Archive pour le 13 mai, 2014

San Mattia Apostolo

San Mattia Apostolo dans immagini sacre st_matthias_by_rubens

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SAN MATTIA APOSTOLO – 14 MAGGIO

http://www.santiebeati.it/dettaglio/21050

SAN MATTIA APOSTOLO

14 MAGGIO

SEC. I

Di Mattia si parla nel primo capitolo degli Atti degli apostoli, quando viene chiamato a ricomporre il numero di dodici, sostituendo Giuda Iscariota. Viene scelto con un sorteggio, attraverso il quale la preferenze divina cade su di lui e non sull’altro candidato – tra quelli che erano stati discepoli di Cristo sin dal Battesimo sul Giordano -, Giuseppe, detto Barsabba. Dopo Pentecoste, Mattia inizia a predicare, ma non si hanno più notizie su di lui. La tradizione ha tramandato l’immagine di un uomo anziano con in mano un’alabarda, simbolo del suo martirio. Ma non c’è evidenza storica di morte violenta. Così come non è certo che sia morto a Gerusalemme e che le reliquie siano state poi portate da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, a Treviri, dove sono venerate. (Avvenire)

Etimologia: Mattia = uomo di Dio, dall’ebraico

Martirologio Romano: Festa di san Mattia, apostolo, che seguì il Signore Gesù dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui Cristo fu assunto in cielo; per questo, dopo l’Ascensione del Signore, fu chiamato dagli Apostoli al posto di Giuda il traditore, perché, associato fra i Dodici, divenisse anche lui testimone della resurrezione.
Mattia, abbreviazione del nome ebraico Mattatia, che significa dono di Jahvè, fu eletto al posto di Giuda, il traditore, per completare il numero simbolico dei dodici apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d’Israele. Secondo gli Atti apocrifi, egli sarebbe nato a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Una cosa è certa, perché affermata da S. Pietro (Atti, 1,21), che Mattia fu uno di quegli uomini che accompagnarono gli apostoli per tutti il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all’Ascensione al cielo. Non è improbabile che facesse parte dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, come agnelli fra i lupi, a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dov’egli stava per andare. S. Mattia conosceva certamente il più antipatico degli apostoli, Giuda, nativo di Kariot, quello che nella lista dei Dodici è sempre messo all’ultimo posto e designato con l’espressione « colui che tradì il Signore ». Durante le peregrinazioni apostoliche, Gesù e i discepoli ricevevano doni e offerte dalle folle entusiaste e riconoscenti per i malati che guarivano. S’impose perciò la necessità di affidare a qualcuno di loro l’incombenza di economo. Fu scelto Giuda, ma ci dice San Giovanni che non fu onesto nel suo ufficio.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù fu invitato a Betania, con gli apostoli e l’amico Lazzaro risuscitato dai morti, ad un banchetto in casa di Simone, il lebbroso. Mentre Marta serviva, Maria, sua sorella, prese una libbra d’unguento di nardo genuino, di molto valore, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli.
Allora Giuda Iscariota protestò: « Perché quest’unguento non è stato venduto per più di 300 denari e non è stato dato ai poveri? ». Ma, commenta ironicamente S. Giovanni l’evangelista, « disse questo non perché si preoccupasse dei poveri, ma perché era ladro, e avendo la borsa portava via quello che vi si metteva » (Giov 12,1-11). Aveva paura di morire di fame? Temeva forse, avaro com’era, una vecchiaia triste e solitaria? Quando seppe che i capi del Sinedrio cercavano il modo di catturare Gesù per condannarlo a morte, ingordo di denaro, andò dai sommi sacerdoti e promise loro di tradirlo per trenta monete d’argento, il compenso fissato dalla legge per l’uccisione accidentale di uno schiavo (Es. 21,32).
Durante l’ultima cena, Gesù fece più volte allusione al suo traditore, anzi lo designò apertamente (Mt 26,25), Dopo la cena, quando il Signore si ritirò a pregare al di là del torrente Cedron, il perfido Giuda giunse a capo di sgherri armati di spade e bastoni e, secondo il segnale loro dato, glielo consegnò nelle mani baciandolo. Il rimorso però non tardò ad attanagliargli l’animo. L’apostolo, infedele alla sua missione, quando seppe che il sinedrio aveva condannato il suo Maestro, che lo aveva sempre trattato con bontà anche nell’ora buia del tradimento, riportò i trenta denari, che gli scottavano in mano, ai sommi sacerdoti e agli anziani, gemendo; « Ho peccato, tradendo sangue innocente! ». Ed egli, gettati i denari d’argento nel tempio, fuggì e, in preda alla disperazione alla quale non seppe reagire, andò ad impiccarsi (Mt 27,3-5).
Gesù nell’ultima cena, dopo lo smascheramento di chi lo tradiva, aveva esclamato: « Guai a quell’uomo per opera del quale il Figlio dell’uomo è tradito: era meglio per lui che non fosse mai nato! » (Mt 26,24). Dopo l’Ascensione di Gesù al cielo, gli apostoli ritornarono a Gerusalemme, nel cenacolo. Di comune accordo essi erano perseveranti nell’orazione con alcune donne, con Maria, la Madre di Gesù, e con i cugini di lui. Mentre attendevano « la promessa del Padre », cioè lo Spirito Santo, Pietro, alzatesi in mezzo ai fratelli (c’era una folla di circa 120 persone), prese a dire: « Era necessario che si adempisse la Scrittura che lo Spirito Santo, per bocca di David, aveva predetto nei riguardi di Giuda, il quale si fece guida a coloro che catturarono Gesù; poiché egli era annoverato tra noi ed ebbe la sorte di partecipare a questo ministero. Costui, inoltre, con la mercede del suo delitto, acquistò un campo; caduto a capofitto, gli scoppiò il ventre e si sparsero tutte le sue viscere. Il fatto divenne noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, tanto che quel campo, nel loro idioma, fu chiamato Aceldama, cioè campo del sangue. Infatti nel libro dei Salmi sta scritto: « Divenga deserta la sua dimora, e non vi sia chi l’abiti! ». E ancora: « Prenda un altro il suo ufficio ». E’ dunque necessario che uno degli uomini che ci furono compagni per tutto il tempo che il Signore Gesù trascorse tra noi, a partire dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui fu assunto di mezzo a noi, divenga, insieme con noi, testimone della sua risurrezione » (Atti 1, 16-22).
Ne presentarono due: Giuseppe, di cognome Barsabba, il quale era soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: « O Signore, tu che conosci i cuori di tutti, indicaci quale di questi due hai scelto per assumere l’ufficio di questo ministero e di questo apostolato, dal quale Giuda perfidamente si partì per andarsene al proprio luogo ». Poi tirarono la sorte, e la sorte cadde su Mattia, e venne annoverato con gli undici apostoli.
Quando giunse il giorno della Pentecoste, stavano tutti insieme nello stesso luogo. A un tratto, ci fu dal ciclo un fragore, come di vento impetuoso, e pervase tutta la casa dove essi si trovavano. E videro delle lingue che sembravano come di fuoco, dividersi e posarsi sopra ciascuno di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo il modo in cui lo Spirito concedeva loro di esprimersi. Ora in Gerusalemme dimoravano pii Giudei di ogni nazione che è sotto il cielo. Udito quel fragore, si radunò una gran folla che rimase sbalordita, perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua » (Atti c. 1).
Allora Pietro, insieme con gli undici, si fece avanti, alzò la voce e spiegò che quell’evento era stato predetto dal profeta Gioele e che Gesù, risuscitato dai morti, era stato costituito da Dio « Signore e Messia ». Molti presenti, sentendosi il cuore compunto, chiesero a Pietro e agli altri apostoli: « Fratelli, che cosa dobbiamo fare? ». E Pietro disse loro; « Convertitevi e ognuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo ».
Quelli dunque che accettarono la sua esortazione si fecero battezzare, e, in quel luogo, circa tremila persone si associarono alla Chiesa. Ed erano sempre assidui alle istruzioni degli apostoli, alle riunioni comuni, allo spezzamento del pane e alle orazioni. Il timore si era impadronito di ogni anima, poiché per mezzo degli apostoli avvenivano molti segni e prodigi. E tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. Anzi vendevano le proprietà e i beni, e ne distribuivano fra tutti il ricavato, in proporzione al bisogno di ciascuno. E frequentavano insieme e assiduamente il tempio ogni giorno; spezzavano il pane di casa in casa; mangiavano insieme con giocondità e semplicità di cuore, lodando Iddio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore, poi, associava alla Chiesa quelli che di giorno in giorno venivano salvati. (Ivi, c. 2).
La moltitudine dei credenti era di un sol cuore e di un’anima sola. Infatti tra loro non c’era alcun indigente, poiché tutti i padroni di campi o di case, man mano che li vendevano, portavano il ricavato delle cose vendute e lo mettevano a disposizione degli apostoli: poi veniva distribuito a ciascuno secondo la necessità che uno ne aveva.
E gli apostoli, frattanto, con grande energia rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e, verso tutti loro, c’era una gran simpatia. Sicché la moltitudine di uomini e donne credenti nel Signore andava aumentando sempre più. (Ivi, cc. 4 e 5).
Si mosse allora il sommo sacerdote con tutti i suoi seguaci. Al colmo della gelosia afferrarono gli apostoli e li misero nella prigione popolare. Un angelo li mette in libertà? Essi li fanno arrestare dal prefetto del tempio, dove stanno imperterriti a istruire il popolo, intimano loro, dopo averli fatti fustigare, di non parlare affatto nel nome di Gesù. Essi se ne vanno via dal sinedrio giulivi per essere stati ritenuti degni di subire oltraggi a causa di quel nome. E ogni giorno, nel tempio e per le case, continuano a insegnare e ad annunziare senza posa la buona novella del Messia Gesù, (Ivi, cap. 5) fino a tanto che il martirio di S. Stefano prima, e l’imprigionamento di S. Pietro poi, li costringe provvidenzialmente a disperdersi per il mondo allora conosciuto per fare discepole del Martire del Golgota tutte le nazioni.
Le notizie posteriori riguardanti S. Mattia sono contraddittorie. Tutte però concordano nel dirlo martire. Le sue reliquie, vere o presunte, sono venerate a Roma nella basilica di S. Maria Maggiore.

Autore: Guido Pettinati

 

Publié dans:SANTI APOSTOLI |on 13 mai, 2014 |Pas de commentaires »

COME ENTRARE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO DI DIO – di Sandro Magister

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350716?ref=hpchie

COME ENTRARE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO DI DIO

Papa Francesco rompe a sorpresa il suo silenzio sulla liturgia. « È la nube di Dio che ci avvolge tutti », dice. E invoca un ritorno al vero senso del sacro

di Sandro Magister

ROMA, 14 febbraio 2014 – A cinquant’anni dalla promulgazione del documento del concilio Vaticano II sulla liturgia, in Vaticano solennizzano l’avvenimento con un convegno di tre giorni alla pontificia università del Laterano, promosso dalla congregazione per il culto divino, il 18-20 di questo mese.
La liturgia non è apparsa finora in primo piano nella visione di papa Francesco. Nella lunga intervista-confessione a « La Civiltà Cattolica » della scorsa estate, ridusse la riforma liturgica conciliare a questa sbrigativa definizione: « un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta ».
Non una parola di più, se non per il « preoccupante rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione ».
Ma lunedì 10 febbraio, all’improvviso, Jorge Mario Bergoglio ha rotto il silenzio e ha dedicato alla liturgia l’intera omelia della messa mattutina nella cappella di Santa Marta. Dicendo cose che non aveva mai detto in precedenza, da quando è papa.
Quella mattina, nella messa si leggeva il primo libro dei Re, quando durante il regno di Salomone la nube, la gloria divina, riempì il tempio e « il Signore decise di abitare nella nube ».
Prendendo spunto da quella « teofania », papa Jorge Mario Bergoglio ha detto che « nella liturgia eucaristica Dio è presente », in modo ancor « più vicino » che nella nube nel tempio, la sua « è una presenza reale ».
E ha proseguito:
« Quando parlo di liturgia mi riferisco principalmente alla santa messa. La messa non è una rappresentazione, è un’altra cosa. È vivere un’altra volta la passione e la morte redentrice del Signore. È una teofania: il Signore si fa presente sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo ».

Più avanti il papa ha detto:
« La liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo metterci lì nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio. La liturgia è proprio entrare nel mistero di Dio, lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero. È la nube di Dio che ci avvolge tutti ».
E tornando a un suo ricordo d’infanzia:
« Io ricordo che da bambino, quando ci preparavano alla prima comunione, ci facevano cantare: “’O santo altare custodito dagli angeli”, e questo ci faceva capire che l’altare era davvero custodito dagli angeli, ci dava il senso della gloria di Dio, dello spazio di Dio, del tempo di Dio ».
Avviandosi alla conclusione, Francesco ha invitato i presenti a « chiedere oggi al Signore che dia a tutti questo senso del sacro, questo senso che ci faccia capire che una cosa è pregare a casa, pregare il rosario, pregare tante belle preghiere, fare la via crucis, leggere la bibbia, e un’altra cosa è la celebrazione eucaristica. Nella celebrazione entriamo nel mistero di Dio, in quella strada che noi non possiamo controllare. Lui soltanto è l’unico, lui è la gloria, lui è il potere. Chiediamo questa grazia: che il Signore ci insegni a entrare nel mistero di Dio ».
__________

L’omelia di papa Francesco del 10 febbraio nella sintesi che ne ha dato « L’Osservatore Romano »:
> A messa senza orologio
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LA COSTITUZIONE DEL CONCILIO VATICANO II SULLA LITURGIA, IL PRIMO DEI DOCUMENTI APPROVATI DA QUELL’ASSISE:
> Sacrosanctum Concilium
__________

Ed ecco come ne parlò Benedetto XVI nel discorso a braccio al clero di Roma del 14 febbraio 2013, esattamente un anno fa, uno degli ultimissimi atti del suo pontificato:
« Dopo la prima guerra mondiale era cresciuto, nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel messale del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la messa secondo il messale, ed i laici, che pregavano, nella messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare.
« Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse ‘Et cum spiritu tuo’ eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia.
« Io trovo adesso, retrospettivamente, che è stato molto buono cominciare con la liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’adorazione. ‘Operi Dei nihil praeponatur’: questa parola della Regola di san Benedetto (cfr. 43, 3) appare così come la suprema regola del Concilio. Qualcuno aveva criticato che il Concilio ha parlato su tante cose, ma non su Dio. Ha parlato su Dio! Ed è stato il primo atto e quello sostanziale: parlare su Dio e aprire tutta la gente, tutto il popolo santo, all’adorazione di Dio, nella comune celebrazione della liturgia del corpo e sangue di Cristo. In questo senso, al di là dei fattori pratici che sconsigliavano di cominciare subito con temi controversi, è stato, diciamo, realmente un atto di provvidenza che agli inizi del Concilio stia la liturgia, stia Dio, stia l’adorazione. Adesso non vorrei entrare nei dettagli della discussione, ma vale sempre la pena tornare, oltre le attuazioni pratiche, al Concilio stesso, alla sua profondità e alle sue idee essenziali.
« Ve n’erano, direi, diverse: soprattutto il mistero pasquale come centro dell’essere cristiano, e quindi della vita cristiana, dell’anno, del tempo cristiano, espresso nel tempo pasquale e nella domenica che è sempre il giorno della risurrezione. Sempre di nuovo cominciamo il nostro tempo con la risurrezione, con l’incontro con il Risorto, e dall’incontro con il Risorto andiamo al mondo. In questo senso, è un peccato che oggi si sia trasformata la domenica in fine settimana, mentre è la prima giornata, è l’inizio; interiormente dobbiamo tenere presente questo: che è l’inizio, l’inizio della creazione, è l’inizio della ri-creazione nella Chiesa, incontro con il Creatore e con Cristo risorto. Anche questo duplice contenuto della domenica è importante: è il primo giorno, cioè festa della creazione, noi stiamo sul fondamento della creazione, crediamo nel Dio creatore; e incontro con il Risorto, che rinnova la creazione; il suo vero scopo è creare un mondo che è risposta all’amore di Dio.
« Poi c’erano dei principi: l’intelligibilità, invece di essere rinchiusi in una lingua non conosciuta, non parlata, ed anche la partecipazione attiva. Purtroppo, questi principi sono stati anche male intesi. Intelligibilità non vuol dire banalità, perché i grandi testi della liturgia – anche se parlati, grazie a Dio, in lingua materna – non sono facilmente intelligibili, hanno bisogno di una formazione permanente del cristiano perché cresca ed entri sempre più in profondità nel mistero e così possa comprendere. Ed anche la Parola di Dio, se penso giorno per giorno alla lettura dell’Antico Testamento, anche alla lettura delle epistole paoline, dei Vangeli: chi potrebbe dire che capisce subito solo perché è nella propria lingua? Solo una formazione permanente del cuore e della mente può realmente creare intelligibilità ed una partecipazione che è più di una attività esteriore, che è un entrare della persona, del mio essere, nella comunione della Chiesa e così nella comunione con Cristo ».

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