Archive pour le 14 octobre, 2014

Francesco Fontebasso, Estasi di S. Teresa, Szépmuvészeti Múzeum, Budapest

Francesco Fontebasso, Estasi di S. Teresa, Szépmuvészeti Múzeum, Budapest dans immagini sacre 34007
http://www.scuolaecclesiamater.org/2014/08/festa-della-transverberazione-di-s.html

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SCRITTI DEI SANTI SULL’ADORAZIONE – SANTA TERESA D’AVILA – 15 OTTOBRE (m)

http://www.adorazioneeucaristica.it/scrittiteresaavila.htm

SCRITTI DEI SANTI SULL’ADORAZIONE

SANTA TERESA D’AVILA – 15 OTTOBRE (m)

«Mentre l’anima è ben lontana dall’aspettarsi di vedere qualcosa, e non le passa neppure per la mente, d’un tratto le si presenta tutta intera la visione che sconvolge le potenze e i sensi, riempiendola di timore e di turbamento, per poi darle una pace deliziosa e l’anima si ritrova con la cognizione di tali sublimi verità da non aver più bisogno di alcun maestro.»
“Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto.
Chi ha Dio ha tutto. Dio solo basta.”
…Considerate, o Eterno Padre, che tanti flagelli, strapazzi e penosissime sofferenze non sono cose da dimenticarsi. Ed è dunque possibile, Creator mio, che un cuore tanto affettuoso come il vostro, sopporti che si faccia così poco conto, come ai nostri giorni, di ciò che vostro Figlio ha effettuato con tanto amore, unicamente per contentarvi e per obbedire ai vostri comandi, quando gli ingiungeste di amarci fino a lasciarsi nel SS. Sacramento, che ora gli eretici oltraggiano, distruggendo i suoi tabernacoli e demolendo le sue chiese?
Forse che vostro Figlio deve fare qualche altra cosa per contentarvi? Non ha Egli già fatto tutto? Non è forse bastato che durante la sua vita gli mancasse perfino ove posare la testa, continuamente sommerso nelle tribolazioni? Bisogna proprio che oggi venga privato anche delle sue chiese, ove convoca i suoi amici, di cui conosce la debolezza, e sa che in mezzo alle loro prove hanno bisogno di essere fortificati con quel cibo che loro dispensa? Non ha forse già soddisfatto abbastanza per il peccato di Adamo? Possibile che ogni qualvolta noi torniamo ad offendervi, la debba sempre pagare questo innocentissimo Agnello? Non lo permetterete più, o mio sovrano Signore! Si plachi ormai la vostra divina Maestà! Non ché considerare i nostri peccati, ricordate che a redimerci fu il vostro Figlio sacratissimo. Ricordate i suoi meriti, i meriti della sua gloriosissima Madre, quelli di tanti santi e di tanti martiri che sono morti per Voi!
…Gesù, dicendo al Padre dacci oggi il nostro pane quotidiano, sembra che domandi questo pane soltanto per un giorno, cioè per la durata di questo mondo, che può dirsi appunto di un giorno. Egli lo chiede anche per gli infelici che si danneranno e che nell’altra vita non lo potranno più godere. Se questi sventurati si lasciano vincere dal demonio, non è certo per colpa sua, perché Egli nella lotta non cessa mai d’incoraggiarli. Per questo essi non avranno mai di che scusarsi, né mai da lamentarsi dell’Eterno Padre se ha loro tolto quel pane quando ne avevano più bisogno. Suo Figlio infatti dice: Giacché, Padre, ha da essere per un giorno, permetti di passarmelo in schiavitù.
Il Padre ce lo dette e lo mandò nel mondo per sua propria volontà; ed ora per sua propria volontà il Figlio non vuole abbandonare il mondo, felice di rimanere con noi a maggior gaudio dei suoi amici e a confusione dei suoi avversari. Questo, secondo me, è il motivo per cui ha ripetuto oggi; questa la ragione per cui il Padre ci elargì quel Pane divinissimo, e ci dette in alimento perpetuo la manna di questa sacratissima Umanità. Noi ora la possiamo trovare quando vogliamo, per cui se moriamo di fame è unicamente per colpa nostra. L’anima troverà sempre nel SS. Sacramento, sotto qualsiasi aspetto lo consideri, grandi consolazioni e delizie; e dopo aver cominciato a gustare il Salvatore, non vi saranno prove, persecuzioni e travagli che non sopporterà facilmente.
…Un giorno, appena comunicata, mi fu dato d’intendere che il corpo sacratissimo di Cristo viene ricevuto nell’interno dell’anima dallo stesso suo Padre. Compresi chiaramente che le tre divine Persone sono dentro di noi e che il Padre gradisce molto l’ offerta che gli facciamo di suo Figlio, perché gli si offre la possibilità di trovare in Lui le sue delizie e le sue compiacenze anche sulla terra. Nell’anima abbiamo soltanto la divinità, non l’umanità, perciò l’offerta gli è così cara e preziosa, che ce ne ricompensa con immensi favori.
Compresi pure che il Padre lo riceve in sacrificio anche se il sacerdote è in peccato, salvo che all’infelice non sono concessi i favori come alle anime in grazia. E ciò, non perché manchi al Sacramento la virtù d’influire, dipendendo essa dalla compiacenza con cui il Padre accetta il sacrificio, ma per difetto di chi lo riceve, a quel modo che non è per difetto del sole se i suoi raggi non riverberano quando cadono sulla pece come quando battono sul cristallo. Se ora mi dovessi spiegare, mi farei meglio comprendere. Sono cose che importa molto conoscere. Grandi misteri avvengono nel nostro interno al momento della comunione. Il male è che questi nostri corpi non ce li lasciano godere!
…Se il temperamento o qualche infermità non permettono di pensare alla passione del Signore per essere troppo penosa, nessuno vieta di far compagnia a Gesù risorto, giacché l’abbiamo così vicino nel SS. Sacramento, in cui si trova glorificato. No, non si regge a tener sempre fisso il pensiero nei grandi tormenti che Gesù ha sofferto. Ma qui si può contemplarlo non già afflitto e dilacerato, versante sangue da ogni parte, stanco dei viaggi, perseguitato da quelli a cui ha fatto del bene e disconosciuto dai suoi stessi apostoli, ma rifulgente di gloria e privo di dolori, stimolante gli uni, animante gli altri, e nostro compagno nel SS. Sacramento, per il quale ci permette di pensare che, in procinto di salire al cielo, non si sia sentito di allontanarsi da noi neppure un poco.
Eppure, o mio Dio, io mi sono allontanata da Voi nella speranza di meglio servirvi!… Quando vi abbandonavo con il peccato, almeno non vi conoscevo, ma conoscervi, Signore, e credere di meglio avanzare abbandonandovi!… Oh che falsa strada avevo preso, Signore! Anzi, ero del tutto fuori strada! Ma Voi avete raddrizzato i miei passi, e dacché vi vedo a me vicino, vedo pure ogni bene. Non mi è più venuta una prova che, mirandovi innanzi ai tribunali, non abbia sopportato facilmente. Tutto si può sopportare con un amico così buono, con un così valoroso capitano che per primo entrò nei patimenti.
Egli aiuta e incoraggia, non viene mai meno, è un amico fedele. Per me, specialmente dopo quell’inganno, ho sempre riconosciuto e tuttora riconosco che non possiamo piacere a Dio, né Dio accorda le sue grazie se non per il tramite dell’Umanità sacratissima di Cristo, nel quale ha detto di compiacersi. Ne ho fatta molte volte l’esperienza, e me l’ha detto Lui stesso, per cui posso dire di aver veduto che per essere a parte dei segreti di Dio, bisogna passare per questa porta.
…Accostandoci al santissimo Sacramento con grande spirito di fede e di amore, una sola comunione credo che basti per lasciarci ricche. E che dire di tante? Ma sembra che ci accostiamo al Signore unicamente per cerimonia: ecco perché ne caviamo poco frutto. – O mondo miserabile che accechi chi vive in te, onde non veda i tesori che potrebbe acquistare con l’eterne ricchezze!…
“Mi baci coi baci di sua bocca!” Signore del cielo e della terra!… Possibile che così intimamente si possa godervi fin da questa vita mortale, e che così bene lo Spirito Santo ce lo dia a conoscere con queste parole dei Cantici che noi non vogliamo ancora capire? Oh, le delizie che voi riservate alle anime secondo queste parole! Quali tenerezze! Quali soavità!
Una sola di esse dovrebbe bastarci per liquefarci in Voi. Siate benedetto, Signore! No, non sarà mai per Voi che subiremo delle perdite. Per quali vie, per quanti mezzi ci dimostrate il vostro amore! Con le sofferenze, con i tormenti, con la vostra morte si dura, con la pazienza con cui ogni giorno sopportate e perdonate le ingiurie. E quasi ciò non bastasse lo dimostrate ancora con le parole che in questi Cantici rivolgete all’anima che vi ama, insegnandole a ripeterle pure a Voi. Sono parole che feriscono così al vivo, che senza il vostro aiuto, non saprei proprio come, sentendole, si possano sopportare.
…«C’è un modo in cui il Signore parla all’anima e a me sembra un segno sicurissimo della sua opera: è la visione intellettuale. Ha luogo così nell’intimo dell’anima e sembra di udire così chiaramente e al tempo stesso segretamente, con l’udito spirituale, pronunciare proprio dal Signore quelle parole, che lo stesso modo di intendere, insieme con ciò che la visione opera, rassicura e dà la certezza che il demonio non può intromettersi minimamente. I grandi effetti che lascia sono, appunto, motivo di crederlo; se non altro c’è la sicurezza che non procede dall’immaginazione, sicurezza che con un po’ di avvertenza si può sempre avere per le seguenti ragioni.
La prima perché c’è una evidente differenza circa la chiarezza del linguaggio: nelle parole di Dio essa è tale che ci si rende conto anche di una sola sillaba mancante e si ha il ricordo preciso del diverso modo in cui tale parole ci sono state dette.
La seconda, perché spesso non si pensava nemmeno a ciò a cui le parole si riferiscono – intendo dire che vengono all’improvviso, a volte anche mentre si sta in conversazione – e spesso riguardano cose mai pensate né credute possibili.
La terza, perché nelle parole di Dio l’anima è come una persona che ode, mentre in quelle dell’immaginazione è come una persona che va componendo a poco a poco ciò che ella stessa desidera udire.
La quarta, perché le parole sono assai diverse, e una sola di quelle divine fa capire molto più di quello che il nostro intelletto non potrebbe mettere insieme in così breve spazio di tempo. La quinta, perché insieme con le parole, spesso, in un modo che io non saprei spiegare, si comprende assai più di quello che significano, benché senza suoni».
…«Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Voler fare gli angeli, stando sulla terra, è una pazzia; ordinariamente, invece, il pensiero ha bisogno d’appoggio, benché talvolta l’anima esca così fuori di sé, e molte altre volte sia così piena di Dio, da non aver bisogno, per raccogliersi, di alcuna cosa creata.
Ma questo non avviene molto di frequente; pertanto, al sopraggiungere di impegni, persecuzioni, sofferenze, quando non si può avere più tanta quiete, o in caso di aridità, Cristo è un ottimo amico, perché vedendolo come uomo, soggetto a debolezze e a sofferenze, ci è di compagnia.
Prendendoci l’abitudine, poi, è molto facile sentircelo vicino, anche se alcune volte avverrà di non poter fare né una cosa né l’altra. Per questo è bene non adoperarci a cercare consolazioni spirituali; qualsiasi cosa succeda, stiamo abbracciati alla croce, che è una grande cosa.
Il Signore restò privo di consolazione; fu lasciato solo nelle sue sofferenze; non abbandoniamolo noi, perché egli ci aiuterà a salire più in alto meglio di quanto avrebbe potuto fare ogni nostra diligenza e si allontanerà quando lo riterrà conveniente o quando vorrà trarre fuori l’anima da se stessa. Dio si compiace molto nel vedere un’anima prendere umilmente per mediatore suo Figlio e amarlo tanto che, pur volendo Sua Maestà elevarla a un altissimo grado di contemplazione, se ne riconosce indegna, dicendo con san Pietro: Allontanatevi da me, Signore, perché sono uomo peccatore (Lc 5,8)».

Publié dans:Santi, santi scritti |on 14 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

LE STRANE VIE DI DIO – ISAIA 55,8

http://www.korazym.org/16356/strane-vie-dio/#more-16356

LE STRANE VIE DI DIO

27 luglio 2014 Bussole per la fede

di Don Giuseppe Liberto

I MIEI PENSIERI NON SONO I VOSTRI PENSIERI, LE VOSTRE VIE NON SONO LE MIE VIE (IS 55,8).

Non basta credere in Dio. Credere è accogliere l’arcano metodo di Dio che esce dai nostri schemi, rompe le nostre opportunità, le nostre attese e le nostre pretese. C’è sempre la tentazione di ridurre Dio alle nostre categorie convenienti, di fissargli le strade e determinargli gli appuntamenti.
Il credente, invece, si sforza di mettere la propria esistenza dalla prospettiva di Dio per essere sempre disponibile al compimento del suo piano che lo trascende.
Lo “strano comportamento” di Dio è narrato nella parabola del Regno dei cieli, attraverso le vicende di una giornata lavorativa nella vigna di un padrone. Al chiudersi della giornata, qualunque sia stato il tempo trascorsovi e la fatica sopportata, tutti i lavoratori ricevono un denaro: il prezzo già pattuito. Alla protesta per un’apparente ingiustizia di un torto subito, bisogna evidenziare la liberalità e la gratuità del padrone che non deve rendere conto a nessuno del suo modo di agire. Questo è lo stile e il modo di operare di Dio. Egli concepisce e opera al di là di qualsiasi misura che è la sovrabbondanza, gesto che fa saltare i limiti del debito per sostituirlo con la stragrande generosità.
Il Padrone della vigna è Dio Padre: ogni chiamata sgorga dal suo cuore. La vigna è la Chiesa: ogni chiamata è per un servizio di lavoro all’interno della stessa Chiesa. La vite è Cristo: solo Lui dona vita e fecondità ai tralci. Rimanere innestati in Lui è condizione necessaria e indispensabile per portare frutto. In rapporto al dono dei talenti, tutti siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore nell’ora in cui Egli vuole. Tutti, con sofferta riflessione, con fremiti d’entusiasmo, con piena e responsabile decisione, abbiamo accolto l’invito divino offerto come dono di grazia e d’amore.

I miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie (Is 55,8).

Una pagina drammatica della Santa Scrittura la leggiamo in Geremia 38,4,10. Il brano ci racconta uno dei momenti più terribili del popolo d’Israele, nel tempo in cui era vicina la distruzione totale di Gerusalemme e la deportazione. Il re Nabucodonosor, dieci anni prima, aveva assediato la città e distrutto il tempio. Il profeta Geremia si trovava già in carcere e continuava ad annunziare la parola del Signore che invitava il re, i capi e i sacerdoti ad arrendersi e a lasciarsi deportare in Babilonia per iniziare una nuova vita. Il volere di Dio annunziato dal Profeta non è né capito né accolto. Non credono a Geremia, anzi, lo accusano dicendo: Si metta a morte quest’uomo, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male (v. 4). Geremia nega e risponde che, al di là di questa sconfitta, c’è la speranza di una vita nuova. Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango (v. 6). Il brano racconta tutta una serie di azioni drammatiche contro il Profeta. Mentre è tenuto prigioniero, gli aguzzini lo prendono, lo violentano, lo afferrano e lo gettano, come se fosse un oggetto da cui liberarsi, nella cisterna ricolma di fango. Sono i gesti diabolici fatti ai profeti, uomini scomodi da allontanare e da annullare. Essi, però, rimangono sempre nelle mani di Dio che completa, dopo le varie prove della sofferenza, il misterioso itinerario di liberazione.
Nel nome “Geremia”, c’è già inciso l’itinerario della sua vocazione e della sua missione. Il nome ha una doppia radice verbale: o ramah che significa “gettare”, rom che indica il significato inverso, “innalzare”. Geremia è dunque il profeta che Jahwe sceglie per innalzarlo a se e per scagliarlo in mezzo a un popolo ribelle che non lo ascolta, anzi, lo rifiuta e lo elimina.
Intanto Geremia è gettato nella fogna fangosa della solitudine, ma proprio da questo momento prende orientamento la svolta della sua vita. Il fatto richiama anche la drammatica e affascinante esperienza di Giuseppe che, dopo essere stato buttato nella cisterna in mezzo al deserto e in seguito nella solitudine sotterranea del carcere, poi, in un itinerario di grazia, dal buio rinasce alla luce della vita nuova (cf Gen 37,20. 40, 15).
E’ interessante notare che in ebraico, la radice verbale di “cisterna” esprime il significato di esplorare, sperimentare, verificare; e, nella radice aramaica, l’esplorazione avviene attraverso l’odorato. Nella logorante situazione della fossa profonda del dolore, il sofferente non vede, non sente, non tocca e non parla, l’odorato è l’unica via di comunicazione col Signore della vita che si avvicina, riconosce e chiama per nome (Gen 27, 27).
Geremia, anche se vive il suo dramma personale nella reggia, di fatto è in prigione, nel luogo più misero in cui, nella sofferenza più disperante, innalza il suo grido di dolore acuto e profondo verso Dio. Gettato via e sprofondato nel fango, la presenza divina, odora di amorevole paternità e la sofferenza diventa luce di vita nuova. Ed ecco apparire il segno di questa presenza: un servo del re, Ebed-Melek, l’Etiope, un eunuco, persona umile, amabile e forte, viene a portare al Profeta sostegno e speranza. Va incontro al re e con decisa determinazione gli dice: O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città (v. 9). Nessuna prova può cancellare il bene che Dio traccia, con segni indelebili, sulla persona martoriata. Il servo-re Ebed-Melek annuncia, attraverso il segno del pane legato alla fame, alla carestia e alla morte, che il Signore è l’unico liberatore dei nostri mali, infatti: Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto (Sal 145,14). Il re, all’eunuco che lo prega, dà questo ordine: Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia (v. 10). Geremia è tirato fuori dalla prigione di umiliazione, di sofferenza e di morte. Quel fango in cui era sprofondato, al soffio dell’amore divino, diventa argilla di vita; quel buio di solitudine, di smarrimento e di paura si trasforma in luce di parola che consola e orienta verso la realizzazione della vocazione cui Dio lo ha chiamato.
Geremia è figura di Cristo, il Servo-Re, Il Pane che nutre e divinizza, il Salvatore che scende negli inferi della notte per liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Immersi nelle acque battesimali, Cristo ci “tira fuori” ridonandoci il profumo della vita.
Quando i tuoi fratelli, ti buttano giù nel pozzo dell’allontanamento e della dimenticanza, non perdere mai il coraggio di difendere la tua libertà di coscienza e la dignità dell’essere figlio di Dio creato a sua immagine e somiglianza e ricreato a nuova vita dallo Spirito di Gesù. Il Padre tuo che vede nel segreto ti sta sempre vicino e ti consola con la sua squisita e costante paternità. Se i tuoi fratelli, con i gesti della non umanità, ti “buttano giù” nel pozzo della dimenticanza e della sofferenza, il Padre tuo, che vede nel segreto, ti “tira su” con i gesti della tenerezza misericordiosa. La Parola di Dio ci insegna che i pensieri e le vie del Signore non sono quelli dell’umano orgoglio che semina vittime di morte ma itinerari di luce che danno risurrezione e vita.

 

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