Archive pour le 9 mai, 2014

San Pietro Apostolo

San Pietro Apostolo dans immagini sacre pierre
http://www.atelier-st-andre.net/en/pages/gallery/enicon32.html

Publié dans:immagini sacre |on 9 mai, 2014 |Pas de commentaires »

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE – BENEDETTO XVI 2011

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2011/documents/hf_ben-xvi_hom_20110612_pentecoste_it.html

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

domenica, 12 giugno 2011

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi la grande solennità della Pentecoste. Se, in un certo senso, tutte le solennità liturgiche della Chiesa sono grandi, questa della Pentecoste lo è in una maniera singolare, perché segna, raggiunto il cinquantesimo giorno, il compimento dell’evento della Pasqua, della morte e risurrezione del Signore Gesù, attraverso il dono dello Spirito del Risorto. Alla Pentecoste la Chiesa ci ha preparato nei giorni scorsi con la sua preghiera, con l’invocazione ripetuta e intensa a Dio per ottenere una rinnovata effusione dello Spirito Santo su di noi. La Chiesa ha rivissuto così quanto è avvenuto alle sue origini, quando gli Apostoli, riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme, «erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,14). Erano riuniti in umile e fiduciosa attesa che si adempisse la promessa del Padre comunicata loro da Gesù: «Voi, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo…riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (At 1,5.8).

Nella liturgia della Pentecoste, al racconto degli Atti degli Apostoli sulla nascita della Chiesa (cfr At 2,1-11), corrisponde il salmo 103 che abbiamo ascoltato: una lode dell’intera creazione, che esalta lo Spirito Creatore il quale ha fatto tutto con sapienza: «Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature…Sia per sempre la gloria del Signore; gioisca il Signore delle sue opere» (Sal 103,24.31). Ciò che vuol dirci la Chiesa è questo: lo Spirito creatore di tutte le cose, e lo Spirito Santo che Cristo ha fatto discendere dal Padre sulla comunità dei discepoli, sono uno e il medesimo: creazione e redenzione si appartengono reciprocamente e costituiscono, in profondità, un unico mistero d’amore e di salvezza. Lo Spirito Santo è innanzitutto Spirito Creatore e quindi la Pentecoste è anche festa della creazione. Per noi cristiani, il mondo è frutto di un atto di amore di Dio, che ha fatto tutte le cose e del quale Egli si rallegra perché è “cosa buona”, “cosa molto buona” come dice il racconto della creazione (cfr Gen 1,1-31). Dio perciò non è il totalmente Altro, innominabile e oscuro. Dio si rivela, ha un volto, Dio è ragione, Dio è volontà, Dio è amore, Dio è bellezza. La fede nello Spirito Creatore e la fede nello Spirito che il Cristo Risorto ha donato agli Apostoli e dona a ciascuno di noi, sono allora inseparabilmente congiunte.

La seconda Lettura e il Vangelo odierni ci mostrano questa connessione. Lo Spirito Santo è Colui che ci fa riconoscere in Cristo il Signore, e ci fa pronunciare la professione di fede della Chiesa: “Gesù è Signore” (cfr 1 Cor 12,3b). Signore è il titolo attribuito a Dio nell’Antico Testamento, titolo che nella lettura della Bibbia prendeva il posto del suo impronunciabile nome. Il Credo della Chiesa è nient’altro che lo sviluppo di ciò che si dice con questa semplice affermazione: “Gesù è Signore”. Di questa professione di fede san Paolo ci dice che si tratta proprio della parola e dell’opera dello Spirito. Se vogliamo essere nello Spirito Santo, dobbiamo aderire a questo Credo. Facendolo nostro, accettandolo come nostra parola, accediamo all’opera dello Spirito Santo. L’espressione “Gesù è Signore” si può leggere nei due sensi. Significa: Gesù è Dio, e contemporaneamente: Dio è Gesù. Lo Spirito Santo illumina questa reciprocità: Gesù ha dignità divina, e Dio ha il volto umano di Gesù. Dio si mostra in Gesù e con ciò ci dona la verità su noi stessi. Lasciarsi illuminare nel profondo da questa parola è l’evento della Pentecoste. Recitando il Credo, noi entriamo nel mistero della prima Pentecoste: dallo scompiglio di Babele, da quelle voci che strepitano una contro l’altra, avviene una radicale trasformazione: la molteplicità si fa multiforme unità, dal potere unificatore della Verità cresce la comprensione. Nel Credo che ci unisce da tutti gli angoli della Terra, che, mediante lo Spirito Santo, fa in modo che ci si comprenda pur nella diversità delle lingue, attraverso la fede, la speranza e l’amore, si forma la nuova comunità della Chiesa di Dio.

Il brano evangelico ci offre poi una meravigliosa immagine per chiarire la connessione tra Gesù, lo Spirito Santo e il Padre: lo Spirito Santo è rappresentato come il soffio di Gesù Cristo risorto (cfr Gv 20,22). L’evangelista Giovanni riprende qui un’immagine del racconto della creazione, là dove si dice che Dio soffiò nelle narici dell’uomo un alito di vita (cfr Gen 2,7). Il soffio di Dio è vita. Ora, il Signore soffia nella nostra anima il nuovo alito di vita, lo Spirito Santo, la sua più intima essenza, e in questo modo ci accoglie nella famiglia di Dio. Con il Battesimo e la Cresima ci è fatto questo dono in modo specifico, e con i sacramenti dell’eucaristia e della Penitenza esso si ripete di continuo: il Signore soffia nella nostra anima un alito di vita. Tutti i Sacramenti, ciascuno in maniera propria, comunicano all’uomo la vita divina, grazie allo Spirito Santo che opera in essi.

Nella liturgia di oggi cogliamo ancora un’ulteriore connessione. Lo Spirito Santo è Creatore, è al tempo stesso Spirito di Gesù Cristo, in modo però che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo ed unico Dio. E alla luce della prima Lettura possiamo aggiungere: lo Spirito Santo anima la Chiesa. Essa non deriva dalla volontà umana, dalla riflessione, dall’abilità dell’uomo o dalla sua capacità organizzativa, poiché se così fosse essa già da tempo si sarebbe estinta, così come passa ogni cosa umana. La Chiesa invece è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo. Le immagini del vento e del fuoco, usate da san Luca per rappresentare la venuta dello Spirito Santo (cfr At 2,2-3), ricordano il Sinai, dove Dio si era rivelato al popolo di Israele e gli aveva concesso la sua alleanza; “il monte Sinai era tutto fumante – si legge nel Libro dell’Esodo –, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco” (19,18). Infatti Israele festeggiò il cinquantesimo giorno dopo Pasqua, dopo la commemorazione della fuga dall’Egitto, come la festa del Sinai, la festa del Patto. Quando san Luca parla di lingue di fuoco per rappresentare lo Spirito Santo, viene richiamato quell’antico Patto, stabilito sulla base della Legge ricevuta da Israele sul Sinai. Così l’evento della Pentecoste viene rappresentato come un nuovo Sinai, come il dono di un nuovo Patto in cui l’alleanza con Israele è estesa a tutti i popoli della Terra, in cui cadono tutti gli steccati della vecchia Legge e appare il suo cuore più santo e immutabile, cioè l’amore, che proprio lo Spirito Santo comunica e diffonde, l’amore che abbraccia ogni cosa. Allo stesso tempo la Legge si dilata, si apre, pur diventando più semplice: è il Nuovo Patto, che lo Spirito “scrive” nei cuori di quanti credono in Cristo. L’estensione del Patto a tutti i popoli della Terra è rappresentata da san Luca attraverso un elenco di popolazioni considerevole per quell’epoca (cfr At 2,9-11). Con questo ci viene detta una cosa molto importante: che la Chiesa è cattolica fin dal primo momento, che la sua universalità non è il frutto dell’inclusione successiva di diverse comunità. Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo l’ha creata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbraccia il mondo intero, supera tutte le frontiere di razza, classe, nazione; abbatte tutte le barriere e unisce gli uomini nella professione del Dio uno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cattolica e apostolica: questa è la sua vera natura e come tale deve essere riconosciuta. Essa è santa, non grazie alla capacità dei suoi membri, ma perché Dio stesso, con il suo Spirito, la crea, la purifica e la santifica sempre.

Infine, il Vangelo di oggi ci consegna questa bellissima espressione: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20). Queste parole sono profondamente umane. L’Amico perduto è di nuovo presente, e chi prima era sconvolto si rallegra. Ma essa dice molto di più. Perché l’Amico perduto non viene da un luogo qualsiasi, bensì dalla notte della morte; ed Egli l’ha attraversata! Egli non è uno qualunque, bensì è l’Amico e insieme Colui che è la Verità che fa vivere gli uomini; e ciò che dona non è una gioia qualsiasi, ma la gioia stessa, dono dello Spirito Santo. Sì, è bello vivere perché sono amato, ed è la Verità ad amarmi. Gioirono i discepoli, vedendo il Signore. Oggi, a Pentecoste, questa espressione è destinata anche a noi, perché nella fede possiamo vederLo; nella fede Egli viene tra di noi e anche a noi mostra le mani e il fianco, e noi ne gioiamo. Perciò vogliamo pregare: Signore, mostrati! Facci il dono della tua presenza, e avremo il dono più bello: la tua gioia. Amen!

11 MAGGIO 2014 | 4A DOMENICA DI PASQUA A – LECTIO DIVINA : GV 10,1-10

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/4-Pasqua-A-2014/Omelie/04-Domenica-Pasqua-A-2014/03-4a-Domenica-A-2014-JB.htm

11 MAGGIO 2014 | 4A DOMENICA DI PASQUA A | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : GV 10,1-10

Con la doppia immagine della porta dell’ovile ed il pastore del gregge, Gesù allude alla relazione personale che mantiene con la comunità dei discepoli. La familiarità con le sue pecore gli permette di comunicare con loro con facilità, guidarli con sicurezza e difenderli con efficacia. Gesù insiste, soprattutto, nella conoscenza personalizzata e mutua che regna tra il pastore ed il suo gregge, conseguenza di una convivenza continua. Come la porta dà accesso al gregge e alla vita, Gesù permette di entrare nella comunità e concede la vita in abbondanza: tutti gli altri, non sono degni di obbedienza e, più che dare vita, la rubano. L’opzione per Gesù conduce alla vita in comune di quanti mantengono una vita di obbedienza e di sequela: non c’è un’altra porta che conduca alla vita, nessun’altra che ci introduce nella comunità cristiana; in lei si riuniscono quelli che distinguono la voce del loro pastore dalla voce del ladro.

In quel tempo, Gesù disse:
1 « In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4 E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5 Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei ». 6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7 Allora Gesù disse loro di nuovo: « In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Giovanni 10 è concepito come un dibattito in due parti tra Gesù e gli ebrei. Nella seconda, ambientata nel tempio (10,22-39), il conflitto si intensificherà, perché Gesù si identifica con Dio. Il nostro testo che appartiene alla prima parte (10,1-21), ha qualche relazione con la guarigione del cieco (10,21). Una doppia allusione alla reazione degli uditori (10,6.19-21) segnala due sezioni, introdotte per identica formulazione (10,1.7) che sono, in realtà, un unico discorso di Gesù, basato in differenti allegorie (ladro) mercenario/pastore, porta. Il vocabolario e le immagini sono prese dal mondo dei pastori; in un primo momento, la descrizione è generica, impersonale (10,1-5); nel secondo, si identifica alle due immagini menzionate prima da Gesù (10,7-10).
La similitudine del pastore e del ladro (10,1-6) è estratta dalla vita dei pastori, una realtà alla quale gli uditori di Gesù erano ben abituati. Ogni pastore, proprietario o salariato, aveva il suo proprio bestiame col quale conviveva durante il giorno; durante le notti i diversi greggi erano condotti ad un unico ovile la cui porta era custodita da un guardiano. Chi pensasse di rubare le pecore altrui doveva entrare nell’ovile facendo un buco nel muro o saltandolo. La mattina, bastava che ogni pecora sentisse la voce del suo padrone affinché uscisse dall’ovile e si lasciasse guidare dal suo pastore. Curiosamente, nelle parole di Gesù, la figura del ladro/bandito/estraneo avvolge e centra (10,1b.5) quella del pastore (10,2-4). Il contrasto tra tutti e due i personaggi rimane stabilito dal loro modo di agire, quando si avvicinano all’ovile (10,1-3°) e nel loro modo di uscire, seguiti o no, dalle pecore (10,3b-5). La forma di introdursi nell’ovile e, una volta dentro, la relazione di intimità che stabilisce con le pecore caratterizzano il pastore legittimo.
Il vero pastore entra per la porta, alla luce del giorno. La sua voce è familiare, conosce i nomi. Precede il suo gregge, senza che importi a questo dove si diriga. L’estraneo assalta l’ovile, ignora le pecore. Il successo di uno ed il fallimento di un altro è visto nel gregge che conosce la voce della sua guida, perché può chiamare ogni pecora per il suo nome (10,4.5; cf. Is 43,7): la convivenza porta verso la familiarità; la familiarità, è motivo della sequela; e questo, ratifica la leadership.
Con la spiegazione che dà alla parabola, Gesù va oltre il semplice chiarimento. In realtà, continua il discorso, ripetendo l’introduzione (10.1.7) ed identificandosi con la porta (10,7-10) e col buon pastore (10,11-18). Richiama l’attenzione che la porta (10,1-2) era, in primo luogo, criterio per distinguere il pastore buono dal cattivo; dopo, Gesù è la porta di entrata all’ovile (10,7) e quella di uscita che conduce ai pascoli (10,9; cf. Ez 34,14.25-31): via di accesso ed uscita alla vita, Gesù si offre come mezzo e meta della salvezza. Chi entra per lui è salvo; chi esce attraverso di lui trova la vita. Quelli che vennero e vengono prima di lui sono dei ladri, rubano la vita alle sue pecore invece di dargliela (10,8.10). Benché possa vedersi un’allusione, basandosi sulla critica profetica (Ger 23,1-2; Ez 34,1-10; Zac 11,4-10.15-16) ai leader religiosi ebrei, la cosa certa è che l’universalità dell’immagine mette in evidenza una chiara intenzione di screditare qualunque preteso salvatore che appaia nel mondo: chi non è Gesù è un ladro, un estraneo, che farà stragi invece di dare vita. Solo Gesù assicura vita abbondante ed intima conoscenza a chi lo segue.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Gesù ci è presentato come pastore del gregge e come porta dell’ovile, due immagini che possono sembrare lontane della nostra realtà, ma che definiscono bene la missione che Gesù vuole svolgere nella nostra vita e nella nostra comunità. Sarebbe deplorevole che, per non captare quello che vuole dirci, perdessimo l’opportunità di godere del servizio che è disposto ad offrirci.
Il pastore guida il gregge perché convive con lui; è il suo leader, perché non ha altra occupazione che il suo gregge; conosce le sue pecore perché passa vicino ad esse il giorno e la notte. Il suo gregge riconosce la sua voce perché condivide il suo riposo ed il suo cibo. Perché cammina davanti a lui, può essere seguito con facilità; a differenza dell’agricoltore, il pastore vive col suo gregge e si prodiga per lui.
Presentandosi come pastore, Gesù ci svela il suo impegno di convivenza, il suo impegno nel condividere tempo e posto, riposo e fatiche, con coloro che lo seguono. Come leader, conosce la strada che deve fare il suo gregge perché l’ha fatta prima lui; come pastore, non mangerà fino a che il suo gregge abbia trovato pascolo né riposerà fino a che i suoi stiano al riparo. Per quel motivo, si conoscono tanto bene: la convivenza prolungata sbocca in intimità; dal condividere insieme pene e sforzi, nasce naturalmente la fiducia e dalla fiducia sorge senza sforzo l’obbedienza. Seguire chi avanza vicino a noi, precedendoci durante il tragitto, cercando alimento e preparandoci il riposo, non deve costare troppo; camminare dietro chi si è fatto compagno di strada, confidare in chi ha consacrato la sua vita per badare a noi, ubbidire a chi conosce le nostre stesse difficoltà, perché ha le fatte sue, non dovrebbe risultarci pesante.
Ma, sfortunatamente, non basta perché Gesù ottenga che sia il nostro pastore. Senza gregge da guidare, nessuno può illudersi di essere pastore. Se non glielo permettiamo, ignorando il suo impegno o ignorando la sua voce, sottovalutando le sue attenzioni o trasgredendo i suoi ordini, non sarà mai pastore e guardiano delle nostre anime. Affinché lo sia in realtà, è necessario che conviviamo con lui ed a lui confidiamo le nostre vite, le nostre strade ed il nostro riposo. Senza assentire mai totalmente, cordialmente, alle sue decisioni, non riusciremo a sentirlo vicino né a saperlo intimo. Non basta, dunque, che egli si impegni a camminare vicino a noi per la vita, se ricusiamo di seguirlo per tutta la vita; a niente serve che continui chiamandoci per il nostro nome, se continuiamo a rispondere a tutte le voci che parlano alla nostra periferia meno che la sua. Senza prendere sul serio il suo impegno né vedere le sue attenzioni, non potremmo mai sentirlo impegnato con noi né apprezzare le sue attenzioni.
Chissà, a volte, ci crediamo trascurati da Dio; dovremmo domandarci se sono le nostre disattenzioni a farci percepire il suo apparente disinteresse. Nessuno che ha abbandonato Dio ha diritto di sentirsi abbandonato da Lui; se seguiamo altre voci o rispondiamo ai nostri interessi, non possiamo sperare che Dio ci parli. Il pastore dà la vita a chi condivide con lui il suo genere di vita, accetta la sua leadership e sa proporsi per diventare suo amico. Per ottenere le attenzioni di un pastore e la sicurezza di una leadership, bisognerà vivere nella sua compagnia, camminare per le sue strade e sottomettersi alle sue esigenze. Non basta che Gesù lo voglia, è necessario che noi accettiamo che così sia.
Avremmo, dunque, che domandarci perché noi cristiani viviamo ogni giorno più tesi e preoccupati, meno sicuri e fiduciosi. Passiamo praticamente la vita ignorando Dio e la sua volontà, e, tuttavia, non sentiamo che egli si stia trasformando in uno sconosciuto, che seguiamo l’estraneo e ci allontaniamo da Lui e che Dio non ci risulti oramai tanto familiare e vicino come prima; non facciamo la sua volontà e ci sorprende che il suo amore ci risulti estraneo. Non permettendogli che ci pascoli che ci guidi precedendoci e ci difenda camminando al nostro fianco, sentiamo la sua mancanza: se Egli fosse il nostro pastore, niente ci mancherebbe; la sua bontà e la sua povertà ci accompagnerebbero tutti i giorni della nostra vita.
Ritorniamo, dunque, alla sua custodia, lasciamoci guidare dalla sua voce ed accettiamo di nuovo la sua collaborazione, procurerà alla nostra vita sicurezza e riposo. Solo se rispondiamo alla sua voce e seguiamo la sua chiamata, solo se seguiamo le sue orme e camminiamo dietro di lui, percepiremo la sua presenza e la sua vicinanza: Gesù sarà pastore delle nostre vite e farà del suo meglio per proteggerci, se ci troviamo tra quanti lo seguono; sapremo che cammina con noi, se camminiamo dietro le sue orme seguendo la sua voce. Abbonda di coraggio, non conosce la paura, chi è sicuro di camminare per tutta la vita vicino al suo Dio. Di un Dio che vuole essere il nostro guardiano, non possiamo sentirci abbandonati, se non che previamente l’avevamo abbandonato.
Non è facile capire questo impegno di Gesù di esserci guida e compagno, guardiano geloso ed intimo amico. Il vangelo ci ha ricordato che, non comprendendolo i suoi uditori, Gesù si paragonò con la porta dell’ovile: per sentirsi sicuro, il gregge deve passare per la porta; per raggiungere la vita, il cristiano deve passare, corpo ed anima, attraverso Cristo; non c’è un’altra via che porti alla vita che garantisca riposo, alimento e casa: entrando per lui, ci troviamo con lui. Solo Cristo può dare soddisfazione a quanto desideriamo, colmare la necessità di intimità che abbiamo, assicurarci di fronte ai pericoli che temiamo e condurci verso dove ha già preparato per noi la mensa e la casa. E lo farà, si è impegnato a ciò – è morto ed è risuscitato per ciò! -, purché siamo disposti a seguire la sua voce e ad accettare il suo volere.
È deplorevole che continuiamo ad impegnarci a rubare un po’ di felicità, nel procurarci qualche soddisfazione momentanea a qualunque prezzo, assicurarci una libertà che aumenta la nostra solitudine ed il nostro disagio, e perdiamo l’opportunità che Gesù ci dà di entrare attraverso di lui nella vita. Nessuno merita la nostra attenzione e la nostra obbedienza, se non ci assicura le sue attenzioni e la nostra vita: Gesù ha appena dichiarato proclamandosi guardiano fedele delle nostre vite e soglia autentica verso la vita eterna. Non so che cosa stiamo sperando.., ci sarà qualcuno che possa offrirci di più? Non perdiamo l’occasione: ritorniamo oggi, corpo ed anima, all’obbedienza e alla sequela di Cristo, costi quel che costi, e ci sentiremo curati da Cristo e completamente sicuri. Se il Signore è il nostro pastore, niente ci manca…
3 – PREGARE : Prega il testo e desidera la volontà di Dio: cosa dico a Dio?
Signore Gesù, sei il mio pastore! Fammi conoscere la tua voce, rendimi familiare alla tua parola. Che io ti segua perché mi conosci e ‘sai il mio nome’. Vieni a raccogliermi dove mi trovi, ritornerò con te non appena senta la tua voce e rimarrò con te per non smettere di ascoltarti.
Salvami da quanti, imitandoti ed ingannandomi, vogliono rubarmi. Mi perdi tu ed io mi perdo, se prevalgono i ladri. Non voglio essere preda di chi non mi vuole né mi conosce. Torna a chiamarmi e ti seguirò senza paura di perdermi.
Dato che sei la porta che conduce alla vita, lasciami transitare: che non passi mai al di fuori di te che passi sempre attraverso te. Sei venuto per darmi vita, cosa aspetti, se io sto già aspettandoti?

JUAN JOSE BARTOLOME sdb,

PUERI CANTORES SACRE' ... |
FIER D'ÊTRE CHRETIEN EN 2010 |
Annonce des évènements à ve... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | Vie et Bible
| Free Life
| elmuslima31