che non hanno speranza di vita perché non gli sono riconosciuti i diritti fondamentali. Addirittura in un Paese come la Nigeria, in particolare, e l’Africa, in generale, non esiste un sistema pensionistico, universale, valido per tutti i cittadini. Tante persone si trovano a dover vivere una vecchiaia nell’insicurezza, non avendo alcun sostegno per far fronte ai bisogni essenziali. Sono fortunati coloro che hanno figli e parenti e chi ha qualcuno che lo assiste; mentre chi ne è privo muore di fame o per malattie da denutrizione. Nell’entroterra di tanti Paesi dell’Africa, e soprattutto della Nigeria, non ci sono né buone strade asfaltate né un sistema di trasporto ordinato, con una politica di mercato che regola i prezzi. I commercianti, grandi e piccoli stabiliscono individualmente i loro prezzi come meglio credono.
Non esiste un sistema sanitario accessibile a tutti, e manca un sistema agrario meccanizzato. Nessuno si interessa della gente che da una generazione all’altra continua a faticare nell’agricoltura con un’energia sproporzionata rispetto al guadagno. Infatti, mancano gli attrezzi adeguati che permettono di produrre di più per soddisfare i bisogni primari di maggioranza della popolazione. In moltissimi paesi del mondo non esistono sistemi di controllo dei prodotti di uso domestico o per gli alimenti. Tantissimi cibi sono continuamente riciclati per sfamare un gran numero di persone senza che qualcuno si preoccupi del danno che tali cibi possano creare all’organismo. Alcuni paesi producono materiali cheesternamente sembrano belli ma, dopo qualche settimana, non servono più a nulla. Non è giusto invadere i mercati mondiali con cose che sembrano utili ma non soddisfano a lungo i bisogni dei cittadini. Occorre dunque accentuare la necessità di formazione di coscienza e cambiamento di mentalità in queste linee problematiche.Come non si può non denunciare lo scombussolamento della famiglia, del sociale e della fede. Oggi si vive nella paura. Sono evidenti i numerosi omicidi, suicidi, fratricidi, infanticidi, genocidi, che la gente commette per mezzo degli aborti, delle guerre e della delinquenza e prepotenza. Le persone uccidono facilmente come se la persona umana non contasse più niente. Non ricordano che la vita è sacra e le anime sono immortali. Non si rendono conto che spargere sangue è un tabù, un peccato gravissimo e che le sue conseguenze rimangono fino alla settima generazione ed oltre. I colpevoli sono entrambi, cioè, sia chi ha commesso il delitto sia chi ha mandato a commettere tale delitto.
Se è vero, come noi cattolici crediamo, che i morti vivono, di conseguenza uccidere significa autodistruzione perché mentre si è convinti di aver ucciso la persona, chi viene ucciso realmente è colui o colei che ha commesso il delitto, perché con tale peccato perderà la sua anima, mentre chi è stato ucciso, se muore nella grazia di Dio entra nel regno di luce e di pace. Non rimaniamo nell’ignoranza perché l’uomo non è padrone della vita. Anche in queste cose dobbiamo imparare per non rovinarci l’eternità beata.Inoltre, non possiamo non denunciare la piaga che ha colpito il matrimonio. Il matrimonio è una sacra unione tra un uomo e una donna. È Dio che unisce le due persone estranee per farne una. Oggi, non esiste più il senso del Sacro e del Santo timore per non sbagliare nei confronti del divino. Ci si sposa e ci si lascia e si riforma una nuova famiglia con molta facilità. Si inizia una convivenza con molta superficialità dalla quale poi nascono dei figli. Addirittura, con una sorta di naturalezza, oggi, si parla e ci si auto dichiara gay. Ci sono gay nati ma ci sono gay a cui piace vivere come tali. Si tratta in entrambi i casi di una malattia. Il fatto che non ci sia una patologia dimostrabile non esclude del tutto che si sia in presenza di una malattia di tipo psicologico, sociologico e spirituale. Sono convinto che in qualche parte della struttura della personalità debba esserci un errore, e la persona stessa possa essere curata se prima accetta di essere malata e si disponga a ricevere la cura giusta. Anche in questo bisogna accettare il cambiamento di mentalità.Altro problema da denunciare è la prostituzione che ancora oggi cresce sempre più. Attraverso la tratta degli esseri umani, le donne sono costrette a prostituirsi per un semplice motivo di guadagno o si viene uccisi allo scopo di trasportare e vendere gli organi per fare soldi.
Ci sono anche tante ragazzine a cui piace prostituirsi perché i guadagni sono altissimi. Dichiarano apertamente che non vogliono fare altri lavori che la prostituzione. Tanti giovani sono coinvolti nel traffico di stupefacenti solo per diventare ricchi. Dopo aver guadagnato tanti soldi se ci si vuole tirare indietro, si viene eliminati, perché potrebbero essere rivelati i segreti degli altri. Esistono tante associazioni segrete e spiritiche che si consacrano al diavolo al solo fine di fare soldi e dominare e comandare. Notiamo tanti poliziotti o uomini armati corrotti che stanno sulle strade non per garantire l’ordine pubblico ma solo per arricchirsi. Sono queste le cose che bisogna cambiare. Bisogna formare ed educare bene la nostra coscienza, di modo che, possiamo avere bene in mente le giuste scelte da fare per liberare l’uomo dagli idoli di materialismo e promuovere così il bene comune. Chi non può dire che c’è qualcosa sbagliato in quella religione che crede di essere una religione cristiana ma che non riconosce né onora Maria, la Madre di Gesù. Perché se la Madonna è l’unico canale per la discendenza di Dio sulla terra, è altrettanto vero che Maria rimane per ogni cristiano il canale per arrivare a Cristo. Non può essere una buona religione se mancano le sane dottrine e la fede sincera, coerente all’etica di comportamento. Come ci si può dichiarare vero credente, e poi si partecipa a messe nere, o a riti spiritici o si ha a che fare con maghi? Fate bene attenzione a non confondere la fede cristiana con queste cose che non hanno nulla in comune con la cristianità. E non possiamo essere persone ipocrite. Il vero Dio non è un Padre bugiardo e degli ingannatori; non può essere un Dio che giustifica un’etica corrotta, sporca, ingiusta e maligna. È dissacrazione del Sacro usare il nome di Dio in qualunque modo per compiere atti ingiusti, non sinceri, impuri, diabolici e satanici. Non possiamo servire Dio e Mammona.
È vero che c’è libertà di religione in tante nazioni, però mescolare la religione con atti incoerenti alla fede che professiamo, è un’assurdità che non consentirà a tale nazione di progredire nella promozione del bene comune.Vedete allora carissimi, quante cose ci sono che dobbiamo cambiare; quanto abbiamo ancora bisogno di conoscere e di aggiornarci. La mancanza degli aggiornamenti e della sincera ricerca del bene comune sono i segni di una nazione disorientata, sbandata, disordinata e disperata. Certamente, se mancano, i beni fondamentali diviene impossibile parlare della promozione umana in tutte le sue dimensioni psicofisiche – spirituali. Occorre quindi, garantire a tutti, la possibilità di vivere la propria vita nella sua totalità senza togliere nulla che appartiene alla persona né aggiungere qualcosa che non faccia parte del suo DNA. Ogni singolo essere umano merita rispetto ed amore. La cura della salute, pulizia dell’ambiente, strade asfaltate, scuole attrezzate, luce elettrica e acqua potabile ininterrottamente sono anche modi di dimostrare rispetto ed amore verso il popolo a noi affidato. Bisogna distribuire in modo equo i beni del pianeta terra cosicché tutti i cittadini del mondo possano compartecipare ai frutti del bene comune. Diamoci le mani per aiutarci a costruire un mondo più giusto ed umano. Ricordiamo, però, il bene comune non riguarda soltanto l’aspetto materiale delle cose ma anche le cose spirituali. Ogni essere vivente è un bene ma Dio è il bene sommo dice San Tommaso d’Aquino. Quindi, il bene che ci deve interessare di più è Dio stesso. Perché come credo, se ognuno di noi avesse Dio come suo punto di riferimento per le sue decisioni e comportamenti allora non avremmo nulla di cui lamentarci perché tutti, in Dio, troveremmo le risposte alle questioni che ci separano e che ci affliggono. Carissimi lettori, riconoscete Dio come Padre ed amatelo come Salvatore e ascoltatelo come Maestro e Guida e non inciamperete mai.Nessun uomo può sfuggire alle domande fondamentali: Da dove vengo e dove vado? Che cosa devo fare? Come discernere il bene dal male? La risposta è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge nell’intimo dello spirito umano (Giovanni Paolo PP. II, Veritatis splendor, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1993, n. 2). La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo, immagine del Dio invisibile”(Col 1,15), “irradiazione della sua gloria”(Eb 1,3), “pieno di grazia e di verità”(Gv 1,14); Egli è la via, la verità e la vita”(Gv 14,6). Per questo la risposta decisiva ad ogni interrogativo dell’uomo, … è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso, come attesta il Concilio Vaticano II “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Cost. past. Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22).
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,l’avete fatto a me” (Mt 25,34b – 40)

P. VINCENT

 

Publié dans:meditazioni |on 30 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

Dolce preghiera ai piedi di Maria

Dolce preghiera ai piedi di Maria dans immagini sacre sweet-prayer-at-the-feet-of-mary-dkr-bouasse-lebel

http://veneremurcernui.wordpress.com/2011/05/04/two-quick-pics/

Publié dans:immagini sacre |on 29 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

IL PANE E LA BIBBIA: IL PANE È LA PACE

http://www.toscanaoggi.it/Cultura-Societa/Il-pane-e-la-Bibbia-il-pane-e-la-pace

IL PANE E LA BIBBIA: IL PANE È LA PACE

Nell’ambito del Festival del Pane di Prato, domenica 9 giugno, alle ore 10,30, nella Sala rossa del Palazzo vescovile, Elena Giannarelli (docente di Letteratura cristiana antica all’Università di Firenze) terrà una conferenza su «Il pane nella Bibbia»: «’Presto, prendi la farina e impastala’. Dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla focaccia al pane». All’incontro, organizzato da Toscana Oggi, parteciperà anche Pasquale Mauro, del Forno del Ponte (nella zona di San Giusto a Prato) che da qualche anno propone il « Pan biblico » di cui farà omaggio ai partecipanti. Ecco un’anticipazione dei temi che verranno trattati nell’incontro.

Percorsi: BIBBIA
Parole chiave: pane (7)
Il pane e la Bibbia: il pane è la pace
04/06/2013

I grandi poeti e gli storici dell’antichità classica hanno spesso sottolineato l’importanza del pane, alimento la cui presenza si perde davvero nella notte dei tempi, come l’archeologia ha poi confermato. Nei miti dei greci e dei latini, addirittura gli dei avrebbero insegnato agli uomini come fabbricarlo: per gli Elleni Demetra, madre della terra feconda e delle messi, ne era alle origini; secondo i Romani ci vollero addirittura due abitanti dell’Olimpo per inventarlo: Cerere, divinità del frumento e Pan che insegnò a cuocerlo. Il pane si chiama panis in latino e quindi pane da noi, pain in francese e pan in spagnolo proprio per la sua origine legata al dio di questo nome. E’ una significativa paraetimologia.
In realtà, il sostantivo greco che vale pane «artos» è da mettersi in relazione con la radice «ard», «farina» in persiano e con «arta», dallo stesso significato in iraniano. La farina di cereali cotta appartiene dunque a civiltà antichissime; inoltre per il latino panis gli studiosi pensano ad una connessione con il verbo pasco, «nutrire, mantenere, alimentare».
In ebraico, lehem significa «nutrimento»: i figli di Adamo chiamavano così il pane, l’alimento per eccellenza e il più comune, indispensabile alla vita. Da spezzare, non da tagliarsi, per il rispetto di cui doveva essere oggetto.
Nella Bibbia appare strettamente legato alla fatica del lavoro, in seguito al peccato dell’uomo: «Mangerai il pane col sudore del tuo volto» (Genesi 3,19). Da quel momento abbondanza o penuria di questo alimento saranno segno della benedizione o del castigo di Dio: in Esodo 16, 1-36 il cammino del popolo ebraico nel deserto sarà scandito dalla pioggia di manna, il pane dal cielo, in quantità sufficiente per ciascuno: quanta ognuno ne potrà mangiare.
In Deuteronomio 8,3 si legge: «Dio ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca di Dio».
Nel suo significato concreto e simbolico, allora, il pane è un dono dall’alto, da chiedere con umiltà e da aspettare con fiducia: proprio per questo suo stretto rapporto con Dio diventa immagine della sapienza: in Proverbi 9,5 essa invita: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che vi ho preparato». Nello stesso libro al cap. 17,1 si afferma: «Un tozzo di pan secco con tranquillità è meglio di una casa piena di banchetti festosi e di disordine». Il Siracide 29,28 afferma: «Indispensabili alla vita sono l’acqua, il pane, il vestito, una casa che serva da riparo».
Il tutto però non deve rimanere legato alla dimensione egoistica del singolo: in Deuteronomio 10,17-18 il Signore Dio di Israele è il «dio grande, forte, terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito». Il viandante viene accolto e sfamato: alle querce di Mamre (Genesi 18,1-8) Abramo chiede a Sara di impastare la farina e farne focacce per i tre uomini appena arrivati.
Se il profeta Eliseo moltiplicò i pani per sfamare la gente (2Re 4,42ss), se Geremia 31,12 dipinge una dimensione escatologica caratterizzata dall’abbondanza di grano, mosto ed olio, il pane era parte integrante da sempre della liturgia ebraica. Si può richiamare Levitico 24, 5-9 , con le dodici focacce di fior di farina, a indicare le tribù di Israele, poste sulla tavola d’oro puro davanti al Signore; in Esodo 12,15-20 il pane della Pasqua, all’inizio del nuovo anno, sarà pane azzimo, in ricordo della liberazione, quando la fretta di uscire dall’Egitto aveva impedito di far fermentare la pasta.
Questo e molto altro ancora, per l’Antico Testamento. Il Nuovo fa sue molte di queste antiche idee, a cominciare dalla necessità della carità. Gesù di Nazaret moltiplica pani e pesci, per indicare agli apostoli, che volevano congedare la folla perché ognuno provvedesse a se stesso, quale fosse in realtà il loro dovere. «Date loro voi stessi da mangiare» (Matteo 14, 13-21). Non è un caso che la parola «compagno» sia etimologicamente legata alla fraterna condivisione del pane (cum+panis). Non meraviglia quindi che al padre comune si chieda «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» e che sia Gesù stesso ad insegnare che i figli devono attendere tutto dal padre con fiducia (Matteo 6,11). Il dovere di lavorare per mangiare è ripresa dell’antica prescrizione di Genesi; la consapevolezza che il vero nutrimento sia la parola di Dio, vero pane, è affermato dallo stesso Signore nella prima delle tentazioni. Così diventa logico, sia pure nella sua sconvolgente realtà, che Gesù stesso si faccia e si dica «pane»: come parola (Logos) e come carne del sacrificio; e il vino si faccia sangue nella eucarestia. In Giovanni 6,48-51, dopo la moltiplicazione dei pani, si legge: «Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
E l’eucarestia sarà il sacramento dell’unità dei fedeli e dell’unità della Chiesa.
Gli scrittori ecclesiastici e i Padri della Chiesa rifletteranno a lungo sul pane e sulle sue valenze. Il martire Ignazio di Antiochia scrive ai Romani perché non facciano niente per evitargli il martirio: «Lasciate che io sia pasto per le belve, per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono il frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo» (Lettera ai Romani 4,1-2).
Il grande Agostino, dal canto suo, fa suoi tutti i significati del pane fin qui emersi. Nel De civitate Dei 17,4,4 lo identifica nella Scrittura, primo nutrimento dell’uomo. Fa tuttavia anche un passo ulteriore e in un Sermone (357,2) del maggio 411 istituisce un parallelismo fra la pace e il pane. «Basta che tu ami la pace ed essa istantaneamente è con te. La pace è un bene del cuore e si comunica agli amici, ma non come il pane. Se vuoi distribuire il pane, quanto più numerosi sono quelli per cui lo spezzi, tanto meno te ne resta da dare. La pace invece è simile al pane del miracolo, che cresceva nelle mani dei discepoli mentre lo spezzavano e lo distribuivano».
L’attualità della Bibbia e dei Padri non finirà mai di stupirci.

Elena Giannarelli

Publié dans:BIBBIA, BIBBIA: TEMI VARI |on 29 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

IL VANGELO DELLA PACE NELLE SCRITTURE EBRAICO-CRISTIANE – GIUSEPPE BARBAGLIO

http://www.giuseppebarbaglio.it/articoli/finesettimana13.pdf

IL VANGELO DELLA PACE NELLE SCRITTURE EBRAICO-CRISTIANE

SINTESI DELLA RELAZIONE DI GIUSEPPE BARBAGLIO

Verbania Pallanza, 17 gennaio 2004

L’espressione « vangelo della pace » si trova in Paolo nella lettera agli Efesini: è la lieta notizia della pace, annunciata e realizzata da Dio stesso.La parola pace ha molti significati, sia nel mondo biblico che in quello greco-romano. Può anzitutto indicare una condizione in cui il popolo si trova, negativamente la condizione in cui non c’è guerra, positivamente la condizione di benessere, soprattutto materiale. Può avere un significato collettivo, indicando rapporti buoni tra i popoli e tra i gruppi. Nella tradizione biblica è presente la concezione della pace come rapporti buoni tra l’umanità e Dio
e della pace come salvezza. Meno presente è la concezione di pace come serenità d’animo, o come rapporti interpersonali buoni.
ubi desertum faciunt pacem appellant
L’anelito alla pace emerge anche nel mondo greco romano. Nel 9 a.C. Augusto, sconfitti i nemici, inaugura un’era di pace e fa costruire l’Ara pacis, l’altare alla dea della pace. Era una svolta per una città, Roma, la cui divinità principale era Marte, il dio della guerra. Nel frattempo, Tacito, molto critico nei confronti della politica imperiale afferma con ironia che i romani fanno deserto della terra e la chiamano pace (ubi desertum faciunt pacem appellant).
pace e sicurezza
Stupefacente la modernità di alcuni testi scritturistici antichi. Paolo, nel più antico scritto neotestamentario, chiama figli della luce i membri della piccola comunità di Tessalonica che vivevano in un contesto molto ostile, mentre sostiene che per la stragrande maggioranza, che si illude di vivere nella pace e nella sicurezza, sarà la rovina: Quando dicono pace e sicurezza allora all’improvviso verrà su di loro la rovina…
la pace nella bibbia ebraica
Verranno presi in esami alcuni testi profetici.
Geremia
È un profeta dalla parola molto libera, osteggiato dal potere politico, ma anche da altri profeti, suoi avversari, che dicevano pace: dicono pace, pace, ma pace non è (8,11). Pace è utilizzato in senso negativo, come legittimazione di una situazione esistente ingiusta. O si cambia o non ci sarà pace, dice il profeta. In un altro brano Geremia afferma che Dio coltiva pensieri di pace (29,11).
Isaia
In Isaia 52,7 appare la categoria del vangelo della pace, del lieto annuncio da parte del profeta dell’esilio (l’attuale libro di Isaia è composto di almeno tre distinti testi di diversi autori): Come sono belli i passi dell’evangelista, del lieto annunciatore, che proclama la pace. In Isaia 9,1-5, nel libro dell’Emmanuele che contiene gli oracoli del grande Isaia, si presenta l’ideologia regale del principe di pace. Dio dona la pace attraverso l’azione umana del principe, che instaura una pace senza fine, fondata sulla giustizia. La giustizia del re è una giustizia molto particolare, diversa da quella dei tribunali, ed è volta a rendere giustizia a chi giustizia non ha, a prendere le difese dei deboli. L’anelito alla giustizia è il grande portato di Israele all’umanità.Questa azione giusta del re è ampiamente descritta al capitolo 11: giudicherà con giustizia i poveri e emetterà sentenze giuste a favore dei miseri del paese. Questa pace fondata sulla giustizia si estende a tutto il cosmo, a tutto il mondo creato: il lupo dimorerà presso l’agnello / e la tigre si accovaccerà accanto al capretto / il vitello e il leone
pascoleranno insieme / e un bambino piccolo li condurrà…Sulla stessa linea è il testo di Isaia 2,1-5, in cui si sogna il grande pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme. La pace diventa pace universale.
Zaccaria
Un testo famoso di Zaccaria, utilizzato anche da Matteo per illustrare Gesù messia pacifico, indica il re che entra a Gerusalemme cavalcando un asino. È la cavalcatura utilizzata in occasioni di pace. la pace nel nuovo testamento Nelle lettere di Paolo il saluto è: « grazia e pace », cioè vi auguro il dono della pace.
Romani 5,1: pace come salvezza « …abbiamo pace nei confronti di Dio… » Paolo dopo aver detto che la lieta notizia è che Dio accoglie in modo indiscriminato tutti sulla base della fede, afferma che, sempre come dono di grazia, abbiamo un buon rapporto con Dio.
Romani 5,11: pace come riconciliazione
Paolo usa il termine riconciliazione in senso religioso: Dio ci ha riconciliato.Dio non ha bisogno di essere riconciliato, al contrario di quanto sosteneva la religione romana tutta intenta a placare la ira Deum (l’ira degli dei) con riti e preghiere. C’era una concezione minacciosa del divino, che appare anche nella tradizione ebraica recente, come nel libro dei Maccabei. Paolo dice che è Dio a vincere la nostra distanza da lui.
Giovanni e Luca: pace come dono
Il Pace a voi del Cristo risorto nel vangelo di Giovanni, come il pace in terra agli uomini che sono oggetto della benevolenza divina di Luca (2,14) indicano la pace come dono di Dio. Dio ha donato la pace agli uomini sulla terra.
Matteo: la pace interpersonale
La beatitudine in Matteo 5,9: beati i creatori di pace, saranno chiamati figli di Dio. Nel rabbinismo, a cui Matteo è vicino, emerge il significato di pace interpersonale, di pace come riconciliazione tra persone. Anche in Matteo 5,23: Se ti avviene di presentare il tuo dono all’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti…La comunione con Dio, espressa nel culto che si celebra, non avviene se due persone non sono in
comunione tra loro.
Efesini 2: nella croce crollano i muri di separazione
È una lettera della scuola di Paolo, in cui si afferma che la chiesa universale è il luogo dove gli opposti si sono riconciliati. Nel mondo di allora c’erano molte divisioni. I greci distinguevano le persone tra greci e barbari (quelli che non parlavano greco). I romani tra romani, greci e tutti i barbari. Anche nel mondo ebraico c’era una grande divisione di tipo religioso dell’umanità: gli incirconcisi (la maggioranza, 70 milioni di persone) e i circoncisi (la consistente minoranza di ebrei, 6 milioni di persone). Queste due parti si disprezzavano cordialmente (anche Gesù parla di « cagnolini » riferendosi alla Cananea). I non ebrei disprezzavano gli ebrei, accusati di ogni tipo di nefandezze (uccisioni rituali…) …Ma ora in Cristo Gesù voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini mediante la morte violenta di Cristo. Egli infatti è la pace. Lui che ha fatto le due parti le ha ridotte ad unità. Ha sbriciolato questa parete che sta in mezzo e che separa. Cioè l’inimicizia l’ha distrutta mediante la sua carne, ha reso inoperante la legge mosaica dei comandamenti che si esprime nei precetti.
Gesù toglie le radici del conflitto, cioè la legge mosaica. La legge mosaica era il segno della separatezza: privilegio per chi la possedeva e handicap per gli altri. Paolo dice che gli ebrei possono tenersi la legge, ma questa non può essere il motivo della identità del credente. Le diversità non sono annullate, ma sono depotenziate. Le diversità (essere circoncisi o incirconcisi) non sono più elemento separatore. Il muro è abbattuto. Egli è venuto ad annunciare, a dare la lieta notizia della pace, a voi che eravate lontani e pace a voi che eravate i vicini, perché mediante lui noi abbiamo questa entratura in un solo Spirito presso l’unico Padre. La legge non è più la carta di identità dell’uomo. Dietro questo testo c’è la teologia di Paolo, cioè la grazia incondizionata di Dio verso gli uni e verso gli altri e la giustificazione sulla base della sola fede, senza la legge. Giudei e non giudei sono su di un piede di parità nei confronti del vangelo della pace, del vangelo della riconciliazione.
Mentre la comunità di Gerusalemme, capitanata da Giacomo, il fratello di Gesù, era aperta al mondo pagano, a patto che si giudaizzasse, accettando la circoncisione, e mentre la comunità di Antriochia era composta anche da gentili a cui si chiedeva di osservare i precetti della legge, Paolo proclama la libertà dalla legge, non solo nella pratica ma anche attraverso una giustificazione, una riflessione.
i muri di separazione oggi
Anche oggi occorre saper far risuonare l’antica lieta notizia del vangelo di pace individuando quali sono i muri di separazione di cui annunciare l’abbattimento. Oggi la grande divisione non è più tra circoncisi e incirconcisi, ma tra nord e sud del mondo. La lieta notizia per i deprivati, per gli esclusi, per i lontani di oggi ha come punto di riferimento remoto il Cristo in croce che viene a chiamare su di un piede di parità alla salvezza, e come punto di riferimento prossimo Paolo che ha annunciato e operato l’abbattimento del muro di separazione tra irconcisi e incirconcisi. A noi spetta il compito di individuare il muro di separazione di oggi e di annunciarne anche fattivamente l’abbattimento, proclamando così la lieta notizia, il vangelo della pace

Publié dans:DOCENTI - STUDI, LA PACE |on 29 octobre, 2014 |Pas de commentaires »
12345...8

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31