Mass-revelation at the Mount Horeb in an illustration from a Bible card published by the Providence Lithograph Company, 1907

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L’AMICIZIA
L’amicizia è spesso considerata una forma limitata di amore, un sentimento molto più debole, meno impegnativo. È certamente meno celebrata e cantata rispetto all’amore, ma nella vita di ogni persona si rivela come una dimensione indispensabile. Forse proprio nei momenti di crisi si riflette sul suo valore, quando ci si chiede: quale senso avrebbe la mia vita senza i miei amici?
L’amicizia è spesso considerata una forma limitata di amore, un sentimento molto più debole, meno impegnativo. È certamente meno celebrata e cantata rispetto all’amore, ma nella vita di ogni persona si rivela come una dimensione indispensabile. Forse proprio nei momenti di crisi si riflette sul suo valore, quando ci si chiede: quale senso avrebbe la mia vita senza i miei amici? A partire dal volume L’avventura dell’amicizia (1), ci soffermeremo a riflettere sull’amicizia intesa come «avventura esistenziale», per considerare le molte dimensioni «di luce e di sapore» che questa virtù occupa nella vita di ogni persona.
L’amicizia come virtù
Alcuni filosofi contemporanei si sono chiesti se l’ideale di amicizia descritto dai classici come splendido, carico di affetto e di altruismo, sia ancora valido oggi come nel passato. Sappiamo che il mondo greco riteneva la philia l’elemento che consentiva qualsiasi relazione sociale, chiamata da Aristotele koinonia, intesa come comunione e condivisione. Ma quando questo «mettere in comune» si fonda su un calcolo utilitario, possiamo parlare di amicizia? Aristotele, Cicerone e altri scrittori dell’antichità sostengono che il vero amico non desidera mai fare qualche cosa che non sia in sé morale, nobile e virtuosa. L’antica idea aristotelica dell’amicizia è che gli amici facciano emergere l’uno il meglio dell’altro.
In tale prospettiva l’amicizia non può essere questione di calcolo né si limita ad essere solamente una forma di affetto o di passione, «ma è una virtù, cioè una disposizione stabile, dunque legata alla durata e alla fedeltà» (p. 7). Per questo, con ragione, l’amicizia va intesa come un’avventura; si tratta di un cammino, di una storia di incontri, in cui l’esperienza sempre nuova ci fa scoprire la gioia di ritrovarsi, il piacere di stare insieme gratuitamente, la facilità di comunicare reciprocamente in piena libertà, in un’atmosfera di essenzialità che alla presenza dell’altro ci fa dire «stiamo bene insieme».
Gli amici possono avere la stessa formazione o gli stessi interessi, ma, al più alto livello, l’amicizia riguarda la formazione e l’elevazione di un buon carattere: un’amicizia che porti corruzione o altre intenzioni malvagie non è, ipso facto, vera amicizia (2). I fini non buoni sono un impedimento alla costruzione di una vera amicizia. Gli amici, nel senso aristotelico, si offrono reciproci benefici; per dirlo con le parole di Aristotele: «È proprio dell’amico piuttosto fare il bene che riceverlo, [...] è proprio dell’uomo buono e della virtù il beneficare». Infatti, una delle ragioni per avere amici, secondo Aristotele, era avere persone a cui fare del bene. Per questa ragione persino gli uomini perfettamente felici hanno bisogno di amici, poiché senza di loro sono incompleti. Per questo egli definisce l’amicizia come «cosa necessarissima per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni» (Etica Nicomachea, libro VIII, cap. I).
In una vera amicizia, dunque, la questione di vivere egoisticamente o altruisticamente non entra in gioco, ma si dissolve nel volere il bene dell’altro, nella capacità di realizzare quel «prodigio di camminare ciascuno al proprio passo pur andando allo stesso ritmo». Non ci si schiaccia e non ci si riduce a stare uno davanti all’altro ma, come sottolinea X. Lacroix, «lo sguardo si volge a un orizzonte che è insieme comune e liberamente visitato da ognuno».
Anche la cultura mediorientale ha descritto questa realtà negli stessi termini. Kahlil Gibran descrive l’amico con queste parole: «Il vostro amico è la vostra esigenza soddisfatta […], è lui che ricercate per la vostra pace […]. Quando egli tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore. Poiché nell’amicizia, pensieri, desideri, attese, tutto nasce ed è condiviso senza parole, con una gioia priva di plauso. Se vi separate dall’amico non rattristatevi; poiché ciò che maggiormente amate in lui può meglio risplendere nell’assenza […]. E sia per l’amico la parte migliore di voi […]. Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore scopre il suo mattino e ne è ristorato» (3).
È infatti dalle piccole cose che l’amicizia si mostra senza bisogno di dimostrarsi. L’amico, scrive Alberoni, «è colui che ci rende giustizia» (p. 10), senza essere però tribunale e giudice delle nostre azioni. Due amici possono avere cammini molto diversi fino a evolvere in direzioni religiose o politiche diverse, ma la forza sta nell’«accogliere tali cambiamenti come un’occasione […]. L’amico non è soltanto colui che mi arricchisce, può essere anche colui che mi interroga, mi critica, mi rende più povero. Potrà essere che viene a ricordarmi che il mio itinerario non è l’unico possibile e che, proprio a partire da ciò che ci unisce, sono possibili altre scelte spirituali, intellettuali o esistenziali» (p. 17). Ciò che trasforma sono esattamente le caratteristiche intrinseche dell’amicizia: la fedeltà, l’accoglienza, la parità, la benevolenza e la gratuità (4). Ne esiste un’altra: l’amicizia ha bisogno della presenza che va al di là di qualsiasi parola.
La differenza tra amore e amicizia
Una prima differenza tra amore e amicizia risiede nella genesi dell’incontro: «Nell’amore c’è il colpo di fulmine, che nell’amicizia è assente» (p. 20). I gesti dell’amicizia, come un sorriso, una mano sulla spalla, un bacio, da una parte dicono l’incarnazione di una realtà che si vive, dall’altra acquistano significato soltanto se c’è la volontà di non possedere l’altro. Infatti «l’amicizia si accontenta, anzi si rallegra, dell’apparire dell’amico; l’amore invece aspira ad assaporarne la sostanza, il palpito sensibile della sua vita […]. [Se] l’altro è nel contempo altro da me stesso, e mio simile, anche se differente da me, l’amicizia sarà esperienza di similitudine nell’alterità, mentre l’amore sarà avventura della differenza in tensione verso l’unità» (p. 22). Ecco la differenza tra vivere in comunione con l’amico e l’unione con un partner. Nell’amicizia, afferma A. Cugno, «vi è un funzionamento della sessualità del tutto specifico, che si può chiamare molto semplicemente castità» (cfr p. 24). Le amicizie dunque non si possiedono; quando tendono a diventare esclusive potrebbero essere l’anticamera dell’amore, che come caratteristica propria ha quella dell’esclusività. Invece l’amicizia, per quanto profonda, lascia sempre spazio ad altre amicizie, dalle quali può anche trarne arricchimento.
X. Lacroix, distingue tre diverse forme di amicizia: per simpatia, per angoscia e amicizia fraterna. La prima si fonda su un dono autentico dato da una «disposizione spirituale di uno verso l’altro» che fa esclamare: «Perché era lui, perché ero io» (p. 132). L’amicizia per angoscia coinvolge coloro che hanno condiviso una forma di solidarietà forte, come, ad esempio, i compagni di prigionia. L’amicizia fraterna si caratterizza per essere cresciuti insieme all’amico o quando un fratello sia anche un amico.
Anche le dimensioni spazio-temporali sono quasi opposte tra l’amicizia e l’amore. F. Alberoni definisce l’amicizia un «aggregato di frammenti». Quando, ad esempio, si incontra un amico che è stato un compagno di scuola, l’esclamazione «da quanto tempo non ci si vede» assume un significato particolare che vince il tempo: «Tra amici è espressione di gioia, serena e gratificante, mentre tra amanti rappresenta piuttosto una lamentela, l’espressione di una fatica, quando non è un rimprovero» (p. 31); anche per questa sua caratteristica l’amicizia, alla fine, si mostra «più stabile di tanti amori».
L’amicizia fa soffrire meno dell’amore. Nella sua analisi X. Lacroix pone l’accento su un elemento antropologico che può confondere: «A volte si confonde l’amicizia con l’amore (amicizia erotizzata), dall’altro si tende a concepire l’amore sul modello dell’amicizia», e aggiunge: «Il termine “compagno” che attualmente ricorre spesso al posto di sposo o di coniuge non conviene forse all’amico?» (p. 36). Per uscire dall’ambiguità, X. Lacroix ricorda che è proprio degli amori stabili la capacità di permettere di vivere amicizie limpide, come del resto è proprio delle vere e profonde amicizie aiutare le storie d’amore ad aprirsi e a dare respiro. Ma l’amicizia permette anche all’amore di purificarsi: «Quel fuoco oscuro delle passioni viene in un certo senso purificato dall’amicizia, che lo sublima e lo spiritualizza» (p. 117). Le domande che l’amicizia fa sorgere con forza, sono domande ultime, sono domande morali: per chi viviamo? Per chi siamo al mondo: per noi o per gli altri?
Per vivere serenamente l’avventura dell’amicizia bisogna avere fiducia in se stessi; questo non significa amarsi per volere solamente il bene dell’altro, ma, come direbbe Nicolas Malebranche, chiede di «smetterla di amarsi male» (cfr p. 114). Nel suo articolo, Jean Lacroix parla dell’amicizia come «ricerca in comune della verità» (p. 110), che è scoperta dell’altro in quanto altro, e aiuto reciproco a comprendere la propria vocazione nella vita, perché «il tu che l’amicizia scopre non può essere raggiunto che nella sua relazione con il tu assoluto, cioè con Dio» (p. 112). L’amicizia è dunque un appello all’altro, perché diventi nella verità colui che è chiamato ad essere. Nella sua analisi, Péguy ricorda che, malgrado il male, l’odio, le menzogne e le infedeltà, «l’esperienza dell’amicizia non è soltanto ciò che mi permette di evitare la disperazione, ma [ciò] che mi permette di avere una fiducia invincibile nell’uomo» (p. 116).
L’amicizia nella Bibbia e la teologia
Nella Bibbia si raccontano storie di amicizia, come quella tra Gionata e David o tra Rut e Noemi. Quest’ultima ci ha regalato versetti di straordinaria commozione: «Perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te» (Rt 1,16-18). Grazie a tale insistenza Noemi comprese quale dono fosse Rut per la sua vita, così partirono insieme per il loro viaggio. Più in generale, queste parole pronunciate da un’amica per un’amica sono oggi una provocazione per quanti vogliono misurare il loro grado di fedeltà verso i propri amici.
Ma l’Antico Testamento invita anche a stare in guardia per discernere se davvero il vero amico è colui che «ama in ogni circostanza; [ed] è un fratello nell’avversità» (Prv 17,17). Il libro del Siracide dedica all’amicizia una sua parte, il cap. 6, e afferma: «Prima di farti un amico, mettilo alla prova, non confidarti subito con lui. C’è chi è amico quando gli è comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi. C’è l’amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. Nella tua fortuna sarà come un altro te stesso […] ma se sarai umiliato, si ergerà contro di te e dalla tua presenza si nasconderà» (Sir 6, 7-12). La parte sull’amicizia si conclude con parole di alto valore sapienziale: «Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore» (Sir 6,14-15).
C’è chi sostiene che il Nuovo Testamento non dia spazio a storie di amicizie. Invece nel Vangelo di Giovanni troviamo le parole con cui Gesù definisce, in termini di amicizia, il suo rapporto con i discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere anche a voi» (Gv 15,15). Dio chiama l’uomo: amico. Secondo il testo, si tratta di un’amicizia offerta come dono al discepolo, che, nella sua libertà, è chiamato ad accettarla e a viverla. L’icona di Giovanni che durante l’Ultima Cena appoggia il volto sul cuore di Gesù è un singolare momento di amicizia rimasto a lungo nella memoria della Chiesa primitiva. In proposito Jean Galot ha affermato che «l’amicizia per Giovanni appare profondamente incarnata. […]. Stringendo un’amicizia con il discepolo, [il Signore] mostra che né per l’uno né per l’altro vi è infrazione al dono totale di sé. Non solo quell’amicizia non può nuocere alla consacrazione, ma è in armonia con essa» (5). Così Cristo è stato amico di Marta e Maria e del loro fratello Lazzaro a tal punto che davanti alla sua morte, dirà sant’Ireneo, Gesù pianse come uomo e amico e lo resuscitò come Dio. Davanti a queste scene evangeliche, «il sacro deve d’ora in poi liberarsi da una corteccia troppo fredda e troppo ieratica per entrare nel calore dell’amicizia, perché la comunicazione con la vita divina ha come sorgente l’Amico» (6). Comprendere la dimensione sacra del rapporto con Dio, che nel volume in esame è spiegata dai domenicani Jean-Marie Gueullette e da Luc Devillers, non può che includere il senso della consacrazione vissuta come un’amicizia che unisce a Cristo e che da lui si irradia agli altri.
L’amicizia spirituale
«L’amicizia con l’altro è un’epifania dell’amicizia con Dio», ha scritto Thomas Merton. A questo riguardo, la parte finale del volume riporta il pensiero di Aelredo di Rievaulx, monaco cistercense del XIII secolo, che nel suo testo L’amicizia spirituale afferma: «Un amico che prega Cristo per conto dell’amico, e desidera essere esaudito da Cristo per amore dell’amico, finisce per dirigere su Cristo il suo amore e il suo desiderio […]. In questo modo da quell’amore santo con cui si abbraccia il proprio amico, si sale a quello con cui si abbraccia Cristo: si afferma così, nella letizia spirituale, nell’attesa di una pienezza che si realizzerà nel tempo a venire» (p. 137). La stessa idea è stata ripresa alcuni secoli più tardi da Francesco di Sales: «Parlo dell’amicizia spirituale per cui due o tre anime si comunicano la loro devozione e i loro affetti spirituali, fino a formare un solo corpo» (p. 159 s). In Cristo i conflitti e le ferite, le contraddizioni e le crisi che nel tempo un’amicizia può subire, non la distruggeranno in forza dell’aver sperimentato il dono che noi chiamiamo perdono.
Il volume si chiude con l’articolo di Roger Schutz, fondatore della comunità di Taizé. Egli ritiene che «bisogna conoscere la solitudine con se stessi per cogliere i valori di certi incontri», che di per sé possono anche essere limitati nel tempo, ma «segnare tutta un’esistenza» (p. 167). Nel suo diario, dichiarava: «Un fratello mi scrive: In questi tempi in cui Dio ci mette alla prova per osservare il nostro grado di amicizia con lui, le amicizie che viviamo con gli uomini e con i nostri fratelli assumono una dimensione di eternità» (p. 168). Perciò una delle grandi sfide è saper guardare le amicizie con gli occhi della fede, che disvelano un senso profondo su di sé e la realtà storica che si vive. In fondo tutto è da ricondurre alla sete di relazioni che gli uomini hanno: R. Schutz si chiede se alla radice di questa intuizione esistenziale non vi sia «una comunione altra, più essenziale, da raggiungere con Cristo» (p. 169).
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Al di là di molte variazioni sul tema che vanno dall’idealizzazione all’elogio enfatico dell’amicizia, abbiamo voluto, attraverso l’analisi di questo volume divulgativo del tema, che si presenta come un utile strumento pastorale, e delle fonti citate in nota, ribadire che l’amicizia, intesa come valore morale, è quel cammino che vuol condurre a dire all’amico: «In me tu non morirai!».
(1)Cfr R. Comte – J. Lacroix – R. Schutz et Al., L’avventura dell’amicizia, Magnano (Bi), Qiqajon, 2007, 184, € 12,50.
(2) Cfr J. Epstein, Amicizia, Bologna, il Mulino, 2008, 102.
(3) K. Gibran, Il profeta, Roma, Newton, 1993, 78.
(4) Cfr S. De Guidi, «Amicizia», in Nuovo Dizionario di teologia morale, Cinisello Balsamo (Mi), Ed. Paoline, 1990, 17-35.
(5) J. Galot, «L’amicizia, valore evangelico», in Civ. Catt. 1977 III 120 s.
(6) Ivi, 121.
La Civiltà Cattolica 2009
http://www.istitutopaolovi.it/notizia-istituto-paolo-vi.asp?idi=10
RIFLESSIONI DI MONS. G.B. MONTINI SU MARIA ASSUNTA AL CIELO
05/08/2010
[…] L’Assunzione […], quasi a nostra insaputa, fissa ed esalta l’antropologia cristiana, cioè la scienza dell’uomo, nei termini più chiari e più consolanti. […] Noi ricapitoliamo, nel glorioso epilogo della vita di Maria, tutta la dottrina su la vita umana. Noi celebriamo una festa che si riferisce allo stato della vita oltre il tempo, alla vita futura; affermiamo con ciò stesso l’esistenza di questa vita futura; l’ultimo articolo del credo trova qui una sua gloriosa affermazione; […].
[…] la Madonna […] ci appare oggi viva e vera, nella integrità del suo essere stupendo e innocente, nella bellezza spirituale e corporea di tutta la sua immacolata umanità; nel trionfo vitale ed estetico proprio della risurrezione della più pura, della più gentile, della più ideale e più reale donna, che la terra abbia mai generata e che il cielo per sempre custodirà. […]
[…] ben diversa la nostra dalla sua sorte, non è diverso il finale destino, che in Lei è stato subito compiuto e anticipato sul giorno del finale giudizio, nel quale la morte sarà vinta, e la carne umana risorgerà. Risorgerà simile a quella della Madre celeste, se la purità, che durante la vita terrena fu sua per grazia, sarà nostra per virtù, che vuol dire per laboriosa difesa, per difficile conquista, per perseverante orazione. […]
Da « L’umanità in Maria ». Omelia durante il Pontificale nel duomo di Mìlano nella solennità di Maria Assunta, 15 agosto 1956, in G.B. Montini (Arcivescovo di Milano), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. I, Brescia-Roma, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, 1997, n. [413], pp. 918-924.
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[…] Noi viviamo in un periodo in cui l’attrattiva delle cose naturali si è fatta assai suggestiva; natura, scienza, tecnica, economia e godimento impegnano potentemente la nostra attenzione, il nostro lavoro, la nostra speranza; e la fecondità meravigliosa, che l’ingegno e la mano dell’uomo hanno saputo trarre dal seno della terra, ci ha procurati beni, ricchezze, cultura, piaceri, che sembrano saziare ogni nostra aspirazione, e che sembrano corrispondere perfettamente alle nostre facoltà di ricerca e di possesso. Le parole del Vangelo […] dicono il rimprovero di Gesù a Marta troppo sollecita delle cose materiali. Qui è la vita, dice la nostra faticosa, ma vittoriosa conquista del mondo circostante; e qui si dirigono, si legano e si arrestano i nostri desideri; qui arriva la nostra speranza, qui si ferma il nostro amore. E quando è così – e come spesso lo è –, non siamo più capaci di pregare, di aspirare alle cose trascendenti e supreme, di porre la nostra speranza al di là del quadro della nostra immediata esperienza. […]
In altri termini: siamo gente tutta occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se altro noi non dovessimo cercare ed amare. Così non siamo più spiriti veramente religiosi, che conoscono la contingenza radicale delle cose presenti; e non siamo più allenati a estrarre i valori superiori, che sono quelli morali, connessi col nostro eterno destino, dal rapporto, che pur dobbiamo cercare e perfezionare, con le cose presenti; le quali sono solo a noi prodighe di valori utili, ma non definitivi.
Ecco allora che la festa dell’Assunzione di Maria fa risuonare alle nostre anime, quasi uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di là, dall’altra riva della vita, quella oltre il tempo e oltre questo quadro del nostro mondo naturale, quella dell’eternità e della vita soprannaturale nella sua dispiegata pienezza.
Così l’Assunzione della Madonna ci obbliga, con suadente invito, a verificare se la via, che ciascuno di noi percorre, è rivolta verso il sommo traguardo, e a rettificarla decisamente verso di esso. […]
Maria ci chiami. Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo. Maria ci aiuti a camminare per la via di quell’amore che a quel beato termine conduce. Maria ci insegni ad operare con bravura e con dedizione, sì, nella cura delle cose di questo mondo, che ci danno il programma dei nostri immediati doveri; ma Maria ci dia insieme la sapienza e la povertà di spirito, che tengano liberi i nostri cuori e agili i nostri animi per la ricerca dei beni eterni. […]
Da « Leviamo in alto le nostre teste ». Omelia durante il Pontificale nel Duomo di Milano nella solennità di Maria Assunta, 15 agosto 1961 in G.B. Montini (Arcivescovo di Milano), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. III, Brescia-Roma , Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, 1997, n. [1831], pp. 4545-4552.