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ISAIA 25,6-10A
6 Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte un banchetto di grasse vivande, per tutti i popoli, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.
7 Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. 8 Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; farà scomparire da tutto il paese la condizione disonorevole del suo popolo, poiché il Signore ha parlato.
9 E si dirà in quel giorno: « Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10 poiché la mano del Signore si poserà su questo monte ».
COMMENTO
Isaia 25,6-10
Il banchetto escatologico
Nella prima parte del libro di Isaia (Is 1-39), subito dopo gli oracoli contro le nazioni (cc. 13-23) e prima della seconda raccolta di poemi su Israele e su Giuda (cc. 28-35), si trova una sezione tardiva e piuttosto disorganica di oracoli chiamata «grande Apocalisse» (cc. 24-27) perché riguarda la fine del mondo e il giudizio finale. Al centro di questa raccolta si situa l’oracolo che preannunzia il banchetto degli ultimi tempi. Il testo si divide in tre parti: banchetto finale (v. 6); suoi scopi (vv. 7-8); risposta del popolo (vv. 9-10).
Il banchetto viene così descritto: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (v. 6). Il simbolismo del banchetto è noto nella Bibbia. Qui l’autore si riferisce anzitutto al banchetto dell’alleanza, che i capi di Israele avevano consumato sul monte Sinai al cospetto di JHWH (cfr. 24,9-11). In questo caso però il convito viene preparato direttamente da Dio. Anche qui il banchetto viene imbandito sulla montagna, che indica simbolicamente il luogo in cui Dio ha messo la sua dimora. Diversamente dal banchetto del Sinai però sono presenti qui non solo i rappresentanti di Israele, ma «tutte le nazioni»: l’alleanza escatologica non sarà più limitata a un solo popolo, ma si estenderà a tutta l’umanità, come era stata l’alleanza di Noè (cfr. Gen 9,9). La munificenza dei cibi serviti nel banchetto ne indica l’importanza decisiva nella storia della salvezza. Questo banchetto ricorda quello imbandito dalla Sapienza, al quale sono invitati tutti gli inesperti, senza differenza di religione o di nazionalità (cfr. Pr 9,1-6).
Nel corso del banchetto il Signore indica ai convitati, sotto forma di doni simbolici, gli scopi che intende perseguire. Essi sono quattro. Anzitutto Dio «strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti» (v. 7). Sul monte avviene dunque una nuova rivelazione, analoga a quella che aveva avuto luogo sul Sinai. I protagonisti saranno tutti i popoli (‘ammîm, gôjîm). Non si tratta evidentemente della rivelazione di dottrine astratte, ma di un’esperienza personale di Dio messa alla portata di tutti. In secondo luogo «eliminerà la morte per sempre» (v. 8a). Secondo la Genesi la morte era stata la prima conseguenza del peccato di Adamo (cfr. Gen 3,19). Non si tratta però semplicemente della morte fisica, ma della lontananza da Dio che la morte fisica simboleggia e consacra. Nel banchetto sarà assicurata la vita in quanto comunione con Dio, senza precisazioni circa la morte fisica.
Oltre a cancellare per sempre la morte, «il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (v. 8b). Anche la sofferenza, di qualunque tipo essa sia, fa parte del triste connubio tra peccato e morte. Per questo nel banchetto finale anch’essa verrà eliminata per sempre. Infine «farà scomparire la condizione disonorevole del suo popolo da tutto il paese poiché il Signore ha parlato» (v. 8c). Nonostante la sua ampiezza universale, la profezia non trascura il posto speciale che spetta a Israele nel piano salvifico di Dio. In un universo rinnovato, anche il popolo di Dio verrà restaurato nella sua terra e sarà liberato dalla sua condizione disonorevole, che consiste nella sottomissione alle potenze straniere. La promessa termina con un riferimento alla parola di JHWH che ne garantisce il compimento.
Alla promessa fatta da Dio per mezzo del profeta il popolo reagisce con un piccolo inno di lode che verrà pronunziato «in quel giorno», cioè quando le promesse si saranno realizzate: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza (v. 9). In questa preghiera predomina la speranza in una salvezza che può venire solo dal Signore. Il popolo esprime la sua fede nella parola di JHWH e aspetta solo da lui l’eliminazioni di quei mali che gli impediscono di godere fino in fondo della sua comunione.
Il testo termina con queste parole: «Poiché la mano del Signore si poserà su questo monte» (v. 10). Questa conclusione si ricollega con la frase iniziale. La «mano del Signore» rappresenta la sua potenza che gli permette di intervenire in modo efficace negli eventi di questo mondo. Ma questa potenza non si esercita più nella guerra contro i suoi nemici, bensì nella riconciliazione di tutte le nazioni con lui e tra di loro.
Linee interpretative
Il pasto sacro significa nella Bibbia la comunione che si instaura tra Dio e i presenti, i quali sperimentano al tempo stesso una profonda comunione reciproca. L’esperienza che il popolo aveva fatto nel convito dell’alleanza ai piedi della santa montagna era stata tenuta viva lungo i secoli dai banchetti sacri che accompagnavano i sacrifici di comunione. In questo contesto sorge l’attesa del banchetto escatologico che rappresenta lo scopo a cui tende tutta la storia della salvezza. Questo banchetto assume una dimensione universale. Se è vero che Dio ha fatto un’alleanza con il popolo di Israele e si è manifestato ad esso in un modo speciale, è pur vero che Egli non fa preferenza di persone e intende elargire la sua salvezza a tutta l’umanità. Il dono di una salvezza universale viene proiettato agli inizi della storia, cioè al momento della creazione, e poi al momento finale, in cui tutte le promesse si compiranno. Questa visione escatologica non deve però essere presa in senso temporale: l’intervento di Dio all’inizio e alla fine indica, come sottolinea il banchetto della Sapienza, il costante agire di Dio nella storia per la salvezza di tutti. In questo contesto il particolarismo che affiora spesso in Israele può essere considerato come un incidente di percorso.
La salvezza prospettata nella profezia del banchetto escatologico ha come primo effetto una pace duratura che consiste non solo nell’assenza di guerra, ma anche e soprattutto in rapporti nuovi tra le persone. Essa comporta l’eliminazione della sofferenza e della morte, cioè una vita piena, liberata da tutti i condizionamenti fisici e morali. La salvezza è dunque essenzialmente una dimensione dello spirito, che però si espande alla vita associata, producendo progresso e sviluppo a tutti i livelli. Uno degli aspetti più importanti del messaggio biblico consiste nel saper unificare la dimensione spirituale con quella materiale dell’esistenza umana. La salvezza è dunque un bene prettamente terreno, anche se il suo compimento viene rimandato simbolicamente al momento finale della storia, in un mondo nuovo che allora verrà creato da Dio ad analogia del paradiso terrestre da cui i primi progenitori erano stati allontanati.