Archive pour décembre, 2012

Orthodox Icon of the Mother of God “Assuage my sorrow”.

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Publié dans:immagini sacre |on 31 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Omelia: 1 gennaio 2013 – Maria SS. Madre di Dio

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1 gennaio 2013 – Maria SS.  Madre di Dio

Per grazia di Dio abbiamo iniziato il nuovo anno. Vogliamo porre questo nuovo momento storico della nostra esistenza sotto il segno della benedizione divina, invocando l’intercessione di Maria SS. Madre di Dio, invocando la pace che è dono del Signore e frutto dell’impegno nostro.

« Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace »; è una benedizione solenne da parte di Dio: Dio bene-dice, e la benedizione del Signore è efficace, produce quello che annunzia.
Il volto luminoso di Dio indica la sua benevolenza, la sua misericordia, il suo sorriso che è luce.
La portata della benedizione divina è tutta compendiata nell’ultima espressione: « e ti conceda pace ». La pace, nella Bibbia, è la pienezza dei doni del Signore, è il manifestarsi della presenza tra gli uomini del Dio che salva.

In questo contesto noi celebriamo oggi la Giornata Mondiale della Pace, voluta 46 anni fa dal Papa Paolo VI.
Nel suo messaggio, il Papa Benedetto XVI, ci rivolge queste parole:
« I nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.
Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.
E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.
Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).
La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. … La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare .
La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile ».
S. Paolo nella lettera ai Galati ci ricorda: « Dio mandò suo Figlio, nato da donna ». La benedizione di Dio, il volto luminoso di Dio, la pace, hanno un solo nome: Gesù, Figlio di Dio divenuto figlio di Maria, vero uomo come noi, e vero Dio come il Padre; Egli è la nostra Pace.
Con la sua presenza tutta la storia, anche la « nostra storia » diventa « storia di salvezza ». Il nome di Gesù significa proprio: « Il Signore salva ».
Portatrice di questa benedizione è Maria, la Madre del Salvatore. Dio entra nel tempo nascendo da una donna; e questa donna è « Madre di Dio », perché non è solo madre di un corpo, ma è madre di una persona, della Seconda Persona della Trinità, il Figlio di Dio fatto uomo in lei.
Maria continua ad esercitare la sua maternità a favore di tutta l’umanità: Ella desidera generare Cristo nel cuore di ogni uomo. Se accogliamo Gesù nella nostra vita, diveniamo anche noi figli di Dio; la divina maternità di Maria si dilata così in senso universale.
« Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore »; il brano del Vangelo ci descrive lo stato d’animo di Maria di fronte agli avvenimenti che la coinvolgono. Maria è la donna del silenzio e dell’ascolto, della contemplazione e dello stupore, della ricerca e dell’accoglienza: Madre di Dio ha accolto il Figlio nel suo grembo e nel suo cuore, nel silenzio e nell’amore. Maria conserva in sé tutte queste cose; conserva gli eventi di luce e di speranza, di povertà e di buio, di rifiuto e di adorazione; conserva nel suo animo adorante la presenza amorosa del Signore. Conserva e mette insieme, compone in unità i molteplici frammenti di un mosaico che si completerà sul calvario ai piedi della Croce.
Noi abbiamo bisogno di imparare da Maria il silenzio, l’ascolto della Parola e dei fratelli, la meditazione amorosa degli eventi della storia, l’accoglienza della presenza del Signore nel nostro cuore, la capacità e la volontà di realizzare nel nostro ambiente la giustizia e la pace.
Ci accompagni la benedizione del Signore con la sua pace, ed interceda ogni giorno per noi Maria, la Vergine Madre che ci ha donato Gesù, Principe della pace ed il nostro augurio per il Nuovo Anno si realizzerà.

Te Deum, orante nelle catacome di Priscilla

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Publié dans:immagini sacre |on 30 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Te Deum Laudamus – Storia

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Te Deum Laudamus – Storia

L’inno Te Deum laudamus, con cui tradizionalmente ringraziamo il Signore Dio dei benefici da Lui ricevuti, pure se detto « inno ambrosiano », è una composizione poetica adesso attribuita con certezza a Niceta di Remesiana, intorno all’anno 400.
Originariamente si rivolgeva a Cristo Dio e Signore: « Te (o Cristo) noi lodiamo Dio! Te (o Cristo) noi professiamo Signore! ». Successivamente, con l’attenuarsi delle eresie sulla Persona Divina e sulla Divina Signoria di Gesù, poco alla volta la pietà cristiana lo ha indirizzato al Padre e al Figlio e allo Spirito; infatti, con questa qualificazione trinitaria noi lo abbiamo recepito e a nostra volta lo trasmettiamo.
Per la composizione musicale in occasione della chiusura del Grande Giubileo 2000 nella solennità dell’Epifania 2001 abbiamo ritmato l’inno in forma diversa da quella tradizionale allo scopo di valorizzare più e meglio nel canto della Cappella Musicale Pontificia « Sistina », sufficientemente sviluppato e adeguatamente ornato, l’intervento attivo della sterminata Assemblea partecipante; ma, insieme, allo scopo di scandire chiaramente nella lode al nostro Dio la proclamazione del suo essere Luce e Amore di Padre e Figlio e Spirito, e del suo divenire salvezza misericordiosa nella nostra storia.
Un « ritornello » assembleare è stato fatto, dunque, così da intendersi: ?« Te (o Padre e Figlio e Spirito) noi lodiamo (nostro) Dio! Te (o Padre e Figlio e Spirito) noi professiamo (nostro) Signore! ».
Intonazione dell’inno e insistenza iniziale, prima, esso irrompe sette volte ripetendo poi la medesima proclamazione trinitaria.
I versetti dell’inno originario (esclusi, quindi, gli otto versetti salmici dell’aggiunta finale), complessivamente venti oltre l’intonazione, sono cantati dal coro raccolti con raffinata eleganza in sette complesse unità ciascuna di senso testuale-musicale compiuto. Essi offrono all’Assemblea una ampiezza senza assillo e una suggestione senza pari per contemplare la Vita divina ed eterna, per pregare Lui che si ama e ci ama, per evocare la Sua Salvezza e invocare la Sua Misericordia.
I sette affreschi sonori si concatenano come raccordati in tre navate architettoniche.
La prima, si costruisce e si colora per il Padre:
1. « Te, o eterno Padre venera tutta la terra! ?- 2. A te gli Angeli tutti, a te, i Cieli e tutte le Potenze – 3. a te i Cherubini e i Serafini, inneggiano con voce incessante:?- Te noi lodiamo… – ?4. Santo Santo Santo il Signore Dio Pantocratore! – ?5. I cieli e la terra (o Signore) sono pieni della tua gloria! »?- Te noi lodiamo…
La seconda architettura enumera la Chiesa diffusa nel Mondo e riunita dai quattro venti nella confessione di Dio Padre e Figlio e Spirito:
6. « Te il glorioso coro degli Apostoli – ?7. te il non piccolo numero dei Profeti? – 8. te il candido esercito dei Martiri – 9. te la santa Chiesa diffusa su tutta la terra, confessa:?- Te noi lodiamo…? – 10. Padre della gloria immensa – ?11. il Figlio tuo unigenito vero e adorando – ?12. il Santo (tuo) Spirito Consolatore! »?- Te noi lodiamo…
La terza, si costruisce e si colora per il Figlio fatto uomo e salvatore, Lui che è venuto e che ritornerà:
13. « Tu, o Cristo, Re della gloria – 14. Tu Figlio eterno del Padre – 15. Tu per il progetto di liberazione dell’uomo ti sei abbassato (a incarnarti) nel grembo della Vergine! – ?16. Tu vincitore del pungiglione della morte hai (ri)aperto ai (tuoi) fedeli il regno dei cieli!? – 17. Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre – ?18. e (da li) noi crediamo che, giudice, verrai!? – 19. Tu dunque (o Cristo) soccorri i tuoi servi che hai redenti con il sangue tuo prezioso? – 20. e fa che (tutti) si riuniscano nel numero dei tuoi Santi »!?- Te noi lodiamo…
Chi il 6 gennaio 2001 in Piazza San Pietro cantò « Te noi lodiamo Dio! Te noi professiamo Signore! » e chi fu tra i due miliardi di creature umane che in mondovisione ne vide e ne sentì « vibrare gli stipiti delle porte » (Isaia 6,4) alla « voce dell’immensa folla, simile al fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano » (Apocalisse 19,6) gioirà di certo facendo riecheggiare il medesimo canto nelle Chiese di tutta la terra.  

 La formazione del canto cristiano
Il cristianesimo nacque dalla predicazione e dagli insegnamenti di Gesù Cristo, il quale completò e rinnovò la dottrina del popolo ebraico sull’esistenza di un solo Dio. I giudei furono ostili ai primi seguaci di Cristo, ma non si può ignorare il fatto che furono ebrei i primi convertiti alla nuova fede. Giustamente quindi si afferma che l’ebraismo giudaico fu la matrice del cristianesimo e quindi della sua dottrina, ma anche della sua liturgia, delle sue preghiere, dei suoi canti. ?La conquista e la distruzione di gerusalemme effettuata nel 70 d.C. dalle truppe romane dell’imperatore Tito cagionarono la cosidetta diaspora (cioè la dispersione, l’esilio) di gran parte degli abitanti di Isdraele, ebrei e cristiani. Essi si sparsero in tutto il bacino mediterraneo, favorendo la costituzione delle prime comunità cristiane fra el popolazioni dell’impero romano di lingua greca (soprattutto a Efeso, ad Antiochia, ad Alessandria d’Egitto e a Costantinopoli, poi capitale dell’Impero d’oriente) e di lingua latina (particolarmente nella capitale Roma, dove si insediarono l’apostolo Pietro, il primo Papa, e S. Paolo, ma anche nell’Africa settentrionale e nella Spagna). Si svilupparono così varie Chiese, prime quelle d’oriente. Fra esse venne assumendo maggiore importanza la Chiesa di Costantinopoli, poi ribattezzata Bisanzio, centro di sviluppo del canto liturgico bizantino. Da esso derivano in seguito la musica del rito greco-ortodosso e quella del rito russo.
Le persecuzioni dei cristiani volute dagli imperatori romani fino a Diocleziano ritardarono l’espansione del cristianesimo in Occidente. Solo dopo che l’imperatore Costantino, con l’editto di milano (313) ebbe riconosciuto ufficialmente il cristianesimo, e dopo che l’imperatore Teodosio ebbe vietato i culti pagani (391), il cristianesimo potè espandersi a Roma, e il latino fu riconosciuto quale lingua della liturgia in Occidente.? E’ dimostrato che le manifestazioni del culto cristiano nei primi tempi derivano da quelle della tradizione giudaica, e che nessuan influenza esercitò su di esse la musica greco-romana. I trapassi dall’ebraismo al cristianesimo riguardarono sia libri sacri dell’Antico Testamento, dai quali vennero tratti i testi delle letture e delle preghiere, sia i modi e le forme primitive del canto, ricalcati su quelli impiegati nelle cerimonie di culto giudaico: la cantillazione, il jubilus, l’esecuzione dei salmi. ?Nella sua irradiazione tra le popolazioni mediterranee, il nuovo culto venne a contatto con le usanze religiose e musicali delle varie regioni, e parzialmente ne fù influenzato e le assorbì. Si spiega in questo modo la formazione di differenti repertori locali che caratterizzarono i primi secoli del canto cristiano e che vennero poi unificati attraverso una lunga azione omogeneizzante, la cui paternità fu attribuita al Papa Gregorio I Magno.
I primi e principali repertori locali del canto cristiano occidentale furono il romano antico, l’ambrosiano, l’aquileiese e il beneventano in Italia; il mozarambico nella Spagna il gallico nella Gallia.? L’unico tra questi repertori che sia stato in parte conservato fino ad oggi è il canto milanese, più noto come canto ambrosiano dal nome di S. Ambrogio (339 ca. – 397), prima governatore, poi vescovo di Milano, che ne fu l’iniziatore.? A S. Ambrogio risalgono varie iniziative riguardanti il canto liturgico latino, a cominciare dalla diffusione degli inni, che erano cantati soprattutto durante le assemblee di fedeli, al tempo delle lotte contro i seguaci dell’eresia ariana. S. Ambrogio compose certamente 4 inni, forse più. Egli inoltre adottò il canto salmodico, l’esecuzione antifonica e il jubilus. Sul jubilus lasciò scritte pagine mirabili S. Agostino (354 – 430), che trascorse alcuni anni a Milano, a contatto con S. Ambrogio.?Gli altri repertori locali hanno lasciato incerte e lacunose tracce, e tra essi solo due ebbero rilevanza storica: il gallicano e il mozarabico.? Il canto gallico rimase in uso in Galiia fino all’VIII secolo; conteneva elementi celtici e bizantini e fu soppresso dagli imperatori carolingi. Il canto ispanico, che fu chiamato canto mazarabico dopo la conquista araba di parte della Spagna, aveva subìto nel V secolo l’influenza dei Visigoti (già convertiti al cristianesimo), i quali avevano in precedenza assimilato usi delle liturgie orientali.  

Publié dans:Inni, liturgia |on 30 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

DAVID AND MUSICIANS

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Publié dans:immagini sacre |on 29 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

« LA RELIGIONE È IL PIÙ POTENTE COSTRUTTORE DI COMUNITÀ CHE IL MONDO ABBIA CONOSCIUTO » – Rabbino capo del Commonwealth

http://www.zenit.org/article-34749?l=italian

« LA RELIGIONE È IL PIÙ POTENTE COSTRUTTORE DI COMUNITÀ CHE IL MONDO ABBIA CONOSCIUTO »

Riflessione del rabbino capo del Commonwealth, Jonathan Sacks

ROMA, Friday, 28 December 2012 (Zenit.org).
“L’idea che la società possa farne a meno è contraria alla storia e, ora, alla biologia evoluzionistica”. Lo scrive il rabbino capo del Commonwealth, Jonathan Sacks, in un articolo pubblicato nei giorni scorsi sul New York Times e sull’International Herald Tribune sotto il titolo The moral animal, cioè “L’animale morale”.
Nel suo articolo, Lord Jonathan Sacks, che nel dicembre dell’anno scorso è stato ricevuto in udienza da Benedetto XVI e ha tenuto anche una conferenza presso la Università Pontificia Gregoriana, osserva che dicembre è “il periodo più religioso dell’anno”. “Entri in qualsiasi città americana o britannica e vedrai il cielo notturno illuminato da simboli religiosi, certamente decorazioni natalizie e probabilmente anche una menorah gigante”, scrive Sacks. “La religione in Occidente sembra essere viva e in buona salute”.
Ma lo è davvero o sono solo simboli “svuotati di contenuto, nient’altro che uno sfondo scintillante per la nuova fede occidentale, il consumismo, e per le sue cattedrali laiche, i centri commerciali?”, si chiede Lord Sacks.
A prima vista – continua il rabbino capo delle Congregazioni Ebraiche Unite del Commonwealth – “la religione è in declino”. Dai dati del censimento nazionale del 2011 emerge – spiega Sacks – che in Gran Bretagna un quarto della popolazione dichiara di non avere una religione, vale a dire quasi il doppio rispetto a dieci anni fa.
Ma guardando questi dati da un altro punto di vista, essi raccontano, secondo Sacks, “una storia differente”. Infatti, “sin dal XVIII secolo, molti intellettuali occidentali hanno predetto l’imminente morte della religione”. Ma nonostante gli attacchi, fra cui quelli più recenti da parte dei cosiddetti “nuovi atei”, alla fine oggi tre persone su quattro in Gran Bretagna e ben quattro persone su cinque in America si dichiarano o si ritengono “devote ad una fede religiosa”.  “Ed è questo, in un’età della scienza, che è veramente sorprendente”, sottolinea Sacks, autore di libri comeFrom Optimism to Hope e The Great Partnership: Science, Religion, and the Search for Meaning.
Come osserva Sacks, l’ironia della sorte vuole che molti dei nuovi atei sono seguaci di Charles Darwin. “Noi siamo quello che siamo, sostengono, perché che ci ha permesso di sopravvivere e di passare il nostro codice genetico alla generazione successiva”. Colpisce allora che “la religione è il più grande sopravvissuto di tutti“. Come mai?
Secondo Sacks, è lo stesso Darwin a suggerire quella che è probabilmente la risposta giusta. Lui fu molto colpito da un fenomeno che “sembrava contraddire la sua tesi più basilare, cioè che la selezione naturale dovrebbe favorire i più spietati”. Invece, “tutte le società valorizzano l’altruismo, e qualcosa di simile può essere visto anche tra gli animali sociali”.
Come funziona, lo spiega la neuroscienza: “Abbiamo neuroni specchio che ci portano a provare dolore quando vediamo soffrire altri. Siamo programmati per l’empatia. Siamo animali morali”.
Questo ha implicazioni importanti: “Passiamo i nostri geni come individui ma sopravviviamo come membri di un gruppo, e i gruppi possono esistere solo quando gli individui non agiscono esclusivamente per il proprio bene ma per il bene dell’insieme del gruppo”.
A livello cerebrale, l’uomo ha due modalità di reazione, “una che si concentra su un potenziale pericolo per noi, come individui, e l’altra, situata nella corteccia prefrontale, che pondera di più le conseguenze delle nostre azioni per noi e gli altri”. “La prima è immediata, istintiva ed emotiva. La seconda è riflessiva e razionale”, sintetizza il rabbino capo.
L’uomo risulta dunque preso tra due pensieri o percorsi, quello veloce, che “ci aiuta a sopravvivere, ma può anche portarci ad azioni impulsive e distruttive”, e quello lento, che “ci porta ad un comportamento più ponderato, ma viene spesso sopraffatto nella foga del momento”. Infatti, “siamo peccatori e santi, egoisti e altruisti, esattamente come hanno sostenuto a lungo filosofi e profeti”.
“Se è così, possiamo capire come la religione ci abbia aiutato a sopravvivere nel passato – e perché ne avremo ancora bisogno nel futuro”. La religione, continua Sacks, “rafforza e accelera il percorso lento”. Essa “riconfigura i nostri circuiti neurali, trasformando l’altruismo in istinto, attraverso i rituali che eseguiamo, i testi che leggiamo così come le preghiere che preghiamo. Rimane il più potente costruttore di comunità che il mondo abbia conosciuto”.
Essa “lega gli individui in gruppi attraverso comportamenti di altruismo, creando relazioni di fiducia abbastanza forti da sconfiggere emozioni distruttive”. Perciò, “ben lontani dal confutare la religione, i neo-darwinisti ci hanno aiutati a capire perché è importante”.
Essa è infatti “il miglior antidoto all’individualismo dell’epoca del consumismo”. Perciò, “l’idea che la società possa farne a meno è contraria alla storia e, ora, alla biologia evoluzionistica”.
In conclusione, per Sacks, c’è una cosa che le società libere dell’Occidente non devono mai fare: “perdere il loro senso di Dio”.

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Publié dans:immagini sacre |on 28 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Commento su 1 Gv 3,1 : Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7068.html

Eremo San Biagio

Commento su 1 Gv 3,1

Dalla Parola del giorno
Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

Come vivere questa Parola?
« Siamo figli di Dio ». Una constatazione a cui abbiamo fatto l’abitudine e che quindi non ci smuove più di tanto. Eppure è qualcosa di sconvolgente. La distanza infinita che ci separa dal Creatore è colmata da questo riversarsi di Dio-Amore in noi. Per suo dono, possiamo chiamare Dio col nome di Padre e non in senso analogico. Giovanni afferma: « e lo siamo realmente! » riassumendo in questa semplice espressione tutto lo stupore di chi ne percepisce la grandiosità. Sì, siamo figli di Dio. Generati dal suo amore e chiamati a vivere di questo amore. Non possiamo svendere la nostra dignità cedendo al facile compromesso. Ma cosa vuol dire per noi oggi vivere da figli di Dio? Basta guardare al « Figlio » per eccellenza che è Gesù. Lui che ci ha rivelato il volto del Padre ci ha anche rivelato il nostro vero volto: quello, appunto, di figli. Gesù si relazione al Padre nel segno dell’amorosa obbedienza: « Io faccio sempre ciò che piace al Padre »; del sereno e fiducioso abbandono: « Io so che sempre mi ascolti… Padre, nelle tue mani affido il mio spirito »; dell’umile e gioiosa riconoscenza: « Ti ringrazio o Padre! ». Nei riguardi degli uomini, poi, lo vediamo chinarsi con amore su qualunque necessità: gli ammalati accorrono a lui, i poveri, gli emarginati, gli esclusi possono accostarlo senza difficoltà. Infrange tabù consolidati da tradizioni umane pur di farsi prossimo di chi soffre (lebbrosi, donne, bambini…). In particolare si prende cura dei peccatori. Per loro ha tratti di misericordia ineguagliabili: « Oggi sarai con me in paradiso! ». « Io non sono venuto per condannare ma per salvare… perché abbiano la gioia ». Ecco il ritratto del figlio di Dio, il mio, il tuo ritratto. A questo siamo chiamati!.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi confronterò con Gesù. Fino a che punto il mio modo di pensare di essere e di operare ne ricalca le orme?
Ti ringrazio, Padre, di avermi chiamato ad essere tuo figlio. Ti ringrazio perché in Gesù me ne indichi i tratti qualificanti che devo assumere. Ti ringrazio perché nel dono dello Spirito rendi possibile tutto ciò.

La voce di una donna provata dal dolore
Come è bello avere un Padre nel cielo che ci aiuta e ci ama più di noi stesi; un Padre che conosce anche il numero dei capelli del nostro capo! Come amo il Signore!, Lui, che veramente mi ha sempre custodita, ed è accorso ad aiutarmi tutte le volte che io l’ho invocato.

Benedetta Bianchi Porro

Sacra Famiglia (Anno C), Brano biblico: 1Sam 1,20-22.24-28 : Il gioco a palla

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Il gioco a palla

don Marco Pratesi 

Sacra Famiglia (Anno C)

Brano biblico: 1Sam 1,20-22.24-28  

Anna desidera intensamente un figlio. La sua sterilità significa (il sospetto di) una certa maledizione da parte di Dio; una certa emarginazione sociale; il senso di un profondo fallimento esistenziale. Possiamo vedere in questa situazione la rappresentazione dell’intensa, inappagata sete di vita che è in ogni uomo.
Anna non si rassegna. Anno dopo anno sale in pellegrinaggio al santuario di Silo col marito, e prega il Signore. La sua preghiera viene accolta, il bambino nasce e lei, come promesso, lo consacra al servizio del Signore: « il Signore mi ha concesso il dono che gli ho chiesto, e anch’io a mia volta lo dono al Signore » (vv. 27-28).
Vediamo qui la « circolarità » del dono: Dio dona ad Anna, Anna dona a Dio.
Ogni dono davvero tale nasce dalla gratuità, non guarda a sé, ma all’altro. Tuttavia ogni vero dono chiede anche reciprocità, domanda di essere ricambiato. Perché? Non è forse gratuito? In cosa differisce allora da uno scambio commerciale e, se siamo in ambito religioso, dalla mentalità religiosa mercantile del « do per ricevere »?
Il dono gratuito tende a stabilire un rapporto di reciprocità, un rapporto nel quale il dono suscita dono in risposta, e così via, in una sorta di infinito « gioco a palla » (non è questa la Trinità?). L’amore vuole intesa, comunione. E se l’altro risponde al mio dono con qualcosa di diverso dal dono, egli non ha veramente capito, non ha accolto il dono come tale, la comunione è imperfetta, non siamo in sintonia.
Ecco la differenza tra un rapporto oblativo e uno mercantile: il primo cerca la comunione profonda, il secondo il vantaggio reciproco – che sono due cose apparentemente simili, in realtà molto differenti.
Anna vive questa gratuità, è entrata in questo « circuito » di dono, e questo le permette di essere anche molto libera, sorprendentemente indipendente nei confronti di un figlio che si è fatto tanto aspettare. Non diventa schiava del dono ricevuto, non cerca di appropriarsene, di arraffarlo tutto per sé. La vocazione di Samuele, importante per Israele, nascerà dal suo gesto di libertà e di gratuità.
Ecco una famiglia dove i rapporti sono liberati dalla volontà di possesso, e dunque liberanti. Ancora una volta, servire il Signore libera dalla schiavitù degli idoli, compresi i rapporti familiari che, in vario modo, pretendono di rimpiazzare il rapporto col Signore, diventando così deludenti e soffocanti.
È questa la realtà vissuta dalla S. Famiglia: una famiglia dove si vive quella gratuità che è resa possibile unicamente dal riconoscimento del primato di Dio.
Anche le nostre famiglie sono chiamate ad essere così, icone trinitarie: « impossibile presso gli uomini » ma, pronti ad impegnarci in questo senso, con fiducia instancabile lo chiediamo al Signore.

Omelia per la festa della Sacra Famiglia (Anno C): Un universo bellissimo da esplorare

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Un universo bellissimo da esplorare

padre Gian Franco Scarpitta 

Sacra Famiglia (Anno C) (30/12/2012)

Vangelo: Lc 2,41-52  

Il Bambino divino entrato nel mondo ha raggiunto l’uomo sotto tutti i suoi aspetti. Ha assunto un’epoca contrassegnata, una dimensione sociale e un nucleo familiare e pertanto la prima dimensione che ha vissuto il Verbo Incarnato è pari a quella di tutti gli altri uomini, poiché essa riguarda vita familiare, il vissuto di sottomissione ai genitori, le ansie della crescita, le difficoltà dell’adolescienza e della prima giovinezza.
Oltre che un valore da salvaguardare e da difendere, la famiglia è anche un universo da esplorare. Non la si può interpretare unilateralmente o darvi una visione a senso unico, perché la sua realtà è molto dinamica e complessa. Molte volte l’atteggiamento di una persona rispecchia il proprio ambito familiare, altre volte se ne distacca. Nella maggior parte dei casi la timidezza è acquisita dall’ambiente in cui si vive (da famiglie chiuse o poco comunicative), mentre altri episodici fenomeni dimostrano che esser timidi e paurosi non corrisponde ad appartenere ad un nucleo familiare di tal fatta. Dalle famiglie umili e illetterate molto spesso sorgono talenti intellettuali, altre volte dai nuclei familiari elevasti per dottrina sorgono giovani votati allo sbando e al deperimento. Parecchie famiglie facoltose e benestanti possono vivere il dramma del figlio immaturo e viziato che precipita nel baratro della droga; parecchi nuclei semplici e dimessi partoriscono elementi virtuosi e apprezzabili.
Nella liturgia di oggi si riscontrano tipologie differenti di situazioni familiari, legate ad altrettanti problemi o situazioni contingenti. Per esempio, il caso di Anna, seconda moglie di Elkana accanto a Peninna (la poligamia era legittima e legale nel tempo in cui si scrive) è speculare del dramma di tante giovani coppie costrette ad rassegnarsi a non poter avere figli per ragioni di sterilità. Nei versi precedenti si descrive infatti il pianto di Anna che non ha potuto generare figli, la vana consolazione del marito e il premio del Signore che concede successivamente alla sterile moglie la possibilità di avere un bambino. Di conseguenza adesso Anna si impegna a mostrare riconoscenza a Dio consacrando il proprio figlio Samuele alla vita del tempio. E tuttavia per inciso si sottende ad un problema esacerbante per non poche famiglie appena formate: l’impossibilità di avere figli. Come vivono le aspiranti mamme una situazione del genere? Quali atteggiamenti assumono, come si comportano gli sposi che si ritrovano a dover soffrire l’impossibilità di mettere prole al mondo, dopo aver sognato per tanti anni il matrimonio e la vita familiare nella gioiosa compagnia dei figli? Da quello che personalmente ho riscontrato non è facile da parte loro accettare quella che ora – a ragione – definiscono una condanna, poiché riguarda la frantumazione di un intero progetto di vita agognato da tanti anni, comporta lo smorzamento di un grande entusiasmo coltivato da tempo, la rottura di una serenità che credevano di aver raggiunto almeno in parte. Non sono poche le turbative psicologiche alle quali si va incontro in circostanze come queste. Non sempre è facile consolare queste coppie (soprattutto le mamme) con discorsi relativi alla volontà divina orientata diversamente, in altre parole dicendo loro che forse il Signore ha impostato per essi un programma diverso da quello della prole, magari nella dedizione maggiore al coniuge o al volontariato.
Se è da una parte è aberrante notare che si ricorre con estrema facilità alla nefandezza dell’aborto, dall’altra è spiacevole fare esperienza di giovani mamme depresse e demoralizzate per aver subito aborti involontari mentre avrebbero preferito portare avanti la gravidanza. Senza contare il fatto che moltissimi aborti volontariamente portati a termine generano a lungo andare stati di smarrimento e di angoscia in chi li ha procurati, perché il sentire materno prima o poi, immancabilmente, emerge. Nelle circostanze suddette e in altre simili le coppie necessitano di continuo sostegno morale e materiale, si richiede che non siano lasciate sole e che a loro si conceda quanta più vicinanza e solidarietà; soprattutto perché determinate esperienze incidono nella visione pessimistica della vita sponsale e familiare e l’afflizione e lo scoramento che esse comportano non facilitano la crescita nella coppia. Nella famiglia occorre credere, anche se non poche esperienze minano la nostra fede in essa. Anche quando nel corso della vita di convivenza problemi suscitati dai ragazzi e dai giovani con le loro pretese a volte assurde ci destabilizzano; anche quando vi sono drastici incidenti di percorso quali la fuga di un giovane nella droga o nel furto o in altre alienazioni facili dovute molto spesso alla mancata incomprensione all’interno della propria casa. Anche quando la figlioletta improvvisamente per imprecisati motivi scappa di casa o a sorpresa fa trovare il proprio cadavere appeso ad una corda… Anche se molte volte il mancato dialogo con i genitori, le incomprensioni e le situazioni di contrasto e i dissapori tendono a disfare l’unione della famiglia. Anche se il salario non è sufficiente a garantire il sostentamento mensile di tutti, il costo della vita è sempre più insostenibile e la perdita dell’impiego dell’unico che porta i soldi a casa (generalmente il padre) induce a volte ad atti impropri di disperazione.
Occorre credervi sempre e comunque, ed eliminare tutto quello che possa ostacolare in noi la speranza e la certezza fondate sul nucleo familiare. Ma domandiamoci: quali sono le condizioni per perseverare in questa fede? Quale visione della famiglia può incoraggiarci in determinate occasioni aberranti? Rispondiamo: la famiglia sacrale fondata sul matrimonio, cioè sulla nostra fede di essere stati eletti da Dio che ci ha motivati e radicati nell’unità sacramentale. Nella misura in cui si concepisce la famiglia come vincolo sacramentale indissolubile voluto da Cristo, la stessa fede nel Signore ci induce a vivere anche l famiglia secondo la volontà del Signore e di conseguenza a coltivare fiducia, speranza, coraggio e determinazione nella prova e nel dolore.
La famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria non era affatto differente dalle nostre quanto ai problemi e alle possibilità di tentennamento: le turbative di coscienza da parte di Giuseppe sono ben note quando questi sa di aver accolto nella propria casa una donna incinta non importa seppure per volontà e per intervento divino e in circostanze ostili e avverse come quelle dell’epoca la tentazione di dover abortire poteva anche esserci. Come pure in tempi di persecuzione erodiana poteva subentrare la volontà di disfare quel nucleo familiare che tanto costava a Giuseppe o ancora potevano ingenerarsi occasioni di attrito e di dissapore fra i due coniugi o fra questi e il figlioletto Gesù. E invece nella Santa famiglia di Nazaret la Scrittura e la Tradizione se da una parte enumerano i problemi e le difficoltà insormontabili, dall’altra ci parlano sempre di unità, di coesione e di concordia. E soprattutto ci raccontano della fede vissuta, condivisa e consolidata fra i tre membri, come nell’episodio dello smarrimento di Gesù e del suo ritrovamento al tempio dopo tre giorni. E’ vero che Gesù avrebbe potuto avvertire i genitori della sua assenza sulla via del ritorno da Gerusalemme, è altrettanto vero che Maria e Giuseppe dovevano essersi angosciati e impauriti nel cercarlo per ogni dove, domandando in giro di lui e percorrendo trafelati la strada per la quale poteva essere passato nel tentativo di ritrovarlo. Tuttavia Gesù nella sua età predolesenziale (12 anni) era già in grado, secondo la cultura dell’epoca, di apprendere anche da solo la Legge, i Profeti e di entrare così in relazione con il mondo rabbinico e giudaico. Quello che aveva fatto era pertanto in un certo qual modo legittimo anche dal punto di vista legale e in ogni caso « Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? » La risposta sottende sia al fatto che Gesù doveva essere stato educato dai suoi in senso religioso, sia alla verità che lui stesso, Verbo Incarnato, stava ora educando i suoi stessi genitori in tal senso e che pertanto vi era un legame con i suoi intessuto sull’orlo della fede e della devozione alla Parola di Dio. E proprio questa fede animava ogni atto e ogni momento di convivenza di Maria, Giuseppe e di Gesù, consentendo il superamento ordinario degli immancabili assilli e delle difficoltà.
La famiglia matrimoniale, a differenza di tutti gli altri sistemi di convivenza non condivisibili, si fonda sulla fede incondizionata in Colui che ci ha amati e creati e che sa cosa fare di noi (S. Agostino) e comporta che nel suo nome si trovino soluzioni ai problemi e ragioni di speranza.

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