2 FEEBBRAIO: PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO
Paolo VI ha restituito a questa festività il significato liturgico di un tempo, quando tutta la Chiesa (specialmente nelle antiche liturgie orientali) ricordava che quaranta giorni dopo la nascita, il Signore Gesù si trova nel tempio con il Dio dei suoi padri, compiendo così la prima offerta rituale della sua vita terrena e incontrando, nello stesso tempo, il popolo dei credenti nelle persone di Simeone e Anna, unici testimoni della sua grande manifestazione. È sorprendente il contrasto fra il modesto comportamento dei genitori di Gesù, preoccupati di rispettare scrupolosamente la “Legge” riguardo ai primogeniti, e la densità teologica dell’evento percepito nella fede dai due anziani personaggi. La Liturgia di questa festività approfondisce questa intuizione di fede, ricordando come il mistero della redenzione ha liberato dal “male” tutta l’umanità; infatti, già nell’antifona d’inizio è affermato: “Abbiamo accolto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio”.
Nella prima lettura il profeta Malachia annuncia un messaggero che prepara il “giorno del Signore” quando Dio ritornerà tra il suo popolo come giudice, per ristabilire l’autentica alleanza di un tempo. Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei afferma che è Gesù Cristo colui che rinnova l’alleanza salvando ogni credente con la sua “condizione umana”; questa “assunzione” d’umanità è il supremo atto della sua immensa misericordia. La pagina evangelica descrive Gesù come colui che Dio ha destinato alla salvezza dell’intera umanità; il “canto” di Simeone lo afferma chiaramente (I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele).
PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Malachia 3,1-4
-Così dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
In questa parte del suo libro, il profeta Malachia, dopo aver rimproverato i sacerdoti del tempio per il loro formalismo nella celebrazione del culto, e l’incapacità di offrire un vero sacrificio a JHWH, annuncia l’imminente venuta del “giorno del Signore” che vedrà Dio stesso, come giudice, stabilire una nuova liturgia a lui gradita. Malachia riprende e precisa la profezia del ritorno del Signore nel suo tempio che avverrà come per un grande re, preceduto da messaggeri con il compito di redimere spiritualmente il popolo. Alcuni studiosi vedono in questi messaggeri di JHWH l’immagine del profeta Elia, atteso dal popolo eletto per preparare la venuta del Signore mediante la riconciliazione dei cuori; altri, invece scorgono Giovanni il Battista, la “voce proclamante” l’avvento del Signore che, come “angelo dell’alleanza”, stabilirà il nuovo patto promesso dal Profeta Geremia.
Per la Chiesa, il giorno del Signore è la venuta del Cristo che riconcilia gli uomini con il Padre. Non è facile, però, riconoscere il “giorno del Signore” e sentire il “suo essere” se il cuore non è “puro” e riconciliato con Dio; il peccato, infatti, allontana l’uomo dal suo creatore e causa la perdita della sua amicizia. Il “giudizio” del Signore è continuamente presente nell’animo umano, perché il “suo giorno” è una realizzazione spirituale interiore e perpetua che giudica incessantemente ogni comportamento. Tommaso d’Aquino, in una delle sue pagine più belle, afferma: “Mentre l’amore umano tende ad impossessarsi del bene che trova nel suo oggetto, l’amore divino crea il bene nella creatura amata”. Un concetto molto bello che può essere realizzato solo in un cuore completamente aperto e disponibile al Signore, che sappia seguire i nuovi Elia ed i nuovi Battista presenti nella Chiesa; essi sono coloro che come il Santo Padre, con moniti e richiami, cercano di preparare gli uomini all’incontro escatologico con il Signore, sono gli angeli inviati da Dio quale segno della sua sollecitudine per attirare ogni credente nel Regno preparato da sempre per la sua creatura più cara.
SALMO RESPONSORIALE
Dal Salmo 23
-Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia.
Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
Questo bellissimo Salmo è una solenne epifania del Signore di tutto l’universo, il Dio degli eserciti celesti; esso è scandito come una marcia che accompagna la processione sacra verso Gerusalemme, la città Santa. Dopo aver celebrato la signoria suprema di JHWH sul creato, il corteo si arresta davanti al Tempio del Signore dove le porte sono invitate a spalancarsi, sollevando i loro frontoni e i loro archi per accogliere il Re della Gloria.
Il Salmo è, in ogni sua parte, una bellissima ode al Signore (probabilmente un ricordo della processione con l’Arca dell’alleanza) che, come ricorda Plinio il Giovane in una sua lettera a Traiano (103 d.C.) anticamente era recitata nella Liturgia cristiana dell’aurora. Padre David Maria Turoldo ispirandosi a questo Salmo ha scritto: “Pure se il velo del Tempio si è rotto alla sua morte e la Presenza ora si posa sopra un patibolo, anche se più non credete, o pellegrini, aiutateci a cantare ad altra gloria”.
SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei 2,14-18
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Gesù ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
L’autore della lettera agli Ebrei, dopo aver delineato la realtà della mediazione unica e perfetta di Cristo, in questa parte della sua epistola chiarisce le “modalità” e gli “effetti” di tale intervento divino. Gesù ha indicato la via della salvezza a tutta l’umanità, non con una semplice manifestazione di solidarietà, ma vivendo l’umana condizione al limite estremo delle sue possibilità (l’unica realtà umana non assunta da Cristo fu il peccato). La conseguenza di tale redenzione è stata la liberazione dalla “schiavitù” della morte, principale espressione del potere del male sull’uomo; la morte di Cristo ha donato a tutta l’umanità, per la prima volta nella storia, la possibilità di vivere in una perfetta adesione a Dio, che con vero amore e misericordia può, così, rimanere vicino al “suo popolo” nell’esperienza delle quotidiane debolezze.
Questo “suo popolo”, per il quale Cristo ha esercitato il sommo sacerdozio con la sua passione e la sua vittoria sulla morte, sono tutti coloro che credono nella sua “Parola” e la diffondono tra gli altri. Essi non sono più morti (nel peccato), perché Cristo è risorto; non sono più deboli, perché Cristo è forte; non sono più paurosi di fronte al nemico (il maligno), perché Cristo è il vincitore. Tuttavia non è possibile dimenticare la triste esperienza umana la cui storia, anche quella individuale, parla di debolezza, di infedeltà, di vigliaccheria, di resa di fronte al nemico; parla soprattutto di peccato. Esiste un misterioso legame tra la potenza di Cristo e la disponibilità dell’uomo per vincere il peccato e ottenere la salvezza, non solo quella finale ma anche quella della quotidiana esistenza; esso (il legame) è la mano di Cristo continuamente tesa verso l’uomo e la volontà dell’uomo che, purtroppo, può anche rifiutare di stringere quella mano salvatrice.
IL VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca 2,22-40
Quando venne il tempo della purificazione secondo la Legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio. «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
Ai tempi di Gesù il tempio era il luogo del sacrificio, della purificazione, dell’adorazione di JHWH e per ogni israelita un obbligo di fede. La presentazione al tempio avveniva per “essere riscattati” perché, secondo la “Legge di Mosè”, ogni primogenito maschio apparteneva al Signore e poteva essere “riavuto dai genitori” con l’offerta di due animali (le due tortore erano il riscatto per il povero) che erano sacrificati con un olocausto cruento perché, come è affermato nel Pentateuco, il sangue versato in sacrificio è principio di vita, rende immondi e purifica anche le puerpere. Questa legge, imposta ad ogni figlio d’Israele, coinvolge anche Gesù che con Maria e Giuseppe entra per la prima volta nel tempio; un evento nel quale lo studioso Giosuè Boesch vede la realizzazione di tre realtà di grande valore teologico: il Signore è entrato nel suo tempio, adempiendo la profezia di Malachia, Israele è purificato in Maria da tutto il sangue versato dai profeti uccisi, in Gesù il genere umano è riscattato e ogni uomo in lui è primogenito del Padre. Per testimoniare questo grande avvenimento, lo Spirito del Signore invita nel tempio Anna e Simeone, due persone che da lungo tempo attendevano l’arrivo del Messia.
Per il terzo Evangelista Gerusalemme è sempre la tappa ultima di un viaggio definitivo, o almeno significativo di Gesù; egli, anche se concepito a Nazareth, lontano dalla Giudea è “presentato” da Maria e Giuseppe nella città santa, nel tempio, nella casa della gloria del Padre, dove egli deve manifestare nella pienezza tutta quella gloria messianica che, in qualche modo, già preannuncia la sua gloria suprema e definitiva quando (come precisa sempre l’Evangelista Luca), dopo il quarantesimo giorno dalla sua Risurrezione entrerà definitivamente nel tempio del cielo. È significativo come Luca escluda completamente dalla scena i sacerdoti del tempio, e concentri invece l’attenzione su due persone apparentemente senza particolari qualifiche giuridico-cultuali (è il vero popolo d’Israele che in loro incontra il Signore); per l’evangelista non è la presentazione di Gesù nel tempio l’avvenimento più importante, ma la sua rivelazione nell’incontro con il suo popolo. Un’incontro di gioia che, unitamente allo Spirito santo, “apre” la bocca a Simeone in un cantico di fede e di amore (I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele).
La profezia di Simeone coinvolge anche la madre nel destino del figlio (… e anche a te una spada trapasserà l’anima), un mistero che allude alla partecipazione di Maria alle sofferenze redentrici del Cristo, il servo di JHWH. A questo proposito il teologo Louis Soubigou in una sua riflessione afferma: “Anche se può stupire che la profezia di Simeone non sia indirizzata anche a Giuseppe, nel contesto della pagina lucana Maria è il simbolo o, meglio, la figlia di Sion nella quale è personificato il destino di Israele; la “spada che trapasserà il cuore” non è riferita solo alle sofferenze personali di Maria perché la croce sul Golgota sarà come una spada nella carne di tutta Israele. Maria, come figlia di Israele, è trafitta perché l’Israele, incarnato da Gesù, diventerà “il trafitto”, al quale molti leveranno gli sguardi per salvarsi”. Per questo la Chiesa vede nella festività della presentazione del Signore al tempio, madre e figlio (uniti) attuare il mistero di salvezza operato dal Cristo, nel quale la Vergine diviene l’esecutrice di quella stessa missione che doveva realizzare il popolo eletto, l’antico Israele; una missione che con Maria coinvolge anche il nuovo popolo di Dio (tutti i credenti) anche se costantemente provato nella fede. Maria è una donna povera e l’offerta dei poveri (due tortore) lo prova, ma è anche la “più ricca” di tutte le madri perché suo Figlio, anche se non le appartiene, è il Figlio di Dio. Nel tempio, infatti, inizia quel “distacco” che culminerà con l’affermazione di Gesù sulla croce: “Donna ecco tuo figlio”, dove egli non ha che Dio per Padre al quale affida il suo spirito.
In questo brano evangelico (più che altrove) Maria è la “figura” della Chiesa; essa soffrirà per il Figlio che ha partorito e per il Messia in cui crede. Lo scandalo della Croce coinvolge lei come madre più di ogni altra persona; anche se la sofferenza di Cristo si completa nella sua persona, è necessario che Maria e la Chiesa (della quale è figura) portino in loro la morte stessa di Cristo alla sequela del servo sofferente. Quindi, in questa festività che ricorda la presentazione al tempio di Gesù, sono presenti due aspetti apparentemente contrastanti (di lode e di imbarazzo): l’annuncio di Simeone della “liberazione”, non più attesa ma fatta “carne”, in un bambino che si può tenere in braccio dolcemente e ammirare (i miei occhi hanno visto la salvezza) e la dura profezia (Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima), che mette a nudo le contraddizioni di ogni uomo e di tutto un popolo. La profezia di Simeone è sempre attuale perché la “luce” rivela sempre le situazioni umane, le concessioni al male, e svela i continui compromessi. Ma la luce è anche via, orientamento, invito alla speranza e alla gioia per ogni uomo. Rimane ad ogni fedele la volontà di seguirla con fedeltà, con gioia, anche se un po’ di “spada nella carne” li farà sempre più simili a Maria, e a tutta la Chiesa.
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno,
guarda i tuoi fedeli
riuniti nella festa della presentazione al tempio
del tuo unico Figlio fatto uomo,
e concedi anche a noi
di essere presentati a te
pienamente rinnovati nello spirito.
Amen.
(Giosuè Boesch)