Archive pour le 12 mai, 2014

Descente de crois, Rubens

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NOI, VASI DI CRETA, ALLA SCUOLA DEL BEATO LUIGI NOVARESE

http://www.sodcvs.org/cvsitalia/?p=2696

NOI, VASI DI CRETA, ALLA SCUOLA DEL BEATO LUIGI NOVARESE

Pubblicato il 10 agosto 2013 da Giovanni

“Chi più del malato possiede un tesoro in vasi di creta?”. Si è ispirato alla Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi mons. Tommaso Valentinetti, Arcivescovo della Diocesi di Pescara Penne, in occasione della Messa di ringraziamento per la beatificazione di mons. Luigi Novarese, tenutasi lo scorso 25 luglio. Erano in tanti, oltre al CVS, ad ascoltarlo nella parrocchia dello Spirito Santo di Pescara: l’Unitalsi, la Pastorale ospedaliera, la Consulta delle Aggregazioni Laicali, il Rinnovamento nello Spirito, la Pastorale familiare “Lui e Lei” e un gruppo di amici dell’associazione.
Nella sua omelia mons. Valentinetti, affiancato da don Luciano Volpe, don Giancarlo Mandelli e don Tommaso Fallica, ha ricordato così il Beato Luigi Novarese, apostolo dei malati:”Andò a cercare gli ammalati ovunque essi si trovavano, per ricomunicare ad essi la gioia di vivere e la serenità dentro un cammino di Fede che essi avevano il diritto di fare e di compiere in pienezza e in verità.” Guidato dalle parole di San Paolo ha proseguito: “Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta. Chi più del malato possiede un tesoro in vasi di creta? I malati sono richiamati da questa Parola a sentirsi investiti dalla grazia del Signore. Tribolati ma non schiacciati, sconvolti ma non disperati […] portando nel proprio corpo, la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.”
Con il linguaggio chiaro, immediato e coinvolgente che lo contraddistingue, Valentinetti ha raccontato di come il corpo e l’anima lacerata degli ammalati siano stati dentro il cuore di mons. Luigi Novarese e di come egli abbia creato stupende realtà associative per potersi inserire dentro la storia di ogni situazione umana, dentro la storia di coloro che portavano più da vicino la croce di nostro Signore.Al termine dell’omelia, l’Arcivescovo ha invitato l’assemblea a imitare il Beato, animati dallo stesso spirito di Fede che la pagina di S. Paolo suggerisce: “Ho creduto perciò ho parlato”. “Anche noi crediamo e perciò parliamo!”, ha concluso, “convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi. Sia questa la speranza nostra e la speranza di tutti i malati, che attraverso la figura e l’Opera di mons. Luigi Novarese si accostano al Signore, alla Parola di Dio e ai Sacramenti. Che siano sempre più pronti a donare tutto e senza riserve. A donare per amore e solo per amore. Il Signore ci illumini e ci faccia comprendere l’abbondanza di questo insegnamento e la vita di quest’uomo che ha donato tutto sé stesso per il bene delle anime, per il bene degli ammalati”.
Un grazie di cuore all’Arcivescovo, ai Presbiteri, ai Diaconi Giancarlo Cirillo e Laurino Circeo, agli Accoliti, al coro parrocchiale che ha animato la liturgia e a quanti sono intervenuti per lodare insieme il Signore per le meraviglie che ha operato nel Beato Luigi Novarese!

Lucia Maiolino

IL BENE DEL MATRIMONIO

http://www.madonnadellasalutevr.it/index.php?option=com_content&view=article&id=17&Itemid=19

IL BENE DEL MATRIMONIO

« Abbiamo questo tesoro in vasi di creta », ha scritto S. Paolo parlando del ministero apostolico. Penso che si possa dire lo stesso anche del matrimonio: un vero e proprio tesoro, anche se depositato in vasi di creta. Vorrei aiutarvi colla seguente riflessione a prendere coscienza della bontà, della preziosità insita nel matrimonio. Il mio quindi non sarà un discorso esortativo-morale; né sarà una diagnosi della condizione in cui versa oggi il matrimonio nella società civile. Più semplicemente: sarà una riflessione sulla verità del matrimonio dalla quale possa venire a voi, lo spero, gioia grande nello spirito. Ci farà da guida l’insegnamento del Concilio Vaticano II [cfr. Cost. Past. Gaudium et spes 48] che distingue la bontà, il valore intrinseco del matrimonio in quanto istituito da Dio creatore, e l’abbondanza delle benedizioni effuse da Cristo redentore elevandolo alla dignità di sacramento.

La bontà naturale del matrimonio
La persona umana è uomo e donna. Possiamo chiederei: c’è una ragione intrinseca a questo fatto? Perché l’ humanum si realizza in due modi o forme, il modo della mascolinità ed il modo della femminilità? Qualcuno potrebbe rispondere che è una costante biologica. Da un certo grado in poi nella scala dei viventi la modalità con cui si assicura una migliore continuità della specie, è il dimorfismo sessuale. La risposta è solo parzialmente vera, e soprattutto ha un approccio al problema quanto meno rischioso. Che sia parzialmente vera non compete a me dimostrarlo: è un fatto verificabile nei modi propri della verifica scientifica. Mi preme maggiormente fermarmi sull’altro punto. È rischioso avere un approccio alla problematica antropologica « partendo dal basso », facendo cioè un ragionamento più o meno di questo tipo: « come in tutte le specie viventi da un certo livello in poi .. così anche nell’uomo … ». Il rischio è che questa metodologia impedisce di capire l’originalità della persona, la sua incomparabile unicità, riducendola ad un « caso » di legge generale. Ritorniamo dunque alla nostra domanda per cercare una risposta più adeguata. Essa ci è suggerita dalle prime pagine della S. Scrittura. Nel secondo capitolo della Genesi la creazione della persona umana-donna è spiegata colla esigenza della persona umana-uomo di uscire dalla sua originaria solitudine. Non date a questa parola « solitudine » il significato indebolito psicologico che ha nel nostro linguaggio comune, una sorta di malessere psichico. Ha un significato ontologico: non riguarda il sentire ma l’essere della persona. Solitudine significa impossibilità di comunicare con un altro da sé; significa incompletezza quanto all’essere: è meno persona dal momento che è « sola » ["non è bene... "]. La creazione della persona umana-donna rende possibile l’uscita da sé da parte della persona umana-uomo: rende possibile la comunione con un altro e quindi la comunicazione. Non a caso le prime parole che l’uomo dice, le dice alla donna: diventa capace di parlare perché diventa capace di comunicare; diventa capace di comunicare perché diventa capace di comunione. La sequenza è: linguaggio ? comunicazione ? comunione. Fate bene attenzione. La persona che rende possibile la comunione è la persona-donna. È un modo di essere persona diverso, espresso nella corporeità sessuale femminilmente configurata. Detto in un modo un poco rozzo. Non è creando un secondo uomo che l’uomo sarebbe uscito dalla sua solitudine: si sarebbe trovato di fronte un altro se stesso, e non un … « altro altro ». La comunione interpersonale è possibile se esiste un altro in senso vero e proprio, ma che nello stesso tempo abbia la stessa dignità ontologica di persona. Questa breve riflessione ci dà tutti gli elementi necessari per costruire la risposta alla nostra domanda. La mascolinità e la femminilità sono il « simbolo reale » dell’originaria relazionalità della persona umana. Spiego analiticamente questa fondamentale affermazione. Per capire che cosa è un « simbolo reale » dobbiamo tener presente che esiste non solo il linguaggio informativo ma anche performativo. Faccio un esempio. Se dico ad una persona: « ti ringrazio », uso un linguaggio informativo. Esprimo a quella persona che ho nei suoi confronti un attitudine di gratitudine. Ma non solo. Nello stesso tempo in cui dico « ti ringrazio », compio anche di fatto un atto di ringraziamento. Non è sempre così il nostro linguaggio. Il « simbolo reale » è un segno, è un linguaggio e informativo e performativo. La costituzione sessuale della persona esprime » dice, « informa » che essa [la persona] è originariamente in relazione: è costituita dentro la relazione. Ma nello stesso tempo la costituzione sessuale rende possibile, è in grado di realizzare una vera e propria comunione interpersonale. Ho usato spesso la parola « originario/a ». Che cosa significa? Due cose. Primo, che la natura della persona umana è fatta in questo modo; secondo che la libertà non è sradicata da questa costituzione ma ne è responsabile; le è data come compito. « In tal modo, il corpo umano, contrassegnato dal sigillo della mascolinità o della femminilità, racchiude fin dal principio l’attributo sponsale, cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo essere e del suo esistere » [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Esperta in umanità (31.5.2004) 6,3; EV 22/2796]. Non si dimentichi che come ogni linguaggio, anche il linguaggio della sessualità ha la sua propria « grammatica ». Se non viene rispettata, il linguaggio o diventa incomprensibile o veicola significati falsi. Da quanto abbiamo detto finora la grammatica del linguaggio sessuale è la grammatica del dono di sé. Riprendiamo ora l’inizio della nostra riflessione. La riflessione fatta finora ci ha fatto scoprire che il matrimonio è un « tesoro ». Esso è la prima e in un certo senso la fondamentale espressione e realizzazione della costituzione relazionale della persona umana, e della chiamata della medesima alla comunione. E il simbolo reale che il matrimonio è questo, è che solo in esso si pongono le condizioni perché venga all’esistenza una nuova persona in modo adeguato alla sua dignità. La verità del matrimonio libera la persona dal rischio che essa si inabissi in un confronto sterile e alla fine mortale solo con se stessa [cfr. doc. cit.; 2794]. E la paternità-maternità è la perfetta uscita da sé, l’autodonazione che realizza nella pienezza la comunione fra l’uomo e la donna. Il matrimonio è un grande bene che vi è stato donato perché è la possibilità di realizzare in pienezza voi stessi nell’unico modo vero: nel dono di sé sponsale e genitoriale.

2. La bontà soprannaturale del matrimonio
Entriamo ora nell’universo della fede. In esso la preziosità propria del matrimonio è stata elevata a dignità sublime. Cercherò ora di balbettare qualcosa al riguardo, partendo da un’esperienza molto semplice. Sicuramente ci è capitato di dire: « questa persona è più bella di quella », oppure « questa musica, questa chiesa, questa città è più bella di quella… ». Noi cioè siamo capaci di istituire una gradazione all’ interno della stessa perfezione [nell' esempio: la bellezza]. Quest’ operazione spirituale è possibile perché abbiamo una qualche sia pure oscura percezione della perfezione in questione al grado puro, al grado sommo. Altrimenti come potremmo dire « più-meno » se non avessimo una misura con cui misurare il grado di perfezione? Non solo. L’essere « più » o « meno » [e.g. bello/a] non può spiegarsi che in base alla più o meno intensa partecipazione a quella perfezione e al suo stato puro. Lo dice la parola stessa, partecipazione, cioè « prendere-parte ». È nel prendere parte è possibile un più e un meno. Che cosa accade in un uomo ed in una donna che si sposano « in Cristo », che ricevono cioè il sacramento del matrimonio? Sono resi partecipi dello stesso amore di Cristo quale si è realizzato nella sua perfezione pura sulla croce. L’apostolo Giovanni introduce il racconto della passione del Signore scrivendo che in essa l’amore di Gesù giunse alla sua suprema perfezione. Mediante il sacramento del matrimonio, l’uomo e la donna sono resi partecipi e quindi capaci di amarsi collo stesso amore, con cui Cristo ha amato, anche se, ovviamente, non colla stessa misura. L’amore sponsale di due sposi cristiani è della stessa natura, anche se di misura diversa dell’amore di Cristo crocefisso. Fate bene attenzione: non sto parlando di un compito, sto parlando di una grazia; non sto parlando di un impegno, sto parlando di un dono. Per riceverlo non è chiesto di più che la volontà di sposarsi « in Cristo » cioè di celebrare non il matrimonio semplicemente ma il matrimonio-sacramento. Nulla di meno; ma neanche nulla di più. Potete ora capire perché nella fede la preziosità propria del matrimonio è elevata a dignità sublime. Alla fine del punto precedente vi dicevo che il matrimonio è un grande bene perché esso dona all’uomo e alla donna la possibilità di realizzare se stessi nel modo vero, cioè nel dono di sé. Nel sacramento questa possibilità viene inabitata e come investita da una possibilità umano-divina, quella di Cristo crocefisso. C’è un altro aspetto su cui voglio attirare la vostra attenzione. Abbiamo questo tesoro in vasi di creta, ci dice l’Apostolo. Vi ho parlato poc’anzi della « grammatica » del dono che crea comunione fra l’uomo e la donna. Ma il linguaggio sessuale può essere detto seguendo la « grammatica » del possesso che genera conflitto fra l’uomo e la donna. La preziosità è stata deturpata, la correlazione originaria è stata ferita: ha bisogno di essere guarita. Inseriti nel mistero della Croce, l’uomo e la donna sposi sono guariti dalla grazia di Cristo, e sono riportati ad una comunione nella quale la concupiscenza può essere vinta. È certo un cammino difficile e lungo. « Nella forza della risurrezione è possibile la vittoria della fedeltà sulle debolezze, sulle ferite subite e sui peccati della coppia. Nella grazia del Cristo che rinnova il loro cuore, l’uomo e la donna diventano capaci di liberarsi del peccato e di conoscere la gioia del dono reciproco » [Congregazione della Dottrina della Fede, Dich. Esperta].

Conclusione
Mi piace concludere con un testo di K. Woitila. « Creare qualcosa che rispecchi l’Essere e l’Amore assoluto è forse la cosa più straordinaria che esista. Ma si campa senza rendersene conto » [in Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2001, pago 869]. È detto tutto. È « il tesoro »: « creare qualcosa », dare cioè origine alla comunione sponsale e famigliare; « che rispecchi l’Essere e l’Amore assoluti »; la costitutiva correlazione della persona umana è ad immagine di Dio. Ma il tesoro « è deposto in vasi di creta », poiché « si campa anche senza rendersene conto ». Ed allora, « l’amore è una sfida continua. Dio stesso forse ci sfida affinché noi stessi sfidiamo il destino » [ibid. pago 849].

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