Le nozze di Cana

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INTRODUZIONE ALLA LECTIO DIVINA, II DOMENICA T.O.
ISAIA 62,1-5
[1] Per amore di Sion non mi terrò in silenzio, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. [2] Allora i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria;ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà. [3] Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. [4] Nessuno ti chiamerà più “Abbandonata”, né la tua terra sarà più detta “Devastata”, ma tu sarai chiamata “Mio compiacimento “ e la tua terra “Sposata”, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. [5] Sì come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.
La voce dello sconosciuto profeta, che ha scandito le parole di Dio, raccolte nella terza parte del libro di Isaia,* si leva qui alta nel presentare ad Israele un radioso destino di gloria per Gerusalemme, la città amata con passione, perché città amata dal Signore.
Il contesto immediato è quello post-esilico.** Ad Israele è stato dato, per grazia, di tornare, con un nuovo esodo, da quell’esilio babilonese tormentato dal ricordo di Sion fumante tra le sue macerie, penoso segno dell’abbandono di Dio.
Ora, a fronte di rovine da sanare (58,12), in una situazione di precarietà nazionale, con il rischio di soccombere davanti a nuovi ed antichi nemici, tra cui l’inestirpabile ingiustizia nei rapporti cittadini (59,1-15), l’oracolo del profeta rassicura la smarrita comunità d’Israele con una consolante visione di salvezza: mai più morte e distruzione, mai più deportazione e rovina per Sion e per il suo popolo. E’ la revoca per sempre di un giudizio di condanna che troviamo al centro del brano (v 4).
Ma prima, nel linguaggio luminoso delle immagini – stella, lampada, corona, diadema – si dispiega anche un forte messaggio teologico: seppure la “giustizia” umana appare irrealizzabile, presto brillerà la Giustizia (zedek) divina, che per Israele non è che la stessa fedeltà del Signore alle Sue antiche promesse (57,16). E con essa la Salvezza (j’sha’) (v 1).
Solo allora in Sion sarà ristabilita la giustizia umana e la sua gloria sarà visibilità dell’amore ricevuto come salvezza (v2)
L’ultima parte dell’oracolo (v 4b-5) rafforza, sul piano esistenziale, il messaggio, introducendo la metafora sponsale per indicare lo speciale rapporto di tenerezza tra il Signore e Gerusalemme:”Sì, come un giovane sposa una vergine così ti sposerà il tuo creatore”.
Ma il cuore dell’ascoltatore abituato a scrutare la parola scorrendo a ritroso le scritture, può trasalire, perché prima d’ora la metafora matrimoniale vi è stata sempre usata a vergogna di Israele, bollata come sposa infedele, adultera peggiore della prostituta (Ez 16, 15-63). A lei è stato detto: “Tu ti sei disonorata con molti amanti e osi tornare da me? (Ger 3,1). Uguale accusa le è stata volta per prima in Osea (2, 4-15), mentre il profeta stesso è stato associato a questa sofferenza: “Va’, ama una donna che è amata da un altro ed è adultera; come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei” (Os 3,1). Può trasalire però di speranza, perché già allora, impensabilmente, dopo la minaccia di devastazioni – ”La ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici” (Os 2,14) – il Signore ha promesso di liberare tutta la sua tenerezza repressa: ”Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà con il grano, il vino nuovo e l’olio e questi risponderanno a Izreèl” (Os 2, 21-24). A questa parola, dalla terra del suo esilio, si era già ispirato consolante il Deutero-Isaia: ”Viene forse ripudiata la moglie sposata in gioventù? Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore….con affetto perenne ho avuto pietà di te” (Is 54, 6-8).
Allora “vergine” è il nome nuovo di Sion, peccatrice perdonata, dato da chi ha potere di fare nuove tutte le cose.
Perché il Signore la sua fedeltà alle promesse, l’ha impegnata da sempre con Israele secondo la modalità dell’Alleanza. Anzi, di una Alleanza perenne, come è detto al cap 61, 9; e questa sponsale, non è che un’ultima forma di alleanza, come già appariva in Osea (2, 20). Più esplicita ”…giurai alleanza con te – dice il Signore Iddio – e divenisti mia” (Ez 16,8). Il tutto, come sempre, secondo le logiche divine: da un lato una ricchezza che vuole tutto donare, dall’altra una povertà, chiamata a tutto ricevere, prima che a ricambiare.
Ma un’ Alleanza anche che aspetta, come tutte le realtà veterotestamentarie, il compimento, l’incarnazione. Un’Alleanza che attende di farsi, anch’essa, nuova in Cristo.
“L’Amato mio è per me e io per lui” (Ct 2, 16). Gesù, lo Sposo atteso, cui la Sposa appartiene (Gv 3, 25-30), e a cui, come a “unico sposo” deve essere presentata “quale vergine casta” (2Cor 11, 1-2), resa tale da un dono: “ le hanno dato una veste di lino puro splendente” (Ap.19,8).
“Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’agnello” (Ap 19,9).
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*Capp 56-66, detti del Trito-Isaia
** A partire dal 538 a.C.
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/27408.html
OMELIA (20-01-2013) – II DOMENICA DLE TEMPO ORDINARIO
DON ALBERTO BRIGNOLI
QUEL GIORNO, A CANA DI GALILEA
Quel giorno, a Cana di Galilea, eravamo in compagnia di una Madre, per festeggiare la festa della vita per eccellenza: le nozze, l’inaugurazione di una nuova vita.
Eppure, quel giorno, la festa non andò poi tanto bene: a metà banchetto venne a mancare il vino, l’elemento della gioia, la bevanda che rallegra i cuori, che unisce, che fa dimenticare le malinconie e che rende anche solo per un istante tutti amici. Se la gioia viene meno, anche la festa può trasformarsi in dramma. E quante volte pure a noi capita così: si cercano momenti per stare insieme, per rallegrarsi un po’, per stare bene, e poi, sul più bello, per i più svariati motivi, qualcosa non gira giusto, qualche parola di troppo, qualcuno si offende, e nel migliore dei casi si creano situazioni imbarazzanti che ci fanno dire « Che insopportabile quello o quest’altra! Un’altra volta non ci vado più ».
Così avviene anche nella vita, più in generale: si cerca sempre di essere felici, sereni, senza pensieri, si fanno i migliori propositi anche per cercare di vivere bene e poi, per colpa nostra o degli altri o della vita stessa, veniamo all’improvviso a contatto con problemi, difficoltà, a volte drammi che quando sono veramente grandi e non sappiamo come fare a risolvere, ci sembra che il mondo ci crolli addosso. Ci chiediamo « Dov’e Dio? », lo invochiamo, e magari lui non risponde…
Dio spesso sembra non rispondere alle nostre richieste di aiuto: poi magari ci accorgiamo che siamo stati troppo impavidi, che abbiamo osato oltre il dovuto, e allora ci pare naturale ricorrere alla mediazione di qualcuno, di qualcuno di potente, di qualche santo di quelli che a volte fanno anche i miracoli, prima fra tutte la nostra Mamma del cielo. Chissà, magari loro ce la fanno ad ottenerci una Grazia.
Invece, quel giorno, in quella Cana di Galilea che è il « metro » della nostra vita quotidiana, il Figlio di Dio e di Maria non ne vuole sapere, e risponde male anche alle richieste di una Madre premurosa e Mediatrice di Grazia: « Che cosa vuoi? Non è ancora il momento per queste cose! ». « Ogni cosa a suo tempo », sembra rispondere Gesù a sua Madre: perché stare lì a soddisfare immediatamente le richieste dell’uomo, capace di venire a cercare Dio solo quando è in difficoltà? Che stia un po’ immerso nei suoi problemi pure lui!
Una Madre poco sensibile, poco attenta, o anche solo tirata o nervosa risponderebbe immediatamente a tono ad una risposta così poco cortese del proprio figlio. Ma una Madre che conosce bene il Figlio, che lo apprezza e lo ama nonostante le sue scontrosità, capisce immediatamente, con un sesto senso tutto materno e – va detto – solo femminile, ciò che il figlio pensa e si appresterà a fare. Da qui, il « qualsiasi cosa vi dica, fatela ». Come a dire: « Non preoccupatevi, lui ha risposto in maniera scortese ma solo perché vi vuole prendere per mano, vuole farvi fare un percorso, un cammino di fede, invece di risolvervi i problemi così, di botto ».
E difatti è vero: se Dio ci risolvesse i problemi « in quattro e quattr’otto » perderemmo la nostra fede in Lui. Avremmo con lui un rapporto di convenienza, saremmo degli approfittatori, degli aguzzini che si servono di lui per ottenere i propri scopi, ma non ce ne importerebbe nulla di lui. In definitiva, non lo ameremmo. E questo a Dio non va: avere fede in lui significa, anzitutto, avercelo a cuore, amarlo.
Con quel « qualsiasi cosa vi dica, fatela », Maria diventa Mediatrice di Grazia perché ci insegna a stare con Gesù, ad avere fede in lui, ovvero ad amarlo. Credo sia doveroso, qui, aprire una parentesi relativa alla vera devozione mariana (cosa che vale anche per i santi). Se essere devoti a Maria non serve a farci diventare più devoti a suo Figlio, e al Padre di suo Figlio, e alla Figlia di suo Figlio (la Chiesa), la devozione a Maria non solo è inutile, ma può addirittura diventare pericolosa per la nostra fede. C’è molta, moltissima gente, che, magari con una devozione fuori dal comune, a volte addirittura esemplare anche per noi sacerdoti e religiosi, corre a tutti i luoghi di fede mariana (riconosciuti e non, anzi, più spesso non riconosciuti), vive con intensità straordinaria questi momenti di contatto spirituale con la Madre di Dio, e poi non sa vivere l’ordinarietà della vita di fede nel contesto del quotidiano, della comunità parrocchiale o della famiglia. Motivo? « Perché qui non c’è la fede, là invece sì! ». Oppure è tutta un giudizio nei confronti dei propri compaesani e fratelli di fede. Motivo? « Là la gente è devota e sincera, qui sono tutti falsi, vanno in Chiesa e sono i peggiori del paese! ». È un fenomeno molto diffuso, più di ciò che si crede.
La fede in Dio c’è ovunque, anche se in alcuni luoghi di particolare devozione si hanno delle manifestazioni più evidenti che in altri. Ma Maria non ha mai detto a nessuno: « Qualsiasi cosa io vi dica, fatela ». Ha solo detto, e per di più è Parola di Dio: « Qualsiasi cosa lui vi dica, fatela », riferito a suo Figlio. È Dio che salva: e sua Madre, Mediatrice di Grazia, questo lo sa bene.
Per ottenere il vino, ovvero la gioia, le Grazie che chiediamo al Signore per la nostra vita, Maria ci invita quindi a percorrere un cammino non così scontato e facile. Occorre dimostrare di avere pazienza e fiducia in Gesù, perché ci possa ottenere una Grazia.
E così, Dio, alla tua richiesta di vino, ti dice (incomprensibilmente e inspiegabilmente) di riempire le anfore di acqua: perché la sua Grazia si manifesta in forme e per strade completamente diverse da quelle che tu vorresti. E invece di darti subito il vino, vuole che ne faccia assaggiare al maestro di tavola: perché la Grazia di Dio si manifesta attraverso il rispetto e l’obbedienza all’autorità, anche se a noi piacerebbe saltarne la mediazione e arrangiarci a tu per tu con Dio.
Poi però Dio ci stupisce nuovamente, perché la sua Grazia la rivela a coloro che sono autorità nella Chiesa non direttamente, ma attraverso un’altra mediazione, quella dei poveri, quella dei servi, che sanno da dove hanno attinto il vino nuovo.
Il maestro di tavolo, la persona più importante in quel momento, non sa da dove viene il vino: lo sanno i servi, gli ultimi. Sono loro che riveleranno ai potenti l’efficacia della Grazia di Dio.
Quell’acqua che serviva per la purificazione rituale dei giudei diventa vino, allegoria di quel Sangue sparso sulla croce che salva ogni uomo per grazia, indipendentemente dalle sue opere. Ma a nessuno di noi sarebbe dato di gustare la bellezza delle opere di Dio se non ci fossero dei poveri che hanno la grazia di attingere per primi alla fonte della salvezza.
Che Dio ci doni la grazia di non lamentarci mai del poco o tanto che abbiamo: perché oggi ci ha dimostrato cosa è capace di fare con un po’ di acqua attinta da un gruppo di poveri servi.