Archive pour le 19 mai, 2014

THE DESCENT TO HELL

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« GESU’ CRISTO DISCESE AGLI INFERI, RISUSCITO’ DAI MORTI IL TERZO GIORNO »

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« GESU’ CRISTO DISCESE AGLI INFERI, RISUSCITO’ DAI MORTI IL TERZO GIORNO »

631 Gesù era disceso nelle regioni inferiori della terra: « Colui che discese è lo stesso che anche ascese »( Ef 4,10 ). Il Simbolo degli Apostoli professa in uno stesso articolo di fede la discesa di Cristo agli inferi e la sua Risurrezione dai morti il terzo giorno, perché nella sua Pasqua egli dall’abisso della morte ha fatto scaturire la vita:

Cristo, tuo Figlio,
che, risuscitato dai morti,
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena,
e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen [Messale Romano, Veglia Pasquale, Exultet].

Paragrafo 1
CRISTO DISCESE AGLI INFERI
632 Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù « è risuscitato dai morti » ( At 3,15; Rm 8,11; 1Cor 15,20 ) presuppongono che, preliminarmente alla Risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti [Cf Eb 13,20 ]. E’ il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri [Cf 1Pt 3,18-19 ].
633 La Scrittura chiama inferi, shéol o ade [Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9 ] il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio [Cf Sal 6,6; Sal 88,11-13 ]. Tale infatti è, nell’attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; [Cf Sal 89,49; 633 1Sam 28,19; Ez 32,17-32 ] il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel « seno di Abramo » [Cf Lc 16,22-26 ]. « Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all’inferno » [Catechismo Romano, 1, 6, 3]. Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati [Cf Concilio di Roma (745): Denz. -Schönm., 587] né per distruggere l’inferno della dannazione, [Cf Benedetto XII, Opuscolo Cum dudum: Denz. -Schönm., 1011; Clemente VI, Lettera Super quibusdam: ibid., 1077] ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto [Cf Concilio di Toledo IV (625): Denz. -Schönm., 485; cf anche Mt 27,52-53 ].
634 « La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti. . .  » ( 1Pt 4,6 ). La discesa agli inferi è il pieno compimento dell’annunzio evangelico della salvezza. E’ la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell’opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della Redenzione.
635 Cristo, dunque, è disceso nella profondità della morte [Cf Mt 12,40; Rm 10,7; Ef 4,9 ] affinché i morti udissero la voce del Figlio di Dio e, ascoltandola, vivessero [Cf Gv 5,25 ]. Gesù « l’Autore della vita » ( At 3,15 ) ha ridotto « all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo » liberando « così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita » ( Eb 2,14-15 ). Ormai Cristo risuscitato ha « potere sopra la morte e sopra gli inferi » ( Ap 1,18 ) e « nel nome di Gesù ogni ginocchio » si piega « nei cieli, sulla terra e sotto terra » ( Fil 2,10 ).
Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. . . Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione. . . « Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti » [Da un'antica "Omelia sul Sabato Santo": PG 43, 440A. 452C, cf Liturgia delle Ore, II, Ufficio delle letture del Sabato Santo].
In sintesi
636 Con l’espressione « Gesù discese agli inferi », il Simbolo professa che Gesù è morto realmente e che, mediante la sua morte per noi, egli ha vinto la morte e il diavolo « che della morte ha il potere » ( Eb 2,14 ).
637 Cristo morto, con l’anima unita alla sua Persona divina è disceso alla dimora dei morti. Egli ha aperto le porte del cielo ai giusti che l’avevano preceduto.

Paragrafo 2
IL TERZO GIORNO RISUSCITO’ DAI MORTI
638 « Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù » ( At 13,32-33 ). La Risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale insieme con la croce:

Cristo è risuscitato dai morti.
Con la sua morte ha vinto la morte,
Ai morti ha dato la vita [Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua].

I. L’avvenimento storico e trascendente
639 Il mistero della Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento. Già verso l’anno 56 san Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: « Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici » ( 1Cor 15,3-4 ). L’Apostolo parla qui della tradizione viva della Risurrezione che egli aveva appreso dopo la sua conversione alle porte di Damasco [Cf At 9,3-18 ].
Il sepolcro vuoto
640 « Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato » ( Lc 24,5-6 ). Nel quadro degli avvenimenti di Pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto. Non è in sé una prova diretta. L’assenza del corpo di Cristo nella tomba potrebbe spiegarsi altrimenti [Cf Gv 20,13; 640 Mt 28,11-15 ]. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha costituito per tutti un segno essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso il riconoscimento dell’evento della Risurrezione. Dapprima è il caso delle pie donne, [Cf Lc 24,3; Lc 24,22-23 ] poi di Pietro [Cf Lc 24,12 ]. « Il discepolo. . . che Gesù amava » ( Gv 20,2 ) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo « le bende per terra » ( Gv 20,6 ), « vide e credette » ( Gv 20,8 ). Ciò suppone che egli abbia constatato, dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, [Cf Gv 20,5-7 ] che l’assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro [Cf Gv 11,44 ].
Le apparizioni del Risorto
641 Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l’imbalsamazione del Corpo di Gesù, [Cf Mc 16,1; Lc 24,1 ] sepolto in fretta la sera del Venerdì Santo a causa del sopraggiungere del Sabato, [Cf Gv 19,31; Gv 19,42 ] sono state le prime ad incontrare il Risorto [Cf Mt 28,9-10; 641 Gv 20,11-18 ]. Le donne furono così le prime messaggere della Risurrezione di Cristo per gli stessi Apostoli [Cf Lc 24,9-10 ]. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai Dodici [Cf 1Cor 15,5 ]. Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, [Cf Lc 22,31-32 ] vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua testimonianza che la comunità esclama: « Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone » ( Lc 24,34 ).
642 Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli Apostoli – e Pietro in modo del tutto particolare – nella costruzione dell’era nuova che ha inizio con il mattino di Pasqua. Come testimoni del Risorto essi rimangono le pietre di fondazione della sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Questi testimoni della Risurrezione di Cristo [Cf At 1,22 ] sono prima di tutto Pietro e i Dodici, ma non solamente loro: Paolo parla chiaramente di più di cinquecento persone alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli [Cf 1Cor 15,4-8 ].
643 Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la Risurrezione di Cristo al di fuori dell’ordine fisico e non riconoscerla come un avvenimento storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro da lui stesso preannunziata [Cf Lc 22,31-32 ]. Lo sbigottimento provocato dalla passione fu così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della Risurrezione. Lungi dal presentarci una comunità presa da una esaltazione mistica, i Vangeli ci presentano i discepoli smarriti [Avevano il "volto triste": Lc 24,17 ] e spaventati, [Cf Gv 20,19 ] perché non hanno creduto alle pie donne che tornavano dal sepolcro e « quelle parole parvero loro come un vaneggiamento » ( Lc 24,11 ) [ Cf Mc 16,11; Mc 16,13 ]. Quando Gesù si manifesta agli Undici la sera di Pasqua, li rimprovera « per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato » ( Mc 16,14 ).
644 Anche messi davanti alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora, [Cf Lc 24,38 ] tanto la cosa appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma [Cf Lc 24,39 ]. « Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti » ( Lc 24,41 ). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio [Cf Gv 20,24-27 ] e, quando vi fu l’ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, « alcuni. . . dubitavano » ( Mt 28,17 ). Per questo l’ipotesi secondo cui la Risurrezione sarebbe stata un « prodotto » della fede (o della credulità) degli Apostoli, non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella Risurrezione è nata – sotto l’azione della grazia divina – dall’esperienza diretta della realtà di Gesù Risorto.
Lo stato dell’umanità di Cristo risuscitata
645 Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto [Cf Lc 24,39; 645 Gv 20,27 ] e la condivisione del pasto [Cf Lc 24,30; 645 Lc 24,41-43; Gv 21,9; Gv 21,13-15 ]. Li invita a riconoscere da ciò che egli non è un fantasma, [Cf Lc 24,39 ] ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione [Cf Lc 24,40; 645 Gv 20,20; Gv 20,27 ]. Questo corpo autentico e reale possiede però al tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, [Cf Mt 28,9; Mt 28,16-17; Lc 24,15; 645 Lc 24,36; Gv 20,14; Gv 20,19; Gv 20,26; Gv 21,4 ] poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre [Cf Gv 20,17 ]. Anche per questa ragione Gesù risorto è sovranamente libero di apparire come vuole: sotto l’aspetto di un giardiniere [Cf Gv 20,14-15 ] o sotto altre sembianze, [Cf Mc 16,12 ] che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede [Cf Gv 20,14; Gv 20,16; 645 Gv 21,4; Gv 20,7 ].
646 La Risurrezione di Cristo non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le risurrezioni che egli aveva compiute prime della Pasqua: quelle della figlia di Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena « ordinaria ». Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La Risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo Corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un’altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il Corpo di Gesù è, nella Risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è « l’uomo celeste » [Cf 1Cor 15,35-50 ].
La Risurrezione come evento trascendente
647 « O notte – canta l’ »Exultet » di Pasqua – tu solo hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi ». Infatti, nessuno è stato testimone oculare dell’avvenimento stesso della Risurrezione e nessun evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più intima, il passaggio ad un’altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la Risurrezione resta non di meno, in ciò in cui trascende e supera la storia, al cuore del Mistero della fede. Per questo motivo Cristo risorto non si manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli, [Cf Gv 14,22 ] « a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme », i quali « ora sono i suoi testimoni davanti al popolo » ( At 13,31 ).

II. La Risurrezione – opera della Santissima Trinità
648 La Risurrezione di Cristo è oggetto di fede in quanto è un intervento trascendente di Dio stesso nella creazione e nella storia. In essa, le tre Persone divine agiscono insieme e al tempo stesso manifestano la loro propria originalità. Essa si è compiuta per la potenza del Padre che « ha risuscitato » ( At 2,24 ) Cristo, suo Figlio, e in questo modo ha introdotto in maniera perfetta la sua umanità con il suo Corpo nella Trinità. Gesù viene definitivamente « costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la Risurrezione dai morti » ( Rm 1,3-4 ). San Paolo insiste sulla manifestazione della potenza di Dio [Cf Rm 6,4; 2Cor 13,4; Fil 3,10; Ef 1,19-22; 648 Eb 7,16 ] per l’opera dello Spirito che ha vivificato l’umanità morta di Gesù e l’ha chiamata allo stato glorioso di Signore.
649 Quanto al Figlio, egli opera la sua propria Risurrezione in virtù della sua potenza divina. Gesù annunzia che il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, morire ed in seguito risuscitare (senso attivo della parola) [Cf Mc 8,31; Mc 9,9-31; 649 Mc 10,34 ]. Altrove afferma esplicitamente: « Io offro la mia vita, per poi riprenderla. . . ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla » ( Gv 10,17-18 ). « Noi crediamo. . . che Gesù è morto e risuscitato » ( 1Ts 4,14 ).
650 I Padri contemplano la Risurrezione a partire dalla Persona divina di Cristo che è rimasta unita alla sua anima e al suo corpo separati tra loro dalla morte: « Per l’unità della natura divina che permane presente in ciascuna delle due parti dell’uomo, queste si riuniscono di nuovo. Così la morte si è prodotta per la separazione del composto umano e la Risurrezione per l’unione delle due parti separate » [San Gregorio di Nissa, In Christi resurrectionem, 1: PG 46, 617B; cf anche "Statuta Ecclesiae Antiqua": Denz. -Schönm., 325; Anastasio II, Lettera In prolixitate epistolae: ibid. , 359; Ormisda, Lettera Inter ea quae: ibid. , 369; Concilio di Toledo XI: ibid., 539].

III. Senso e portata salvifica della Risurrezione
651 « Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la vostra fede » ( 1Cor 15,14 ). La Risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano, trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva promesso, della sua autorità divina.
652 La Risurrezione di Cristo è compimento delle promesse dell’Antico Testamento [Cf Lc 24,26-27; Lc 24,44-48 ] e di Gesù stesso durante la sua vita terrena [Cf Mt 28,6; Mc 16,7; Lc 24,6-7 ]. L’espressione « secondo le Scritture » ( 1Cor 15,3-4 e Simbolo di Nicea-Costantinopoli) indica che la Risurrezione di Cristo realizzò queste predizioni.
653 La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua Risurrezione. Egli aveva detto: « Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono » ( Gv 8,28 ). La Risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente « Io Sono », il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha potuto dichiarare ai Giudei: « La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi. . . risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo: « Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato »" ( At 13,32-33 ) [Cf Sal 2,7 ]. La Risurrezione di Cristo è strettamente legata al Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il disegno eterno di Dio.
654 Vi è un duplice aspetto nel Mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal peccato, con la sua Risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita. Questa è dapprima la giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio [Cf Rm 4,25 ] « perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova » ( Rm 6,4 ). Essa consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova partecipazione alla grazia [Cf Ef 2,4-5; 1Pt 1,3 ]. Essa compie l’adozione filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i suoi discepoli dopo la sua Risurrezione: « Andate ad annunziare ai miei fratelli » ( Mt 28,10; Gv 20,17 ). Fratelli non per natura, ma per dono della grazia, perché questa filiazione adottiva procura una reale partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è pienamente rivelata nella sua Risurrezione.
655 Infine, la Risurrezione di Cristo – e lo stesso Cristo risorto – è principio e sorgente della nostra risurrezione futura: « Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. . . ; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo » ( 1Cor 15,20-22 ). Nell’attesa di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. In lui i cristiani gustano « le meraviglie del mondo futuro » ( Eb 6,5 ) e la loro vita è trasportata da Cristo nel seno della vita divina: [Cf Col 3,1-3 ] « Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro » ( 2Cor 5,15 ).
In sintesi
656 La fede nella Risurrezione ha per oggetto un avvenimento storicamente attestato dai discepoli che hanno realmente incontrato il Risorto, ed insieme misteriosamente trascendente in quanto entrata dell’umanità di Cristo nella gloria di Dio.
657 La tomba vuota e le bende per terra significano già per se stesse che il Corpo di Cristo è sfuggito ai legami della morte e della corruzione, per la potenza di Dio. Esse preparano i discepoli all’incontro con il Risorto.
658 Cristo, « il primogenito di coloro che risuscitano dai morti » ( Col 1,18 ), è il principio della nostra Risurrezione, fin d’ora per la giustificazione della nostra anima , [Cf Rm 6,4 ] più tardi per la vivificazione del nostro corpo [Cf Rm 8,11 ].
Articolo 6
« GESU’ SALI’ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE »
659 « Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio » ( Mc 16,19 ). Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin dall’istante della sua Risurrezione, come lo provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in permanenza [Cf Lc 24,31; Gv 20,19; 659 Gv 20,26 ]. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli [Cf At 10,41 ] e li istruisce sul Regno, [Cf At 1,3 ] la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria [Cf Mc 16,12; Lc 24,15; Gv 20,14-15; Gv 21,4 ]. L’ultima apparizione di Gesù termina con l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube [Cf At 1,9; cf anche Lc 9,34-35; Es 13,22 ] e dal cielo [Cf Lc 24,51 ] ove egli siede ormai alla destra di Dio [Cf Mc 16,19; 659 At 2,33; At 7,56; cf anche Sal 110,1 ]. In un modo del tutto eccezionale ed unico egli si mostrerà a Paolo « come a un aborto » ( 1Cor 15,8 ) in un’ultima apparizione che costituirà apostolo Paolo stesso [Cf 1Cor 9,1; Gal 1,16 ].
660 Il carattere velato della gloria del Risorto durante questo tempo traspare nelle sue misteriose parole a Maria Maddalena: « Non sono ancora salito al Padre: ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro » ( Gv 20,17 ). Questo indica una differenza di manifestazione tra la gloria di Cristo risorto e quella di Cristo esaltato alla destra del Padre. L’avvenimento ad un tempo storico e trascendente dell’Ascensione segna il passaggio dall’una all’altra.
661 Quest’ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo realizzata nell’Incarnazione. Solo colui che è « uscito dal Padre » può far ritorno al Padre: Cristo [Cf Gv 16,28 ]. « Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo » ( Gv 3,13 ) [Cf Ef 4,8-10 ]. Lasciata alle sue forze naturali, l’umanità non ha accesso alla « Casa del Padre » ( Gv 14,2 ), alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto Cristo ha potuto aprire all’uomo questo accesso « per darci la serena fiducia che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria » [Messale Romano, Prefazio dell'Ascensione I].
662 « Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me » ( Gv 12,32 ). L’elevazione sulla croce significa e annunzia l’elevazione dell’Ascensione al cielo. Essa ne è l’inizio. Gesù Cristo, l’unico Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, « non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo. . ., ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore » ( Eb 9,24 ). In cielo Cristo esercita il suo sacerdozio in permanenza, « essendo egli sempre vivo per intercedere » a favore di « quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio » ( Eb 7,25 ). Come « sommo sacerdote dei beni futuri » ( Eb 9,11 ) egli è il centro e l’attore principale della Liturgia che onora il Padre nei cieli [Cf Ap 4,6-11 ].
663 Cristo, ormai, siede alla destra del Padre. « Per destra del Padre intendiamo la gloria e l’onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli come Dio e consustanziale al Padre, s’è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e la sua carne è stata glorificata » [San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4, 2, 2: PG 94, 1104D].
664 L’essere assiso alla destra del Padre significa l’inaugurazione del regno del Messia, compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio dell’uomo:  » [Il Vegliardo] gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto » ( Dn 7,14 ). A partire da questo momento, gli Apostoli sono divenuti i testimoni del « Regno che non avrà fine » [Simbolo di Nicea-Costantinopoli].

In sintesi
665 L’Ascensione di Cristo segna l’entrata definitiva dell’umanità di Gesù nel dominio celeste di Dio da dove ritornerà , [Cf At 1,11 ] ma che nel frattempo lo cela agli occhi degli uomini [Cf Col 3,3 ].
666 Gesù Cristo, Capo della Chiesa, ci precede nel Regno glorioso del Padre perché noi, membra del suo Corpo, viviamo nella speranza di essere un giorno eternamente con lui.
667 Gesù Cristo, essendo entrato una volta per tutte nel santuario del cielo, intercede incessantemente per noi come il mediatore che ci assicura la perenne effusione dello Spirito Santo.

Articolo 7
« DI LA’ VERRA’ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI »
I. Egli ritornerà nella gloria
Cristo regna già attraverso la Chiesa. . .
668 « Per questo Cristo è morto e ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi » ( Rm 14,9 ). L’Ascensione di Cristo al cielo significa la sua partecipazione, nella sua umanità, alla potenza e all’autorità di Dio stesso. Gesù Cristo è Signore: egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra. Egli è « al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione » perché il Padre « tutto ha sottomesso ai suoi piedi » ( Ef 1,21-22 ). Cristo è il Signore del cosmo [Cf Ef 4,10; 1Cor 15,24; 668 1Cor 15,27-28 ] e della storia. In lui la storia dell’uomo come pure tutta la creazione trovano la loro « ricapitolazione », [Cf Ef 1,10 ] il loro compimento trascendente.
669 Come Signore, Cristo è anche il Capo della Chiesa che è il suo Corpo [Cf Ef 1,22 ]. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente la sua missione, egli permane sulla terra, nella sua Chiesa. La Redenzione è la sorgente dell’autorità che Cristo, in virtù dello Spirito Santo, esercita sulla Chiesa, [Cf Ef 4,11-13 ] la quale è « il Regno di Cristo già presente in mistero ». La Chiesa « di questo Regno costituisce in terra il germe e l’inizio » [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 3; 5].
670 Dopo l’Ascensione, il disegno di Dio è entrato nel suo compimento. Noi siamo già nell’ »ultima ora » ( 1Gv 2,18 ) [Cf 1Pt 4,7 ]. « Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo; difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta » [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. Il Regno di Cristo manifesta già la sua presenza attraverso i segni miracolosi [Cf Mc 16,17-18 ] che ne accompagnano l’annunzio da parte della Chiesa [Cf Mc 16,20 ].
… nell’attesa che tutto sia a lui sottomesso
671 Già presente nella sua Chiesa, il Regno di Cristo non è tuttavia ancora compiuto « con potenza e gloria grande » ( Lc 21,27 ) [Cf Mt 25,31 ] mediante la venuta del Re sulla terra. Questo Regno è ancora insidiato dalle potenze inique, [Cf 2Ts 2,7 ] anche se esse sono già state vinte radicalmente dalla Pasqua di Cristo. Fino al momento in cui tutto sarà a lui sottomesso, [Cf 1Cor 15,28 ] « fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e attendono la manifestazione dei figli di Dio » [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. Per questa ragione i cristiani pregano, soprattutto nell’Eucaristia [Cf 1Cor 11,26 ] per affrettare il ritorno di Cristo [Cf 2Pt 3,11-12 ] dicendogli: « Vieni, Signore » ( 1Cor 16,22; Ap 22,17; Ap 22,20 ).
672 Prima dell’Ascensione Cristo ha affermato che non era ancora il momento del costituirsi glorioso del Regno messianico atteso da Israele, [Cf At 1,6-7 ] Regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, [Cf Is 11,1-9 ] l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, [Cf At 1,8 ] ma anche un tempo ancora segnato dalla « necessità » ( 1Cor 7,26 ) e dalla prova del male, [Cf Ef 5,16 ] che non risparmia la Chiesa [Cf 1Pt 4,17 ] e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi [Cf 1Gv 2,18; 1Gv 4,3; 1Tm 4,1 ]. E’ un tempo di attesa e di vigilanza [Cf Mt 25,1-13; 672 Mc 13,33-37 ].
La venuta gloriosa di Cristo, speranza di Israele
673 Dopo l’Ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, [Cf Ap 22,20 ] anche se non spetta a noi « conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta » ( At 1,7 ) [Cf Mc 13,32 ]. Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento [Cf Mt 24,44; 1Ts 5,2 ] anche se essa e la prova finale che la precederà sono « impedite » [Cf 2Ts 2,3-12 ].
674 La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia [Cf Rm 11,31 ] al riconoscimento di lui da parte di « tutto Israele » ( Rm 11,26; 674 Mt 23,39 ) a causa dell’ »indurimento di una parte » ( Rm 11,25 ) nell’incredulità [Cf Rm 11,20 ] verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la Pentecoste: « Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti » ( At 3,19-21 ). E san Paolo gli fa eco: « Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti? » ( Rm 11,15 ). « La partecipazione totale » degli Ebrei ( Rm 11,12 ) alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani [Cf Rm 11,25; Lc 21,24 ] permetterà al Popolo di Dio di arrivare « alla piena maturità di Cristo » ( Ef 4,13 ) nella quale « Dio sarà tutto in tutti » ( 1Cor 15,28 ).

IL SENTIMENTO DELLE COSE, LA CONTEMPLAZIONE DELLA BELLEZZA – JOSEPH RATZINGERm 2002

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2002: IL SENTIMENTO DELLE COSE, LA CONTEMPLAZIONE DELLA BELLEZZA|

MESSAGGIO DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER PER IL MEETING 2002.

Ogni anno, nella Liturgia delle Ore del Tempo di Quaresima, torna a colpirmi un paradosso che si trova nei Vespri del lunedì della seconda settimana del Salterio. Qui, l’una accanto all’altra, ci sono due antifone, una per il tempo di Quaresima, l’altra per la Settimana Santa. Entrambe introducono il Salmo 44, ma ne anticipano una chiave interpretativa del tutto contrapposta. E’ il Salmo che descrive le nozze del Re, la sua bellezza, le sue virtù, la sua missione, e poi si trasforma in un’esaltazione della sposa. Nel Tempo di Quaresima il salmo ha per cornice la stessa antifona che viene utilizzata per tutto il restante periodo dell’anno. E’ il terzo verso del salmo che recita: « Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia ». E’ chiaro che la Chiesa legge questo salmo come rappresentazione poetico-profetica del rapporto sponsale di Cristo con la Chiesa. Riconosce Cristo come il più bello tra gli uomini; la grazia diffusa sulle sue labbra indica la bellezza interiore della Sua parola, la gloria del Suo annuncio. Così, non è semplicemente la bellezza esteriore dell’apparizione del Redentore ad essere glorificata: in Lui appare piuttosto la bellezza della Verità, la bellezza di Dio stesso che ci attira a sé e allo stesso tempo ci procura la ferita dell’Amore, la santa passione (eros) che ci fa andare incontro, insieme alla e nella Chiesa Sposa, all’Amore che ci chiama. Ma il mercoledì della Settimana Santa la Chiesa cambia l’antifona e ci invita a leggere il Salmo alla luce di Is. 53,2: « Non ha bellezza né apparenza; l’abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore ». Come si concilia ciò? Il « più bello tra gli uomini » è misero d’aspetto tanto che non lo si vuol guardare. Pilato lo presenta alla folla dicendo:- « Ecce homo » onde suscitare pietà per l’Uomo sconvolto e percosso al quale non è rimasta alcuna bellezza esteriore. Agostino, che nella sua giovinezza scrisse un libro sul bello e sul conveniente e che apprezzava la bellezza nelle parole, nella musica, nelle arti figurative, percepì assai fortemente questo paradosso e si rese conto che in questo passo la grande filosofia greca del bello non veniva semplicemente rigettata, ma piuttosto messa drammaticamente in discussione: che cosa sia bello, che cosa la bellezza significhi avrebbe dovuto essere nuovamente discusso e sperimentato. Riferendosi al paradosso contenuto in questi testi egli parlava di « due trombe » che suonano in contrapposizione e pur tuttavia ricevono i loro suoni dal medesimo soffio, dallo stesso Spirito. Egli sapeva che il paradosso è una contrapposizione, ma non una contraddizione. Entrambe le citazioni provengono dallo stesso Spirito che ispira tutta la Scrittura, il quale però suona in essa con note differenti e, proprio in questo modo, ci pone di fronte alla totalità della vera bellezza, della verità stessa. Dal testo di Isaia scaturisce innanzitutto la questione, di cui si sono occupati i Padri della Chiesa, se Cristo fosse dunque bello oppure no. Qui si cela la questione più radicale se la bellezza sia vera, oppure se non sia piuttosto la bruttezza a condurci alla profonda verità del reale. Chi crede in Dio, nel Dio che si è manifestato proprio nelle sembianze alterate di Cristo crocifisso come amore « sino alla fine » (Gv 13,1) sa che la bellezza è verità e che la verità è bellezza, ma nel Cristo sofferente egli apprende anche che la bellezza della verità comprende offesa, dolore e, sì, anche l’oscuro mistero della morte, e che essa può essere trovata solo nell’accettazione del dolore, e non nell’ignorarlo.
Una prima consapevolezza del fatto che la bellezza abbia a che fare anche con il dolore è senz’altro presente anche nel mondo greco. Pensiamo, per esempio, al Fedro di Platone. Platone considera l’incontro con la bellezza come quella scossa emotiva salutare che fa uscire l’uomo da se stesso, lo « entusiasma » attirandolo verso altro da sé. L’uomo, così dice Platone, ha perso la per lui concepita perfezione dell’origine. Ora egli è perennemente alla ricerca della forma primigenia risanatrice. Ricordo e nostalgia lo inducono alla ricerca, e la bellezza lo strappa fuori dall’accomodamento del quotidiano. Lo fa soffrire. Noi potremmo dire, in senso platonico, che lo strale della nostalgia colpisce l’uomo, lo ferisce e proprio in tal modo gli mette le ali, lo innalza verso l’alto. Nel discorso di Aristofane del Simposio si afferma che gli amanti non sanno ciò che veramente vogliono l’uno dall’altro. E’ al contrario evidente che le anime di entrambi sono assetate di qualcos’altro che non sia il piacere amoroso. Questo « altro » però l’anima non riesce a esprimerlo, « ha solamente una vaga percezione di ciò che veramente essa vuole e ne parla a se stessa come un enigma ». Nel XIV secolo, nel libro sulla vita di Cristo del teologo bizantino Nicolas Kabasilas si ritrova questa esperienza di Platone, nella quale l’oggetto ultimo della nostalgia continua a rimanere senza nome, trasformato dalla nuova esperienza cristiana. Kabasilas afferma: « Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo ».
La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo. Ciò che afferma Platone e, più di 1500 anni dopo, Kabasilas non ha nulla a che fare con l’estetismo superficiale e con l’irrazionalismo, con la fuga dalla chiarezza e dall’importanza della ragione. Bellezza è conoscenza, certamente, una forma superiore di conoscenza poiché colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità. In ciò Kabasilas è rimasto interamente greco, in quanto egli pone la conoscenza all’inizio. « Origine dell’amore è la conoscenza – egli afferma – la conoscenza genera l’amore ». Occasionalmente –così prosegue – la conoscenza potrebbe essere talmente forte da sortire allo stesso tempo l’effetto di un filtro d’amore ». Egli non lascia questa affermazione in termini generali. Com’è caratteristico del suo pensiero rigoroso, egli distingue due tipi di conoscenza: la conoscenza attraverso l’istruzione che rimane conoscenza, per così dire, « di seconda mano » e non implica alcun contatto diretto con la realtà stessa. Il secondo tipo, al contrario, è conoscenza attraverso la propria esperienza, attraverso il rapporto con le cose. « Quindi, fintanto che noi non abbiamo fatto esperienza di un essere concreto, non amiamo l’oggetto così come esso dovrebbe essere amato ». La vera conoscenza è essere colpiti dal dardo della bellezza che ferisce l’uomo, essere toccati dalla realtà, « dalla personale presenza di Cristo stesso » come egli dice. L’essere colpiti e conquistati attraverso la bellezza di Cristo è conoscenza più reale e più profonda della mera deduzione razionale. Non dobbiamo certo sottovalutare il significato della riflessione teologica, del pensiero teologico esatto e rigoroso: esso rimane assolutamente necessario. Ma da qui, disdegnare o respingere il colpo provocato dalla corrispondenza del cuore nell’incontro con la bellezza come vera forma della conoscenza, ci impoverisce e inaridisce la fede, così come la teologia. Noi dobbiamo ritrovare questa forma di conoscenza, è un’esigenza pressante del nostro tempo.
A partire da questa concezione Hans Urs von Balthasar ha edificato il suo Opus magnum dell’Estetica teologica, della quale molti dettagli sono stati recepiti nel lavoro teologico, mentre la sua impostazione di fondo, che costituisce veramente l’elemento essenziale del tutto, non è stata affatto accolta. Questo non è beninteso semplicemente solo, o meglio, non è principalmente un problema della teologia, ma anche della pastorale che deve nuovamente favorire l’incontro dell’uomo con la bellezza della fede. Gli argomenti cadono così spesso nel vuoto perché nel nostro mondo troppe argomentazioni contrapposte concorrono le une con le altre, tanto che all’uomo viene spontaneo il pensiero che i teologi medievali avevano così formulato: la ragione « ha un naso di cera », ossia la si può indirizzare, se solo si è abbastanza abili, nelle più svariate direzioni. Tutto è così assennato, così convincente, di chi dobbiamo fidarci? L’incontro con la bellezza può diventare il colpo del dardo che ferisce l’anima ed in questo modo le apre gli occhi, tanto che ora l’anima, a partire dall’esperienza, ha dei criteri di giudizio ed è anche in grado di valutare correttamente gli argomenti. Resta per me un’ esperienza indimenticabile il concerto di Bach diretto da Leonard Bernstein a Monaco di Baviera dopo la precoce scomparsa di Karl Richter. Ero seduto accanto al vescovo evangelico Hanselmann. Quando l’ultima nota di una delle grandi Thomas-Kantor-Kantaten si spense trionfalmente, volgemmo lo sguardo spontaneamente l’uno all’altro e altrettanto spontaneamente ci dicemmo:- « Chi ha ascoltato questo, sa che la fede è vera ». In quella musica era percepibile una forza talmente straordinaria di realtà presente da rendersi conto, non più attraverso deduzioni, bensì attraverso l’urto del cuore, che ciò non poteva avere origine dal nulla, ma poteva nascere solo grazie alla forza della verità che si attualizza nell’ispirazione del compositore. E la stessa cosa non è forse evidente quando ci lasciamo commuovere dall’icona della Trinità di Rublëv? Nell’arte delle icone, come pure nelle grandi opere pittoriche occidentali del romanico e del gotico, l’esperienza descritta da Kabasilas, partendo dall’interiorità, si è resa visibile e partecipabile. Pavel Evdokimov ha indicato in maniera così pregnante quale percorso interiore l’icona presupponga. L’icona non è semplicemente la riproduzione di quanto è percepibile con i sensi, ma piuttosto presuppone, come egli afferma, un « digiuno della vista ». La percezione interiore deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la « gloria di Dio sul volto di Cristo » (2, Cor 4,6). Ammirare le icone, e in generale i grandi quadri dell’arte cristiana, ci conduce per una via interiore, una via del superamento di sé e quindi, in questa purificazione dello sguardo, che è una purificazione del cuore, ci rivela la bellezza, o almeno un raggio di essa. Proprio così essa ci pone in rapporto con la forza della verità. Io ho spesso già affermato essere mia convinzione che la vera apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i Santi, dall’altro la bellezza che la fede ha generato. Affinché oggi la fede possa crescere dobbiamo condurre noi stessi e gli uomini in cui ci imbattiamo a incontrare i Santi, a entrare in contatto con il bello.
Ora però dobbiamo rispondere ancora ad un’obiezione. Abbiamo già respinto l’affermazione secondo cui quanto finora sostenuto sarebbe una fuga nell’irrazionale, nel mero estetismo. E’ vero piuttosto l’opposto: proprio così la ragione viene liberata dal suo torpore e resa capace di azione. Maggior peso ha oggi un’altra obiezione: il messaggio della bellezza viene messo completamente in dubbio attraverso il potere della menzogna, della seduzione, della violenza, del male. Può la bellezza essere autentica, oppure, alla fine, non è che un’illusione? La realtà non è forse in fondo malvagia? La paura che, alla fine, non sia lo strale del bello a condurci alla verità, ma che la menzogna, ciò che è brutto e volgare costituiscano la vera « realtà » ha angosciato gli uomini in ogni tempo. Nel presente ha trovato espressione nell’ affermazione secondo cui dopo Auschwitz non si sarebbe più potuto fare poesia, dopo Auschwitz non si sarebbe più potuto parlare di un Dio buono. Ci si domanda: dov’era finito Dio quando funzionavano i forni crematori? Ora questa obiezione, per la quale esistevano motivi sufficienti ancora prima di Auschwitz, in tutte le atrocità della storia, indica in ogni caso che un concetto puramente armonioso di bellezza non è sufficiente. Non regge il confronto con la gravità della messa in discussione di Dio, della verità, della bellezza. Apollo, che per il Socrate di Platone era « il Dio » e il garante della imperturbata bellezza come « il veramente divino », non basta assolutamente più. In questo modo ritorniamo alle « due trombe » della Bibbia dalle quali eravamo partiti, al paradosso per cui di Cristo si possa dire sia « Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo », sia « Non ha apparenza né bellezza…… il suo volto è sfigurato dal dolore ». Nella passione di Cristo l’estetica greca, così degna di ammirazione per il suo presentito contatto con il divino, che pure le resta indicibile, non viene rimossa, bensì superata. L’esperienza del bello ha ricevuto una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la Bellezza stessa si è lasciato colpire in volto, sputare addosso, incoronare di spine – la Sacra Sindone di Torino può farci immaginare tutto questo in maniera toccante. Ma proprio in questo Volto così sfigurato appare l’autentica, estrema bellezza: la bellezza dell’amore che arriva « sino alla fine » e che, appunto in questo, si rivela più forte della menzogna e della violenza. Chi ha percepito questa bellezza sa che proprio la verità, e non la menzogna, è l’ultima istanza del mondo. Non la menzogna è « vera », bensì proprio la verità. E’ per così dire un nuovo trucco della menzogna presentarsi come « verità » e dirci: al di là di me non c’e in fondo nulla, smettete di cercare la verità o addirittura di amarla; così facendo siete sulla strada sbagliata. L’icona di Cristo crocifisso ci libera da questo inganno oggi dilagante. Tuttavia essa pone come condizione che noi ci lasciamo ferire insieme a lui e crediamo all’Amore, che può rischiare di deporre la bellezza esteriore per annunciare, proprio in questo modo, la verità della bellezza.
La menzogna conosce comunque anche un altro stratagemma: la bellezza mendace, falsa, una bellezza abbagliante che non fa uscire gli uomini da sé per aprirli nell’estasi dell’innalzarsi verso l’alto, bensì li imprigiona totalmente in se stessi. E’ quella bellezza che non risveglia la nostalgia per l’indicibile, la disponibilità all’offerta, all’abbandono di sé, ma ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di piacere. E’ quel tipo di esperienza della bellezza di cui la Genesi parla nel racconto del peccato originale: Eva vide che il frutto dell’albero era « bello » da mangiare ed era « piacevole all’occhio ». La bellezza, così come ne fa esperienza, risveglia in lei la voglia del possesso, la fa ripiegare per così dire su se stessa. Chi non riconoscerebbe, ad esempio nella pubblicità, quelle immagini che con estrema abilità sono fatte per tentare irresistibilmente l’uomo ad appropriarsi di ogni cosa, a cercare il soddisfacimento del momento anziché l’ aprirsi ad altro da sé? Così l’ arte cristiana si trova oggi ( e forse già da sempre) tra due fuochi: deve opporsi al culto del brutto il quale ci dice che ogni altra cosa, ogni bellezza è inganno e solo la rappresentazione di quanto è crudele, basso, volgare, sarebbe la verità e la vera illuminazione della conoscenza. E deve contrastare la bellezza mendace che rende l’uomo più piccolo, anziché renderlo grande e che, proprio per questo, è menzogna.
Chi non ha conosciuto la molto citata frase di Dostoevskij: « La bellezza ci salverà? » Ci si dimentica però nella maggior parte dei casi di ricordare che Dostoevskij intende qui la bellezza redentrice di Cristo. Dobbiamo imparare a vederLo. Se noi Lo conosciamo non più solo a parole ma veniamo colpiti dallo strale della sua paradossale bellezza, allora facciamo veramente la Sua conoscenza e sappiamo di Lui non solo per averne sentito parlare da altri. Allora abbiamo incontrato la bellezza della verità, della verità redentrice. Nulla ci può portare di più a contatto con la bellezza di Cristo stesso che il mondo del bello creato dalla fede e la luce che risplende sul volto dei Santi, attraverso la quale diventa visibile la Sua propria Luce.

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