Archive pour le 30 mai, 2014

Mosaïque d’une des chapelles de la Basilique Notre-Dame du Rosaire (niveau inférieur) : l’Ascension.

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ASCENSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO – CHIESA ORTODOSSA

http://chiesaortodossainabruzzoemolise.blogspot.it/2012/05/ascensione-del-nostro-signore-gesu.html

Chiesa Ortodossa in Abruzzo e Molise

ASCENSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO – CHIESA ORTODOSSA

Kontachio
Dopo aver compiuto l’economia in nostro favore e unito le creature celesti alle terrestri, sei asceso al cielo in gloria, o Cristo Dio nostro, senza separarti da nessuna parte, ma rimanendo sempre unito e dicendo a coloro che ti amano: Io sono con voi e nessuno contro di voi.

Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. Oggi infatti ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l’altezza di tutte le potestà. L’intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su una arcana serie di azioni divine per le quali l’amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi. Pur trattandosi di misteri che trascendono la percezione umana e che ispirano un profondo timore riverenziale, non per questo vien meno la fede, vacilla la speranza e si raffredda la carità.

Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce suprema.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.

Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce suprema.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.
Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, s’erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore ed avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall’ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la
divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.
Proprio allora, o dilettissimi, il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi.
Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito.

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BENEDETTO XVI : ASCENSIONE DEL SIGNORE – 2005

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2005/documents/hf_ben-xvi_hom_20050507_san-giovanni-laterano_it.html

ASCENSIONE DEL SIGNORE

CELEBRAZIONE EUCARISTICA E INSEDIAMENTO SULLA CATHEDRA ROMANA DEL VESCOVO DI ROMA BENEDETTO XVI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano

Sabato, 7 maggio 2005

Questo giorno, nel quale posso per la prima volta insediarmi sulla Cattedra del Vescovo di Roma quale successore di Pietro, è il giorno in cui in Italia la Chiesa celebra la Festa dell’Ascensione del Signore. Al centro di questo giorno, troviamo Cristo. E solo grazie a Lui, grazie al mistero del suo ascendere, riusciamo a comprendere il significato della Cattedra, che è a sua volta il simbolo della potestà e della responsabilità del Vescovo. Cosa ci vuol dire allora la Festa dell’Ascensione del Signore? Non vuol dirci che il Signore se ne è andato in qualche luogo lontano dagli uomini e dal mondo. L’Ascensione di Cristo non è un viaggio nello spazio verso gli astri più remoti; perché, in fondo, anche gli astri sono fatti di elementi fisici come la terra. L’Ascensione di Cristo significa che Egli non appartiene più al mondo della corruzione e della morte che condiziona la nostra vita. Significa che Egli appartiene completamente a Dio. Egli – il Figlio Eterno – ha condotto il nostro essere umano al cospetto di Dio, ha portato con sé la carne e il sangue in una forma trasfigurata. L’uomo trova spazio in Dio; attraverso Cristo, l’essere umano è stato portato fin dentro la vita stessa di Dio. E poiché Dio abbraccia e sostiene l’intero cosmo, l’Ascensione del Signore significa che Cristo non si è allontanato da noi, ma che adesso, grazie al Suo essere con il Padre, è vicino ad ognuno di noi, per sempre. Ognuno di noi può darGli del tu; ognuno può chiamarLo. Il Signore si trova sempre a portata di voce. Possiamo allontanarci da Lui interiormente. Possiamo vivere voltandoGli le spalle. Ma Egli ci aspetta sempre, ed è sempre vicino a noi.
Dalle letture della liturgia odierna impariamo anche qualcosa in più sulla concretezza con cui il Signore realizza questo Suo essere vicino a noi. Il Signore promette ai discepoli il Suo Spirito Santo. La prima lettura ci dice che lo Spirito Santo sarà « forza » per i discepoli; il Vangelo aggiunge che sarà guida alla Verità tutt’intera. Gesù ha detto tutto ai Suoi discepoli, essendo Egli stesso la Parola vivente di Dio, e Dio non può dare più di sé stesso. In Gesù, Dio ci ha donato tutto sé stesso – cioè – ci ha donato tutto. Oltre a questo, o accanto a questo, non può esserci nessun’altra rivelazione in grado di comunicare maggiormente o di completare, in qualche modo, la Rivelazione di Cristo. In Lui, nel Figlio, ci è stato detto tutto, ci è stato donato tutto. Ma la nostra capacità di comprendere è limitata; perciò la missione dello Spirito è di introdurre la Chiesa in modo sempre nuovo, di generazione in generazione, nella grandezza del mistero di Cristo. Lo Spirito non pone nulla di diverso e di nuovo accanto a Cristo; non c’è nessuna rivelazione pneumatica accanto a quella di Cristo – come alcuni credono – nessun secondo livello di Rivelazione. No: « prenderà del mio », dice Cristo nel Vangelo (Gv 16, 14). E come Cristo dice soltanto ciò che sente e riceve dal Padre, così lo Spirito Santo è interprete di Cristo. « Prenderà del mio ». Non ci conduce in altri luoghi, lontani da Cristo, ma ci conduce sempre più dentro la luce di Cristo. Per questo, la Rivelazione cristiana è, allo stesso tempo, sempre antica e sempre nuova. Per questo, tutto ci è sempre e già donato. Allo stesso tempo, ogni generazione, nell’inesauribile incontro col Signore – incontro mediato dallo Spirito Santo – impara sempre qualcosa di nuovo.
Così, lo Spirito Santo è la forza attraverso la quale Cristo ci fa sperimentare la sua vicinanza. Ma la prima lettura dice anche una seconda parola: mi sarete testimoni. Il Cristo risorto ha bisogno di testimoni che Lo hanno incontrato, di uomini che Lo hanno conosciuto intimamente attraverso la forza dello Spirito Santo. Uomini che avendo, per così dire, toccato con mano, possono testimoniarLo. È così che la Chiesa, la famiglia di Cristo, è cresciuta da « Gerusalemme… fino agli estremi confini della terra », come dice la lettura. Attraverso i testimoni è stata costruita la Chiesa – a cominciare da Pietro e da Paolo, e dai Dodici, fino a tutti gli uomini e le donne che, ricolmi di Cristo, nel corso dei secoli hanno riacceso e riaccenderanno in modo sempre nuovo la fiamma della fede. Ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore risorto. Quando leggiamo i nomi dei santi possiamo vedere quante volte siano stati – e continuino ad essere – anzitutto degli uomini semplici, uomini da cui emanava – ed emana – una luce splendente capace di condurre a Cristo.
Ma questa sinfonia di testimonianze è dotata anche di una struttura ben definita: ai successori degli Apostoli, e cioè ai Vescovi, spetta la pubblica responsabilità di far sì che la rete di queste testimonianze permanga nel tempo. Nel sacramento dell’ordinazione episcopale vengono loro conferite la potestà e la grazia necessarie per questo servizio. In questa rete di testimoni, al Successore di Pietro compete uno speciale compito. Fu Pietro che espresse per primo, a nome degli apostoli, la professione di fede: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » (Mt 16, 16). Questo è il compito di tutti i Successori di Pietro: essere la guida nella professione di fede in Cristo, il Figlio del Dio vivente. La Cattedra di Roma è anzitutto Cattedra di questo credo. Dall’alto di questa Cattedra il Vescovo di Roma è tenuto costantemente a ripetere: Dominus Iesus – « Gesù è il Signore », come Paolo scrisse nelle sue lettere ai Romani (10, 9) e ai Corinzi (1 Cor 12, 3). Ai Corinzi, con particolare enfasi, disse: « Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra… per noi c’è un solo Dio, il Padre…; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui » (1 Cor 8, 5). La Cattedra di Pietro obbliga coloro che ne sono i titolari a dire – come già fece Pietro in un momento di crisi dei discepoli – quando tanti volevano andarsene: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio » (Gv 6, 68ss). Colui che siede sulla Cattedra di Pietro deve ricordare le parole che il Signore disse a Simon Pietro nell’ora dell’Ultima Cena: « ….e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli…. » (Lc 22, 32). Colui che è il titolare del ministero petrino deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole – come sono fragili e deboli le sue proprie forze – costantemente bisognoso di purificazione e di conversione. Ma egli può anche avere la consapevolezza che dal Signore gli viene la forza per confermare i suoi fratelli nella fede e tenerli uniti nella confessione del Cristo crocifisso e risorto. Nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi, troviamo il più antico racconto della risurrezione che abbiamo. Paolo lo ha fedelmente ripreso dai testimoni. Tale racconto dapprima parla della morte del Signore per i nostri peccati, della sua sepoltura, della sua risurrezione, avvenuta il terzo giorno, e poi dice: « Cristo apparve a Cefa e quindi ai Dodici… » (1 Cor 15, 4), Così, ancora una volta, viene riassunto il significato del mandato conferito a Pietro fino alla fine dei tempi: essere testimone del Cristo risorto.
Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.
Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode.
La Cattedra è – diciamolo ancora una volta – simbolo della potestà di insegnamento, che è una potestà di obbedienza e di servizio, affinché la Parola di Dio – la sua verità! – possa risplendere tra di noi, indicandoci la strada. Ma, parlando della Cattedra del Vescovo di Roma, come non ricordare le parole che Sant’Ignazio d’Antiochia scrisse ai Romani? Pietro, provenendo da Antiochia, sua prima sede, si diresse a Roma, sua sede definitiva. Una sede resa definitiva attraverso il martirio con cui legò per sempre la sua successione a Roma. Ignazio, da parte sua, restando Vescovo di Antiochia, era diretto verso il martirio che avrebbe dovuto subire in Roma. Nella sua lettera ai Romani si riferisce alla Chiesa di Roma come a « Colei che presiede nell’amore », espressione assai significativa. Non sappiamo con certezza che cosa Ignazio avesse davvero in mente usando queste parole. Ma per l’antica Chiesa, la parola amore, agape, accennava al mistero dell’Eucaristia. In questo Mistero l’amore di Cristo si fa sempre tangibile in mezzo a noi. Qui, Egli si dona sempre di nuovo. Qui, Egli si fa trafiggere il cuore sempre di nuovo; qui, Egli mantiene la Sua promessa, la promessa che, dalla Croce, avrebbe attirato tutto a sé. Nell’Eucaristia, noi stessi impariamo l’amore di Cristo. E’ stato grazie a questo centro e cuore, grazie all’Eucaristia, che i santi hanno vissuto, portando l’amore di Dio nel mondo in modi e in forme sempre nuove. Grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo! La Chiesa non è altro che quella rete – la comunità eucaristica! – in cui tutti noi, ricevendo il medesimo Signore, diventiamo un solo corpo e abbracciamo tutto il mondo. Presiedere nella dottrina e presiedere nell’amore, alla fine, devono essere una cosa sola: tutta la dottrina della Chiesa, alla fine, conduce all’amore. E l’Eucaristia, quale amore presente di Gesù Cristo, è il criterio di ogni dottrina. Dall’amore dipendono tutta la Legge e i Profeti, dice il Signore (Mt 22, 40). L’amore è il compimento della legge, scriveva San Paolo ai Romani (13, 10).
Cari Romani, adesso sono il vostro Vescovo. Grazie per la vostra generosità, grazie per la vostra simpatia, grazie per la vostra pazienza! In quanto cattolici, in qualche modo, tutti siamo anche romani. Con le parole del salmo 87, un inno di lode a Sion, madre di tutti i popoli, cantava Israele e canta la Chiesa: « Si dirà di Sion: L’uno e l’altro è nato in essa… » (v. 5). Ugualmente, anche noi potremmo dire: in quanto cattolici, in qualche modo, siamo tutti nati a Roma. Così voglio cercare, con tutto il cuore, di essere il vostro Vescovo, il Vescovo di Roma. E tutti noi vogliamo cercare di essere sempre più cattolici – sempre più fratelli e sorelle nella grande famiglia di Dio, quella famiglia in cui non esistono stranieri. Infine, vorrei ringraziare di cuore il Vicario per la Diocesi di Roma, il Cardinale Camillo Ruini, e anche i Vescovi ausiliari e tutti i suoi collaboratori. Ringrazio di cuore i parroci, il clero di Roma e tutti coloro che, come fedeli, offrono il loro contributo per costruire qui la casa vivente di Dio. Amen.

1 GIUGNO 2014 | 7A DOMENICA DI PASQUA: ASCENSIONE : MT 28, 16-20

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/4-Pasqua-A-2014/Omelie/07-Domenica-Ascensione-A-/03-7a-Domenica-Ascensione-A-2014-JB.htm

1 GIUGNO 2014 | 7A DOMENICA DI PASQUA: ASCENSIONE A | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : MT 28, 16-20

La scena che chiude il vangelo, narra l’apparizione di Gesù ai suoi discepoli: il monte in Galilea, campo di missione, è il posto dell’ultima istruzione del Risuscitato; il potere nuovo che Gesù ha ricevuto, l’esercita, in primo luogo, inviando al mondo i suoi con una precisa missione: battezzare quelli che credono ed insegnare a compiere la sua volontà. Coloro che si sanno destinati ad arrivare fino ai confini del mondo con questo doppio compito, non rimarranno trascurati dal loro Signore Risuscitato, nemmeno un giorno. Nasce così una comunità di discepoli che dovrà riempire i suoi giorni di obbedienza, compiendo l’ultima volontà del suo Signore: l’ubbidiente che insegna obbedienza conta sull’assistenza permanente del suo Signore. Benché il Signore li abbia lasciati nel mondo, non li ha lasciati senza far niente: il comandamento di quanto insegnò loro Gesù, senza più frontiere da rispettare che il limite del mondo, assicura loro la permanente presenza del Risuscitato.

In quel tempo, 16 Gli undici discepoli, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro:
- »A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ».
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Matteo termina il suo vangelo di forma solenne: il Risuscitato invia i suoi discepoli nel mondo istituendo la missione universale della chiesa. Dopo la pasqua, la comunità dei discepoli non rimane oziosa, ha il mondo come missione. Essendo la cronaca di questa ‘nascita’ tanto breve, i dettagli diventano più significativi.
Prima di ricevere i popoli come missione, i discepoli devono andare in Galilea. Dove era iniziata la missione di Gesù, deve iniziare anche quella dei suoi inviati. E saranno inviati, perché sono stati prima ubbidienti: sono andati dove fu indicato loro, precisamente sul monte. Come Mosè un giorno, Gesù riunisce il nuovo popolo, gli undici missionari, per dar loro una legge, il vangelo. E per essere stati là dove è stato ordinato loro, lo vedranno e lo riconosceranno immediatamente. Per essere stati ubbidienti, si sono dissipati antiche i dubbi ed adorarono chi poco prima non credevano risuscitato.
Adorato, Gesù si avvicina ad essi. Ma non come maestro conosciuto, bensì come adorabile Signore. Il Risuscitato, cosciente della sua autorità, si mostra loro come sovrano. Non perde tempo a confortarli, dà ordini, perché ha, e l’esercita inviandoli, ogni autorità sopra tutto il creato. La primitiva convinzione cristiana che, essendo risuscitato, Gesù è stato fatto signore universale è messa in bocca allo stesso Cristo. La missione apostolica risulta essere così esercizio di quel potere ricevuto: il mandato, di obbligato compimento, è finalizzato nel fare del mondo una ‘scuola’ cristiana, andate e fate, sono imperativi; al mandato va legata la conferma: rimarrà sempre con essi. Finché essi si fanno discepoli per il mondo, Egli starà con loro. Dalla loro obbedienza dipende che Gesù li accompagni sempre. Gesù dice loro non solo che vadano al mondo e lo trasformino in discepolo, gli prescrive anche come devono realizzare ciò: battezzandoli nel nome del Dio Trino ed insegnando loro ad ubbidirgli in tutto. Alla comunità di missionari non le è gratis avere sempre con sé il suo Signore: dovranno andare al mondo per insegnargli ad ubbidire.
2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita

Per estraneo che ci sembri, il vangelo ci parla dell’assenza di Gesù dal nostro mondo. Il significato dell’ascensione del Signore al cielo è, in effetti, il suo abbandono di questa terra e la separazione di quanti, diritti, rimasero impalati, guardando al cielo.
Che la sparizione fisica di Gesù sia motivo di festa deve farci riflettere: dobbiamo domandarci quali ragioni avranno portato la comunità cristiana per trasformare la nostra attuale mancanza di Gesù in causa di allegria e centro della nostra celebrazione. Che cosa c’è di gradevole nel sapersi soli in un mondo dove ogni volta è meno presente Dio? Come sentirsi bene in un tempo, in cui tanti, ogni giorno di più, si impegnano a darlo per scomparso? La Parola di Dio viene in nostro aiuto e ci ricorda che, perfino se ci sentiamo lasciati dalla mano di Dio in questo mondo attuale, ci rimangono ragioni per non disperare e, soprattutto, dobbiamo portare avanti la nostra missione, fino a che il Signore ritorni.
Dopo la resurrezione Gesù si intrattenne coi suoi per qualche tempo; aveva bisogno di ciò per convincerli che viveva realmente; ed approfittò per convivere con essi e spiegar loro quello che gli era successo alla luce delle promesse di Dio; condividendo il pane ed il suo sapere, condusse i suoi discepoli alla convinzione che era vivo; con Gesù Risuscitato riuscirono a superare le loro paure e loro incertezze: è facile immaginarsi l’allegria e la consolazione che sperimentarono. Ma l’entusiasmo e l’euforia di contare di nuovo sul loro Signore andava a durare ben poco. Quando appena si erano abituati ad averlo risuscitato vicino ad essi, Gesù li avvisa che pensa di lasciarli soli; promette che ritornerà, ma non dice quando né come. L’allegria dei discepoli di avere Gesù durò solo alcuni giorni. La sua assenza è prolungati da secoli, e forse ci siamo dimenticati già che un giorno ritornerà: venti secoli sono troppi perché i suoi discepoli non abbiano motivi per sentirsi abbandonati!
Come comunità cristiana, continuiamo a vivere la situazione che inaugurò l’ascensione di Gesù al cielo. È, realmente, motivo per celebrare la nostra solitudine o, meglio, abbiamo ragioni per rimanere fedeli ad un Signore che sta ‘seduto alla destra del Padre?’
Certamente, si. Il vangelo ce ne offre due: ci ha lasciato, sì, ma, ben occupati. E l’ha fatto, inaugurando quella sovranità assoluta che Dio gli ha concesso risuscitandolo tra i morti. Chi ha il mondo come missione, non dispone di tempo per dispiacersi della sua solitudine. Finché c’è un solo paese che non abbia ascoltato ed imparato quello che Egli insegnò, è motivo, ed urgenza, per ubbidirgli. Perché, bisogna accettarlo, la missione non è attività che noi scegliamo, perché vogliamo occupare il tempo e la nostra vita; l’evangelizzazione del mondo fu, e continua ad essere oggi, pratica dell’obbedienza che dobbiamo al nostro Signore. Il discepolo di Cristo non si trova nel mondo per contemplarlo, bensì per conquistarlo, non è casa dove abitare, bensì scuola di apprendistato. Non dobbiamo, pertanto, restare sulla terra con gli occhi rivolti al cielo, senza interessarci per niente di quanto accade, come se non avesse niente a che vedere con la nostra speranza. Serve a poco fissare l’attenzione al cielo, dove oggi sta Gesù Resuscitato, se ci disinteressiamo della terra, dove Gesù ritornerà per ritrovarci un giorno: il rimprovero che i primi discepoli di Gesù ricevettero il giorno dell’Ascensione continua sfortunatamente oggi ad essere valido per noi; restiamo lì impalati, guardando il cielo, senza fare niente sulla terra per migliorarla. Non è così che si aspetta il Signore che deve venire. Gesù non fece solo promesse, quando ascese al cielo; si impegnò a ritornare e lasciò un compito a coloro che l’aspettano: « andate e fate discepoli di tutti i paesi. » Gesù non ci lasciò soli, trascurati, perché è andato via dalla terra, bensì perché ci lasciò un compito da fare: ci ha lasciato il mondo per evangelizzarlo, ci ha fatto fare del mondo una scuola della sua volontà e dei popoli i suoi discepoli.
C’è ancora tanto da fare, due mila anni dopo il suo mandato, non risulta scusabile continuare a perder tempo, quantunque lo riempissimo guardando il cielo: fissare mente e cuore, occhi ed attenzione, al cielo, dove Dio sta, non ci farà migliori discepoli di Gesù; dobbiamo guardare in avanti, agli uomini che condividono la nostra vita e la terra, ma non condividono la nostra fortuna né la nostra fede, agli uomini che troviamo giornalmente e che non trovano un senso alla loro vita, ai giovani dei quali diffidiamo solo perché non siamo riusciti ad ottenere la loro fiducia, ai bambini ai quali, oltre la vita e l’educazione, dobbiamo dare la fede e i motivi per la loro fedeltà a Dio.
Finché Gesù non ritorna, non abbiamo diritto a cercare di salvarci noi soli, fissandoci al nostro cielo particolare e disinteressandoci della terra; Gesù che si è impegnato a ritornare, ci ha prescritto il modo di aspettarlo: il tempo dell’attesa bisogna riempirlo di lavoro missionario; solo gli occhi di coloro che si sforzano per guadagnare la terra a Cristo meriteranno di vedere il suo Signore quando ritornerà. Il discepolo di Gesù non vive per sé stesso, e neanche solo per Dio; finché sta nel mondo, avrà il mondo come missione, dovrà farlo discepolo del suo Signore affinché il Signore possa considerarlo discepolo fedele; non è la fede che si è conservata solo perché non si sono corsi rischi, bensì quella che si è moltiplicata, facendo nuovi discepoli, quella che conterà sull’approvazione del Signore che deve ritornare.
Non c’è un’altra forma di essere oggi suoi testimoni. Poiché Gesù ci manca molto, può essere che sentiamo a volte nostalgia di lui; ma non dobbiamo disertare dalla missione che ci ha confidato, dandoci il mondo come limite del nostro sforzo evangelizzatore, Egli ha impegnato la sua parola che è presente tra noi; abbiamo Cristo impegnato a non abbandonarci, purché viviamo impegnati della sua missione. Dovremmo tenerlo in conto.
3 – PREGARE : Prega il testo e desidera la volontà di Dio: cosa dico a Dio?
Curioso, Signore, che hai mandato al mondo come tuoi inviati i discepoli che andarono dove tu dicesti loro. Prima di essere apostoli, dovettero essere ubbidienti. Non sarà per quel motivo che io non riesco a sentirmi tuo inviato? Non sarà che non mi trovi dove ti aspettavi che stessi e perciò non mi invii col tuo potere ed il tuo vangelo al mondo? Dammi l’obbedienza che mi chiedi per potere andare dove tu mi invii.
Curioso mi risulta anche, Signore, che ti decidi ad inviare al mondo i tuoi rappresentanti perché sai che hai quel potere. I tuoi apostoli sparsi per il mondo sono la prova del tuo dominio. Sapermi inviato da te è saperti Signore mio e del mondo. Se la mia missione è frutto del tuo potere, perché avere tanta paura del mondo? Se grazie al tuo mandato devo fare del mondo la ‘scuola del tuo vangelo’, perché metto tanta resistenza? Non è che non credo che conti su di me o non ti credo che tu sia Signore di tutto il creato?

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

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