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il Papa in volo da Roma a Castelgandolfo (L’elicottero è passato sopra casa mia, ma non l’ho potuto vedere)

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dal quotidiano « La Repubblica »

Publié dans:immagini sacre, Papa Benedetto XVI |on 28 février, 2013 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI: L’ANNO DELLA FEDE. LE VIE CHE PORTANO ALLA CONOSCENZA DI DIO (ho scelto una catechesi…

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20121114_it.html

(ho scelto una catechesi del Papa per essere vicino a Lui che si accinge ad affrontare un diverso cammino nel silenzio e nella preghiera)

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

AULA PAOLO VI

MERCOLEDÌ, 14 NOVEMBRE 2012

L’ANNO DELLA FEDE. LE VIE CHE PORTANO ALLA CONOSCENZA DI DIO

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso abbiamo riflettuto sul desiderio di Dio che l’essere umano porta nel profondo di se stesso. Oggi vorrei continuare ad approfondire questo aspetto meditando brevemente con voi su alcune vie per arrivare alla conoscenza di Dio. Vorrei ricordare, però, che l’iniziativa di Dio precede sempre ogni iniziativa dell’uomo e, anche nel cammino verso di Lui, è Lui per primo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa entrare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede. Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede.
Tuttavia ci sono delle vie che possono aprire il cuore dell’uomo alla conoscenza di Dio, ci sono dei segni che conducono verso Dio. Certo, spesso rischiamo di essere abbagliati dai luccichii della mondanità, che ci rendono meno capaci di percorrere tali vie o di leggere tali segni. Dio, però, non si stanca di cercarci, è fedele all’uomo che ha creato e redento, rimane vicino alla nostra vita, perché ci ama. E’ questa una certezza che ci deve accompagnare ogni giorno, anche se certe mentalità diffuse rendono più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura e condurre tutti all’incontro con Gesù, unico Salvatore del mondo. Questa, però, è la nostra missione, è la missione della Chiesa e ogni credente deve viverla gioiosamente, sentendola come propria, attraverso un’esistenza animata veramente dalla fede, segnata dalla carità, dal servizio a Dio e agli altri, e capace di irradiare speranza. Questa missione splende soprattutto nella santità a cui tutti siamo chiamati.
Oggi – lo sappiamo – non mancano le difficoltà e le prove per la fede, spesso poco compresa, contestata, rifiutata. San Pietro diceva ai suoi cristiani: «Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori» (1 Pt 3,15). Nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la fede era l’ambiente in cui si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità. Nel nostro mondo, la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione della sua fede. Il beato Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Fides et ratio, sottolineava come la fede sia messa alla prova anche nell’epoca contemporanea, attraversata da forme sottili e capziose di ateismo teorico e pratico (cfr nn. 46-47). Dall’Illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei, nei quali Dio era considerato una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni. Il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo, considerato come misura e artefice della realtà, ma impoverito del suo essere creatura «a immagine e somiglianza di Dio». Nei nostri tempi si è verificato un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, «pratico», nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili. Spesso, allora, si crede in Dio in modo superficiale, e si vive «come se Dio non esistesse» (etsi Deus non daretur). Alla fine, però, questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio.
In realtà, l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli. Le tentazioni che Gesù ha affrontato nel deserto prima della sua missione pubblica, rappresentano bene quegli «idoli» che affascinano l’uomo, quando non va oltre se stesso. Se Dio perde la centralità, l’uomo perde il suo posto giusto, non trova più la sua collocazione nel creato, nelle relazioni con gli altri. Non è tramontato ciò che la saggezza antica evoca con il mito di Prometeo: l’uomo pensa di poter diventare egli stesso «dio», padrone della vita e della morte.
Di fronte a questo quadro, la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, non cessa mai di affermare la verità sull’uomo e sul suo destino. Il Concilio Vaticano II afferma sinteticamente così: «La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore» (Cost. Gaudium et spes, 19).
Quali risposte, allora è chiamata a dare la fede, con «dolcezza e rispetto», all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza verso la dimensione verticale, affinché l’uomo del nostro tempo possa continuare ad interrogarsi sull’esistenza di Dio e a percorrere le vie che conducono a Lui? Vorrei accennare ad alcune vie, che derivano sia dalla riflessione naturale, sia dalla stessa forza della fede. Le vorrei molto sinteticamente riassumere in tre parole: il mondo, l’uomo, la fede.
La prima: il mondo. Sant’Agostino, che nella sua vita ha cercato lungamente la Verità ed è stato afferrato dalla Verità, ha una bellissima e celebre pagina, in cui afferma così: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134). Penso che dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice. Albert Einstein disse che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (Il Mondo come lo vedo io, Roma 2005). Una prima via, quindi, che conduce alla scoperta di Dio è il contemplare con occhi attenti la creazione.
La seconda parola: l’uomo. Sempre sant’Agostino, poi, ha una celebre frase in cui dice che Dio è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso (cfr Confessioni III, 6, 11). Da qui egli formula l’invito: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (De vera religione, 39, 72). Questo è un altro aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere quella sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma così: «Con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e alla felicità, l’uomo si interroga sull’esistenza di Dio» (n. 33).
La terza parola: la fede. Soprattutto nella realtà del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede. Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità. Così la sua esistenza diventa testimonianza non di se stesso, ma del Risorto, e la sua fede non ha timore di mostrarsi nella vita quotidiana, è aperta al dialogo che esprime profonda amicizia per il cammino di ogni uomo, e sa aprire luci di speranza al bisogno di riscatto, di felicità, di futuro. La fede, infatti, è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo. Un cristiano, una comunità che siano operosi e fedeli al progetto di Dio che ci ha amati per primo, costituiscono una via privilegiata per quanti sono nell’indifferenza o nel dubbio circa la sua esistenza e la sua azione. Questo, però, chiede a ciascuno di rendere sempre più trasparente la propria testimonianza di fede, purificando la propria vita perché sia conforme a Cristo. Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’è l’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù. Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio.

IL TESTAMENTO DI BENEDETTO XVI: « IL SIGNORE MI CHIAMA A SALIRE SUL MONTE … NON ABBANDONO LA CROCE »

http://www.zenit.org/it/articles/il-testamento-di-benedetto-xvi

IL TESTAMENTO DI BENEDETTO XVI

« IL SIGNORE MI CHIAMA A SALIRE SUL MONTE … NON ABBANDONO LA CROCE »

ROMA, 28 FEBBRAIO 2013 (ZENIT.ORG) PADRE GIUSEPPE BUONO, PIME

Vorrei invitare a riflettere ancora sulle due ultime fortissime meditazioni di Benedetto XVI: quella dell’ultimo suo Angelus dalla finestra del suo studio a mezzogirono di domenica 24 febbraio e quella dell’ultima udienza in Piazza San Pietro la mattina del 27 febbraio.
All’Angelus ero a rappresentare la Comunità Missionaria; all’ultima Udienza Generale c’era anche Patrizia Pelosi : non POTEVAMO MANCARE! Un’ora prima dell’Angelus ero nello studio del nostro cardinale Robert Sarah: preghiamo molto per lui come lui mi ha chiesto di parteciparvi una sua benedizione particolare…
Della meditazione all’Angelus mi ha colpito al cuore, cioè ha dato sfogo alle mie lacrime, che non escono facilmente, questa affermazione di Benedetto XVI detta con voce ferma anche se emozionata: “Il Signore mi chiama a salire sul monte”. Era la seconda domenica di Quaresima e il Vangelo ricordava la Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor per ricordarci che anche noi siamo invitati a salire sul monte per incontrare nell’intimità il Dio Trinità che, solo, trasfigura tutta la nostra storia in una storia di bellezza, di luce, di gioia. Poi nella stupenda meditazione dell’ultima Udienza Generale in Piazza San Pietro, la mattina del 27 febbraio, una lunga, densa e intensa riflessione sulla Chiesa che è di Cristo, anche se affidata a Pietro e agli apostoli. Ha ricordato il motivo soprannaturale della sua rinuncia al primato petrino. La voce era fioca ma decisa e precisa e Benedetto XVI ha scandito: “Io non abbandono la Croce!”.
Noi che abbiamo in qualche modo nei convegni al Centro Internazionale di Animazione Missionaria, sul prato in alto, di fronte alla finestra dello studio di Benedetto XVI, vegliato guardando la finestra illuminata e pregato per lui e per tutta la Chiesa il Rosario, proprio noi dobbiamo accogliere queste due affermazioni come programma permanente della nostra vita cristiana realizzata nella missione comunque e dovunque si manifesti a noi giorno per giorno?
Allora la missione della Chiesa ci invita sempre a salire monte con Gesù, ad essere trasfigurati dalla sua Parola, a contemplare e pregare perché la missione è opera dello Spirito Santo e noi dobbiamo saperla discernere negli eventi quotidiani e nelle culture umane e lì innestare il Vangelo di Dio, che è Gesù Cristo.
E’ il nostro ulteriore cammino quaresimale, ma da compiere ora con la consapevolezza dell’amore di Benedetto XVI a Cristo, alla Chiesa, alle anime fino a scomparire pur restando accanto alla croce e nel cuore della Chiesa.
Le conclusione delle due meditazioni Angelus e Udienza, sotto tutte e due mariane, naturalmente!
“Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti tutti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa” (Angelus).
“Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia” (Udienza Generale).

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Publié dans:immagini sacre |on 27 février, 2013 |Pas de commentaires »

LA RIVELAZIONE DELL’AMORE DI DIO NELLA CROCE SECONDO LA TEOLOGIA ORTODOSSA ORIENTALE

http://www.collevalenza.it/CeSAM/08_CeSAM_0160.htm

Gennadios Zervos*

LA RIVELAZIONE DELL’AMORE DI DIO NELLA CROCE SECONDO LA TEOLOGIA ORTODOSSA ORIENTALE

(SONO 4 CAPITOLI METTO OGGI I PRIMI 4 E DOMANI GLI ALTRI)

INTRODUZIONE

         Sulla base delle parole di S. Paolo «siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio»[1]. Giustamente diversi Padri della Chiesa Indivisa hanno interpretato questi versetti come il «mistero della croce», della rivelazione dell’amore ineffabile di Dio nella Croce, particolarmente i grandi teologi S. Gregorio di Nissa[2] e S. Giovanni Crisostomo[3].
         In realtà questa rivelazione dell’amore di Dio nella Croce, che, come afferma Teofilatto «è grande e supera ogni conoscenza» è di una enorme magnificenza ed illimitata, rassomigliando ad un oceano che non ha né profondità, né lidi: è un amore che è più alto del cielo, più profondo dell’Ade, più lungo della terra e più ampio del mare[4].
         Vediamo che la Croce, ove Gesù Cristo Dio-Uomo «ha disteso le sue braccia ed ha unito ciò che prima era separato»[5], come scrive l’Innografo della Chiesa Ortodossa, rivela quattro cose meravigliose, quattro verità preziosissime:
1)      La Croce è la più grande rivelazione della sommità dell’amore di Cristo, come uomo, verso Dio Padre, rivelazione che è stata fatta nel mondo per l’uomo.
2)      La Croce è l’amore che si rivela dal fatto che considera il mondo come una realtà per trovare, vedere e conoscere Dio.
3)      Ed ancora la Croce è la rivelazione dell’amore ineffabile di Cristo come Dio-Uomo verso la sua creatura: l’uomo.
4)      Infine nella Croce abbiamo la più potente rivelazione dell’amore del Dio-Trino, mai sentito come questo, perché non si trattava di qualsiasi dio-liberatore, il quale, secondo la profezia di Eschilo, doveva succedere allo sfortunato Prometeo nel suo dolore, nelle sue sofferenze e torture, né si trattava dei sacrifici degli Ebrei o di quella ecatombe di Omero ed infine nemmeno dei sacrifici umani di Baal, i quali potevano espiare la giustizia divina, perché come esclamava S. Gregorio vescovo di Nissa «essendo ammalata, la nostra natura aveva bisogno di un medico per curarla; l’uomo che si trovava nel “cadavere” del peccato aveva bisogno di un restauratore».
         Sarebbe una mancanza se non ricordassimo qui quello che con vera sapienza scrive a proposito il Metropolita di Mosca Filaret nella sua meditazione sul Santo e Grande Venerdì. Nella Croce si è manifestato «l’amore del Padre che crocifigge, l’amore del Figlio che viene crocifisso, l’amore dello Spirito, che trionfa per la potenza della Croce. Tanto Dio ha amato il mondo… Ecco, cristiano, l’inizio, il mezzo ed il termine della Croce di Cristo: tutto e solo l’amore di Dio»[6].
  CAPITOLO I – DIO AMORE E LA GRANDEZZA DEL SUO AMORE
         Dopo queste importanti particolarità le quali dimostrano la grande verità della rivelazione dell’incomparabile ed unico amore di Dio-Trino nella Croce per l’acquisto della salvezza e della vita eterna, a favore sempre dell’uomo, è possibile comprendere il perché è stata manifestata da parte di Dio questa insuperabile, amorosa, azione a favore della sua creatura, la più perfetta, caduta, però, nel peccato e condannata in eternità a morte, in quanto il discepolo dell’amore San Giovanni evangelista dichiara con fermezza che «Dio è amore»[7].
         È importante continuare per spiegarmi meglio non soltanto per la suddetta verità, ma anche per le sue meravigliose manifestazioni d’amore verso l’uomo per prepararlo, senza violenza da ambedue le parti (Dio e uomo), ad abolire la sua volontaria schiavitù al diavolo e riuscire ad allontanarlo dal peccato, ritornando liberamente a Dio e così, collaborando con Lui, l’uomo potrà acquisire la sua salvezza e la sua vita eterna, per la quale è stato creato.
         La dichiarazione: “Dio è amore” non solo è la più alta dichiarazione morale, ma è anche la più dolce e consolatrice affermazione per il peccatore ed umile uomo.
         S. Agostino afferma su questa dichiarazione: «E se ancora niente altro ci fosse stato detto come elogio per l’amore per mezzo delle pagine dell’Epistola e dell’intera Scrittura; se su questo unico «Dio è amore» consistesse tutto quello che è stato detto per mezzo della voce dello Spirito Santo, l’uomo non dovrebbe chiedere niente di più».
         “Dio è amore” non certamente nel senso che la sostanza di Dio è amore. La sostanza di Dio è in verità “Spirito”, l’Assoluto, Eterno e Immenso. «Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità»[8]. La dichiarazione che “Dio è Spirito” è definizione ontologica di Dio. La dichiarazione che “Dio è amore” è definizione morale di Dio.
         “Dio è amore” nel senso che Dio per sua natura ha la prerogativa morale di amare e l’amore è la sua dominante prerogativa morale.
         Dio ha dimostrato il suo amore verso l’uomo in tanti modi.
         Dio onnipotente ed eterno ha amato l’uomo prima della sua esistenza. Nel tempo ha creato l’uomo dal nulla; ha creato l’uomo con particolare energia creatrice per dare all’uomo un valore particolare, perciò è la più perfetta creatura dell’universo.
         In verità, l’uomo è opera dell’amore Trinitario: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza…»[9].
         Dio dichiara con amore: «Voi siete dei e figli tutti dell’Eccelso»[10].
         Dio prepara con amore per l’uomo una vita spirituale superiore alle cose materiali, regno e paradiso[11].
         Mentre Dio Trinitario con tanto amore ha pensato ed ha operato per il bene dell’uomo, questi si è manifestato contrario, rivoluzionario ed ingrato a questo amore del suo Padre-Creatore.
         Dio non ha abbandonato e non ha distrutto l’uomo, ma al contrario ha continuato ad amarlo e si è rivelato a lui per mezzo di tante beneficenze.
         Lo scrittore degli Atti afferma ai gentili: «Ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge, stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori»[12].      
         Preparando Dio, sempre con amore, la riparazione e la salvezza dell’uomo caduto, e di conseguenza aiutando l’uomo a trovare la sua libertà e la sua unità con il suo unico Signore e con il suo unico Dio, ha scelto una nazione, la quale viene preparata, per mezzo della legge e dei profeti ed ancora per mezzo di tanti avvenimenti e miracoli straordinari, a diventare il mezzo di trasmissione della verità e della salvezza in tutto il mondo.                                                                                                         
         Questi esempi di amore di Dio verso l’uomo, benché siano grandi e molti, di fronte ad un’altra sua manifestazione di amore, sono piccoli.
         L’apostolo ed evangelista Giovanni, il teologo particolarmente, presenta questa manifestazione di amore speciale: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui»[13].              
         Ecco la magnificenza dell’amore!
         Dio ha mandato e ha donato al mondo il suo Figlio unigenito, nato da Lui prima di tutti i secoli; Dio vero da Dio vero; generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo di lui tutte le cose sono state create; tutto questo per ottenere all’uomo la salvezza e la gloria eterna.
         Il Padre ama il Figlio e il Figlio è il riposo e la gioia del Padre.
         Degni d’importanza sono i seguenti versetti: «Da tutta l’eternità io fui costituito, in principio, prima dell’origine della terra. Quando l’abisso ancora non esisteva, io fui concepito, quando ancora non zampillavano le fonti. Prima che sorgessero le maestose montagne, prima dei colli, io fui generato; quando ancor non aveva fatto né terra, né campi, né creato i primi elementi della materia del mondo. Quando stabiliva i cieli io ero presente, quando tracciava un cerchio sulla faccia dell’abisso; quando condensava in alto le nubi, quando distribuiva le sorgenti nel cuor della terra, quando circondava d’un termine il mare – e le sue acque non ne varcheranno la sponda – quando gettava le fondamenta della terra, io ero a suo fianco, quale architetto mi compiacevo giorno per giorno, gioivo di continuo in sua presenza; mi dilettavo sul globo della terra, deliziandomi nei figli dell’uomo. Or dunque, o figli miei, ascoltate me: felici quelli che seguono le mie vie! Date retta ai miei insegnamenti e siate saggi: non disprezzateli!»[14].
         E la sua missione si è compiuta «quando venne la pienezza del tempo»[15]; Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo in modo del tutto speciale «nato da donna, nato sotto la legge»[16]. E questa speciale missione dell’unigenito Figlio di Dio fattasi con amore paterno avviene coll’incarnazione.
         Il Figlio e Verbo, Dio e Signore, come il Padre, tutta la sostanza divina, si è fatta uomo.
         Questa incarnazione è svuotamento, diminuzione e umiliazione[17].
         E la sua manifestazione nel mondo per la salvezza dell’uomo è il mistero della Divina Economia che è strettamente legato con la creazione o per dir meglio è l’allungamento della creazione e questa “nuova creazione” era necessaria per la riconciliazione dell’uomo con Dio, avendo per questo come unica forza motrice l’amore e la bontà, come dice S. Gregorio di Nissa[18].
         Così l’amore di Dio Trino rimane come l’unica causa tanto per la creazione quanto per la salvezza; e, come affermano con tanta chiarezza i Padri della Chiesa, la salvezza è la “seconda creazione”, “il grande mistero”, tanto grande «che nessuno può dire, né descrivere con parole»[19].
         È verità indiscutibile che questa decisione per la salvezza del genere umano era comune volontà del Dio Trino e, secondo i detti dei Padri che si basano sulla Scrittura, si chiama «il disegno eterno della Trinità»[20] e manifesta la grandezza della sua bontà, del suo amore, e muovendosi da esso, come medico unico che opera in un momento opportuno e giusto, aspetta con longanimità che la malattia venga al colmo e poi intervenire[21], perché come dice il teologo bizantino Giuseppe Vriennios «le grandi malattie hanno necessità per la loro guarigione anche di molto tempo, di grande dieta e di molti mezzi di aiuto»[22].
         Certamente Dio Onnipotente poteva realizzare la salvezza del genere umano in un altro modo, come per esempio con uno sguardo o con un ordine. Poteva anche vincere il diavolo, il quale ha messo in schiavitù l’uomo e salvare l’umanità intera dalle mani di satana e dalla distruzione[23].
         Senz’altro questo modo era contrario non soltanto alla filantropia e alla giustizia di Dio, ma anche alla libertà dell’uomo, cose importantissime che l’incarnazione manifesta e che sono preziosissime verità della dottrina dei Padri e della tradizione Ecclesiastica.
         Certamente ci sono anche uomini i quali si domandano perché Dio è diventato uomo.
         Senz’altro sarebbe più facile rispondere con il noto versetto: «Non è venuto per essere servito, ma per servire».
         Principalmente il nostro Signore Dio è venuto sulla terra, come è stato detto sopra, per subire, per amore a noi, tutte le sofferenze-passioni, nonché la tremenda condanna della croce.
         L’incorporeo ha avuto carne per crocifiggersi: per provare il dolore della più indegna condanna per la nostra salvezza; perché noi ritrovassimo la nostra libertà da satana; per la nostra unità con Dio; perché acquistassimo la primiera beatitudine, la vita eterna, il regno di Dio.
         Non è possibile non ricordare le parole del discepolo dell’amore S. Giovanni evangelista, che dice con sicurezza e fedeltà: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati»[24].
         In questo precisamente consiste l’ineffabilità dell’amore di Dio; in questo in verità consiste la grandezza dell’amore di Dio: Lui ha amato per primo l’uomo; ha insegnato per primo l’amore; Dio ama senza nessun interesse; ama la sua creatura peccatrice ed indegna; ama con amore soprannaturale, con amore che diventa “mistero”, perché ama «fino alla morte e alla morte di croce»[25]; perciò l’uomo non può capire questo mistero: come è possibile a Dio amare l’uomo, il quale si dimostra peccatore, disubbidiente, ingrato, traditore del primo amore di Dio verso lui, indegno della divina origine?
         La risposta a questa domanda che risolve il problema è: l’ineffabilità dell’amore di Dio, “l’Amore Crocifisso” che libera, salva, santifica e unisce l’uomo con Dio, suo unico Padre e suo unico Creatore, per cui l’uomo guadagna così la sua primiera beatitudine, la vita eterna e il regno di Dio, facendo la volontà di Dio.
CAPITOLO II – L’AMORE DI DIO NEL SACRIFICIO DI CRISTO SULLA CROCE
         A questo punto sarebbe utile esporre alcuni aspetti riguardo il sacrificio dell’amore del nostro Signore Gesù Cristo sulla Croce; sarà una precisa ricapitolazione veramente preziosa, particolarmente per coloro che approfondiscono il mistero dell’amore di Dio.
          Secondo la dottrina della Scrittura, il sacrificio del nostro Signore sulla Croce è “mistero”, come molte volte viene definito dalla tradizione patristica.
         Mistero viene anche detto nella Innologia della Chiesa Ortodossa Orientale (nella quale si nota la presenza e la voce dei Padri), che lo definisce incomprensibile, inesplicabile e straordinario mistero della Divina Economia, «come Lui ha voluto», mistero che non si spiega, ma viene creduto soltanto con la fede, come canta l’innografo Sant’Andrea Gerusalemmitano, vescovo di Creta, durante la funzione panegirica del mattutino nel santo giorno della Natività del nostro Salvatore Gesù Cristo.
         Ecco che cosa dice San Giovanni Damasceno: «Venite tutte le Nazioni a conoscere la potenza del mistero straordinario; perché il nostro Salvatore Cristo, che in principio era il Verbo, si è crocifisso per noi e volontariamente si è seppellito ed è risuscitato dai morti per salvare il mondo. Lui dobbiamo adorare»[26].
         In Paraklitiki, nello stesso suo libro liturgico, che è di grandissima importanza per la Chiesa Ortodossa, leggiamo: «È veramente incomprensibile la crocifissione, e la resurrezione inesplicabile; i fedeli teologizziamo che è segreto istero»[27].
         «Questo mistero è segreto da secoli e sconosciuto agli angeli; però per mezzo di te, o Madre di Dio, si è rivelato agli abitanti della terra. Dio si è incarnato in unione non confusa e volontariamente ha portato per noi la croce, con la quale è risorto il primo creato e ha salvato le nostre anime dalla morte»[28].
         Sarebbe una grande mancanza se non ricordassimo qui il capolavoro dell’inno liturgico, scritto da Giustiniano:
         «O Figlio unigenito e Verbo di Dio, che essendo immortale, ti sei degnato per la nostra salvezza di incarnarti nel seno della Santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria; che senza subire mutazioni ti facesti uomo e fosti crocifisso, o Cristo Dio, conculcando la morte con la tua morte, Tu uno della Santa Trinità, glorificato con il Padre e con lo Spirito Santo, salvaci».
         È verità indiscutibile che presupposizione di questo mistero è il peccato di Adamo e di Eva, dei due nostri antenati, nel Paradiso.
         Questo peccato nel pensiero ecclesiastico-teologico è noto come “peccato originale”.
         Che cosa è il “peccato originale” secondo la teologia Ortodossa?
         Il celebre professore di teologia Ortodossa Christos Andrutsos dà la seguente risposta:
         «Secondo la materia, peccato originale è la perdita della giustizia e la corruzione della natura fisica e spirituale dell’uomo; secondo la forma è la colpevolezza, cioè la relazione dell’uomo con la giustizia divina, Dio». Continua così: «L’uomo che pecca rompe la legge divina e turba l’ordine divino[29].
         I risultati del peccato originale, senza dubbio, erano tremendi per l’umanità, perché in primo luogo a causa del peccato si è alzato il muro divisorio dell’inimicizia fra Dio e l’uomo, cosa che impediva la diretta comunicazione dell’uomo con Dio; in secondo luogo ha portato come immediato esito la tendenza dell’uomo al peccato e, di conseguenza, il suo allontanamento dal suo Creatore, perché ha trasgredito la divina volontà; e in terzo luogo è seguito l’indebolimento delle forze dell’anima dell’uomo, il quale peccava continuamente. L’uomo peccatore doveva essere punito con la morte, come richiedeva la giustizia e la santità di Dio.
         S. Paolo nella sua lettera ai Romani riferisce: «Quindi, come per colpa di un uomo solo il peccato entrò nel mondo e, a causa del peccato, la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato»[30].
         Di questa colpevolezza del peccato originale l’uomo peccatore si è liberato con il sacrificio del Signore sulla croce secondo la sua eterna volontà.
         San Paolo agli Efesini dice precisamente: «…e di mettere in luce di fronte a tutti quale sia il piano di questo mistero, tenuto celato sin dalle origini dei secoli, in Dio, che ha creato ogni cosa»[31].
         Al contrario della giustizia e della santità di Dio, che richiedeva la condanna dell’uomo peccatore, l’amore di Dio richiedeva la salvezza dell’uomo e il ristabilimento della sua comunicazione con Dio, portando via così la colpevolezza e l’eterna condanna.
         L’uomo, essendo peccatore, non poteva salvare se stesso, quanto meno il genere umano.
         La sapienza di Dio, mettendo alla pari giustizia e amore, trova il mezzo della salvezza, il quale è la volontaria incarnazione del Verbo di Dio[32].
         In realtà, «Gesù Cristo, prendendo in sé la natura umana senza peccato, controbilancia da una parte la colpevolezza e le punizioni del peccato di Adamo, per cui soffre il nostro posto; dall’altra parte la sua morte di Dio-Uomo è il contrappeso della morte eterna, che doveva subire il genere umano»[33].
CAPITOLO III – IL SACRIFICIO DI CRISTO COME ATTO ESPIATORIO E DI AMORE ALL’UOMO
         È noto a noi che il sacrificio di Cristo Dio-Uomo sulla croce è stato preannunziato come espiatorio dal Vecchio Testamento con simboli e profezie.
         Il serpente di bronzo, salvando tutti quelli che, morsi dai serpenti mortiferi, guardavano fissamente a lui, in verità significava: «Come Mosè innalzò nel deserto il serpente, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in lui, abbia la vita eterna»[34].
         Il sangue degli animali «che venivano sacrificati per la purificazione degli uomini dai peccati; e particolarmente il sangue dell’agnello Pasquale, il quale in Egitto ha protetto i primogeniti degli Israeliti dalla spada dell’angelo della morte; il sangue dei capri e dei vitelli, a causa del quale il Sommo Sacerdote entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi e lo spargeva sull’altare per i peccati di tutto il popolo»; tutti questi avvenimenti mostravano chiaramente al popolo di Dio che per la vera purificazione di tutto il genere umano dai peccati doveva essere offerto «il sangue dell’agnello immolato[35] sin dalla creazione del mondo»[36].
         Ricordiamo qui la chiarissima profezia di Isaia riguardo il Messia: «Egli fu piegato dalle nostre iniquità, fu calpestato per i nostri peccati. Il castigo, che è salvezza per noi, pesò su di lui e le sue piaghe ci hanno guariti. Tutti noi andavamo come pecore erranti, ciascuno deviava per la sua strada, ma il Signore ha posto su di lui l’iniquità di noi tutti. Era maltrattato e si rassegnava, non diceva una parola, come un agnello che si porta ad essere ucciso; come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non apriva la bocca»[37].
         Un altro profeta, San Giovanni il precursore e battista, vide Gesù venire a lui e disse: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo»[38].
         È noto a tutti lo scopo della venuta di Cristo sulla terra: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti»[39].
         Caratteristiche sono le parole di Cristo: «Io sono il buon Pastore… per le mie pecore do la mia vita»[40]; «Sono io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»[41].
         Questa grande verità è stata annunziata dai Santi Apostoli. S. Giovanni apostolo e evangelista nella sua prima lettera dice: «Il sangue di Gesù Cristo ci purifica da ogni peccato»[42].
         San Pietro Apostolo nella sua prima lettera comanda ai cristiani: «Comportatevi con timore durante il tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sapete che non per mezzo di cose corruttibili, come l’oro e l’argento, siete stati riscattati dalla vana maniera di vivere ereditata dai vostri padri, ma dal sangue prezioso di Cristo, l’agnello senza difetto e senza macchia»[43].
          Questa realtà ripete anche S. Paolo nelle sue diverse lettere:
          a)    «Vi ho infatti trasmesso, in primo luogo, quello che io stesso ho ricevuto, cioè che Cristo è morto per i nostri peccati, secondo le scritture»[44].
          b)    «Vivete nell’amore, sull’esempio di come Cristo ci ha amati e per noi ha sacrificato se stesso a Dio, quale oblazione e sacrificio di soave odore»[45].
          c)    «Il quale fu sacrificato per i nostri peccati ed è resuscitato per la nostra giustificazione»[46].  
CAPITOLO IV – SACRIFICIO E AMORE SECONDO ALCUNI PADRI E VESCOVI DELLA CHIESA ORTODOSSA
         Il nostro redentore Gesù Cristo «per mezzo delle sofferenze e della sua morte ha offerto alla divina giustizia per noi il prezzo di quello che dovevamo, non soltanto perfettamente pieno e sufficiente, ma superfluamente; perciò non soltanto ci ha riscattati dal peccato, ma ha dato a noi la possibilità di acquistare i beni eterni»[47].
         Dell’argomento sopra detto parlano in particolare S. Cirillo di Gerusalemme, S. Procolo, patriarca di Costantinopoli e Nicola vescovo di Metone.
1.      S. Cirillo si esprime con maestria nelle sue famose opere di “Catechesi”. «Il Salvatore ha sofferto tutte queste cose unendo con il suo sangue sulla croce tutto quello che si trovava in cielo e tutto quello che si trovava sulla terra»[48].
         «Eravamo, veramente, nemici di Dio a causa del peccato. Dio ha ordinato che morisse il peccatore. Era necessario, dunque, che avvenisse una delle due cose: o come Dio giusto doveva distruggere tutti, o come Dio filantropo doveva abbandonare la sua decisione. Però, vedi la sapienza di Dio. Ha mantenuto la verità nella decisione e l’azione nella filantropia. Cristo ha portato i nostri peccati nel suo corpo sulla croce affinché noi, morti ai peccati, vivessimo per la giustizia»[49].
         «Non era piccolo lui che è morto per noi… Non era un uomo comune. Non era soltanto angelo. Era Dio che si è incarnato»[50]. Non era tanto grande il peccato dei peccatori, quanto grande la giustizia di Dio morto per noi. Non abbiamo peccato tanto quanto ha operato per la nostra salvezza lui che ha dato la sua vita per noi…[51].
2.      Gli stessi pensieri incontriamo anche nell’importantissima Omologia di S. Procolo, Patriarca di Costantinopoli.
         Egli, nel primo e nel sesto discorso, dice così: «In primo luogo impara l’economia e la ragione della presenza (del Signore) ed allora glorifica la potenza dell’incarnato, perché molte cose doveva la natura degli uomini a causa del peccato; e, veramente, stupisci per il debito, perché tutti per mezzo di Adamo siamo sottomessi al peccato. Il diavolo ci ha come suoi schiavi… chiedendo la nostra condanna. Era necessario fare una delle due cose: o sottometterci integralmente (al diavolo), o pagare un così grande prezzo come riscatto… L’uomo da un parte non poteva salvare nessuno, perché era egli stesso sottomesso al debito del peccato. L’angelo dall’altra parte non poteva riscattare l’umanità, perché era stupito del prezzo di tale riscatto… Un uomo comune non poteva salvare, un Dio comune non poteva soffrire…»[52].
         «È venuto il “sempre presente” e ha pagato per noi il prezzo del riscatto con il suo sangue e ha dato alla morte, come prezzo per la salvezza del genere umano, la sua carne avuta dalla Vergine. Così ha riscattato il mondo dalla maledizione della legge»[53].
         «È venuto per salvare, però doveva anche soffrire. Dunque, come era possibile fare l’uno e l’altro? Un uomo semplice non poteva salvare. Un Dio comune non poteva soffrire. Che cosa allora doveva accadere? Lui, essendo Dio, l’Emanuele, si è fatto uomo. Per quello che era ha salvato; per quello che si è fatto ha sofferto»[54]. «Ammiro il mistero. Vedo i miracoli e annunzio la divinità. Vedo le sofferenze e non nego l’umanità»[55]. «…Così il Signore… da una parte come sacerdote ha placato il Padre per noi, dall’altra come re ha vinto il diavolo che si è armato contro tutti»[56].
3.      Il terzo rappresentativo esponente della Chiesa Ortodossa, come abbiamo detto sopra, è il Vescovo di Metone Nicola[57].
         Secondo lui «gli uomini come peccatori sono sottomessi alla morte e al suo capo, il diavolo. Può riuscire a liberarsi per mezzo della morte, non di un uomo, perché lui come colpevole sacrificherà se stesso per se stesso, ma non per un altro.
         Questo uomo, però, deve essere impeccabile. Di questo uomo impeccabile l’amore di Dio, cioè Dio, (il quale con la sua vera sapienza e con la sua filantropia regge tutto l’universo), secondo i suoi disegni eterni, ha previsto che il Figlio di Dio, fattosi uomo, si sarebbe sacrificato per liberare gli uomini dalla schiavitù di satana e del peccato. Questo redentore doveva essere Dio-Uomo, cioè da una parte Dio per essere il suo sacrificio efficace, dall’altra uomo per poter soffrire e per servire agli uomini come modello della lotta contro il male e della vittoria di sé»[58].

Publié dans:meditazioni, Ortodossia, Teologia |on 27 février, 2013 |Pas de commentaires »

« La roccia solida nella talora tempestosa risacca dello spirito dei tempi » – Predica di monsignor Robert Zollitsch…

http://www.zenit.org/it/articles/la-roccia-solida-nella-talora-tempestosa-risacca-dello-spirito-dei-tempi

« La roccia solida nella talora tempestosa risacca dello spirito dei tempi »

Predica di monsignor Robert Zollitsch nella messa di ringraziamento celebrata oggi nella chiesa di Santa Maria in Traspontina

Roma, 27 Febbraio 2013 (Zenit.orgDBK PM)

Predica del Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, Arcivescovo Dr. Robert Zollitsch, nella messa di ringraziamento al termine del Pontificato di Papa Benedetto XVI, celebrata oggi nella chiesa di Santa Maria in Traspontina a Roma.
***
Jer18,18-20; Mt 20,17-28

…mostrare a tutti che Dio è il Dio della pace della libertà e della concordia“

Care sorelle e cari fratelli nella comunione di fede!

1. C’era una moltitudine di persone il 19 aprile 2005 qui a Roma, ma anche in tutto il mondo davanti agli apparecchi televisivi, intente a osservare il comignolo posto sul tetto della Cappella Sistina. Tutti sentivano che stavano per assistere a un evento d’importanza mondiale. E la fumata liberatoria arrivò – prima del previsto – la sera del martedì, per annunciarci che avevamo un nuovo Papa. Molti restarono sorpresi – io pure. Non perché l’eletto era il Cardinale Joseph Ratzinger, ma perché era il primo tedesco a salire sulla cattedra di Pietro dopo 482 anni. Al contempo è stato il primo nuovo Papa del XXI secolo – un’epoca caratterizzata da grandi rivolgimenti sociali ed enormi progressi scientifici e tecnici e un avvicinamento della famiglia umana mai visto prima. Poche ore dopo l’ultima udienza generale del nostro Santo Padre e un giorno prima del suo commiato, siamo ora qui riuniti in questa funzione religiosa per ringraziare il Signore e volgere uno sguardo retrospettivo sul Pontificato di Papa Benedetto XVI.
2. Già il 24 aprile 2005, nell’omelia della messa d’insediamento in Piazza San Pietro Papa Benedetto XVI ha indicato quanto riteneva decisivo ed essenziale nello svolgimento del suo ministero di così grande responsabilità: ”mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia.” Con questo atteggiamento interiore e con grande fiducia in Dio ha risposto all’esortazione del risorto a svolgere il suo servizio “quale umile lavoratore nella vigna del Signore”, nella certezza piena di speranza che è Cristo stesso a guidare e sostenere in ogni istante lui e la Chiesa cattolica. Ispirato da questa fiducia nella vicinanza e nell’amore di Dio Joseph Ratzinger ha vissuto e operato una vita intera: per molti anni ha insegnato teologia e fino ad oggi ha scritto numerosi libri, è stato nominato Arcivescovo di Monaco e Frisinga, e dopo poco tempo fu chiamato in Vaticano, dove ha svolto il suo compito di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede con grande energia e dedizione. Poi è stato eletto al soglio pontificio: un grande teologo, ispirato e formato dal Concilio Vaticano Secondo, cui ha partecipato quale consigliere del Cardinale Frings e come teologo conciliare. È quindi comprensibile che pochi giorni fa Papa Benedetto XVI si sia congedato dal suo clero romano con un bilancio molto personale di questo Concilio, distinguendo tra un “Concilio dei Padri – il vero Concilio – e un Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questo Concilio dei media,” ha detto letteralmente Papa Benedetto XVI. “Oggi, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come il vero Concilio appaia con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio con la sua forza dello Spirito Santo si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa.” Care sorelle e cari fratelli, a questo compito si è dedicato negli ultimi otto anni con tutta la sua forza Papa Benedetto XVI, non solo per difendere la Chiesa di Gesù Cristo, bensì anche per rinnovarla e farla risplendere qui e oggi nella forza dello Spirito Santo.
3. I testi della Sacra Scrittura di oggi contengono affermazioni che possiamo  inaspettatamente leggere e interpretare riferendoli al servizio e all’operato del Santo Padre. Già allora – al tempo del profeta Geremia – si levava la protesta contro la parola del Signore, come abbiamo sentito nella lettura. Per quanto grandi possano essere le proteste, i rifiuti, le incomprensioni e il disinteresse che la nostra fede attualmente vive, anche Papa Benedetto XVI conosce bene tutto ciò: così come i tentativi di confinare la fede nella sfera privata, e, non per ultimo, le terribili persecuzioni dei cristiani in molti paesi della terra. Ciononostante PapaBenedetto XVI non si è mai stancato di ripetere senza sosta, al momento giusto ma anche in quello meno opportuno, la verità che viene da Dio. In un tempo di enormi rivolgimenti sociali in cui i vecchi valori cominciano a vacillare e a scomparire, il nostro Santo Padre era ed è la roccia solida nella talora tempestosa risacca dello spirito dei tempi. Egli, che si è impegnato con indomito coraggio a favore dell’inviolabilità della dignità umana e del rispetto dei diritti fondamentali della persona, milita con determinazione per una “cultura della vita”. E quindi vale anche per Papa Benedetto XVI ciò che viene detto del Profeta Geremia: Egli è un sacerdote che, dotato di doti profetiche, grande saggezza e straordinaria fiducia in Dio, ha riconosciuto i segni dei tempi e li avvicina all’azione di Dio. Un predicatore cui riesce sempre in modo eccellente a trasportare nel qui e oggi le parole della Sacra Scrittura, perché è vicino agli uomini e al cuore di Dio.
4. Nei numerosi incontri con il Santo Padre sono stato io stesso colpito dal modo con cui egli si rivolge alle persone, da come le ascolta, con una totale presenza verso il suo interlocutore. Su cosa poggia questo atteggiamento di attenzione e stima? Ne troviamo una chiave nel dialogo di Gesù con i figli di Zebedeo che abbiamo appena sentito nel Vangelo: „Voi sapete che i capi delle nazioni le governano da padroni, e i grandi esercitano il potere sopra di esse. Ma tra voi non sarà così; al contrario, chi vorrà tra voi diventare grande, sarà vostro servo; perché anche il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire.” Oggi possiamo ascoltare queste parole di Gesù riferendole al papato, così come lo intende e lo ha vissuto per otto anni il nostro Santo Padre. Esse indirizzano il nostro sguardo alla dimensione del servizio. Il papato non è mai stato un obiettivo della carriera di Joseph Ratzinger. Anzi,  nel voto dei cardinali egli ha riconosciuto il suggerimento di Dio e fin dall’inizio si è considerato servitore della Chiesa in un ministero che gli era stato affidato. Questo ufficio petrino è stato donato alla nostra Chiesa a servizio della vita, affinché siamo al servizio degli altri dentro la nostra comunione di fede. Attraverso il Papa, la sua vita e il suo operato veniamo tutti preparati e incoraggiati ad adempiere al nostro servizio. Ciò significa che ognuno di noi è un membro del corpo di Cristo e dentro la Chiesa svolge quindi un servizio, occupa un posto e assolve un compito, al fine di costruire la comunione di fede.
5. Al Papa è stata affidata in modo speciale la cura di questa comunione, care sorelle e cari fratelli, di questa communio. Questa communio diventa visibile nell’ufficio di Papa. Il Papa è simbolo della comunione e strumento dell’unità; egli è garante dell’unità di una Chiesa grande, universale e in sé multiforme. Questo mandato si estende oltre la Chiesa cattolica al dialogo con i cristiani di altre confessioni. Nel suo pontificato Papa Benedetto XVI ha lasciato intendere che uno dei compiti irrinunciabili del suo pontificato è stato quello di preparare nello spirito ecumenico il terreno per ricevere il dono della comunione tra cristiani, nonché quello di impegnarsi per perseguire instancabilmente il grande obiettivo dell’unità dei cristiani. La ricerca di communio tra noi cristiani, ma anche di comunione tra tutti gli uomini, è un atteggiamento di fondo che si estende in cerchi concentrici attraverso tutti i livelli: all’interno della Chiesa cattolica; all’interno della cristianità, nel dialogo interreligioso, nel confronto politico e nella difesa degli uomini e dei loro interessi, a favore della dignità persona. E communio può nascere e crescere innanzitutto là dove le persone s’incontrano su un piano di parità e di stima reciproca. Che cosa ciò significhi per la nostra fede, Papa Benedetto XVI l’ha così formulato in occasione della consacrazione della chiesa “Sagrada Familia” a Barcellona: “Cerchiamo insieme di mostrare al mondo il volto di Dio, che è l’amore ed è l’unico che può rispondere all’anelito di pienezza dell’uomo. Questo è il grande compito: mostrare a tutti che Dio è il Dio di pace e non di violenza, di libertà e non di costrizione, di concordia e non di discordia.”
6. Care sorelle e cari fratelli, per mostrare ciò a tutti gli uomini, cioè che Dio è un Dio di pace e di concordia, Papa Benedetto XVI ha ripetutamente ricordato le radici cristiane dell’Europa al fine di ricavarne nuova forza per un ragionevole ordinamento del nostro continente. Parliamo del profondo legame che l’intelletto umano e la fede religiosa hanno in Europa. Parliamo della disponibilità alla conciliazione e dell’atteggiamento di amore verso il prossimo. Il nostro Santo Padre si è impegnato per la cura dell’uomo, che è una creatura di Dio e la cui dignità pone un freno ad ogni razionalità unilaterale finalizzata ad uno scopo. E Papa Benedetto XVI ci esorta a confidare che Gesù Cristo, il Dio di pace, cammina con noi e che noi trasmettiamo la sua pace se non cerchiamo di opprimerci e dominarci a vicenda ma se siamo al servizio gli uni degli altri.
Questa era ed è la posizione di Papa Benedetto XVI nella nostra società attuale, una società nella quale i media hanno già formulato e pubblicato diversi servizi su un evento prima che esso sia accaduto; egli difende il valore di ciò che ci è stato donato e affidato, il valore della tradizione. Non come una persona nostalgica rivolta al passato e lontana dalla realtà, ma come un realista che sa dove si trovano le radici veramente portanti della nostra vita e della convivenza. Il nostro Santo Padre ha sottolineato instancabilmente la bellezza della fede, della fede che è il rimedio contro il diktat dell’autorealizzazione egoistica, che strumentalizza e tiene in scarsa considerazione il prossimo, della fede che è il rimedio contro l’illusione di poter – e dover – fare tutto da soli. Il suo convinto “sì” a Dio, a una vita con Dio confidando nel suo amore, offre il necessario orientamento, soprattutto quando l’umanità ha nostalgia di orientamento.
7. Forse è questa finora la cosa più affascinante di Papa Benedetto XVI: il suo termine di riferimento è chiaro, egli è rimasto fedele a se stesso come raramente un uomo –semplicemente perché è rimasto fedele a Cristo e al suo Vangelo. Per questo ha potuto parlare con impressionante franchezza del declino delle forze, che non gli permettono più un completo esercizio del suo servizio petrino e che lo hanno costretto alle dimissioni. Questa testimonianza ha suscitato il turbamento e il rispetto di milioni di persone in tutto il mondo. Il nostro Santo Padre ha potuto prendere questa decisione perché è una persona dedita alla preghiera, un uomo di profonda sensibilità mistica che sa rinunciare a se stesso e accettare interamente di essere chiamato da Dio e guidato dal suo Spirito. Confidando nella guida di Dio egli può anche lasciare il suo ufficio e il suo servizio. 
Ringraziamo in questa ora il Signore che ci ha donato il Papa Joseph Ratzinger e preghiamo affinché possiamo sentire la sua vicinanza e il suo amore anche oltre gli anni del suo Pontificato. Amen.

(Il testo tratto dal sito della Conferenza episcopale tedesca)

Chagall 1968, The_Prophet_Jeremiah_

Chagall 1968, The_Prophet_Jeremiah_ dans immagini sacre The_Prophet_Jeremiah_-_1968_-Wull

http://en.wikipedia.org/wiki/File:The_Prophet_Jeremiah_-_1968_-Wull.jpg

Publié dans:immagini sacre |on 26 février, 2013 |Pas de commentaires »

DALLE TENEBRE DELL’ERRORE, IL PECCATORE ASPIRA ALLA LUCE ETERNA – Fénelon

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_d.htm#

DALLE TENEBRE DELL’ERRORE, IL PECCATORE ASPIRA ALLA LUCE ETERNA

RINNEGARE SE STESSI ED ACCOSTARSI DOLCEMENTE A DIO

FÉNELON *

François de La Mothe-Fénelon nasce nel Périgord nel 1651. Nobile di carattere, dalla sensibilità molto delicata, riceve una formazione classica dai Gesuiti di Gahors. In seguito si prepara al sacerdozio a Parigi, a saint-Sulpice, dove impara la pedagogia dell’amore di Dio. Nel 1689 diviene istitutore del Duca di Borgogna. Verso quest’epoca incontra Mme. Guyon, la cui amicizia lo stabilisce più solidamente nel suo cammino interiore, compromettendolo però, in parte, nell’affare del quietismo. Nominato arcivescovo di Gambrai nel 1697, cadrà in disgrazia e verrà condannato da Roma. Si sottometterà e si dedicherà fino alla morte (1715) al ministero pastorale e alla predicazione. Le opere spirituali di Fénelon sono piene di puro amore di Dio verso cui ha indirizzato tutta la sua vita.

Il totale abbandono a Dio… è fonte di tranquillità e di serenità sia nei confronti del passato che dell’avvenire. Si abbia pure di noi stessi la peggiore considerazione possibile; ma ci si abbandoni ciecamente nelle braccia di Dio. La più perfetta penitenza consiste nel dimenticarsi, nel completo oblìo di noi stessi. La conversione, infatti, si realizza con la rinuncia di sé per occuparsi esclusivamente di Dio.
Questo dimenticarsi è il martirio dell’amor proprio. Preferiremmo contraddirci, condannarci, tormentare la nostra anima ed il nostro corpo, piuttosto che disinteressarci del nostro ‘io’. Dimenticarsi significa annientare il proprio egoismo, non lasciandogli risorsa e scampo alcuni. Allora il nostro cuore si allarga; ci sentiamo sollevati dal peso di noi stessi, peso che ci opprimeva; e con stupore ci rendiamo conto di quanto retta e semplice fosse la via da seguire.
Credevamo che fossero necessari sforzo e tensione ininterrotti, unitamente ad un continuo rinnovarsi di azioni e di fatti. Ci rendiamo conto, invece, che poche sono le cose da fare; è infatti sufficiente, senza neppure troppo ragionare sul passato o sul futuro, guardare Dio con fiducia, come ad un padre che ci conduce nella realtà presente, come per mano. Se per una momentanea distrazione lo dovessimo perdere di vista, non indulgiamo in essa, ma rivolgiamoci a Dio, e comprenderemo quale sia la sua volontà. Se compiamo degli errori, cerchiamo di fare una penitenza che sia un dolore tutto d’amore. Rivolgiamoci a colui dal quale ci eravamo allontanati. Se il peccato sembra orribile, l’umiliazione le ne deriva, e per la quale Dio l’ha permesso, appare buona. Le riflessioni dell’orgoglio sui nostri errori personali, sono tanto amare, inquiete e penose, quanto raccolto, pacato e sostenuto dalla fiducia è il ritorno a Dio dell’anima dopo le sue mancanze.
Sentirete, per esperienza, come questo ritorno semplice sereno, faciliterà la vostra correzione più di tutti i risentimenti nei riguardi dei vostri difetti. Siate unicamente costanti nel rivolgervi a Dio con semplicità, dal momento stesso in cui vi rendete conto della vostra mancanza. C’è poco da cavillare con voi stessi; non è con voi che dovete prendere le vostre precauzioni. Quando vi lamentate per le vostre miserie, nel vostro modo di ragionare vi vedo soli le prese con voi stessi. Povero ragionamento, dove non è Dio!
Chi vi tenderà la mano per uscire dal fango? Ne uscirete forse da soli? Eppure siete voi che vi ci siete messi
e non potete uscirne! Anzi, il pantano siete voi in persona! La vera sostanza del vostro male è di non essere capaci di uscirne da soli. Sperate forse di liberarvi da questa condizione con le vostre sole forze, alimentandovi esclusivamente I voi e nutrendo la vostra sensibilità con la vista delle vostre debolezze? Con tutti questi espedienti, non fate alo che alimentare la commiserazione che provate per voi. la lo sguardo di Dio, anche il più piccolo, calmerà assai i più il vostro cuore torturato da queste eccessive atte noni per il vostro ‘io’. Egli, con la sua presenza, fa sì che vi possiate liberare di voi, e questo è ciò che vi occorre. Uscite dunque da voi stessi, e sarete in pace. Ma in che modo? on dovete fare altro che rivolgervi a Dio ed accostarvi dolcemente a lui e, con costanza, formare a poco a poco l’abitudine a ricorrere a lui tutte le volte che vi rendete conto di esservi da lui stesso allontanati.

 * Instructions et avis sur divers points de la morale et de la perfection chrétienne, XIV: in « Oeuvres de Fénelon», voI. XVIII. Lebel, Parigi 1823, pp. 264-267

IL DIGIUNO PER RISCOPRIRE LA VERA UMANITÀ NELLA RELAZIONE CON DIO

http://www.zenit.org/it/articles/il-digiuno-per-riscoprire-la-vera-umanita-nella-relazione-con-dio

IL DIGIUNO PER RISCOPRIRE LA VERA UMANITÀ NELLA RELAZIONE CON DIO

NON È SOLO RINUNZIARE AD UN DONO, MA RICHIAMARE L’ATTENZIONE SU DATORE DEL DONO

ROMA, 24 FEBBRAIO 2013 (ZENIT.ORG) OSVALDO RINALDI

Il digiuno è una delle pratiche quaresimali insieme alla preghiera e all’elemosina alle quali la Chiesa invita i suoi fedeli per prepararsi degnamente alla celebrazione della Pasqua.
Ma il digiuno nei nostri tempi può considerarsi solamente l’astinenza dal cibo? Digiunare significa solo rinunziare a qualcosa senza ricevere nulla in cambio?
E’ vero che il cibo è un dono di Dio, ma digiunare non significa solo rinunziare ad un dono, ma vuol richiamare l’attenzione su datore del dono. Noi spesso siamo attratti da quello che riceviamo, ma ci dimentichiamo molto facilmente del donante.
Ebbene, il digiuno è un invito a far memoria di Dio come origine e fonte di ogni dono. Il digiuno vuole riportare l’uomo a riscoprire la sua dimensione di Figlio adottivo di Dio per ridare il primato alla nostra relazione con Dio, trascendendo dai doni ricevuti.
Vivendo l’intimità di questo rapporto amoroso con Dio si scopre di avere molto di più rispetto a quanto si pensa già di possedere.
Digiunare è il miglior antidoto per vincere la crisi economica, perchè ci riapre gli occhi su quanto si possiede e ci rende solidali verso gli altri, ci rende capaci di compiere gesti di carità autentici.
L’elemosina non è solo frutto del digiuno, ma è dare ciò che appartiene all’altro più povero di noi, dare l’eccesso che è ostacolo alla relazione con lui.
Digiunare diventa l’arma silenziosa e segreta per combattere l’avarazia, la cupidigia, e restituire a Dio quei meriti che noi non abbiamo.
Il cibo non è solo opera del lavoro dell’uomo, ma è prima di tutto frutto della terra. Sia che il contadino dorma o vegli, la pianta cresce e dona i suoi frutti. Allora la relazione con Dio, stimolata attraverso il digiuno, produce come primo frutto quello di rientrare in noi stessi, dove abita Dio.
Tante distrazioni, affanni, preoccupazioni, impegni ci conducono continuamente fuori di noi stessi e ci portano a cercare la felicità nell’approvazione degli altri, nel denaro, nella carriera. Il digiuno accompagnato dalla preghiera, il  dialogo familiare con la Trinità,  ridona vigore e dignità al nostro essere, perchè scopriamo che il dedicare tutta la vita al lavoro, alla carriera, all’apparire, non sono sacrifici graditi a Dio. La volontà di Dio, l’essere graditi a Dio, è prima di tutto lasciarsi amare da Dio, vivere questa relazione con Dio sapendo di essere tutto per Lui.
E questo è esattamente quello che oggi non avviene nella nostra società che ha perso ogni forma di dialogo e comunicazione con Dio.
Abbiamo tanti mezzi di comunicazione di massa, ma quello in cui viviamo è un tempo storico in cui gli uomini avvertono tanta solitudine interiore. Tantissimi giovani sono iscritti ai  social network per comunicare tra loro, ma sono rarissime le amicizie vere.
E’ il tempo in cui con facebook, twitter, skype, siamo sempre collegati per tenere informati l’altro su quello che stiamo facendo, eppure abbiamo la sensazione di non essere compresi, ci sentiamo poco capiti dell’altro.
Siamo sempre davanti a smartphone, tablet per essere sempre connessi, sempre aperti all’altro, ma viviamo chiusi nel nostro mondo, incapaci di essere veramente noi stessi.
Si potrebbero fare tanti altri esempi per motivare la necessità di fare un uso più moderato di internet, ma la questione fondamentale è far capire che il digiuno non significa solo rinunzia. Il digiuno è il mezzo naturale per riscoprire la nostra vera identità di uomini, che sono amati da un Dio che desidera ardentemente rompere la solitudine dell’’uomo, ed entrare così in una relazione di amore con noi.
Questo è una aspetto ostico da capire, perchè quando parliamo di penitenza si pensa immediatamente a rinunziare ad un proprio desiderio, privarsi di qualcosa che piace, dire di “no” a qualcosa alla quale si vorrebbe dire di “si”.
E’ la stessa considerazione che viene fatta sui dieci comandamenti quando sono visti come una serie di “no” ai piaceri più belli che offre la vita. Ma chi conosce un minimo i comandamenti sa benissimo che è vero che essi dicono dei “no”, ma nello stesso tempo aprono a tanti “si”.
Prendiamo ad esempio il comandamento di non desiderare le cose degli altri. Esso chiude alla possibilità di desiderare quello che gli altri hanno, ma nello stesso tempo apre a considerare tutto quello che uno possiede e a ringraziare Dio per la sua immensa bontà.
Non tutti dobbiamo avere le stesse cose e nella stessa misura, come ci hanno inculcato alcune ideologie dello secolo passato. Se andiamo a considerare bene, noteremo che quello che si desidera maggiormente dell’altro non sono tanto i beni materiali, ma le capacità, le conoscenze, il carisma dell’altro. Tutti doni provvienti da Dio che si possono chiedere nella preghiera.
Il digiuno è strettamente legato alla preghiera. Come è bello entrare nella propria stanza, chiudere la porta del cuore al mondo e aprirsi al silenzioso dialogo con Dio. Non serve usare tante parole per esprimere i propri stati d’animo, le proprie insoddisfazioni o i propri bisogni. Dio sa quello che ci serve ancora prima che gli lo chiediamo. Dio conosce quello di cui abbiamo bisogno e non quello di cui noi pensiamo di avere bisogno.
Allora la preghiera svolge l’azione di purificare i nostri desideri, sanare le ferite del peccato che ci rendono incapaci di andare incontro ai bisogni dell’altro.
Vissuto in questa maniera il digiuno è vero che indebolisce la nostra carne, ma rafforza la nostra anima e la eleva sino alle altezze di Dio. Ma l’ultimo passo decisivo, quello che ci introduce nella profondità del nostro cuore dove abita Dio, deve essere compiuto dalla nostra volontà, perchè l’amore di Dio si esprime prima di tutto nel lasciarci liberi.
Questo è l’amore di Dio, la onnipotenza di Dio, condividere con noi la sua libertà, lasciarci liberi di amarlo o di rifiutarlo, ma nello stesso tempo attendere impazientemente e costantemente la nostra conversione, perchè possiamo vivere sempre uniti a lui.
E quanti possono essere i frutti del digiuno e della preghiera vissuti in questo modo. Se uno si sente amato da Dio ridiventa capace di amare la moglie malgrado le tante inconprensioni del vivere quotodiano. Diventa capace di riconoscere i talenti dei propri figli per svilupparli secondo la loro natura. Diviene capace di parlare serenamente con quel collega con il quale si litiga giornalmente. Trova lo spazio necessario per passar maggiore tempo con i genitori anziani sempre meno autosufficenti. Aiuta il vicino di casa che si trova in difficoltà economiche.
In poche parole si riscopre la propria vera identità, quel carico di umanità in quanto persone pensate, volute e amate da Dio.

Saint- Polycarpe , évêque et martyr

Saint- Polycarpe , évêque et martyr dans immagini sacre polycarp
http://christbearers.wordpress.com/page/16/

Publié dans:immagini sacre |on 23 février, 2013 |Pas de commentaires »
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