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L’Icona della Gioia inattesa

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L’AULA MAGNA DEL BIBLICO – (nel contesto della « lezione », il tema della Parola di Dio)

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L’AULA MAGNA DEL BIBLICO: RICORDI E ATTIVITÁ – LEZIONE

P. Klemens Stock

Lezione del professore R.P. Klemens Stock S.J. tenuta il 4 ottobre 2011 in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2011-12 e della Aula Magna completamente ristrutturata.

(nel contesto della « lezione », il tema della Parola di Dio)

1. La parola di Dio
La parola di Dio è composta da due elementi: una rivelazione e un comando. Dio rivela Gesù come il suo Figlio prediletto, e ordina ai discepoli di ascoltarlo. Vediamo ora questi due elementi.
1.1. La rivelazione del Figlio prediletto
Il termine “figlio” (hyios), al singolare, ricorre al singolare in Marco 31 volte: quasi sempre, 29 volte, viene applicato alla persona di Gesù, mentre negli altri due casi restanti, cioè in 9,17 e 10,46, viene usato per persone umane, di cui viene indicato anche il padre. Ma i modi in cui questo termine viene usato e le persone che lo utilizzano sono diversi. Solo Gesù usa le espressioni “il figlio dell’uomo” (14 volte) e “il figlio” (1 volta, in 13,32), sempre in funzione di soggetto della frase e facendo un’affermazione su di essi. Negli altri casi il termine non viene usato da Gesù, ma da altre persone, e non come soggetto, ma come parte del predicato, quando viene fatta un’affermazione per caratterizzare la persona di Gesù. Gli abitanti di Nazaret chiamano Gesù “il figlio di Maria” (6,3), caratterizzandolo mediante il rapporto vitale e fondamentale con sua madre. Bartimeo chiama Gesù “figlio di Davide” (10,47.48), facendo riferimento alla sua appartenenza a questa famiglia regale e alle aspettative legate ad essa. Più tardi Gesù ricorderà l’insegnamento degli scribi che il Cristo è figlio di Davide e lo metterà in dubbio (12,35-37). Alcuni demoni chiamano Gesù “figlio di Dio” durante la sua attività pubblica e vengono sgridati e messi a tacere da Gesù (3,11; 5,7). Il sommo sacerdote chiede a Gesù se egli è “il Cristo, il figlio del Benedetto” e qualifica la risposta affermativa di Gesù come bestemmia (14,61-64). Dopo la morte di Gesù, il centurione pagano sotto la croce (15,39) e l’evangelista, nella prima frase della sua opera (1,1), chiamano Gesù “figlio di Dio”.
Nel vangelo di Marco Gesù è quasi l’unica persona di cui si menziona la “figliolanza”. D’altra parte, tra le denominazioni che si applicano a lui (per esempio: maestro, Cristo, re, signore, profeta ecc.), quella di figlio è la più frequente. Ciò che interessa soprattutto è la sua ‘figliolanza’, la sua appartenenza secondo vari aspetti. Essenziali per la persona e per la conoscenza di Gesù sono i rapporti in cui egli si trova.
Anche Dio parla della figliolanza di Gesù e lo chiama “il mio Figlio prediletto” (ho hyios mou ho agapetos, 1,11; 9,7). Questa espressione è del tutto singolare: viene usata solo da Dio, e solo per Gesù, ed è l’unica affermazione di Dio nei confronti di Gesù. Essa esprime la singolare appartenenza di Gesù a Dio, il singolare rapporto che esiste tra Dio e Gesù. Questo è l’unico contenuto che Dio comunica ai discepoli. Nessuna cosa è tanto importante per il loro rapporto con Gesù quanto la loro conoscenza del rapporto di Dio con lui. Dio lo comunica ad essi con la sua autorità divina assoluta.
La parabola del proprietario di una vigna, dei suoi inviati e dei vignaioli malvagi (Mc 12,1-12) mostra e sottolinea che l’espressione ‘figlio prediletto’ non indica tanto una funzione o un incarico di Gesù, quanto il suo rapporto personale con Dio. Nella parabola, l’incarico è lo stesso per tutti gli inviati del proprietario: essi devono richiedere la parte della vendemmia che spetta al proprietario. Tutti gli inviati vengono chiamati “servi” (12,2.4), eccetto l’ultimo. Questi viene messo in rilievo in diversi modi: è l’ultimo che è rimasto al proprietario, viene espressamente chiamato figlio prediletto, ultimo inviato ed erede (12,6-7), e la sua uccisione provoca un intervento energico del padrone. In tutto ciò si manifesta il suo singolare rapporto personale con il proprietario della vigna, che rappresenta Dio.
Il titolo “il mio Figlio prediletto” esprime un singolare rapporto personale e cordiale tra Dio e Gesù. La conoscenza di questo rapporto non è dovuta all’intelligenza umana dei discepoli, né a una dichiarazione di Gesù, ma soltanto a una rivelazione che proviene da Dio Padre, il quale è l’unico che conosce il Figlio (cf. Mt 11,27; 16,17; Gal 1,15-16). Solo Dio sa qual è il rapporto di Gesù con Lui; solo il Padre può rivelare che Gesù è il suo Figlio prediletto. I discepoli hanno il compito di capire sempre più l’importanza del fatto che in Gesù essi hanno presso di sé il Figlio prediletto di Dio. Dio stesso indica loro la conseguenza più importante di questo fatto: “Ascoltatelo!”.
1.2. Il comando divino di ascoltarlo
Il comando “Ascoltatelo!” è l’unico comando di Dio che ci viene riferito da Marco. Esso non viene esplicitato con dei contenuti, ma è completamente riferito alla persona di colui che Dio ha appena rivelato. Il loro ascoltare deve essere caratterizzato dal sapere che Gesù è il Figlio prediletto di Dio. A questo fatto devono corrispondere l’attenzione, l’interesse e l’intensità del loro ascoltare. Al primo posto non ci sono i contenuti, ma la persona del Figlio prediletto che li comunica. Le sue parole devono essere recepite, in modo chiaro e consapevole, come le parole del Figlio prediletto di Dio. Vogliamo ora riflettere sull’importanza del fatto che Dio mette al centro la persona del suo Figlio prediletto, tenendo conto delle circostanze della trasfigurazione di Gesù.
Il comando di Dio “Ascoltatelo!” è preceduto da tanti richiami di Gesù all’ascoltare. Egli inizia il suo primo grande discorso, il discorso delle parabole (4,3-34), con l’esortazione: “Ascoltate!” (4,3) e ripete due volte: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti” (4,9.23). Il tema principale di questo primo discorso è proprio quello di mostrare il modo giusto di ascoltare. Anche nel suo successivo discorso Gesù chiede: “Ascoltatemi tutti e intendete bene!” (7,14).
Dagli insegnamenti di Gesù si può desumere una certa dottrina sull’ascoltare. L’ascoltare deve essere seguito dall’accogliere e fruttificare (4,20). È minacciato da pericoli seri (4,15-19). Deve essere accompagnato dall’intendere (7,14: 8,17-21), che presuppone una grande attenzione a ciò che viene ascoltato (4,24-25). E colui che ascolta e intende, deve essere luce (4,21-23), deve comunicare agli altri ciò che ha ricevuto. Attraverso gli insegnamenti di Gesù i discepoli sono preparati a ricevere il comando di Dio. Quest’ultimo conferma le istruzioni di Gesù e rivela che colui che li istruisce è il Figlio prediletto di Dio e mette al centro dell’ascoltare la consapevolezza che Gesù è il Figlio prediletto di Dio.

2. La parola di Dio nel contesto della trasfigurazione di Gesù
La voce di Dio si rivolge ai tre discepoli, ma tutti gli avvenimenti che si verificano prima e dopo la parola rivolta da Dio sono in loro favore. Questo viene messo particolarmente in rilievo da Marco. I tre discepoli vengono condotti sul monte da Gesù (9,2). Egli viene trasfigurato davanti ai loro occhi (9,3). A loro appaiono Mosè ed Elia (9,4). Essi sono spaventati e Pietro parla a nome di tutti (9,5-6). Essi vedono con sé solo Gesù (9,8). A loro Gesù ordina di non parlare di questo episodio fino alla sua risurrezione (9,9). La voce di Dio rappresenta il culmine di tutti questi eventi, che sono orientati alla formazione dei tre discepoli, alla loro più profonda conoscenza della persona di Gesù.
Gesù ha portato con sé sul monte soltanto tre discepoli. Ma già il numero “tre” fa capire che si tratta di tre testimoni (cf. Dt 19,15; Mt 18,16; Gv 8,16-17). E il divieto di Gesù di parlare della loro esperienza prima della sua risurrezione implica il comando di darne testimonianza dopo la risurrezione (cf. 2 Pt 1,16-18). Mediante tutti questi avvenimenti la mente dei discepoli si deve aprire alla comprensione della persona di Gesù e del loro agire giusto.
La voce di Dio rivela un rapporto singolare di Gesù con Dio. Ma anche gli altri eventi accennano a una particolare appartenenza di Gesù al mondo di Dio. Gesù non trasforma se stesso, ma viene trasformato da Dio nella figura in cui appare ai tre discepoli (9,2). Le sue vesti sono di un bianco che a nessun uomo con tutti i suoi sforzi è possibile ottenere (9,3), e sono caratteristiche della figura che Gesù avrà nel mondo di Dio. Anche i suoi interlocutori, Mosè ed Elia, non appartengono al mondo terreno, ma a quello di Dio. Questi fenomeni preparano la rivelazione del rapporto singolare di Gesù con Dio, e vengono confermati e interpretati da essa.
Dobbiamo mostrare ancora in modo particolareggiato il significato speciale di alcune di queste circostanze. Di grande significato è il fatto che Dio rivolge la sua parola ai tre discepoli alla presenza di Mosè ed Elia. L’Antico Testamento menziona i due insieme solo in Ml 3,22-24. Mosè rappresenta la Legge (cf. Mc 1,44; 7,10; 10,3; 12,26); è il mediatore attraverso il quale Dio ha dato al suo popolo le norme dell’agire giusto. Elia rappresenta i Profeti, che hanno il compito di ricondurre il popolo ribelle e infedele al Signore loro Dio. Ad Elia spetta anche il compito speciale di preparare la venuta del Signore (cf. Ml 3,23-24; Mc 1,2; 9,11-13). Dio finora ha parlato e ha comunicato la sua volontà al suo popolo mediante Mosè e i profeti. Ad essi compete anche in modo particolare il titolo di “servo del Signore”. Mosè più volte viene designato con tale titolo (cf. Gs 14,7; Ml 3,22; Eb 3,5, Ap 15,3), ed Elia viene chiamato “servo del Signore” insieme con gli altri profeti (cf. 2 Re 17,23). Distinguendo chiaramente Gesù da questi suoi due principali servi, Dio lo chiama “il suo Figlio prediletto” (cf. Mc 12,1-6; Eb 1,1-2; 3,5-6), e alla presenza dei due servi incarica i tre discepoli di ascoltare il suo Figlio prediletto. Da quando il Figlio è venuto ed è presente nel mondo, l’attenzione dei discepoli non deve essere più rivolta ai servi, ma al Figlio. Così, in modo fondamentale e programmatico, si stabilisce il rapporto tra la rivelazione di Dio mediante la Legge e i Profeti (Antico Testamento) e la rivelazione di Dio mediante il suo Figlio (Nuovo Testamento). L’Antico Testamento non deve essere più ascoltato come parola di Dio in se stesso e indipendentemente dal Figlio, ma solo nella misura e nel modo in cui viene accolto e interpretato dal Figlio (cf. Mt 5,21-48; Mc 10,2-12; Gv 1,17; Gal 4,4-7; Eb 1,1-2).
Il rapporto con l’Antico Testamento, che si manifesta attraverso le persone, si manifesta anche attraverso il luogo e altre circostanze della trasfigurazione. Gesù ha condotto i tre discepoli su un alto monte, dove Dio si rivolge ad essi da una nube alla presenza di Mosè ed Elia. Così ci sono diverse allusioni al monte Sinai/Oreb, con il quale è particolarmente connessa la rivelazione di Dio. Sul Sinai la nube indica la presenza di Dio, e Dio parla dalla nube (cf. Es 19,9, 20,21, 24,16). Mosè ed Elia sono gli unici grandi personaggi dell’Antico Testamento che hanno un particolare legame con il Sinai/Oreb e con la rivelazione di Dio su questo monte. Mosè, in quanto mediatore tra Dio e il popolo, ha ricevuto la Legge sul Sinai, dove Dio ha stipulato la sua alleanza con il popolo d’Israele (Es 19–40). Elia, in quanto profeta perseguitato e minacciato di morte, è fuggito all’Oreb, dove ha avuto un incontro particolare con Dio e ha ricevuto nuovi compiti da Lui (1 Re 19,1-18). Pertanto ci sono tanti motivi per paragonare la rivelazione di Dio sul monte della trasfigurazione con la rivelazione di Dio sul Sinai. Prendiamo ora in considerazione solo l’inizio della rivelazione sinaitica.
Al Sinai Dio dice a Mosè (e a Israele): “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna…” (Es 20,2-4; Dt 5,6-8). A queste parole fa seguito il decalogo e fanno seguito molte disposizioni legali. Sul monte alto Dio dice ai tre discepoli (che sono i testimoni): “Questi è il Figlio mio, il prediletto: ascoltatelo!” (Mc 9,7). Al Sinai Dio rivela innanzitutto se stesso e il suo rapporto con il popolo, cioè dice chi è lui per questo popolo e che cosa ha fatto in favore di questo popolo. Sul monte alto Dio non rivela se stesso, ma rivela Gesù come suo Figlio prediletto. Ma più precisamente dobbiamo dire che anche qui Dio rivela se stesso, perché, rivelando Gesù come suo Figlio prediletto, rivela se stesso in quanto Padre di Gesù, che ama suo Figlio. Dio rivela l’uguaglianza di Gesù con sé, rivela che Gesù si trova al suo stesso livello e al suo fianco. Al Sinai poi seguono molte disposizioni che riguardano il comportamento giusto del popolo d’Israele. Tutte sono fondate nella posizione che Dio ha nei confronti di questo popolo. I primi comandamenti regolano il comportamento del popolo nei riguardi di Dio stesso: “Non avrai altri dèi di fronte a me…” (Es 20,3-7). Anche sul monte alto il primo comandamento riguarda colui che è stato appena rivelato ed è fondato nel suo rapporto con Dio: “Ascoltatelo!” (Mc 9,7). Questo comandamento segue immediatamente la rivelazione e regola il comportamento verso la persona rivelata; pertanto corrisponde, per la sua posizione e per il suo contenuto, ai comandamenti del Sinai che regolano il comportamento verso Dio (cf. Es 20,3-7). Inoltre, esso condivide il carattere esclusivo dei comandamenti che riguardano Dio. Come Israele non deve avere altri dèi di fronte al Signore, così i discepoli devono ascoltare soltanto il Figlio prediletto di Dio. Non solo la rivelazione precedente (“Questi è il Figlio mio, il prediletto”), ma anche questo comandamento mettono Gesù accanto a Dio e hanno una singolare importanza. Questa importanza viene sottolineata e accresciuta dal fatto che c’è solo questo unico comandamento. Al Sinai alle parole iniziali di Dio fa seguito il decalogo e fanno seguito molte leggi. Al monte della trasfigurazione ogni comando di Dio sul giusto comportamento è riassunto nella parola: “Ascoltatelo!”. Continuando il paragone con il decalogo, possiamo dire che questa parola, in quanto corrisponde ai comandamenti che riguardano il comportamento verso Dio, appartiene alla cosiddetta prima tavola; e allora dobbiamo constatare che non c’è una seconda tavola. Possiamo anche dire che nell’Antico Testamento abbiamo le dieci parole (i dieci comandamenti) e parliamo di “decalogo”, mentre nel Nuovo Testamento abbiamo questa unica parola di Dio (questo unico comandamento), e in questo senso potremmo parlare di “monologo” del Nuovo Testamento, che dice appunto: “Ascoltatelo!”.
Questa considerazione sulla parola rivolta da Dio ai tre discepoli nel contesto della trasfigurazione ci fa capire di nuovo il carattere singolare di tale parola e anche la posizione singolare di Gesù. Dio dice questa unica parola, attraverso la quale rivela il suo Figlio prediletto (e se stesso come Padre di questo Figlio), e nella quale indica il giusto comportamento verso suo Figlio. Per tutto il resto i discepoli sono indirizzati al Figlio. Egli è per loro “la parola di Dio”, attraverso la quale essi ricevono la vera conoscenza di Dio e anche la conoscenza dell’agire giusto.
3. La parola di Dio e il cammino dei discepoli con Gesù

La trasfigurazione di Gesù, e con essa la parola rivolta da Dio ai tre discepoli, occupa un determinato posto nel cammino dei discepoli con Gesù. Quindi vogliamo esaminare anche quale sia la portata di tale parola per questo cammino, quale sia il suo influsso sulla conoscenza di Gesù e sul comportamento verso Gesù da parte dei discepoli.
La domanda: “Chi è Gesù?”, è fondamentale sin dall’inizio per il cammino dei discepoli con Gesù. Qui non abbiamo il tempo di mostrarne tutti i particolari. La parola di Dio costituisce il culmine per la rivelazione e per la conoscenza di Gesù, quanto al contenuto e quanto all’autorevolezza. Questa parola mostra qual è il rapporto personale che c’è tra Dio e Gesù. Nella passione di Gesù viene posta l’alternativa: Gesù è veramente il Figlio di Dio, o è un bestemmiatore di Dio? (cf. Mc 14,61-64; 15,39). L’intervento potente di Dio, che risuscita Gesù dai morti, conferma definitivamente la parola di Dio: Gesù è veramente il Figlio prediletto di Dio.
A partire dalla loro chiamata, i discepoli hanno ascoltato e accettato la parola di Gesù (Mc 1,16-20). Durante tutto il loro cammino con Gesù la caratteristica dei discepoli è che essi seguono Gesù e ricevono da lui, oltre all’insegnamento rivolto a tutto il popolo, una particolare istruzione (cf. 4,34; 7,17-23) ed esperienze particolari della sua persona (cf. 4,35-41; 6,45-52; 8,14-21). Talvolta l’evangelista riferisce che i discepoli non comprendono Gesù e che Gesù si meraviglia della loro incomprensione (cf. 4,13.40; 7,18; 8,17-21); ma non dice mai che i discepoli abbiano rifiutato di ascoltare Gesù. Così viene presentato il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli durante la sua attività in Galilea (Mc 1,14–8,26).
Gesù lascia la Galilea assieme ai discepoli, si reca dapprima nella regione di Cesarea di Filippo (8,27) e poi inizia con loro il cammino verso Gerusalemme. Durante questo cammino egli si occupa solo dei discepoli, con poche eccezioni (cf. 9,14-27; 10,1-22.46-52). Gesù istruisce più volte soltanto loro, escludendo tutti gli altri (cf. 9,30-31), sul fatto che egli, secondo il piano salvifico di Dio (‘dei’), sarà riprovato dal sinedrio, sarà ucciso e dopo tre giorni risusciterà (8,31; 9,31; 10,33-34).
Dopo la prima istruzione di Gesù, Marco riferisce: “Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo” (8,32). Qui si verifica un completo cambiamento nell’atteggiamento dei discepoli. Non si tratta più di una loro incomprensione passiva, per così dire, ma di un loro rifiuto attivo: essi non vogliono ascoltare e accettare l’insegnamento di Gesù. Egli reagisce con grande fermezza, rimproverando Pietro: “Va’ dietro a me, satana. Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (8,33). “Su, dietro a me!” (1,17) è stata la prima parola che Gesù ha indirizzato a Simone e Andrea. In questo modo li ha chiamati e ha stabilito una volta per sempre il loro rapporto reciproco: egli è il maestro ed essi sono i discepoli; egli parla e determina il cammino ed essi lo ascoltano e lo seguono. Pietro si è allontanato da questo rapporto, e viene rimesso in esso, in modo esplicito e preciso, dalla parola di Gesù: “Va’ dietro a me!”. Le successive parole di Gesù mostrano quanto l’agire di Pietro sia contrario al piano e alla volontà di Dio. Gesù chiama Pietro “satana” – satana è caratterizzato dal fatto di essersi ribellato a Dio e di impegnarsi continuamente a spingere le creature di Dio ad agire contro Dio. Gesù dice a Pietro esplicitamente da che cosa è determinato il suo pensiero e desiderio: non dalla volontà di Dio, ma dal volere umano, naturale e spontaneo.
È proprio a questa profonda crisi che fa seguito, dopo sei giorni (9,2), la trasfigurazione di Gesù. La parola di Dio rivolta a Pietro, Giacomo e Giovanni è la risposta di Dio a questa crisi. Essi devono sapere che colui che viene respinto e ucciso dagli uomini non è solo il Cristo, come ha confessato Pietro (8,29), ma è il Figlio prediletto di Dio. Essi devono ascoltare e accettare il fatto che Gesù sarà respinto e ucciso e dopo tre giorni risusciterà, sebbene questo vada contro i loro desideri e le loro aspettative. La parola di Dio è innanzitutto la presentazione di colui che ha parlato in questo modo, e mostra che non il rifiuto, ma l’incondizionato ascolto è il giusto comportamento nei suoi confronti.
Ascoltare significa quindi riconoscere questo Gesù consegnato, riprovato e ucciso dagli uomini e risuscitato da Dio come il Figlio prediletto di Dio. Ascoltare significa anche accettare il suo cammino per se stessi ed essere pronti a seguirlo, rinunciando ad altri desideri per la propria vita (cf. 8,34-38).
Quanto sia difficile ascoltare Gesù, lo capiamo dal successivo comportamento dei discepoli. Essi non si occupano del secondo annuncio della sorte dolorosa di Gesù (9,31-32), ma discutono tra di loro su chi sia il più grande (9,34). Non ascoltano l’insegnamento di Gesù sul servizio (9,35-37), ma Giacomo e Giovanni gli chiedono i primi posti (10,35-40), provocando la rabbia degli altri dieci (10,41), e costringendo così Gesù a fare un altro insegnamento sul servizio (10,42-45). Il non-ascoltare raggiunge il suo culmine quando i discepoli, dopo l’arresto di Gesù, fuggono e non lo seguono più. Ma Gesù, predicendo la loro fuga (14,27), annuncia anche: “Dopo la mia risurrezione vi precederò in Galilea” (14,28). Con il comando: “Va’ dietro a me” (8,33), Gesù ha rimesso Pietro al posto che gli spetta. Con l’annuncio: “Vi precederò in Galilea”, dice che egli, in quanto Signore risorto, sarà di nuovo il loro maestro, e li invita di seguirlo di nuovo, a riprendere il posto di discepoli. La fedeltà e il perdono di Gesù superano la fuga dei discepoli e ridanno ad essi la possibilità di ascoltare Gesù risorto.
Abbiamo dunque esaminato la singolare parola di Dio: “Questi è il mio Figlio, il prediletto: ascoltatelo!”, e abbiamo notato la sua particolare concentrazione sulla persona di Gesù. Lo stesso fenomeno si manifesta nella situazione dei discepoli che l’evangelista segnala dopo la trasfigurazione: “Guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro” (9,8). Dopo la rivelazione data da Dio Padre, i discepoli sanno che Gesù è il Figlio prediletto di Dio, e che devono e possono ascoltarlo incondizionatamente. Ad essi basta avere Gesù solo, con loro.

Conclusione
In una delle sue lettere san Girolamo, patrono di noi esegeti, di cui abbiamo celebrato la festa venerdì scorso, scrive a proposito degli studi della Sacra Scrittura: “Vivere tra queste cose, meditare queste, non conoscere altro, non cercare altro, non vi pare che sia un’oasi di paradiso già qui in terra?” (Ep. 53,10). Papa Pio XII cita queste parole nella sua enciclica Divino afflante Spiritu (EB 569). Riprendendo questa parola di san Girolamo, posso dire: “40 anni al Biblico, 40 anni in Paradiso”. Ho cominciato il mio servizio al Biblico nel 1971, insegnando il proseminario di metodologia, e ho finito nel 2009/10, moderando un seminario. Al Biblico ho fatto l’esperienza di cui parla san Girolamo: l’esperienza della gioia di poter studiare la parola di Dio, di poter comunicare i frutti dello studio e di poter introdurre non pochi studenti ai modi e metodi dell’esegesi.
Con la conclusione della mia relazione giunge anche il momento del ringraziamento. La mia profonda gratitudine va innanzitutto a Dio. Esprimo poi un sentito grazie ai miei maestri, specialmente al P. Card. Vanhoye, a tutti i miei colleghi, a tutti quelli che hanno lavorato al Biblico in questi anni, specialmente alla Segreteria, alla Biblioteca e all’Amministrazione delle pubblicazioni, con i loro direttori. Un grazie particolare alla Sig.ra Maria Grazia Franzese e al Sig. Carlo Valentino. Infine, vivi ringraziamenti a tutti quelli che mi hanno ascoltato attentamente e pazientemente in questa Aula Magna, compresi gli ascoltatori di oggi.
Concludo con l’augurio che questa Aula Magna, splendidamente rinnovata, possa servire per molti anni all’attività del Pontificio Istituto Biblico, resa feconda dalla benedizione di Dio.

Pontificio Istituto Biblico – 2011

MARIA CHIESA NASCENTE DI JOSEPH RATZINGER

http://www.fractio.it/pagine.htm

MARIA CHIESA NASCENTE

DI JOSEPH RATZINGER

DEVOZIONE MARIANA

La devozione mariana nella liturgia della chiesa si colloca nell’Avvento ed in genere nell’ambito delle feste che riguardano il ciclo natalizio: la Candelora e l’Annunciazione. Quindi la devozione mariana è avventuale, essa è colma della gioia di un’attesa a breve scadenza ed è collegata al motivo dell’incarnazione donata.

Ulrich Wickert dice che Luca descrive bene come Maria che è due volte avventuale :
1) All’inizio del vangelo quando aspetta la nascita del Figlio
2) All’inizio degli Atti degli Apostoli quando aspetta la nascita della chiesa.
3)
Di sicuro, la devozione mariana, è prima di tutto “ incarnatoria” cioè rivolta al Signore che è venuto e con essa impariamo a restare con Maria presso di Lui. Dobbiamo ricordare inoltre che anche Maria ha vissuto l’esperienza dell’essere rifiutati ( Gv 2,4), Ella è <<data via >> ai piedi della croce ( Gv 19,26) e si fa compartecipe di quel rifiuto che Gesù nell’orto degli ulivi ( Mc 14,34) e sulla croce ( Mt 15,34). Così la devozione mariana è anche devozione della passione, infatti, Simeone profeticamente le disse << una spada ti trafiggerà il cuore>>. Con la profezia del vegliardo Simeone, Luca, fin dall’inizio unisce incarnazione e passione con i misteri gaudiosi e dolorosi.
Nella lettera enciclica “ Redemptoris Mater” Nel 1987 Giovanni Paolo II approfondisce la figura della Vergine e ne sottolinea la sua importanza nell’economia della Bibbia. Con questo libro “Maria chiesa nascente” il cardinale Ratzinger fa una serie di considerazioni per facilitare la lettura del documento papale e ne focalizza i contenuti principali.

4 sono i punti focali delle Redemptoris Mater

1) Maria, la credente
2) il segno della donna
3) la mediazione di Maria
4) Sensodell’anno mariano

1) Maria, la credente
L’atteggiamento centrale che caratterizza la figura della Vergine nell’Enciclica è la fede di Maria. “ Beata colei che ha creduto” ( dice Elisabetta, Le 1,45) : diventa la parola chiave della mariologia. La Vergine è inserita tra i grandi credenti della storia, il Papa vede Maria unita alla figura di Abramo: come la fede di Abramo divenne l’inizio dell’antica alleanza, così la fede di Maria inaugura con l’annunciazione, la nuova alleanza. Come Abramo per fede confida in Dio, obbedisce a Lui anche lungo un cammino oscuro, così la Madonna si arrende, si affida a Dio…………si conforma a Lui. Dicendo “ si” alla nascita del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, ella mette a disposizione il suo grembo e tutta se stessa come luogo della presenza di Dio.
Il carattere di croce della fede che Abramo sperimentò in maniera radicale, si manifesta poi per Maria nell’incontro con Simeone e poi nella perdita e nel ritrovamento di Gesù dodicenne ( Lc, 2, 48 – 50 ). Inoltre la meditazione sulla fede di Maria trova il culmine nell’interpretazione di Maria sotto la croce. Ella crede e medita nel cuore le parole udite << Il Signore gli darà il trono di Davide…………e il suo regno non avrà fine>>sembra smentita; la fede sembra essere nell’oscurità totale, ma proprio così essa è partecipazione allo spogliamento di Gesù ( Fil 2,5 -8): la fede insomma è comunione con la croce ed essa diventa pieno solo sulla croce.

2) Il segno della donna.
Il secondo filone dell’Apocalisse presenta Maria come guida della storia, come segno dei tempi. Nel 12° capitolo dell’Apocalisse si parla del segno della storia che viene dato ad un determinato momento della storia per determinare le vicende parallele del cielo e della terra: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu la insidierai al calcagno”( Gen 3,15).
In questa sentenza contro il serpente i Padri videro una promessa del Redentore… nell’istante della caduta comincia anche la promessa, ha inizio quindi il tema cristologico e quello mariologico inseparabilmente intrecciati.
La prima promessa di Cristo (che per il momento è ancora oscura) è una promessa fatta alla donna e per mezzo della donna. La storia futura presenta quindi tra attori:

1) La donna 2) la discendenza 3) il serpente.
La discendenza annuncia la liberazione e la benedizione: la donna schiaccia il corpo del serpente, ma la maledizione è ancora potente perché “ il serpente insidia il calcagno”.
Questi tre attori ritornano nell’Apocalisse e qui il dramma della storia è nella fase decisiva.
Già a Nazaret l’Angelo aveva detto “ti saluto, o piena di grazia” ora nell’Apocalisse la donna è già definitivamente benedetta. Maria ha generato infatti il Figlio di Dio ed è realmente “piena di grazia” e quindi diventa il segno per la storia, Ella è la guida della speranza e così la benedizione è più forte della maledizione.

3) LA MEDIAZIONE DI MARIA
E’ questo un altro punto sviluppato nell’Enciclica, già nel Concilio Vat. 2° Maria è appellata con il titolo “ Mediatrice” e “ Lumen gentium”. Il Santo Padre sottolinea prima di tutto l’unica mediazione di Gesù Cristo, tale unicità non è esclusiva , ma rende possibile altre forme di partecipazione, ad esempio la mediazione di Maria che assume la forma di intercessione. Una prima idea di mediazione, il Papa ce la fornisce riportando il miracolo di Cana in cui l’intervento mediatore di Maria fa sì che Cristo anticipi quello che avrebbe fatto in seguito, così come avviene continuamente nei segni della Chiesa, nei sacramenti. La tesi fondamentale del Papa è: la specificità della mediazione di Maria sta nel fatto che essa è mediazione materna, ordinata alla continua nascita di Cristo nel mondo. Essa mantiene presente nell’evento della salvezza la dimensione femminile, che ha in lei il suo centro permanente. Certamente se si pensa alla Chiesa in maniera istituzionale solo in forma di decisioni e azioni e maggioranza, non rimane più spazio per una cosa del genere. Allora la domanda è: perché bisogna vedere la dimensione femminile e materne della Chiesa fissata per sempre in Maria? L’enciclica risponde partendo da un passo delle Scritture che da un primo momento sembra ostile a Maria: alla donna che entusiasta del messaggio di Cristo dà lode al corpo che lo ha partorito, Gesù risponde “ Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano ( Lc 11,28 ) e ancora “ Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. A prima vista queste affermazioni antimariane, ma in realtà ci fanno conoscere 2 cose: 1) al di là della nascita fisica irripetibile di Cristo, esiste un’altra dimensione della maternità che deve continuare. 2) La maternità che fa nascere continuamente Cristo è basata sull’ascolto, sulla conversazione e sulla realizzazione della parola di Gesù. Luca quindi mostra che la maternità di Maria non è solo un evento biologico irripetibile, ma essa fu ed è madre con tutta la sua persona. Ciò si concretizza il giorno della Pentecoste, nel momento della nascita della Chiesa dallo Spirito Santo, Maria è in mezzo alla comunità orante, che con l’avvento dello Spirito diventa Chiesa. Il Santo Padre poi riprendendo il vangelo di Luca e quello di Giovanni cita le parole di Gesù crocifisso “ Ecco tua madre” e “Donna ecco tuo figlio” e la interpreta come il testamento di Cristo in croce e qui Maria è data all’uomo come madre e la Vergine acquista una nuova maternità perché essa diventa eredità di ogni discepolo di Dio, di ogni cristiano: un dono che Cristo fa ad ogni uomo. Inoltre “ e da quel momento il discepolo la prese con sé ( Gv 19,27 ): per il Santo Padre la traduzione letterale è “ l’accolse tra le cose proprie” cioè una relazione del tutto personale tra il discepolo e Maria, un reciproco affidamento che diventa via alla nascita di Cristo e forma Cristo nell’uomo. In questo modo la funzione mariana getta luce sulla figura della donna, sulla dimensione del femminile e sul compito particolare della donna nella Chiesa.

4) Il senso dell’anno mariano
Per il Santo Padre il senso dell’anno mariano) comincia a Pentecoste, perché l’icona della Pentecoste deve diventare l’icona della nostra identità e della nostra speranza e perché la Chiesa deve apprendere da Maria il suo essere chiesa. L’anno si conclude poi con la festa dell’Assunzione corporea di Maria in cielo, luogo di salvezza, di ogni salvezza. Il fine dell’anno mariano è messo in evidenza dal Santo Padre riprendendo l’inno “ Alma Redemptoris Mater”, sottolineando le parole” soccorri il tuo popolo, che cade, ma pur sempre anela a risorgere: c’è un chiaro invito per ogni uomo a seguire la via del non – cadere e ad imparare da Maria qual è questa via.
<< Tu sei la piena di grazia >> Elementi per una devozione mariana biblica.
<< D’ora in poi tutte le generazioni la chiameranno beata >>: questa parola della Madre di Gesù che Luca ci ha tramandato è insieme profezia e compito per la chiesa di tutti i tempi.
Questa frase del Magnificat è uno dei fondamenti essenziali della devozione cristiana a Maria. Quando Luca ha scritto il suo Vangelo si era già alla 2° generazione cristiana cioè alla generazione di giudei si era aggiunta quella dei pagani che era diventata chiesa di Gesù Cristo. Nel suo Vangelo, Luca fissa con cura ciò che i testimoni oculari e i servitori della parola fin dall’inizio avevano tramandato, i primi due capitoli fanno intendere un ambiente di tradizione in cui la memoria di Maria era custodita e la Madre del Signore era amata e lodata. Ciò fa capire che il grido della donna sconosciuta “Beato il seno che ti ha partorito” non si era spento e che il saluto di Elisabetta”Tu sei benedetta fra tutte le donne” non era rimasto un episodio isolato. La presenza di Maria in Luca eleva la venerazione di Maria da semplice fatto a compito per la Chiesa universale. La Chiesa quindi trascura una parte della sua missione se non loda Maria e se non venera Maria non onora nemmeno Dio nel modo che gli si addice perché Dio si è reso visibile nella storia degli uomini non solo attraverso Abramo, Isacco e Giacobbe ma anche attraverso Maria e la sua maternità.

Maria, la figlia di Sion, la Madre dei credenti.
Maria, partendo dal saluto dell’Arcangelo Gabriele dice che c’è in embrione la mariologia che Dio attraverso il suo messaggero voleva trasmettere a noi. “Gioisci, o piena di grazia, il Signore è con te” sembra una forma di saluto in lingua greca in realtà nell’Antico Testamento appare solo 4 volte ed ogni volta è l’annuncio della gioia messianica cioè la gioia che ha origine da Dio e che irrompe nell’antica ed infinita tristezza del mondo. Il motivo della nostra tristezza è la vanità del nostro amare, la tirannia della morte, del dolore, del male. Perché Maria “gioisce”? Perché il Signore è con lei, l’angelo riprende un testo dell’Antico Testamento di Sofonia in cui c’è la doppia promessa per Israele, la figlia di Sion: 1)Dio verrà come Salvatore e 2) abiterà in lei. Il dialogo dell’angelo con Maria riprende questa promessa: 1)Maria è equiparata alla figlia di Sion 2)Gesù, che Maria partorirà, è equiparato al Dio vivente. La venuta di Gesù è la venuta dell’inabitazione di Dio stesso. Luca approfondisce il tema dell’inabitazione: Dio abita nel “seno” di Israele, nell’arca dell’Alleanza. Ora questo abitare nel seno di Israele diventa realtà nella vergine di Nazaret,che così diventa la vera arca dell’alleanza in Israele. Inoltre Maria è totalmente su misura di Cristo e di Dio ed è da Lui totalmente abitata. La chiesa è l’abitazione di Dio nel mondo, Egli è persona e la chiesa è persona, tutti noi diventiamo persone per divenire abitabili per Dio e tanto più siamo la chiesa tanto più la chiesa è se stessa. L’angelo salutando Maria dice “piena di grazia”, in greco grazia si dice “charis”ed ha la stessa radice di gioia: la gioia viene dalla grazia, può gioire chi è nella grazia e viceversa la grazia è la gioia. Ma cos’è la grazia? Pietro Lombardo prendendo spunto dai manuali di teologia medievale ha formulato la tesi secondo cui “grazia e amore” sono la stessa cosa, ma l’amore è lo Spirito Santo. La grazia quindi non è qualcosa che viene da Dio ma è Dio stesso, il dono che Dio ci fa è lui, che come Spirito Santo è comunione con noi.
“Tu sei piena di grazia” significa anche che Maria è una donna che senza timore si è messa nelle mani di Dio, Ella è creatura che prega, proiettata verso Dio, che ama e che è aperta anche a soffrire. Luca inoltre attraverso una serie di allusioni fa un parallelo tra Abramo, padre dei credenti e Maria, madre dei credenti. “Essere nella grazia” significa “essere credenti”: la fede implica fiducia, dono di sé ed anche oscurità. Il parallelo tra Maria ed Abramo ha inizio nella gioia della promessa del figlio, continua con la salita al monte di Maria fino alla crocifissione di Cristo, si va poi alla miracolosa liberazione di Isacco fino alla risurrezione di Gesù Cristo.

Maria, Profetessa:
Nel Vangelo di Luca si colgono altri due aspetti riguardo la figura di Maria:
1)Il 1 aspetto riguarda la preghiera di Maria e la sua meditazione

2)Il II aspetto è Magnificare Dio cioè rendersi liberi per Lui.
Il primo aspetto il cardinale Ratzinger lo individua in tre testi. Il primo è la scena dell’annunciazione: Maria è turbata per il saluto dell’Angelo e si domanda cosa significhi ciò. Luca usa per “domandarsi” la parola che ha la radice greca “dialogo” cioè Maria entra in dialogo con la parola, Ella svolge un dialogo interiore con la parola a lei proposta, la interpella per cercare di penetrare il significato.
Il secondo testo che mette in evidenza questo aspetto riguarda il racconto dell’adorazione di Gesù che parte dai pastori: Maria “conservava” nel suo cuore queste parole. Luca attribuisce a Maria la memoria che comprende meditando, Ella traduce gli avvenimenti in parole, “mette” insieme, inserisce il particolare nel tutto, lo confronta, lo contempla e lo conserva. La parola diventa SEME nella buona terra.
Il terzo testo riguarda l’episodio di Gesù dodicenne al tempio. “Essi non compresero le parole che disse loro”: anche per chi crede ed è aperto a Dio, le parole di Dio non sono subito chiare e comprensibili. Anche la Madre in questo momento non comprende le parole del figlio ma “custodisce tutte queste parole nel suo cuore” Questo approfondimento del legame tra ascolto, meditazione ed accoglimento rendono Maria profetessa in quanto è colei che ascolta, che interiorizza la Parola e poi può farne di nuovo dono al mondo.

Maria nel mistero della croce e della risurrezione :
Il secondo aspetto dell’immagine di Maria è magnificare Dio, cioè rendersi liberi per Lui. In Luca troviamo espressa la dimensione di croce che la grazia, la profezia e la mistica hanno per Maria l’incontro con il vecchio Simeone. Egli dice a Maria “ A te una spada trafiggerà l’anima”: chiaramente è un’allusione alla passione del Figlio che diverrà la sua propria passione. Questa passione inizia con la visita al tempio quando Maria impara a lasciare libero Colui che ha generato e ad accettare la preminenza del vero Padre, Ella deve compiere totalmente il suo “ si” alla volontà di Dio che l’ha fatta diventare madre, mettendosi in disparte e lasciando che Gesù compie la sua missione. Maria viene quindi preparata al mistero della croce che non termina col Golgota ; nella madre che con tutti ricordiamo col figlio morto in braccio, tutti i sofferenti hanno trovato consolazione perché vi hanno visto la compassione divina. La croce di Cristo e il compatire di Dio con il mondo, l’immagine della Pietà “ la mater dolorosa” che abbraccia il figlio morto e manifesta la passione materna di Dio, essa è la compassione di Dio, resa presente in un essere umano che si è lasciato attirare nel mistero di Dio. Solo in Maria l’immagine della croce giunge a compimento, perché essa è la croce accolta, la croce che si comunica nell’amore e che nella sua compassione ci permette di sperimentare la compassione di Dio. In questo modo la sofferenza della madre e sofferenza pasquale, che manifesta la trasformazione della morte nell’<< essere con>> dell’amore. Apparentemente ci siamo allontanati dal “ gioisci” con cui è iniziata la storia di Maria, ma questa gioia è vera perché nella sofferenza non viene distrutta ma porta a maturità. Solo la gioia resiste alla sofferenza ed è più forte della sofferenza stessa.

Le orme di Dio:
Dio non è legato a pietre, ma Egli si lega a persone vive. Il sì di Maria apre a Dio lo spazio dove può piantare la sua tenda. Maria diventa per Lui la tenda e così Ella è l’inizio della santa Chiesa e a sua volta è anticipo della nuova Gelusalemme. << Dio è nella carne >>: questo legame indissolubile di Dio con la sua creatura costituisce il centro della fede cristiana. I primi cristiani ritennero sacri tutti quei luoghi in cui Dio si è manifestato: Nazareth, Betlemme e Gerusalemme divennero luoghi in cui si potevano le orme del Redentore e il mistero dell’incarnazione. Riguardo al racconto dell’annunciazione, interessante anche se ricco di elementi leggendari è il Protoevangelo di Giacomo: “ Maria presa la brocca ed uscì per prendere l’acqua, sentì una voce “ salve piena di grazia”, Ella si voltò a destra e a sinistra, si turbò, entrò in casa depose la brocca e cominciò a filare. Ed ecco un angelo del Signore apparve. A questa doppia tradizione corrispondono i due santuari, il santuario orientale della fontana e la basilica cattolica che è costruita vicino la grotta dell’annunciazione. Entrambe hanno un senso profondo: l’acqua è l’elemento della vita. I Padri dell’Antico Testamento raccontano che dove giungevano scavavano pozzi. Il pozzo è quindi sempre più il simbolo della vita, fino al pozzo di Giacobbe dove Gesù stesso si rivela come la fonte della vera vita, della quale ha sete l’umanità. L’acqua che zampilla diventa segno del mistero di Cristo, che ci dona l’acqua della vita e dal cui costato aperto scorrono acqua e sangue. Ma accanto sta la casa: luogo di preghiera e di raccoglimento. “ quando vuoi pregare, entra nella tua camera”: l’annuncio dell’Incarnazione e la risposta della Vergine esigono la discrezione della casa.

 

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