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Il culto dell’Immacolata nelle chiese di Arabia
SBF Taccuino
“La Vergine Madre di Cristo, il Logos ineffabile, l’economia di Dio”
Alla ricerca archeologica in corso nel territorio della provincia di Arabia di epoca romano-bizantina dobbiamo una antologia di testi epigrafici riguardanti la devozione del popolo cristiano alla Vergine Maria che non cessa di stupire. Restano insuperati i due testi in greco del mosaico della chiesa della Vergine al centro di Madaba nei quali il popolo cristiano della piccola cittadina a sud di Amman sotto occupazione islamica da più di un secolo esprimeva la sua fede per la regalità universale di Cristo Figlio Unico dell’Unico Dio ma anche riaffermava, nella più pura della tradizione cristiana, la sua fede per la divina maternità di Maria, Vergine, Santa, Immacolata e Regina. Nell’iscrizione dedicatoria impaginata su otto linee in una tabula lungo il gradino del presbiterio si legge:
“Al tempo del piissimo nostro padre il vescovo Teofane fu realizzato questo bellissimo lavoro di mosaico della gloriosa e venerabile casa della Santa e Immacolata Regina (la Vergine) Theotokos grazie allo zelo e all’ardore del popolo amante di Cristo di questa città di Madaba, per la salvezza e il soccorso e la remissione dei peccati di quelli che hanno offerto e di quanti offrono a questo santo luogo. Amen, o Signore. Fu terminato per grazia di Dio nel mese di febbraio dell’anno 6274, la quinta indizione (767 d.C.)”.
Una seconda inscrizione di carattere poetico impaginata in un medaglione al centro della chiesa si rivolgeva a chi entrava e si dirigeva verso l’altare:
“Se vuoi guardare Maria, Madre verginale di Dio e il Cristo da lei generato, Re universale Figlio Unico dell’Unico Dio, purifica mente, carne e opere! Possa tu purificare con le tue preghiere il popolo di Dio”.
L’esortazione letterariamente arcaicizzante (al termine Theotokos-Madre di Dio della precedente iscrizione qui si sostituisce il sinonimo Theometora), inculca la purezza d’animo necessaria per accostarsi a contemplare l’icona della Madre di Dio affrescata o mosaicata nel catino absidale della chiesa. Nella polemica che all’epoca divideva la chiesa anche di Transgiordania tra iconoclasti e iconoduli, l’estensore dell’iscrizione e con lui il popolo di Madaba, si schierano decisamente dalla parte degli ortodossi che accettavano la dottrina della presenza divina nelle icone sacre e di conseguenza della legittimità del culto loro prestato.
Tenendo presente che uno degli argomenti principali della polemica teologica che opponeva cristiani e musulmani riguardava l’unicità di Dio riaffermata dai musulmani come opposta alla Trinità e alla figliolanza divina di Gesù Cristo creduta dai cristiani, la ricercatezza e precisione delle formule teologiche non è certamente casuale. Per comprendere in tutta la sua forza la dichiarazione di fede dell’iscrizione bisogna ricordare che a Gerusalemme nel santuario della Roccia fatto costruire dal califfo Abd al-Malik verso la fine del settimo secolo sulla spianata dell’ex Tempio giudaico in una chiara affermazione polemica della nuova fede sull’ebraismo e sul cristianesimo, la lunga iscrizione di ben 240 metri ! che accompagna la decorazione a mosaico dell’interno del tamburo sul quale è impostata la bella cupola dell’edificio, è rivolta proprio ai cristiani: “O gente del Libro! Non siate stravaganti nella vostra religione e non dite di Dio altro che la verità. Perchè il Cristo Gesù figlio di Maria non è che il Messaggero di Dio, il suo Verbo che egli depose in Maria, uno Spirito da Lui esalato…Smettetela di dire tre…Il Dio è uno solo! …Prega per il tuo Profeta e il tuo servo Gesù figlio di Maria”.
Titoli mariani che hanno un parallelo in una iscrizione di una chiesa di Bostra metropoli della Provincia nella quale si esalta la dottrina dell’arcivescovo Antipatro (metà del V secolo) di cui resta a conferma una omelia sull’Assunzione di Maria:
“Guardiano e campione illustre della dottrina ortodossa, un pontefice ispirato da Dio ha costruito (questo edificio) di una incomparabile bellezza, è Antipatro celebre per la sua saggezza, dopo combattimenti vittoriosi, per onorare magnificamente la Madre di Dio, Vergine pura, Maria, celebrata con inni, immacolata e piena di doni del cielo”.
Nella ristrutturazione del santuario dedicato a Mosè Profeta sul Monte Nebo visitato dai pellegrini nel territorio della diocesi, gli abati del monastero (igumeni) che si prendevano cura dei lavori, accogliendo il desiderio del vescovo di Madaba, fecero costruire nel primo decennio del VII secolo una cappella dedicata alla Vergine sul lato meridionale in continuazione della cappella del battistero. In una iscrizione di due linee che chiudeva il programma decorativo del pavimento mosaicato si può ancora leggere:
” O Creatore e Demiurgo di tutte le cose Cristo nostro Dio, e per voto del nostro santo padre il vescovo Leonzio fu terminata tutta la costruzione della Theotokos, per lo zelo e la fatica di Martirio e di Teodoro preti e igumeni”.
In una valle della stessa montagna, a sud del santuario, che i beduini ancora chiamano in arabo Wadi ‘Ayn al-Kanisah (la Valle della Chiesa), negli anni novanta abbiamo scavato un piccolo monastero dedicato alla Theotokos come si legge nell’iscrizione aggiunta in un rifacimento dell’VIII secolo:
“Per la provvidenza di Dio fu ricostruito questo venerabile monastero della Santa Theotokos al tempo di Giobbe vescovo dei Medabesi e di Giorgio il recluso. L’indizione 15a dell’anno 6270 (762 dell’era cristiana)”.
A Rihab, un piccolo villaggio del nord, oggi al confine tra la Giordania e la Siria, che ha ridato una ventina di chiesette dedicate a Santa Sofia (Cristo Sapienza di Dio), al Profeta Isaia, a San Giovanni Battista, ai Santi Pietro e Paolo, a Santo Stefano Protomartire, a San Basilio, a San Mena, a San Giorgio, a San Sergio, a San Costantino il Vittorioso, tutte datate tra la prima metà del VI secolo e la fine del VII secolo, non poteva mancare quella dedicata a Santa Maria. Nell’iscrizione si precisa che la chiesa di Santa Maria fu costruita e mosaicata una prima volta nel 533 e restaurata nel 582. Non contenti, i mosaicisti o i committenti del piccolo villaggio di Arabia aggiunsero tra due pilastri una invocazione dal caldo afflato universalistico:
“Signore Dio di Santa Maria e di tutti i santi abbi pietà di tutto il mondo!”.
Nuove interessanti scoperte vengono ora dal sud dove la ricerca si intensificata negli ultimi anni in particolare tra le rovine di Petra e nel territorio circostante. In un ambiente settentrionale della grande basilica riportata alla luce a nord del cardo colonnato della capitale del Regno Nabateo, la missione americana si è imbattuta in un deposito di papiri di natura economica appartenuti ad un prete e alla sua famiglia. In uno dei papiri, che risulta documento di una donazione di un certo Obodianos figlio di Obodianos al “Monastero del Santo Sommo Sacerdote Aronne”e all’”Ospedale del Santo Martire Ciriaco”, si legge anche della “chiesa della Benedetta e Santissima Regina, la gloriosa Madre di Dio e sempre Vergine Maria”.
Il mosaico di una chiesa Tra le rovine del villaggio di al-Rashidiyah sulla strada che unisce Petra a Buseira/Bosra, l’antica capitale del regno di Edom, un team di archeologi giordani ha riportato alla luce una chiesa mosaicata di epoca bizantina e nell’ottagono della navata centrale una iscrizione sempre in greco che gareggia per bellezza e contenuto teologico con quelle di Madaba:
“Entrando qui vedrai la Vergine Madre di Cristo, il Logos ineffabile, l’Economia di Dio, e se crederai, sarai salvato. Il mosaico è stato terminato con l’aiuto di Dio nel mese di Peritios dell’anno 468, indizione 7, per la salvezza di Megale l’amica di Cristo. Opera eseguita da Andrea Eliote mosaicista (573/74 d.C.)”.
L’icona della Vergine Maria con il Bambino esposta nella chiesa diventa sacramento dell’opera salvifica di Cristo da cui proviene la salvezza al fedele che la contempla e crede. Ai titoli per la Vergine si aggiungono quelli di Cristo suo figlio, Logos ineffabile e Economia di Dio in un mosaico firmato dal mosaicista Andrea che tiene a precisare di essere originario di Elia Capitolina/Gerusalemme.
Testo di Michele Piccirillo
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem