Archive pour le 17 janvier, 2013

Manna-feast destiny

Manna-feast destiny dans immagini sacre manna

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QUEL SENTIERO PARADOSSALE DOVE SI SALE SCENDENDO –

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2012/242q01b1.html

 OSSERVATORE ROMANO 20 OTTOBRE 2012

LA SAPIENZA CERTOSINA

QUEL SENTIERO PARADOSSALE DOVE SI SALE SCENDENDO

DI FERDINANDO CANCELLI

Il 9 ottobre 2011 Benedetto XVI visitava i monaci della certosa di Serra San Bruno e, con loro, simbolicamente tutto l’ordine certosino sparso nel mondo da san Bruno dopo i modestissimi inizi dell’estate 1084 nei boschi francesi della Chartreuse. Fugitiva relinquere et aeterna captare (« abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno »): così, con una frase del fondatore, il Papa sintetizzava il nucleo della spiritualità certosina.
L’eterno, Dio, è quel tesoro di cui parla il vangelo di Matteo (13, 44) « che è stato nascosto nel campo, che un uomo trovando nascose di nuovo, e per la gioia che è in lui, va e vende tutto quanto possiede e compra quel campo ».
In singolare armonia con le parole di Benedetto XVI, un giovane monaco certosino ci svela, in un piccolo ma davvero prezioso libro intitolato Sentieri del deserto (Rubbettino – La Certosa), il senso di questa parola della Scrittura solo apparentemente semplice e ci permette di rileggere a fondo il discorso del Pontefice. « Ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si espone al reale nella sua nudità », dice il Papa, « si espone ad un apparente vuoto », e il monaco lasciando tutto rischia, sente il peso vertiginoso della solitudine.
« Dall’inizio del noviziato – scrive in effetti il giovane certosino – improvvisamente tutto è cambiato ». Dopo l’entusiasmo provato entrando in certosa, « quel tesoro così vicino non lo vedevo più » ed « era come se mai l’avessi avuto davanti. Tra le mani mi restava la nuda e scura terra dei miei giorni ». E « come nel matrimonio – sembra fargli eco da Serra San Bruno il Papa – non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo ».
È come se il tesoro sul quale d’impeto vorremmo gettarci ci fosse nascosto, è come se ci volessero giorni di buio e di sepolcro per gustare veramente la luce della Resurrezione: questo è quello che insieme dicono il Papa e il giovane monaco. « Ero entrato – scrive ancora il certosino – convinto che per trovare Dio avrei dovuto fare un salto oltre, su per montagne, scale, gradini e ascensori delle mie letture spirituali » e invece « mi sono trovato a fare un salto in basso, giù per un paradossale sentiero, dove si sale scendendo! ».
Questo tipo di tesoro non si può rubare, non si può comprare ma, per ottenerlo, la parola chiave è « vendere »: e vendere non solo i beni materiali ma la parte più ostinata del nostro io. « Se provo a rivedere i luoghi concreti di questa compravendita – continua il monaco – mi pare di riconoscerne con chiarezza tre »: debolezza, inutilità e povertà. « Ho venduto quella parte di autocompiacimento che mi restava e ho comprato una debolezza sconfinata. Ma proprio là in fondo ho ritrovato la misericordia infinita di Dio » che è « il suo modo più straordinario di amare gli uomini ». E ancora: « Ho venduto il mio sentirmi indispensabile e ho comprato la mia inutilità » guardando alla croce sulla quale « Gesù non era più utile a nessuno ma stava salvando tutti ». E infine, conclude il certosino, « ho venduto le mie facili certezze e ho comprato la mia grande povertà con il grido di speranza che si porta dietro ».
Solo allora si possiede il tesoro: « la vita in una Certosa – diceva un anno fa il Papa – partecipa della stabilità della croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele », una vita, suggerisce alla fine del suo scritto il monaco, che tende giorno per giorno al tesoro della gioia: « La Gioia che non ha paragoni immaginabili con nessuna delle gioie umane, quella che resta quando tutte le altre muoiono, quella che non so descrivere, circoscrivere, narrare, eppure è qui, nella terra che io sono, nella terra che ogni uomo è ».
La sapienza certosina fa scoprire anche a noi la Gioia che ci abita. Quella stessa Gioia che porta a vendere tutto ciò che ci impedisce in questo mondo di gustarla pienamente.

Publié dans:meditazioni |on 17 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

« NON C’È UNITÀ DEI CRISTIANI SE NON C’È UNITÀ IN DIO » (PRIMA PARTE)

http://www.zenit.org/article-35069?l=italian

« NON C’È UNITÀ DEI CRISTIANI SE NON C’È UNITÀ IN DIO » (PRIMA PARTE)

Alla vigilia della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, monsignor Bruno Forte riflette sui temi dell’ecumenismo

Luca Marcolivio
ROMA, Thursday, 17 January 2013 (Zenit.org).
L’ecumenismo sta facendo grandi passi avanti, grazie anche a un pontefice come Benedetto XVI, che sta riformando la Chiesa in assoluta coerenza con l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Lo afferma monsignor Bruno Forte, teologo di fama internazionale, grande fautore ed esperto di ecumenismo.
In qualità di arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Forte si è recato nei giorni scorsi in visita ad limina dal Santo Padre, assieme agli altri vescovi dell’Abruzzo e del Molise. Durante il suo breve soggiorno romano, ZENIT ha incontrato e intervistato il teologo, cogliendo l’occasione per riflettere sui temi dell’ecumenismo, alla vigilia della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani (18-25 gennaio).
Eccellenza, qual è lo stato di salute dell’ecumenismo a 50 anni dal Concilio Vaticano II?
Mons. Forte: Il beato Giovanni XIII, nel suo discorso d’apertura del Concilio (11 ottobre 2012), sottolineando quanto fosse importante vincere la sfiducia e guardare con fede all’azione di Dio nella storia, evidenziava come priorità del Concilio l’unità dei battezzati. Naturalmente l’unità tra tutti i cristiani non è realizzabile se alla base non c’è una profonda unità con Dio. In un certo senso l’ecumenismo non è la conversione da una chiesa all’altra ma la conversione di tutti i battezzati a Cristo.
Vedo poi una profonda continuità tra il Magistero di Benedetto XVI e l’insegnamento del Concilio. Ritengo che questo papa sia un riformatore e che lo sia proprio nel punto fondamentale proposto del Concilio, cioè la fede. Egli chiama la Chiesa a rinnovarsi non in un “aggiustamento di struttura” ma in un ritorno a Cristo, affermandone il primato assoluto e vivendo nella sequela e nella testimonianza di Lui. Quanto più la Chiesa realizzerà questo programma, tanto più potremmo dire che il cammino ecumenico crescerà.
Una seconda considerazione riguarda le differenze tra le chiese: se a volte il frutto dei dialoghi non è stato – come qualcuno, forse un po’ ingenuamente si aspettava – un immediato processo di riunificazione o comunque di forte riavvicinamento, è anche perché la riflessione sulla verità porta anche a conoscere le differenze. Naturalmente, alla luce dello spirito e della fede, le differenze non vanno riconosciute semplicemente per fissarle come elementi insuperabili ma per comprendere se, nonostante le differenze stesse, che vanno viste con estrema lucidità e chiarezza, non ci sia una sorgente di unità più profonda che, anche a livello dottrinale, può essere scoperta.
Quanto è stato fatto, in particolare, nel dialogo con le chiese ortodosse?
Mons. Forte: La Commissione Mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa, di cui sono membro, ha prodotto nel 2007 il Documento di Ravenna dove per la prima volta tutte le autocefalie ortodosse hanno riconosciuto che il principio fondamentale dell’ecclesiologia orientale espresso nei Canoni degli Apostoli al n°21 (perché ci sia Chiesa occorre un primo e un capo). Questo principio, che le chiese ortodosse hanno sempre applicato a livello di Chiesa locale (alla base c’è il vescovo, poi il metropolita, infine, al vertice, il patriarca), è stato applicato anche a livello universale. C’è bisogno di un primo e di un capo a livello universale, che possa essere voce di tutta la Chiesa, e questo primo capo – lo riconoscono anche i fratelli ortodossi – non può che essere il vescovo di Roma, perché Roma è la prima della “pentarchia”, cioè delle cinque grandi chiese patriarcali del mondo antico. Sebbene talora questo dialogo abbia avuto dei contraccolpi alla base – alcune comunità ortodosse hanno accusato i loro patriarchi di essere troppo accondiscendenti verso Roma – si tratta di un cammino di grande e reciproco ascolto e di ascolto di Dio ed è la carità che deve sostenere l’impegno ecumenico.
All’inizio del suo pontificato, Benedetto XVI era stato visto come un papa che avrebbe frenato il dialogo ecumenico. I risultati di questi anni sembrano però dimostrare l’esatto contrario…
Mons. Forte: Innanzitutto dobbiamo sottolineare il rapporto profondo del magistero di Benedetto XVI con il Concilio Vaticano II. Egli, che del Concilio fu consulente teologico, ha ribadito più volte, che il Vaticano II – come disse anche il beato Giovanni Paolo II – resta la “bussola del nostro tempo”. È un papa che vuole rilanciare il Vaticano II ma vuole farlo nel modo giusto, cioè non in una superficiale contrapposizione tra “rottura” e “continuità”, quasi come se il Vaticano II fosse un elemento di lacerazione e rottura con la grande tradizione cattolica. Egli vuole invece evidenziare come, nel Vaticano II, lo spirito ha agito nella Chiesa, perché, nella fedeltà alla sua identità e al suo principio, che è il Cristo vivente, la Chiesa possa rinnovarsi e annunciare il Vangelo in modo comprensibile ed efficace per le donne e gli uomini di oggi. In questo spirito anche la causa dell’unità dei cristiani, è fatta propria da papa Benedetto in modo convinto, come dimostrano tutte le iniziative di questi anni di pontificato e tutte le occasioni in cui egli ha affermato che l’ecumenismo non è solo un’attività tra le altre ma una dimensione fondamentale della vita della Chiesa. Più che pensare, allora, come qualcuno vorrebbe suggerire, ad una sorta di cambiamento rispetto alle intuizioni del Concilio in campo ecumenico, il Papa rappresenta un approfondimento, che è qualcosa di ben diverso. Si tratta cioè di accogliere le grandi acquisizioni del Concilio e di portarle alla loro radice più profonda che è, appunto, una visione trinitaria della Chiesa, una visione che nella Trinità trova la sua origine. Così come nella Trinità, tre sono uno, pur essendo ognuno se stesso, così nella Chiesa c’è un’unità profonda nella Chiesa cattolica che si realizza nella varietà profonda delle chiese particolari, ovvero la dimensione storica di quest’unico mysterium ecclesiae.
Non bisogna avere la fretta di compiere passi compromissori ma bisogna avere la fiducia e la speranza di un cammino che porti alla piena realizzazione del disegno di Dio. In questa ottica il magistero di Benedetto XVI può essere colto in tutto il suo potenziale di profondità e di ricchezza nella continuità con il messaggio del Vaticano II.

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