Archive pour le 23 mai, 2014

Descent of the Holy Spirit icon, 12th century. Leningrad

Descent of the Holy Spirit icon, 12th century. Leningrad dans immagini sacre Descent_of_the_Holy_Spirit_icon,_12th_century._National_Museum_of_Georgia

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1 PIETRO 3,15-18 – COMMENTO BIBLICO

http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=1%20Pietro%203,15-18

BRANO BIBLICO SCELTO

1 PIETRO 3,15-18

Carissimi, 15 adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, 16 con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. 17 E’ meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male.
18 Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito.

COMMENTO
1 Pietro 3,15-18

La fortezza nella persecuzione
La Prima lettera di Pietro è uno scritto cristiano della fine del I secolo che si presenta come opera del grande apostolo di cui porta il nome, ma che secondo gli studiosi moderni è una raccolta di tradizioni che al massimo potrebbero risalire in qualche modo a Pietro o al suo ambiente. Essa non è una lettera vera e propria, ma un’omelia a sfondo battesimale. Essa si apre con l’indirizzo e una benedizione iniziale (1,1-5) a cui fa seguito il corpo della lettera che si divide in tre parti: 1) Identità e responsabilità dei rigenerati (1,6 – 2,10); 2) I cristiani nella società civile (2,11 – 4,11); 3) Presente e futuro della Chiesa (4,12 – 5,11). Nella seconda di queste tre parti l’autore, dopo aver dato direttive a ogni categoria di cristiani, suggerisce il comportamento da tenere nelle persecuzioni (3,13-18). Quest’ultimo brano è introdotto da una beatitudine rivolta a coloro che soffrono per la giustizia e da una esortazione a non avere paura dei persecutori (vv. 13-14); esso prosegue poi con alcune direttive (vv. 15-18) che sono riprese dalla liturgia.
La persecuzione non può non suscitare paura e sgomento; ma di fronte ad essa il credente deve assumere un atteggiamento positivo: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi (v. 15a). Il miglior antidoto nei confronti della paura consiste nel mantenere fermo il rapporto con Cristo. È soprattutto nei loro cuori che i credenti devono «adorare» (hagiazein, santificare) Cristo, riconoscendogli il compito di guida e maestro interiore. Così facendo essi daranno un senso alla loro vita, che si manifesterà in atteggiamenti di fiducia e di speranza. Vivendo in questo modo essi saranno preparati a dare una risposta convincente a coloro che, vedendo la loro speranza, pongono delle domande circa la sua origine. In altre parole, i cristiani non devono prendere l’iniziativa di dichiarare la loro fede: è sufficiente infatti che manifestino una speranza che susciti degli interrogativi, ai quali potranno rispondere indicandone l’origine nel messaggio evangelico. La testimonianza della vita deve dunque precedere quella verbale, che ha semplicemente la funzione di esplicitare ciò che in essa è implicito.
La risposta del cristiano alle domande che gli vengono fatte non deve però venir meno a precise esigenze di comportamento: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male» (vv. 15b-17). Un atteggiamento fatto di dolcezza (praütês, mitezza, non violenza), di rispetto (phobon, timore) e di «buona coscienza», cioè determinato da un’intenzione retta, senza secondi fini, è l’unico in grado di sconfessare quanti mettono in dubbio la rettitudine del loro comportamento «in Cristo», cioè della loro vita cristiana. È importante che alle parole corrispondano le opere, le quali soltanto sono veramente convincenti. Se poi, nonostante tutto, non si è capiti e si viene fatti oggetto di vessazioni, non bisogna sentirsi delusi perché, dovendo comunque soffrire, è meglio che ciò avvenga avendo fatto il bene piuttosto che il male.
Infine, nei momenti di difficoltà il cristiano deve sempre rifarsi all’esempio di Cristo: «Anche Cristo è morto una volta sola per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito» (v. 18). L’efficacia della sofferenza di Cristo è vista nel fatto che egli è morto «una sola volta» (apax) «per i peccati» (peri hamartiôn), cioè a motivo dei peccati, che ha eliminato una volta per tutte. L’idea di fondo è quella del Servo di JHWH il quale, prendendo su di sé le conseguenze dei peccati del popolo, ha rotto la spirale della violenza rendendo possibile la riconciliazione del popolo. L’autore sottolinea che Cristo, accettando volontariamente la sua morte, ha dimostrato di essere un giusto in quanto ha operato «per» (hyper) gli ingiusti, cioè ha messo un argine alla loro ingiustizia. E per questo motivo è morto sì «nella carne», cioè nel suo corpo mortale, ma è stato vivo «nello spirito» (pneumati), cioè ha dimostrato di essere portatore della potenza stessa di Dio, al quale ha ricondotto l’umanità peccatrice.

Linee interpretative
Le direttive contenute in questo brano rivelano una situazione in cui i cristiani sono fatti oggetto di vessazioni, se non di aperte persecuzioni. La preoccupazione più grande dell’autore è quella di prevenire lo scoraggiamento che potrebbe minare la loro fede. Egli perciò raccomanda di mantenere vivo il rapporto interiore con Cristo, dal quale soltanto scaturisce quella speranza che consiste nel dare un significato alle scelte quotidiane della vita. Questo modo di reagire alla persecuzione non solo darà loro la possibilità di mantenersi fedeli a Cristo, ma susciterà delle domande nei loro avversari, alle quali essi dovranno saper rispondere in modo sincero e spontaneo, indicando qual è la sorgente della loro speranza, cioè la fede in Cristo.
L’autore si preoccupa anche che i cristiani non cadano in un’autodifesa arrogante e aggressiva, che li metterebbe sullo stesso piano dei loro avversari. Essi devono saper evitare ogni tipo di violenza, anche solo verbale. In loro non deve esserci alcun senso di rivalsa, anzi devono imparare da Cristo che, soffrendo senza avere fatto nulla di male, collaborano con lui nella sua lotta contro il peccato e aprono agli altri la via verso Dio. In questa prospettiva anche la sofferenza più grande, quella della morte, non è poi una disgrazia così terribile, perché riguarda, come per Cristo, soltanto il corpo fisico, mentre in realtà rappresenta una vittoria dello Spirito sul potere del male.

25 MAGGIO 2014 – 6A DOMENICA DI PASQUA A – LECTIO DIVINA : GV 14,15-21

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/4-Pasqua-A-2014/Omelie/06-Domenica-Pasqua-A-2014/03-6a-Domenica-A-2014-JB.htm

25 MAGGIO 2014 | 6A DOMENICA DI PASQUA A | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

LECTIO DIVINA : GV 14,15-21

Consolando i suoi discepoli per la sua assenza, Gesù promette il Consolatore, lo Spirito che il mondo non riceverà mai: il vuoto lasciato da Gesù sarà occupato dal suo Spirito. L’assenza del Risuscitato non deve alimentare nessuna nostalgia nel cuore dei discepoli, perché il Paraclito, avvocato difensore, che svela Cristo rimane in essi. Non è tempo per lamentarsi della sua lontananza quando si ha a disposizione la cosa migliore di Cristo. Chi possiede questo Spirito può osare amare colui il quale sente la mancanza: l’amore non è la somma di affetti ma l’obbedienza radicale; chi si lamenta dell’assenza del suo Signore, ha come compito il compimento della sua volontà. Gesù non ha lasciato i suoi abbandonati, ma neanche disoccupati: chi possiede lo Spirito nel suo cuore tiene occupate le sue mani nell’obbedienza ed il suo cuore nell’amore fraterno.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
15 Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.
16 Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché stia con voi in perpetuo, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi.
18 Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. 19 Ancora un po’, e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi.
21 Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io l’amerò e mi manifesterò a lui.
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
La sensazione di abbandono che la comunità di Giovanni viveva dovette essere profonda ed inaspettata, anche se Gesù li aveva lasciati prima di partire. Il nostro testo appartiene a quel lungo discorso di addio (Gv 13,1-17,26) col quale Gesù anticipa quello che affronteranno i suoi discepoli e li aiuta a superarlo. La sua partenza faciliterà nuove presenze; Gesù promette ai suoi una presenza equivalente alla sua (Gv 14,12-14) e presenze nuove: del Paraclito (Gv 14,15-17), la sua (Gv 14,18-21). Significativo che il testo incominci e finisca con l’identico motivo: l’amore a Gesù (Gv 14,15.21) si manifesta nel compimento della sua volontà (Gv 14,15.21.23.24); bisogna notare un lieve, ma importante, cambiamento: all’inizio, Gesù si dirige ai suoi discepoli: se mi amate..; alla fine Gesù pensa a qualunque altro che, per amarlo, osservi i suoi comandamenti. L’amore all’Assente si verifica nell’obbedienza alla sua volontà e non nella nostalgia della sua sparizione. La comunità senza Gesù è il posto del compimento del suo mandato: se mi amaste, osservate i miei comandamenti (Gv 14,15).
L’obbedienza a Gesù provoca la sua intercessione davanti al Padre e l’invio dell’altro Avvocato (Gv 14,16). La missione di questo Protettore è identica a quella di Gesù; in realtà, lo rappresenta nella sua assenza, finché dura la sua lontananza, fino alla fine del tempo; starà in quelli che amano Gesù e rimarrà con essi (14,16.17). La sua funzione è quella di garantire la verità tra i credenti, come già lo fece il primo Paraclito (14,17; 1,14; 14,16; 15,26; 16,13); questo Spirito di verità non appartiene al mondo, rimane nella comunità, col risultato che non è riconosciuto né ricevuto dal mondo. Separando e distinguendo il credente dal mondo, questo Avvocato di Gesù non agirà dentro lo spazio mondano bensì dove si ami Cristo e si realizzi la sua volontà.
L’assenza non rende orfani, facilita una presenza nuova di Gesù tra i suoi: alla promessa di un nuovo avvocato, si unisce l’impegno del suo ritorno (Gv 14,18). Gesù sparirà dal mondo, ma non agli occhi dei suoi, perché Egli vive e vivranno i suoi credenti (Gv 14,19). Questa venuta di Cristo alla sua comunità non può essere la definitiva che sarà sensibile (1Tess. 4,16-17; Mc 13,24-26; Lc 17,22-24) ma non è meno efficace: i discepoli non sono rimasti abbandonati. Giovanni aggiorna così per la sua comunità l’esperienza pasquale dei primi testimoni: la presenza del Risuscitato si prolunga fino all’oggi della comunità.
L’orizzonte si espande: il voi comunitario si universalizza. Chiunque può diventare ubbidiente ed essere beneficiario dell’amore del Padre e del Figlio. L’amore che osserva la volontà di Gesù assicura l’amore di Dio e la rivelazione definitiva di Gesù (Gv 14,21): il Padre passa da sconosciuto ad amante dell’ubbidiente. L’autore è riuscito così ad esprimere teologicamente quello che la vita cristiana sperimenta nel quotidiano: la comunità cristiana ama il suo Signore perché fa il suo volere e si sente amata da Dio. « Ora ci ama affinché crediamo e conserviamo il precetto della fede; allora ci amerà affinché lo vedremo e riceveremo questa visione come premio della fede. Anche noi amiamo ora, credendo quello che vedremo allora, ed allora ameremo vedendo quello che crediamo » ora (Agostino).

2 – MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Il vangelo ci ricorda oggi le promesse che Gesù fece ai suoi discepoli prima di separarsi definitivamente da essi; li preparava così per una nuova epoca, nella quale avrebbero dovuto affrontare nuove sfide ed assumere nuovi compiti, senza il costante appoggio della sua presenza ed il suo consiglio. Gesù sapeva bene che i suoi si sarebbero sentiti abbandonati in un mondo ostile, deboli ancora nella fedeltà e soli con le loro paure. Prevedendo la difficoltà, Gesù consolò i discepoli che lasciava, impegnandosi a mandare loro il suo Spirito: non li lascerebbe, dunque, abbandonati; non rimanendo come l’avevano avuto fino ad ora, corporalmente, sarebbe stato a loro disposizione in forma nuova ma permanente, spiritualmente.
Questa promessa di Gesù ci raggiunge anche oggi. A differenza dei primi discepoli noi non abbiamo conosciuto Gesù secondo la carne; ma come ad essi, ci è stato promesso il suo Spirito, purché continuiamo a seguirlo, ed Egli ci segue consolandoci nel nostro cuore. È vero che noi oggi, a distanza di due mila anni e senza avere goduto ancora della presenza diretta di Gesù, difficilmente possiamo vivere a pieno quello che significa perderlo; ma non è meno certo che, come i discepoli che lo persero un giorno, anche noi ci sentiamo abbandonati e ci pesa il vuoto di Gesù nel nostro mondo. Le promesse di Gesù, dunque, ci concernono; ascoltarli oggi è il nuovo ‘vangelo’, la notizia realmente ‘buona.’
Perché, e tale è la sua prima parola di consolazione, Gesù non abbandona totalmente i suoi discepoli, per quanto si allontani fisicamente da essi: lascia loro un compito, quello di amarlo obbedendo a lui, quello di amarlo obbedendogli, quello di seguirlo senza possederlo. « Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. » Sapeva bene Gesù che il pericolo maggiore del discepolo sta nel credere che, non avendo il suo Signore al suo fianco, è dispensato di continuare ad obbedirgli. Gesù vuole che chi lo sente di meno, lo ami ancora di più. Fare la sua volontà, benché lo percepiamo assente nella nostra vita, compiere il suo volere, precisamente quando non lo sentiamo molto vicino, è la forma di renderlo presente ed efficace fino al suo ritorno.
Spesso ci rifugiamo nell’apparente lontananza di Gesù, dal nostro mondo – e di quel mondo che è il nostro cuore -, per dimenticarci di fare il suo volere. Scusando la nostra disubbidienza per la sua assenza, non facciamo che ingrandire il nostro vuoto: se l’amassimo in realtà, vivremmo come Dio comanda, senza importarci molto che ancora non lo sentiamo totalmente vicino a noi; se lo volessimo in realtà, convertiremmo il suo volere in norma della nostra esistenza, fino a quando non venga ed imprima il suo volere nel nostro cuore. Non è una buona forma di amare colui il quale si sente la mancanza il dimenticarsi di quello che gli piace o disubbidirlo solo perché è assente: la prova che vogliamo bene a chi ci manca è che non manchiamo al suo volere. Se la volontà di Gesù è la norma della nostra vita non ci sentiremo abbandonati a noi stessi; se non l’abbiamo, abbiamo almeno i suoi inviati; se non possiamo amarlo di persona, potremo amare la sua volontà.
Ma Gesù non ci lascia solo con obblighi. Si è impegnato ad ottenerci da Dio un Difensore unico, il suo stesso Spirito. Colui il quale lo animò durante tutta la sua vita, mentre viveva coi suoi discepoli e che lo riempie di vita ora con Dio, solo per intercedere per noi. Se ci fa male non avere ancora Gesù in forma evidente al nostro lato, a portata di mano, né nel nostro cuore, possiamo consolarci di possedere già il suo Spirito. Dovremmo domandarci perché continuiamo a sentirci lasciati da Dio, se abbiamo lo stesso Spirito di Gesù. Appartiene al discepolo che Gesù lascia momentaneamente nel mondo, un avvocato difensore che l’accompagnerà sempre; ma gli apparterrà, solo se il discepolo non si abbandona al mondo, permettendo che si impadronisca del suo cuore e del suo volere.
Se ci stanchiamo di obbedire a Gesù e di amarlo a distanza, non potrà trasmetterci il suo Spirito né difenderci: il mondo che, in realtà, è assenza di Dio ed ignoranza del suo volere, non può ricevere lo Spirito di Gesù. Se ci decidiamo di vivere secondo le sue preferenze e le sue norme, secondo le sue mode e le sue leggi, ci priviamo di Gesù e del suo Spirito. E non è quello, precisamente, ciò che sta succedendo ad una maggioranza di cristiani? Viviamo, in effetti, sentendo la mancanza di Dio, ma senza sapere che da Lui abbiamo ricevuto lo Spirito; se il mondo è la nostra patria, Dio non sarà la nostra casa. Fino a che non mettiamo Cristo e il suo volere al centro delle nostre vite, non ci sarà concesso il suo Spirito e continueremo a sentirci abbandonati.
Gesù ha promesso consolazione, più ancora dello stesso Consolatore a chi fa la sua volontà. Più che domandarsi, dunque, perché non riusciamo a vivere come veri cristiani, per quanto Gesù ci ha consolati, sarebbe bene che ci interrogassimo se, in realtà, osserviamo il suo volere. Chi è fedele a Dio diventa fiducioso; chi non dubita della promessa di Gesù non cade nella tentazione di sentirsi abbandonato. Se non vogliamo perdere Dio, mettiamolo al centro della nostra vita: quando il suo volere sarà la nostra norma ci sentiremo normalmente amati da Dio. Quando compiremo la volontà di Gesù, ci sentiremo amati da lui. Stiamo allontanando Dio dal mondo, noi i credenti, perché viviamo senza prestargli attenzione né obbedienza; non volendolo nel nostro cuore, lo confiniamo dal nostro mondo; e se ci sentiamo soli e trascurati da Lui, è perché l’abbiamo abbandonato ed abbiamo trascurata la sua volontà.
Non dovremmo dimenticare che, ed è la terza promessa di Gesù, egli ritornerà. La sua sparizione è temporanea, il suo abbandono è momentaneo. Chi sopporta la sua lontananza e vive compiendo la sua volontà chi possiede il suo Spirito e si sa difeso da Lui, si sentirà sempre confortato dal suo imminente ritorno. « Non vi lascerò orfani, ritornerò. » Una forma di recuperare l’allegria, benché ancora non l’abbiamo vicino a noi, è quella di aspettarlo senza dubitare. I cristiani possiamo disporre oggi di molte cose, ma viviamo con poca speranza; accumuliamo beni che periranno, cercando con essi di riempire le nostre vite; per non sopportare che niente ci manchi, non sappiamo vivere speranzosi. E, tuttavia, per chi ancora attende il suo Signore, tutto quello che ha è poco, non riesce a riempire il suo vuoto; che ci manchi la cosa migliore, non fa brutti i beni, persone o cose che possediamo, ma non li converte nel definitivo. Vivere speranzosi suppone sapere che il nostro amato Signore sta ancora per venire e che quello che ci aspetta è ancora migliore di quanto abbiamo già

3 – PREGARE : Prega il testo e desidera la volontà di Dio: cosa dico a Dio?
Te ne sei andato, Signore Gesù, dal nostro mondo e ci sentiamo abbandonati; ci attanaglia tanto la tua assenza come la nostra solitudine. Non permettere che facciamo casa un mondo dove tu non stai, che non ci sentiamo in casa se tu non stai ancora per arrivare.
Grazie, Signore Gesù, per avermi insegnato come vivere senza te senza perderti, come stare senza te senza sentirmi abbandonato! Grazie perché mi dai il tuo volere, quando mi neghi la tua presenza! Grazie perché so di averti se osservo la tua volontà. Dedito a fare il tuo volere, ti sentirò presente nella mia vita; so che ti amo e ciò mi basterà per sopportare la tua assenza nel mio mondo!
Grazie, Signore Gesù, per avermi lasciato protetto e consolato, per esserti impegnato con me a darmi il tuo Spirito! Chi ti riempì di vita dietro la morte e ti restituì al Padre, mi difende ora dalle mie morti e mi darà un giorno di godere della tua presenza, mi parla di te, mentre sento la tua mancanza. Grazie, Signore, sei ammirabile!
Grazie, Signore Gesù, per avermi promesso che ritornerai che non puoi stare senza di noi! Il tuo ritorno annunciato riempie la mia solitudine di speranza, fa più sopportabile la tua attuale assenza. Sapere che verrai mi riempie di nostalgia di te. Già mi sto preparando alla tua venuta e questo mi libera dal sentirmi solo! Ti ringrazio con tutto il cuore perché pensi che non mi hai ancora e per questo motivo ritorni a me.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb,

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