Archive pour mars, 2018

Cristo è risorto

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Publié dans:immagini sacre |on 30 mars, 2018 |Pas de commentaires »

1 APRILE 2018 – PASQUA DI RISURREZIONE – B | OMELIA

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1 APRILE 2018 – PASQUA DI RISURREZIONE – B | OMELIA

1a Domenica: S. Pasqua / Tempo di Pasqua

Per cominciare
Pasqua, festa delle feste, trionfo della fede. Domenica che dà senso a tutte le altre domeniche. Mistero che ci rivela profondamente chi è Gesù, la sua identità ultima e il nostro destino, l’irrompere di Dio nella Storia e nella nostra vita.

La Parola di Dio
Atti degli apostoli 10,34a.37-43. « Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui », dice Pietro a Cornelio, dando ragione della propria fede e di ciò che ha vissuto dopo la Pasqua del Signore. « Dio lo ha risuscitato al terzo giorno », racconta Pietro, « e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti ». È la fede degli apostoli che ora si manifesta così diversa e sicura, dopo l’abbandono e il tradimento.
Colossesi 3,1-4. « Cercate le cose di lassù », dice Paolo ai Colossesi, dal momento che siete anche voi risorti con Cristo. Datevi a una vita nuova per condividere la gloria di Gesù.
1 Corinzi 5,6b-8. Di fronte a un grave scandalo tra i cristiani di Corinto, Paolo interviene duramente perché un seme negativo non guasti quella comunità. Poi esorta tutti non solo a evitare il male, ma a diventare lievito di vita nuova, a essere con la propria vita testimoni del Signore Risorto.
Giovanni 20,1-9. È l’alba del primo giorno della settimana, e Maria di Magdala va a prendersi cura di un cadavere, ma trova la tomba vuota e va a dirlo agli apostoli. Corrono alla tomba Pietro e Giovanni, si rendono conto di tutto, riflettono su ciò che è successo e si accende in loro la fede. Maria rimane presso la tomba e incontrerà per prima il Risorto. Oppure per l’anno B: Marco 16,1-7. Secondo Marco, sono tre le donne che vanno al sepolcro il mattino di Pasqua, vedono la tomba vuota, e un angelo annuncia loro la risurrezione di Gesù. L’angelo le manda ad annunciare la risurrezione agli apostoli, ma le donne, spaventate e tremanti per la paura, non dicono niente a nessuno.

Riflettere…
o « Sì, i cristiani possono dire ai loro fratelli che all’alba di un primo giorno della settimana, il 9 aprile dell’anno 783 dalla fondazione di Roma, che sarebbe diventato l’anno 30 della nostra era, alcuni discepoli di Gesù, innanzitutto delle donne, poi anche qualcuno dei dodici, hanno trovato vuota la tomba in cui era stato deposto Gesù di Nazaret, il loro rabbi condannato e crocifisso il venerdì precedente » (Enzo Bianchi). È quella tomba vuota che permette ai discepoli e alle donne di rileggere le parole dei profeti, e quelle dello stesso Gesù, per giungere alla fede nella risurrezione.
o Pasqua è prima di tutto la sorpresa di questa tomba vuota. Le donne il primo giorno della settimana vanno a completare quello che non è stato possibile fare dopo la deposizione dalla croce. Vanno per prendersi cura di un cadavere e vedono la pesante pietra ribaltata, la tomba vuota, angeli che parlano loro della risurrezione di Gesù e le invitano a farsi testimoni di lui presso gli apostoli.
o Il secondo elemento di forza della Pasqua di Gesù è la trasformazione degli apostoli. Essi, che nel momento della passione e morte si sono comportati da paurosi, da vigliacchi e traditori, sorpresi e delusi per l’umiliazione di Gesù, ora, anche se a fatica e ancora dubitando, si fanno progressivamente coraggiosi testimoni della risurrezione.
o Tutto cambia. Pietro, che non voleva lasciarsi lavare i piedi da Gesù, perché il messia non poteva abbassarsi a tanto, ed era rimasto scioccato dalla inattesa umiliazione della croce, ora eccolo sicuro di sé, testimone coraggioso, insieme agli altri apostoli. Non temono di affrontare il sinedrio e le autorità ebraiche, di essere imprigionati e maltrattati. Dicono di non poter tacere ciò che loro hanno visto con i loro occhi: affermano con decisione che Gesù è vivo ed è risorto, che è il Salvatore, il Figlio di Dio.

Attualizzare
* Se la bellezza del creato suscita stupore, e i miracoli di Gesù ci riempiono di ammirazione, il mistero pasquale ci riempie di meraviglia e di gioia. Tutta la liturgia pasquale è attraversata da questi sentimenti e ci fa rivivere il prodigio senza precedenti che è la risurrezione di Gesù. Dall’Exultet cantato in questa notte in tutte le chiese, all’alleluja che ritorna come un ritornello di fede gioiosa: Gesù è veramente risorto! È su questo fatto che si fonda tutta la fede di noi credenti. aLeggiamo nel salmo responsoriale: « La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze… la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo… ». È Gesù la pietra scartata dai costruttori e che Dio ha glorificato.
* Questa gioia e stupore la troviamo anche in Pietro, che annuncia nella casa del centurione Cornelio le meraviglie di Dio. Pietro ricostruisce la vita di Gesù, ricorda che si è conclusa drammaticamente: « Lo uccisero appendendolo a una croce! », ma Dio si è preso la rivincita sulla crudeltà e ottusità degli uomini: Dio lo ha risuscitato il terzo giorno…
* Pietro si sente il primo testimone di questo fatto prodigioso della risurrezione dell’Eterno Vivente, che compie all’infinito gesti di risurrezione per chi crede in lui: « Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome ».
* La storia è piena di uomini di buona volontà e di profeti. Ma Gesù non è semplicemente un grande uomo, un taumaturgo, un uomo buono e misericordioso, un uomo di comunione. È il Figlio di Dio, il Signore della vita. Anche la sua morte in croce, con tutta la sua drammaticità, non farebbe di Gesù altro che un profeta straordinario e fedelissimo a Dio. È la risurrezione che toglie ogni dubbio alla sua figliolanza divina, è la sua risurrezione il sigillo che autentica pienamente da parte di Dio la sua missione.
* « Quale segno ci dai? », gli hanno chiesto. E Gesù ha risposto: « Distruggete questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni. E parlava del tempio del suo corpo ». « Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio ». Così Paolo ai Corinzi. Poco prima aveva detto: « Gesù apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto » (1Cor 15,5-15).
* Tutto il brano del vangelo appena proclamato è pervaso di stupore e di meraviglia. L’evangelista Matteo usa un genere letterario particolare per mettere maggiormente in evidenza la singolarità della autenticità storica della risurrezione. Le donne vanno visitare un cadavere, non si aspettano nulla. Vanno a piangere su una tomba, ma Gesù si presenta loro vivo: «  »Salute a voi! », dice. Ed esse si avvicinano, gli abbracciano i piedi e lo adorano. Gesù dice loro: « Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno » (Mt 28,9-10).
* Le donne adorano per prime e sono le prime annunciatrici del mistero, di questo evento fondamentale, quasi a sottolineare il ruolo che la donna può avere nella chiesa e soprattutto il primato dell’amore, perché è l’amore che le spinge a rimanere unite a Gesù anche dopo la sua morte.
* Gesù risorto diventa per noi principio di vita nuova. È in lui che siamo battezzati e otteniamo il perdono. È perché lui è risorto che dobbiamo elevare la nostra vita e vivere di fede: « Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, non quelle della terra », ci dice Paolo (seconda lettura). Anche noi, come gli apostoli, siamo chiamati a produrre frutti di novità, passare da una fede incerta a una fede che ci renda suoi testimoni.
* Dalla Pasqua infine un messaggio di gioia senza misura. Tutto è possibile, la gioia esiste, la vita trova un senso, il destino dell’uomo non è un tunnel senza uscita. Nonostante i quotidiani acciacchi che ci mandano in crisi, nonostante di interrogativi sul dolore e la sofferenza che ci fanno dubitare della bontà di Dio, noi siamo autorizzati a coltivare la gioia profonda che nasce da una vita che, nonostante tutto, non perde il suo senso, perché siamo oggetto di un grande amore e di un progetto più grande di noi che ci coinvolge.

« Devo proprio dirlo a mio marito! »
Il cardinale Biffi racconta ciò che gli è capitato dopo una sua lezione di teologia tenuta a Milano sulla risurrezione di Gesù. È stato così convincente, che una donna alla fine è andata a sincerarsi e a chiedere conferma: « Davvero Gesù si è presentato vivo dopo essere stato ucciso? ». E alla conferma del cardinale, la donna ha concluso: « Devo proprio dirlo a mio marito! ». La settimana seguente, la signora si è ripresentata dal cardinale e gli ha detto che cosa aveva risposto suo marito: « Avrai certamente capito male! ».

Don Umberto DEVANNA sdb

 

Chiesa del Santo Sepolcro, Gerusalemme

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Publié dans:immagini sacre |on 29 mars, 2018 |Pas de commentaires »

SCONFORTO E FIDUCIA DI GESÙ SULLA CROCE

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_f.htm#IL%20GIORNO%20SENZA%20TRAMONTO

SCONFORTO E FIDUCIA DI GESÙ SULLA CROCE

Pierre Benoit *

Domenicano francese nato nel 1906, direttore (1965) della Scuola Biblica ed Archeologica di Gerusalemme dove ha insegnato il Nuovo Testamento dal 1934, Pierre Benoit è anche stato chiamato come esperto al Concilio Vaticano Il. Come leale servitore del popolo di Dio, Benoit si applica con assidua e costante fatica alla fedele salvaguardia del deposito della fede contenuto nella Sacra Scrittura, da lui tradotta per intero, onde rendere la Parola non solo nutriente, ma addirittura gustosa e di gradimento all’uomo del nostro tempo. Con articoli apparsi soprattutto in « Revue Biblique », egli mette la sua sapiente fatica alla portata del grande pubblico.

E all’ora nona (cioè verso le tre del pomeriggio). Gesù esclamò a gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactani?, che vuol dire: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? (Me. 15, 34 e Mt. 27, 46)… Vai la pena notare che gli evangelisti hanno riportato le parole aramaiche, come fanno per le parole del Signore che maggiormente colpiscono ed impressionano, quali: Effeta, Rabbuni, Abba. Esse sono state conservate tali e quali Gesù le aveva pronunciate; sono sicuramente autentiche. Quanto sono inquietanti! Gesù abbandonato dal Padre!…
Nella intimità della sua coscienza, Gesù si sente veramente abbandonato dal Padre. Solo se riusciamo a renderei realmente conto di che si tratta, ne comprendiamo la profonda verità. Non è disperazione, checché ne pensino certuni che, come André Gide, hanno fatto uso di questa espressione per dimostrare e sostenere che Gesù è morto disperato. Certo si è che non bisogna temere di prendere sul serio lo sconforto di Cristo; ma si deve comunque parlare di sconforto, non già di disperazione. Quest’ultima suppone la perdita della fiducia in Dio; lo sconforto, invece, implica soltanto un’immensa tristezza e desolazione. Gesù, per volontà del Padre, ha voluto gustare fino in fondo la morte umana e la sua tragica condizione. Suo Padre l’ha abbandonato, ma non alla perdizione, bensì agli attacchi del male e dei peccatori. Nel Getsemani, Gesù ha chiesto che gli fosse evitata la morte, ma si è inchinato alla volontà del Padre; sulla croce, egli rifiuta di bere il vino aromatico per gustare fino alla feccia il calice della morte umana. La pena di questa morte umana che rappresenta per noi la grande tragedia, consiste precisamente nel sentirsi abbandonati: tutto vi lascia, e voi vi trovate faccia a faccia con Dio Giudice. Gesù, che rappresenta tutti gli uomini, si sente abbandonato da Dio, volontariamente va fino all’annientamento, fino alla sofferenza totale. Davanti a Dio, egli si sente rivestito del peccato del mondo, che è appunto la causa di questo terrificante sconforto. Dio l’ha abbandonato nelle mani dei peccatori, dei Romani e dei Giudei…
Il reale sconforto di Gesù legittima questa espressione. Bisogna comunque sottolineare ancora un aspetto importante: questa frase è un’espressione della Sacra Scrittura, il primo versetto del Salmo 21 che ha offerto alla narrazione della Passione tante caratterizzazioni. Quando Gesù pronuncia questa frase, non è che egli la inventi. Riprendendo l’espressione del Salmo, Cristo vuole dimostrare che la Sacra Scrittura si compie in lui e che il salmista preannunciava esattamente il suo lamento. Inoltre, questo salmo che comincia nell’angoscia, finisce nella fiducia. Ora, per gli antichi lettori ebrei e cristiani, la citazione di un testo evocava tutto il seguito. La gente allora conosceva la Sacra Scrittura a memoria; l’inizio era sufficiente per introdurre tutto il salmo. E l’ultima delle tre parti del salmo in questione esprime la fiducia finale dello sventurato: lo narreròil tuo nome ai miei fratelli, dirò nelle adunanze le tue lodi… Poiché non sdegnò il lamento del povero… A lui ricorsi ed egli mi esaudì (Sal. 21, 23-25). In questo modo Gesù fa capire che dopo lo sconforto, verrà la salvezza, dopo la sofferenza, verrà il trionfo. Egli santifica i nostri lamenti col suo personale lamento, ma la sua fiducia in Dio rimane intatta.
Quest’espressione è autentica; mai i cristiani ne avrebbero inventata una tanto tragica e tanto dura. Tuttavia, non dobbiamo averne timore; essa getta una luce grande sulla sofferenza di Gesù, rendendolo assai vicino alla nostra personale desolazione.

* Passion et Résurrection du Seigneur, Le Cerf, 1966 – pp. 220-233.

Publié dans:meditazioni, Venerdì Santo |on 29 mars, 2018 |Pas de commentaires »

L’Ultima Cena

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Publié dans:immagini sacre |on 28 mars, 2018 |Pas de commentaires »

L’OMELIA DEL GIOVEDÌ SANTO: “NESSUNO È ESCLUSO DALL’AMORE DI GESÙ”

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L’OMELIA DEL GIOVEDÌ SANTO: “NESSUNO È ESCLUSO DALL’AMORE DI GESÙ”

Omelia pronunciata da mons. Fernando Ocáriz nella Messa in coena Domini,

celebrata nella chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace, il 13 aprile 2017.

Opus Dei – L’omelia del Giovedì Santo del Prelato: “Nessuno è escluso dall’amore di Gesù”
“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Ritorniamo con l’immaginazione al Cenacolo di Gerusalemme per contemplare la grande prova d’amore che il Signore ci dà, l’istituzione dell’Eucaristia.
Il nostro Dio è sempre vicino. Ma nell’Eucaristia si presenta specialmente prossimo al nostro cuore con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità. Gesù ci ha amato “sino alla fine”. Nessuno è escluso da questo amore. Per ognuno, il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo uguale a noi, in tutto “tranne che nel peccato” (Eb 4, 15). Ma c’è di più: ha voluto accollarsi i peccati di tutti gli uomini, per riparare per loro e restituirci l’amicizia di Dio Padre, facendoci diventare figli suoi con la potenza dello Spirito Santo.
RITORNIAMO CON L’IMMAGINAZIONE AL CENACOLO DI GERUSALEMME PER CONTEMPLARE LA GRANDE PROVA D’AMORE CHE IL SIGNORE CI DÀ
Ognuno di noi si deve chiedere: come stiamo corrispondendo a questo amore? In questo Giovedì Santo chiediamo al Signore di farci comprendere con maggiore profondità l’amore di Dio per noi e l’amore con cui dobbiamo ricambiare, imitando e unendoci a Gesù.
La nostra corrispondenza all’amore di Dio ha molte manifestazioni. Una di esse è l’essere grati di tanto affetto preparandoci molto bene a ricorrere al sacramento della confessione, a partecipare alla santa Messa e ricevere la santa Comunione. La partecipazione al Sacrificio Eucaristico non è solo il ricordo della donazione del Signore per noi; la Messa è molto di più: è la rappresentazione sacramentale del sacrificio del Calvario, anticipato nell’Ultima Cena. “ Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19), disse nostro Signore quando istituì il sacramento.
La Chiesa, fedele al suo mandato, fa presente la passione e la morte di Cristo, per mezzo dei sacerdoti, in ogni celebrazione eucaristica. San Giovanni Paolo II ha scritto che il sacrificio della Croce “è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti “ (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 11).
Grazie, Signore, per l’Eucaristia. E grazie per la fede, per la nostra fede, nell’Eucaristia. Grazie per il sacerdozio, che ha perpetuato nel tempo questo tuo amore. “È così grande l’Amore di Dio per le sue creature – esclamò san Josemaría – e così grande dovrebbe essere la nostra corrispondenza che, durante la santa Messa, gli orologi dovrebbero fermarsi” (Forgia, n. 436).
Dalla Croce, dalla Eucaristia, proviene la forza della Redenzione. È lì che si trova la fonte di ogni grazia, il modello dell’amore con il quale dobbiamo amarci gli uni gli altri, la radice dell’efficacia apostolica. Nell’Ultima Cena Gesù ci ha dato questo mandato esplicito: “Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). E perché rimanesse ben inciso nella memoria dei suoi discepoli e in quella di ognuno di noi, lavò i piedi agli apostoli.
San Giovanni, nella sua prima lettera scrive: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3, 16). Come lo faremo? Molti sono i modi di mettere in pratica il comandamento nuovo del Signore. San Josemaría ci dà questo consiglio: “Più che nel dare, la carità consiste nel comprendere” (Cammino, n. 463).
Il perdono, la giustificazione, l’interesse sincero per gli altri, i particolari di servizio nella vita quotidiana – nella famiglia, nell’università, nel posto di lavoro, nei periodi di riposo, ecc. –, sono molte le occasioni per rendere vivo il comandamento del Signore e farlo diventare nostra vita.
IL PERDONO, LA GIUSTIFICAZIONE, L’INTERESSE SINCERO PER GLI ALTRI, I PARTICOLARI DI SERVIZIO NELLA VITA QUOTIDIANA, SONO MOLTE LE OCCASIONI PER RENDERE VIVO IL COMANDAMENTO DEL SIGNORE E FARLO DIVENTARE NOSTRA VITA.
Durante l’Ultima Cena Gesù pregò il Padre per l’unità di quelli che avrebbe chiamati ad essere suoi discepoli nel corso dei secoli. “Tutti siano una sola cosa: come tu, o Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).
Imiteremo l’esempio di Dio se ci impegniamo a rafforzare l’unità tra noi, nella Chiesa, e nella misura delle nostre possibilità, tra i credenti. La vocazione del cristiano, pienamente vissuta, avvicinerà a Gesù i nostri amici, i nostri colleghi, siano essi già vicini al Signore o non lo siano ancora.
“Come tu, o Padre, sei in me e io in te” (Gv 17, 21). Partecipare dell’unione delle persone della Santissima Trinità: questo è un obiettivo molto elevato. Ma tale partecipazione il Signore ce la concede in modo eminente attraverso il dono dell’Eucaristia, sacramento della fede e dell’amore. Santa Maria, Madre del Bell’Amore, ci ottenga, con la sua mediazione materna, la grazia di una fede più intensa nell’amore di Dio per noi e una carità più grande verso gli altri.

Così sia.

Golgotha

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Publié dans:immagini sacre |on 27 mars, 2018 |Pas de commentaires »

SALMO 110 – IL SACERDOZIO DEL MESSIA – INCONTRO TRA ABRAMO E IL SACERDOTE MELCHISEDEK

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SALMO 110 – IL SACERDOZIO DEL MESSIA – INCONTRO TRA ABRAMO E IL SACERDOTE MELCHISEDEK

SULLE STRADE DI PASQUA

«Disse il Signore al mio Signore»: che voleva dire? E può qualcuno dire del mistero della storia: cosa si nasconda in queste oscurità del bene e del male; di giustizie e di ingiustizie da millenni, da sempre? E come Cristo regni dal trono più squallido del mondo;
come i poveri siano la profezia vivente di Dio contro queste potenze.
E alla fine, come ai piedi di un Crocefisso – sacerdote eterno della pace – possano venire sottomessi e troni e principati e potestà e dominazioni…
Nello snodarsi dell’anno liturgico il salmo ci associa al viaggio pasquale del Cristo dal mondo al Padre… in questo viaggio pasquale la chiesa contempla nel salmo i misteri della storia salvifica che… confluiscono in Cristo Re, Sacerdote e Profeta… Con Cristo la chiesa combatte le stesse battaglie e con lui si disseta al torrente lungo il cammino, partecipando alla sua Passione.
E solleva alta la testa nella vittoria della Resurrezione. (Padre Turoldo)

1 Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
2 Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!
3 A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato.
4 Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».
5 Il Signore è alla tua destra!
Egli abbatterà i re nel giorno della sua ira,
6 sarà giudice fra le genti,
ammucchierà cadaveri,
abbatterà teste su vasta terra;
7 lungo il cammino si disseta al torrente,
perciò solleva alta la testa.

COMMENTI
RAVASI
È composto nell’ originale ebraico di sole 63 parole, eppure questo salmo regale è stato il più studiato, il più musicato, il più amato ed anche il più deformato del Salterio. Divenuto fin dal giudaismo il testo classico del messianismo, le sue parole – soprattutto nella versione greca dei Settanta e in quella latina della Volgata di Gerolamo – sono state elaborate e tese verso il re perfetto, erede del sacerdozio di Melchisedek, il sovrano-sacerdote di Salem, la Gerusalemme preisraelitica (vedi Genesi 14). Il carme è strutturato su due oracoli paralleli. Il primo (vv. 1-3) è quello, solenne, destinato al sovrano nel giorno della sua intronizzazione «alla destra» dell’arca, segno della presenza di Dio.
Davanti al re incoronato sfila, poi, la parata militare delle giovani leve (v. 3). Il secondo oracolo (vv. 4- 7) è, invece, più di tipo sacerdotale, avendo anticamente il re anche funzioni cultiche, e finisce con quella sanguinolenta visione del re trionfatore che sfonda i crani dei suoi nemici, come il faraone nelle rappresentazioni egizie, e si abbevera ai torrenti nelle sue marce militari (vv. 6-7). Il v. 3 nell’antica versione greca era, invece, la proclamazione della filiazione divina del sovrano davidico (vedi Sal 2,7): «Dal seno dell’aurora, come rugiada, ti ho generato». In questa luce il salmo è diventato un classico della cristologia, come è attestato dalle numerose citazioni neotestamentarie (vedi, ad esempio, Marco 12,36; Ebrei 1,3.13; 7; Atti 2,34-35)

GIOVANNI NICOLINI
E’ Gesù stesso a porre una domanda molto delicata e molto importante su questo Salmo. In Matteo 22,41-46 Egli chiede – o si chiede – se e come il Cristo si può ritenere figlio di Davide, secondo la comune attesa messianica di Israele. E dice: “Come mai, allora, Davide, mosso dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: “Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra finchè io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi”? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?”. Questo è il supremo mistero di Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo! Uomo tra noi, e Figlio di Dio. Dio tra noi! Mi sembra che per noi discepoli di Gesù, questa sia la linea di interpretazione più semplice e più luminosa di questo Salmo. E mi sembra splendido che questo anche noi lo conserviamo in forma di domanda che incessantemente si pone nella vita del credente cristiano. Non potrà mai cessare infatti di stupire e meravigliare la divinità di Gesù fino alla Croce! Davanti alla suprema rivelazione, manifestazione e dono di Gesù Figlio di Dio noi non potremo mai cessare di trovare in questo sia il livello supremo di meraviglia, sia il cuore della nostra vita in Lui.
Ed è di decisiva importanza anche quel “finchè” del ver.1 che proclama la divinità non come un esito finale e lontano, ma proprio in questo tempo della grande tribolazione della storia popolata e assediata da tanti “nemici”, espressione del male e della morte. E’ una regalità che non può esprimersi se non come amore divino fino al sacrificio della Pasqua di Gesù. Non ci sono altre vittorie sul male e sulla morte se non l’amore! E tale è la presenza e la rivelazione della regalità del Figlio di Dio: la sua povertà e la sua obbedienza al Padre fino alla Croce!
Il ver.3, molto complesso e di difficile interpretazione lo propongo come annuncio della nuova creazione e della nuova storia: aurora e rugiada sembrano essere immagine del nuovo regno di Dio di fronte ai regni mondani della potenza e della guerra. L’ira di Dio, il “giorno della sua ira” (ver.5), è la Pasqua e il dono della Messa, che è, secondo la meravigliosa Piccola Regola che ogni giorno mi prende per mano, l’evento che “opera in ciascuno la morte della creatura e la risurrezione e glorificazione del Verbo Incarnato, mistero per il quale il Padre, per Gesù, nello Spirito Santo, sempre crea, santifica, vivifica, benedice e concede a noi questo bene della comunione con Lui e della comunità tra noi suoi figli”. Questo è il giudizio di salvezza per tutte le genti, per l’intera umanità: la morte della vecchia creatura e la vita nuova generata dall’Amore di Dio. Questo è il significato profondo dei vers.5-6!
Il ver.7 mi sembra un’immagine meravigliosa della passione e risurrezione di Gesù: Egli beve al Calice della Passione e risorge: “perciò solleva alta la testa”! Accogliete anche oggi con pazienza i miei pensierini!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

ROBERTO TUFFARIELLO
Fin da ragazzo trovavo difficile, oscuro questo salmo, a partire da quel “Oracolo del Signore al mio Signore…”; ma sono affascinanti le immagini che esso propone: ci aprono degli squarci su realtà inimmaginabili per noi. La nascita del Figlio – “dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato” – precede il tempo e la storia: generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; Dio da Dio, luce da luce… Poi il sacerdozio: non per discendenza umana, poiché Egli – come Melchisedec – è “senza padre, senza madre e senza genealogia”, ma per elezione divina ed è l’unico mediatore tra di noi e il Padre (i nostri “sacerdoti” sono in realtà dei “presbiteri”). Infine quell’insediamento alla destra del Padre: da lì continua la sua guerra vittoriosa contro tutti i nemici: l’ultimo nemico ad essere sconfitto, come sappiamo, sarà la morte…

CORSO BIBLICO
Il Nuovo Testamento ha ripetutamente usato i vv. 1 e 4 di questo Salmo applicandoli a Cristo e trasformando così il testo in una pagina messianica. Un esempio per tutti. Davanti al tribunale giudaico Gesù risponde fondendo in unità il passo messianico di Daniele 7,13 con il primo versetto di questo Salmo: “D’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio e venire sulle nubi del cielo” (Mt 26,64; 22,44). Il Salmo si divide in due parti. 1. La prima (vv. 1-3) contiene un oracolo regale indirizzato da Ywhè al “signore”, cioè al re. In esso si proclama l’intronizzazione del sovrano ebraico alla “destra” di Dio, che può indicare sia la destra dell’arca, oppure una generica affermazione di dignità del re come rappresentante di Dio. 2. La seconda parte (vv. 4-7) del Salmo contiene un oracolo sacerdotale. Garantita da un solenne giuramento divino, la dignità regale assommerebbe in sé anche quella sacerdotale. Il riferimento a Melchisedek re-sacerdote di Salem, l’antica Gerusalemme (Gen14), è forse un mezzo per giustificare il sacerdozio dei re accanto a quello ufficiale del tempio, legato ad Aronne e Sadok. Dopo l’investitura sacerdotale, si apre nel Salmo una marcia trionfale del re consacrato (in ebraico “messia”) che percorre tutto il mondo attingendo alla forza stessa di Dio. La Chiesa ha visto enunciati in questo Salmo i temi fondamentali della storia della salvezza: dall’avvento del Regno (vv. 1-2) al natale di Cristo e alla sua divinità (v. 3); dalla sua lotta contro le potenze del male (vv. 5-6) alla sua passione, morte e resurrezione (v. 7); dalla sua ascensione e glorificazione alla destra di Dio (v. 1) al suo sacerdozio eterno (v. 4). Nello snodarsi dell’anno liturgico questo Salmo ci associa al viaggio pasquale di Cristo e in questo itinerario la Chiesa contempla attraverso questo Salmo i misteri della storia salvifica che, attraverso i re, i sacerdoti e i profeti dell’Antico Testamento, confluiscono in Cristo re, sacerdote e profeta.

MOVIMENTO APOSTOLICO -CZ
Ecco le prime verità. Il Messia che verrà sarà signore di Davide. Il Signore Dio lo farà sedere alla sua destra. A sgabello dei suoi piedi porrà tutti i suoi nemici.
Viene annunziata una grande vittoria. Il Messia non sarà sconfitto. Sarà vittorioso. Lui è l’Invincibile.
Quasi tutti i re di Israele hanno fallito nella loro missione. Sono stati vinti dall’idolatria e dai nemici del popolo del Signore. Il Messa sarà il Vittorioso. Lui non si lascerà vincere né da nemici spirituali e né fisici, in carne ed ossa. La sua luce nessuno la potrà oscurare dal suo cuore e dalla sua anima. Se Gesù è il Vittorioso, l’Invincibile, il Forte di Dio perché i suoi nemici lo hanno catturato, giudicato, consegnato, condannato e crocifisso? La risposta ce la offre lo stesso Gesù. La rivela ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena. Satana non ha potere sopra di Lui. Lui però deve manifestare al mondo quando è grande l’amore per il Padre suo. Satana lo avrebbe vinto se Lui non fosse andato in croce. Nella Scrittura Antica il Messia è presentato come Re, ma anche come il Giusto sofferente. L’uomo dei dolori che ben conosce il patire. Nel Salmo 40 (39) il Messia è anche annunziato come il grande evangelizzatore di Dio. Nella grande assemblea Lui dovrà proclamare le lodi del Signore. Ma in questo stesso Salmo comincia ad apparire anche il legame con il sacerdozio. Si intravede un messia che è re ed è sacerdote. Il Messia offre al Padre il suo corpo. Nell’offerta del suo corpo è il compimento della sua più grande obbedienza. Ciò che nel Samo 40 (39) era implicito, in questo Salmo 110 (109) diviene esplicito: Il Messia è anche Sacerdote. Messia e Sacerdote sono una cosa sola. Non è però Sacerdote alla maniera di Aronne, bensì alla maniera di Melchisedek. Non offre il sangue dei tori e dei vitelli. Il Messia – Sacerdote offre a Dio pane e vino. È questo il grande mistero dell’Eucaristia, sacramento del suo corpo e del suo sangue. Sentiamo un commento dalla lettera agli ebrei ….. »Ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì 6come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek. Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek.

Dossologia
Gloria a te, Cristo, che ascendi dagli inferi,
portando infrante le nostre catene,
o solo erede degno del trono.

Preghiera
Padre, Dio della pace,
Padre dell’unico sacerdote eterno,
liberaci da ogni spirito militare,
fa’ di noi un popolo di pace,
di sacerdoti e profeti della pace:
un popolo che viva
dell’unico sacerdozio di Cristo
immolatosi per riconciliare in te
tutti gli uomini,
e fare pace con la terra.
Amen.

 

Publié dans:BIBBIA, BIBBIA. A.T. SALMI |on 27 mars, 2018 |Pas de commentaires »

Gesù in cammino verso la croce

pens e ita gesù in cammkino verso il golgota - Copia

Publié dans:immagini sacre |on 26 mars, 2018 |Pas de commentaires »

PAOLO VI – AI GIOVANI IN APERTURA DELLA «SETTIMANA SANTA» (1975)

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1975/documents/hf_p-vi_hom_19750323.html

PAOLO VI – AI GIOVANI IN APERTURA DELLA «SETTIMANA SANTA» (1975)

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

«Dominica Palmarum», 23 marzo 1975

A voi giovani, invitati a questo rito, tanto significativo, il nostro saluto particolare! A tutti i Fedeli, che con voi vi partecipano, esprimiamo la nostra spirituale e cordiale accoglienza. È un momento importante questo, non solo nel disegno celebrativo della Settimana Santa, che oggi iniziamo, ma altresì nella ripercussione ideale e religiosa, che esso deve assumere nei vostri, nei nostri animi, per la decisione del giorno d’oggi. Ancora una volta noi commemoriamo, noi riviviamo il mistero pasquale. Il grande dramma, tragico e trionfante, della passione, della morte e quindi della vittoriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, si riflette nel mondo, nella storia, e proprio in questo Anno, che chiamiamo santo, per le ragioni speciali da noi enunciate, che vi rendono presente Colui che costituisce il centro del tempo (Cfr. Gal. 4, 4): come il sole lontano, egli è qui, con la sua luce, con la sua azione, con la sua perenne assistenza (Cfr. Matth. 28, 20).
Ascoltateci adesso, voi Giovani specialmente. Si tratta, innanzitutto di avere coscienza, primo, di quello che voi siete, della vostra identità, come oggi si dice. Voi siete qui proprio come giovani, perché giovani. Siete qui come tipici rappresentanti del nostro tempo, come protagonisti della vostra generazione; non tanto come spettatori, invitati e assistenti passivi, ma come attori e fattori del fenomeno caratteristico della vostra gioventù, il fenomeno della novità. Secondo: persuasi della ragione, che giustifica la vostra presenza a questa liturgia rievocatrice, cioè della vostra gioventù, voi assumete un aspetto rappresentativo della vostra generazione; voi rappresentate, nelle vostre persone, la categoria umana a cui appartenete; rappresentate la gioventù del nostro tempo, qualunque ne sia la patria, la classe, la formazione d’origine. Siete qui, perché siete giovani; e come tali noi vi abbiamo invitati, perché vogliamo vedere in voi la età giovanile, nelle sue tipiche espressioni, prescindendo dalle distinzioni differenziali che pure esistono fra di voi e fra le file dei vostri coetanei, di cui tuttavia questa cerimonia affida a voi la funzione qualificante.
Perché noi vi abbiamo qua invitati? Per due motivi: uno riguarda il rito religioso, il quale vuole riprodurre in modo simbolico e sacro la scena evangelica, che voi conoscete, quella cioè dell’ingresso, modesto nella forma, ma clamoroso nelle intenzioni (Cfr. Luc. 19, 40), di Gesù in Gerusalemme, ch’era in quei giorni gremita di popolo per la Pasqua imminente, affinché Egli, Gesù, fosse finalmente e pubblicamente riconosciuto ed acclamato come il Cristo, come il Messia, come il prodigioso Salvatore, atteso da secoli, inviato da Dio, e finalmente arrivato e presente. Momento storico, momento solenne, momento misterioso, di cui, fra tutti, i ragazzi ed i giovani di quella folla, delirante di gioia, meglio intuirono il significato rinnovatore e festivo; e non sapendo come dare all’improvvisata manifestazione lo splendore che meritava, essi principalmente proruppero in acclamazioni bibliche e popolari: «Hosanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Io. 12, 13); e strappati dei rami dalle palme e dagli olivi del luogo, era quello il monte Oliveto, si dettero ad agitarli festosamente, gridando: «Pace in cielo e gloria nell’alto» (Luc. 19, 38).
Ecco; ripensate bene la scena evangelica. I fanciulli, i giovani, riconoscono il Cristo e pur nell’ambiente infido ed ostile dei Farisei e degli scribi della Gerusalemme giudaica di quel tempo (Cfr. Io. 12, 19), essi lo acclamano, essi lo glorificano. Così ora, con questo rito. Secondo motivo. Giovani, voi lo intuite. Noi vorremmo che la fede e la gioia della gioventù, che inneggiò a Gesù Signore, riconosciuto per il vero Cristo, centro della storia e della speranza di quel Popolo, fossero oggi e fossero per sempre le vostre: fede e gioia. Perché ciò sia, noi abbiamo dapprima in silenzio, personalmente pregato; poi vi abbiamo invitato. Ce ne rendiamo conto: il nostro invito è provocante! come un invito d’amore! L’invito a questa festiva cerimonia vuole entrare nei vostri cuori, con una incalzante domanda: Giovani del nostro tempo, volete riconoscere che Gesù è il Salvatore? È il Maestro? È il Pastore, è la guida, è l’amico della nostra vita?
È Lui, e solo Lui, che conosce in profondità il nostro essere, il nostro destino (Io. 2, 25); è Lui, Lui solo che può estrarre dalla nostra oscura coscienza la nostra vera personalità (Cfr. Io. 3, 7; 4, 29; etc.); Lui, Lui solo, che autorizza con efficacia beatificante, ad aprire il dialogo trascendente col mistero religioso ed a rivolgere al Dio infinito e inaccessibile il confidente discorso di figli ad un dolcissimo e verissimo «Padre nostro», che stai nei cieli; Lui, Lui solo, diciamo, che sa tradurre il nostro rapporto religioso in rapporto sociale autentico, cioè a fare dell’amore a Dio il fondamento incomparabile e fecondo dell’amore al nostro prossimo, cioè agli uomini; e ciò tanto più, quanto più questo nostro interesse per il bene altrui è gratuito e universale, e quanto più gli uomini, ormai in Cristo qualificati fratelli, sono nel bisogno, nella sofferenza, e perfino nell’ostilità. Cioè il nostro invito a questa caratteristica cerimonia, nel cuore dell’Anno Santo, si risolve in una domanda decisiva: volete anche voi, Giovani di questo critico momento storico e spirituale, come quelli del giorno delle Palme a Gerusalemme, riconoscere Gesù come il Messia, come il Cristo Signore, centro e cardine della vostra vita? Lo volete davvero porre al vertice della vostra fede e della vostra gioia?
Si tratta di uscire da quello stato di dubbio, d’incertezza, di ambiguità, in cui si trova e si agita spesso tanta parte della gioventù contemporanea. Si tratta di superare la fase di crisi spirituale, caratteristica dell’adolescenza che passa alla giovinezza, e poi dalla giovinezza alla maturità; crisi di idee, crisi di fede, crisi di orientamento morale, crisi di sicurezza circa il significato e il valore della vita. Quanti giovani crescono con gli occhi chiusi, o miopi almeno, circa la direzione spirituale e sociale del loro cammino verso il futuro; la freschezza delle forze giovanili e gli stimoli degli istinti vitali imprimono, sì, una energia al loro libero movimento, una vivacità ai loro comportamenti; ma sanno essi dove vanno, dove valga la pena di impegnare la propria esistenza? L’inquietudine giovanile non supplisce spesso la mancanza di uno stile elegante ed energico d’una vita illuminata da coscienti e superiori ideali? E non scopriamo noi spesso in fondo all’anima giovanile oggi una strana tristezza, che accusa un suo vuoto interiore? E che cosa significa l’incantesimo di qualche barlume spirituale in tanti giovani insoddisfatti e quasi delusi di tutto quanto il mondo moderno loro apre davanti? Un richiamo alla coscienza interiore, alla preghiera, alla fede?
Non prolunghiamo ora questa diagnosi, e accogliamo la conclusione che quest’ora benedetta ci suggerisce. La conclusione è Cristo delle Palme. Un Cristo riscoperto. Un Cristo acclamato. Un Cristo umilmente e fermamente creduto, non nella perpetua e pigra penombra del dubbio, ma nella limpida luce della dottrina, che la Chiesa maestra di verità ci propone. Un Cristo incontrato nell’adesione esultante alla sua parola e alla sua misteriosa presenza ecclesiale e sacramentale. Un Cristo vissuto nella fedeltà semplice e lineare al suo vangelo, sì esigente fino al sacrificio, ma solo fonte di inesausta speranza e di vera beatitudine. Un Cristo, velato e trasparente in ogni volto umano del collega, del fratello bisognoso di giustizia, di aiuto, di amicizia e di amore. Un Cristo vivo. Il «sì» della nostra scelta; il «sì» della nostra esistenza. Giovani, sappiate così comprendere l’ora vostra. Il mondo contemporaneo vi apre nuovi sentieri, e vi chiama portatori di fede e di gioia. Portatori delle palme, che oggi avete nelle mani, simbolo d’una primavera nuova, di grazia, di bellezza, di poesia, di bontà e di pace. Non indarno, non indarno: è Cristo per voi; è Cristo con voi! Oggi e domani; Cristo per sempre.

 

Publié dans:Papa Paolo VI, SETTIMANA SANTA |on 26 mars, 2018 |Pas de commentaires »
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