Giovanni 12, 20-33

18 marzo 2018 – 5a Domenica di Quaresima – B | Letture – Omelie
5A DOMENICA DI QUARESIMA B – OMELIA
Per cominciare
Si avvicinano i giorni drammatici della passione e morte di Gesù e si incomincia a parlare apertamente di croce. Domenica prossima sarà la Domenica delle Palme, che aprirà la settimana santa. In questa domenica prima del concilio e della riforma liturgica si velavano la croce e le statue dei santi, per esprimere anche visivamente la drammaticità di questi quindici giorni che ci separano dalla Pasqua.
La Parola di Dio
Geremia 31,31-34. Ci viene presentata una delle più belle pagine dei profeti: Dio per bocca di Geremia parla di un tempo in cui la fedeltà del popolo non verrà meno, la legge sarà scolpita nel loro cuore e l’alleanza sarà definitiva.
Ebrei 5,7-9. Il testo afferma che l’alleanza definitiva si è realizzata in Gesù, attraverso la sua morte. Gesù ha siglato con il suo sangue l’alleanza con Dio, e un patto siglato con la morte è per sua natura definitivo, non può essere ritrattato. È in questo modo che Gesù è diventato causa di salvezza per tutti gli uomini.
Giovanni 12,20-33. Gesù colpisce con il suo modo di fare e di operare e alcuni greci chiedono di vederlo, rivolgendosi a Filippo. Ma Gesù li sorprende facendo riferimento alla sua imminente morte in croce: sarà un morire destinato a fiorire e a produrre salvezza.
Riflettere…
* Curiosamente la liturgia quaresimale anticipa oggi un passaggio di Giovanni che segue immediatamente l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme. Come ricorderemo domenica prossima, Gesù è appena entrato trionfalmente in Gerusalemme per celebrare la Pasqua. La città è gremita di fedeli provenienti da ogni dove. Gesù cavalca un asinello e la gente lo acclama. Mentre le autorità ebraiche si allarmano e osservano: « Gli va dietro il mondo intero! ».
* Tra i fedeli giunti in città ci son*** anche dei « proseliti », stranieri che hanno aderito pienamente alla religione giudaica, compresa la circoncisione. Tra essi, alcuni greci, che si rivolgono all’apostolo Filippo (il suo nome è greco, probabilmente conosce la loro lingua) e chiedono di poter vedere Gesù.
* « Vedere » nella cultura ebraica non è mai un semplice guardare con gli occhi. Ha sempre un significato forte: può voler dire, come nel caso di Nicodemo, di cui s’è parlato la settimana scorsa, « avere un forte interesse »; addirittura quasi un « credere in qualcuno ».
* Proprio questo allargarsi dell’interesse attorno a lui, spinge Gesù a capire che i tempi sono maturi, che la sua « ora » sta per realizzarsi: l’ora per cui si è incarnato, quando tutti dovranno guardare a lui per essere salvati.
* Non si sa se Gesù abbia accettato di incontrare questi greci, Giovanni non lo dice, ma l’episodio apre al discorso sulla glorificazione di Gesù, che si realizzerà attraverso la sua passione.
* Gesù ne ha paura. Giovanni che non racconta l’episodio del Getsemani, in qualche modo lo fa adesso, mettendo in bocca a Gesù queste parole: « Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò: Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome! ». Non un angelo, ma il Padre stesso, interviene a dargli forza e dice: « L’ho glorificato, e lo glorificherò ancora ».
* Una glorificazione che avverrà attraverso la passione. Come il chicco di grano per dare frutto deve cadere in terra e marcire per germinare, così la glorificazione di Gesù passerà attraverso il suo sacrifico.
* La liturgia domenicale nella prima lettura apre a un secondo tema, che è già stato ricordato quindici giorni fa (Es 20,1-17): la promulgazione della legge da parte di Mosè, strumento che definiva i termini dell’alleanza tra Dio e il popolo di Israele.
* Geremia, con espressioni che sono tra le più alte di tutto l’antico testamento, parla di un’alleanza nuova, sancita non più da una legge esterna all’uomo, ma di un’alleanza scritta nel cuore dei credenti. Alla prima alleanza il popolo non si è rivelato fedele, a questa alleanza nuova e definitiva la fedeltà non verrà meno, perché è firmata dal sangue di Gesù, Figlio di Dio. Un patto con Dio senza ripensamenti, compiuto a favore di tutta l’umanità.
* Si tratta di un nuovo modo di rapportarsi con Dio, che non stabilisce con lui una specie di accordo determinato da gesti, riti, sacrifici, osservanze minuziose e maniacali per osservare con scrupolo una legge, ma di una conversione del cuore, di un’apertura radicale ai progetti di Dio.
Attualizzare
* Secondo un sondaggio, il 64 per cento degli italiani considera Gesù « il personaggio più interessante della storia ». Ma c’è anche chi non lo inserisce nemmeno nei sondaggi, e chi non pensa affatto di doversi in qualche modo confrontare con lui.
* Gesù non è certo uno sconosciuto. Per molti di noi la sua figura è familiare sin dai primi anni. Scrivono di lui un gran numero di libri, opere teatrali, musicali e scritti di ogni genere. Dal 1972 a Londra ci sono state un numero incredibile di repliche del musical Jesus Christ Superstar, che ha battuto ogni record di incassi. Il critico cinematografico Ernesto G. Laura elenca 69 film su Gesù girati dal 1897 a oggi. Il fascino di Gesù è un dato indiscutibile. Sin dall’inizio migliaia di donne e uomini hanno dato la loro vita per lui. Prima i suoi dodici apostoli, poi tanti altri lungo i secoli. Anche oggi milioni di persone si mettono al suo seguito, vivono e sono disposti a morire per lui.
* « Vogliamo vedere Gesù », dicono i greci. Dovrebbe essere questo il desiderio di chi ha preso la quaresima sul serio e si sta preparando alla Pasqua. Invece è più normale, soprattutto nei « praticanti », una certa assuefazione anche all’esperienza della fede, un lasciarsi guidare addirittura da una stanca abitudine. A quindici giorni dalla Pasqua, domandiamoci: con che spirito stiamo vivendo questa quaresima? Ci stiamo preparando ad accompagnare Gesù nel momento in cui si appresta a vivere fino in fondo la sua « ora »?
* « Vogliamo vedere Gesù »: è questo invece a volte il desiderio che attraversa il cuore di chi è lontano dalla fede, di chi si è allontanato dalla chiesa o non ci è mai entrato e ne ha inconsciamente nostalgia. È il desiderio di vedere Dio, di sentirlo vicino e farne esperienza, in qualche modo di toccarlo, avere delle certezze più forti.
* « Vogliamo vedere Gesù! », ripetiamo anche noi oggi, insieme ai milioni e milioni di uomini e donne che dall’inizio della storia cristiana hanno cercato di conoscerlo più da vicino. « Il tuo volto Signore io cerco, di te ha sete l’anima mia, all’aurora ti cerco… » (Salmo 27): dovrebbe essere questa la nostra preghiera in questi ultimi quindici giorni di quaresima, per entrare nell’animo di Gesù, comprenderlo meglio, entrare nella sua intimità.
* Non sappiamo quale dialogo sia stato intessuto tra Gesù e questi greci, ma durante tutta la sua vita, Gesù non si è negato a nessuno, si è rivelato gradualmente ai suoi apostoli, alla gente e perfino ai suoi nemici; addirittura quando in catene, durante il processo, rivelerà fino in fondo la propria identità.
* Al centro della parola di Dio di quest’oggi c’è l’ »ora » di Gesù, che è il momento centrale della sua vita, a cui il vangelo di Giovanni fa riferimento più volte. La sua « ora » è il momento della decisione estrema: « Proprio per questo sono giunto », dice Gesù, e sa che la sua missione non potrà non avere questo epilogo. Ma ne ha anche paura e la sua anima ne è turbata: si tratta ormai di affrontare a viso aperto l’esperienza del sacrificio della croce.
* Quanto a noi, sappiamo che essere discepoli di Cristo significa accettare la logica del vangelo. Al termine della vita di Cristo ci fu la croce. Ma essa è già una realtà a ogni passo, come conseguenza della decisione di scegliere come unica proposta di vita la volontà di Dio.
* Per Gesù prendere la croce non vuol tanto dire mettersi nella prospettiva della mor-te, ma decidere di rimanere fedele, anche a costo di rimetterci ogni cosa, compresa la vita. È quindi segno di un amore senza misura, di una vita non persa ma realizzata.
* Come Cristo ha salvato il mondo con il suo apparente fallimento, giungendo al culmine della sua azione salvifica proprio nel momento della sua Pasqua, così anche per i discepoli, ogni volta che sopportano sofferenza e annientamento per non cedere al compromesso, per essere fedeli a Dio e al suo piano sul mondo, essi diventano causa di salvezza, manifestazione della potenza di Dio, che dona al mondo la vita per mezzo della loro morte.
* Quello della croce è diventato certo un discorso duro per le nostre comunità. Se ne parla con una certa rassegnazione e diventa un fatto incomprensibile, accettato spesso con cuore chiuso. È necessario quindi un vero cambiamento di mentalità, una conversione. La croce, infatti, come già si è detto, in quanto insieme di difficoltà e privazioni che sono conseguenza di scelte evangeliche, è un fatto positivo e salvifico, e rientra nella logica vincente di Dio.
* La via della croce, che era vista come una maledizione per l’uomo, un supplizio infamante, è motivo di onore e di gloria per il cristiano. Se mancasse questa componente della sua vita dovrebbe probabilmente dubitare della verità del suo amore e della sua fedeltà a Dio.
* La gioia, l’amore comunitario e una certa vitalità propria della vita evangelica possono far pensare che il cristiano sia chiamato a una vita di efficienza e non a quella mortificante della croce. C’è addirittura chi immagina che al cristiano quasi per un privilegio venga negata quella componente di vita dura a cui ogni uomo è costretto dalla natura. Essere dalla parte di Dio significa essere dalla parte vincente, ma non in modo automatico, e non sempre in questa vita.
I veri cristiani e l’inevitabilità della croce
Mamma Margherita abbandonò i suoi campi e seguì il figlio Giovanni Bosco a Torino, dove si prese cura dei poveri ragazzi dell’oratorio. Ma una sera, dopo che i ragazzi le avevano distrutto il piccolo l’orto che era riuscita a farsi in città, sussurrò al figlio: « Giovanni, sono stanca. Lasciami tornare ai Becchi. Lavoro dal mattino alla sera, sono una povera vecchia, e quei ragazzacci mi rovinano sempre tutto. Non ce la faccio proprio più ». Don Bosco guardò il volto di sua madre e sentì un nodo alla gola. Non trovò parole potenzialmente capaci di consolare quella povera madre stanca. Si limitò allora a fare un gesto: le indicò il crocifisso appeso alla parete e la santa mamma capì.
Risorgerò nel popolo
« Se mi uccideranno, risorgerò nel popolo salvadoregno! »: così disse mons. Oscar Romero, vescovo di San Salvador, quando sentì che la sua vita era in grave pericolo. Il 24 marzo 1980 venne ucciso da un sicario mentre celebrava la messa feriale. La sua colpa è stata quella di essersi messo contro gli squadristi per difendere i poveri, di aver sfidato con la forza della fede i poteri forti.
Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA:
http://www.perfettaletizia.it/bibbia/salmi/salmo44.htm
SALMO 44 (45) LE NOZZE DEL RE
Al maestro del coro. Su “I gigli”. Dei figli di Core. Maskil. Canto d’amore
Liete parole mi sgorgano dal cuore:
io proclamo al re il mio poema,
la mia lingua è come stilo di scriba veloce.
Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia,
perciò Dio ti ha benedetto per sempre.
O prode, cingiti al fianco la spada,
tua gloria e tuo vanto,
e avanza trionfante.
Cavalca per la causa della verità,
della mitezza e della giustizia.
La tua destra ti mostri prodigi.
Le tue frecce sono acute -
sotto dite cadono i popoli-,
colpiscono al cuore i nemici del re.
Il tuo trono, o Dio, dura per sempre;
scettro di rettitudine è il tuo scettro regale.
Ami la giustizia e la malvagità detesti:
Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni.
Di mirra, àloe e cassia
profumano tutte le tue vesti;
da palazzi d’avorio ti rallegri
il suono di strumenti a corda.
Figlie di re fra le tue predilette;
alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio.
Gli abitanti di Tiro portano doni,
i più ricchi del popolo cercano il tuo favore.
Entra la figlia del re: è tutta splendore,
tessuto d’oro è il suo vestito.
È condotta al re in broccati preziosi;
dietro a lei le vergini, sue compagne,
a te sono presentate;
condotte in gioia ed esultanza,
sono presentate nel palazzo del re.
Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai principi di tutta la terra.
Il tuo nome voglio far ricordare per tutte le generazioni;
così i popoli ti loderanno in eterno, per sempre.
Commento
Questo salmo per essere compreso ha bisogno di una precisazione teologica. I re di dinastia davidica erano delle figure del futuro re, il Messia. Così il salmo guarda al futuro Messia mentre celebra le nozze di un re d’Israele. Le lodi che lo scriba presenta al re hanno come ultimo traguardo il Cristo.
Le nozze sono quelle tra Salomone e la figlia del re di Tiro. Non esiste nella storia biblica o extrabiblica una menzione di queste nozze, ma si sa che Davide e poi Salomone ebbero stretti contatti d’amicizia con il re di Tiro circa la costruzione del Tempio, e del resto nel salmo si parla di Tiro, e della “figlia del re”.
Il salmista è uno scriba che ha composto un poema di lode e lo recita davanti al re. Le sue lodi sono splendide, non protocollari, egli celebra nel re il futuro Messia.
Tutte le nozze del re Salomone con la figlia del re di Tiro, diventano figura della azioni future del Messia e in questo senso pieno vanno lette.
Lo scriba è pieno di gioia, lodando il re sa di compiere un atto che termina nella lode a Dio.
Il re è detto “il più bello tra i figli dell’uomo”. Bello di una bellezza divina il Cristo. Sulle sue “labbra è diffusa la grazia”, cioè la parola sapiente, la giustizia nel governare, la promozione dell’osservanza alla Legge.
“Dio ti ha benedetto per sempre”, perché non ritirerà mai il suo favore alla casa di Davide (2Sam 7,12).
Lo scriba invita il re, chiamato prode, a cingersi la spada al fianco per combattere i suoi nemici, che vogliono ostacolare il suo lottare (“cavalca”) per la causa “della verità, della mitezza e della giustizia”. Così Cristo avanzerà nel mondo per mezzo della verità – lui la Verità -, della mitezza e della giustizia. Egli colpirà alla fine i suoi nemici con la spada della sua condanna (Ps 2,9; Ap 19,15).
Lo scriba afferma che il trono del re dura per sempre, poiché esso è destinato al futuro Messia. Il re è chiamato Dio, perché fa le veci di Dio, ma sarà veramente Dio nel futuro Messia.
“Scettro di rettitudine è il tuo scettro regale”, dice lo scriba. « Di rettitudine » perché fondato sulla Legge, che ha per sostanza l’amore.
Egli, il re, è stato consacrato tale “con olio di letizia”, a preferenza dei suoi uguali, cioè dei suoi fratelli discendenti di Davide. Cristo sarà consacrato re per opera dello Spirito Santo nel Giordano, sarà lui consacrato re tra tutti i discendenti di Davide (Lc 1,32); egli che sarà riconosciuto per la fede nella sua realtà di Figlio di Dio.
Le vesti del re emanano profumi, secondo l’uso orientale. Il profumo indica l’amabilità della persona. C’è festa attorno a lui: “Da palazzi d’avorio ti rallegri il suono di strumenti a corda”. Palazzi d’avorio perché ricchi di mobili intarsiati d’avorio. E’ la festa per lui. E’ la celebrazione della grandezza che ha ricevuto da Dio. Cristo è ben degno che dalle regge dei re si innalzi la celebrazione della sua grandezza, che sorpassa all’infinito ogni grandezza (Cf. Fil 2,9).
Lo scriba fa menzione dell’harem del re, fatto di figlie di re, segno della influenza tra i popoli. I popoli si sono alleati con lui dando a lui le figlie dei re. Ma alla destra del re c’è la regina. Questa regina viene dai pagani. E’ la figlia del re di Tiro, ma è invitata a lasciare ogni ricordo del suo popolo e della sua casa. Così la Chiesa viene anche dai pagani. E i pagani porteranno al Cristo le loro ricchezze: “Gli abitanti di Tiro portano doni”. Mentre “i più ricchi del popolo (Israele)” cercano il favore del re. Certo Israele si aprirà a Cristo e i più ricchi di dottrina in Israele cercheranno di essere graditi al Re dei re, e ne guarderanno il volto pronti ad obbedire alla sua parola.
La regina è presentata in tutto il suo splendore; è la donna che l’Apocalisse presenta avvolta nel sole (12,1).
Le “vergini, sue compagne”, che facevano corolla alla figlia del re di Tiro, entrano anch’esse nel palazzo regale, diventando partecipi della sua gioia.
Il salmista alla fine della sua composizione guarda decisamente al futuro Messia. Ai suoi padri, cioè ai capi delle dodici tribù d’Israele succederanno “i tuoi figli”, cioè i dodici apostoli, che saranno, nel loro essere a fondamento della Chiesa, capi di tutta la terra.
La grandezza, la gloria del Cristo sarà ricordata da tutte le generazioni; e tutti i popoli lo “loderanno in eterno, per sempre”.
QUAL È LA DIFFERENZA TRA PREGHIERA E MEDITAZIONE?
Un lettore si è sentito esortare durante una confessione a dedicare più tempo alla meditazione. Che cosa vuol dire? Risponde don Diego Pancaldo, docente di Teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.
04/03/2018 di Redazione Toscana Oggi
Un sacerdote, in confessione, mi ha esortato a dedicare del tempo alla meditazione. Mi sono resa conto solo dopo che non so esattamente cosa devo fare: meditazione, preghiera, contemplazione per me sono termini equivalenti. Ma forse invece c’è una differenza. Mi potete dare qualche spiegazione?
Lettera firmata
Il Catechismo della Chiesa cattolica definisce la meditazione come una espressione della preghiera caratterizzata dalla ricerca: «Lo spirito cerca di comprendere il perché e il come della vita cristiana, per aderire e rispondere a ciò che il Signore chiede». (CCC n. 2705) Una forma di preghiera dunque che richiede attenzione e che coinvolge tutte le facoltà dell’uomo, mettendo in azione «il pensiero, l’immaginazione, l’emozione e il desiderio».
Questo tipo di preghiera ha un carattere discorsivo e risulta «necessaria per approfondire le convinzioni di fede, suscitare la conversione del cuore, rafforzare la volontà di seguire Cristo» (CCC n. 2708). Essa mira a favorire l’appropriazione personale del mistero di salvezza rivelato in Cristo, assimilandone progressivamente il senso e il contenuto. Chi medita può aiutarsi abitualmente con qualche libro. «La Sacra Scrittura, particolarmente il Vangelo, le sante icone, i testi liturgici del giorno e del tempo, gli scritti dei Padri della vita spirituale, le opere di spiritualità, il grande libro della creazione e quello della storia, la pagina dell’Oggi di Dio» (CCC n. 2705). In ogni caso il cristiano «anche se prende per oggetto della meditazione la propria vita o le decisioni che si appresta a prendere, si muove sempre all’interno della vita di fede ed è questa che si sforza di far crescere» (Ch. A. Bernard).
Nel corso della storia sono stati elaborati diversi metodi di meditazione, sia in ambito monastico, a partire dalla lectio divina della Scrittura, che considera la meditazione una ruminatio, «una investigazione accurata di una verità nascosta con l’aiuto della ragione» (Guigo il certosino); sia al di fuori di esso, come, ad esempio nella tradizione ignaziana con la meditazione delle tre potenze, in cui memoria, intelletto e volontà vengono applicate successivamente ai diversi aspetti dei misteri da meditare.
Il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2707 sottolinea che «i metodi di meditazione sono tanti quanti i maestri spirituali», e tuttavia, «il metodo non è che una guida; l’importante è avanzare, con lo Spirito Santo, sull’unica via della preghiera: Cristo Gesù». È quanto raccomanda anche la Congregazione per la dottrina della fede che nella lettera Orationis formas su alcuni aspetti della meditazione cristiana, evidenzia che «la preghiera cristiana è sempre determinata della struttura della fede cristiana» e che essa si configura come un «dialogo personale intimo e profondo tra l’uomo e Dio», che richiede «un esodo dall’Io verso il Tu di Dio». La preghiera cristiana pertanto rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull’Io; essa si configura piuttosto come «l’incontro di due libertà, quella infinita di Dio con quella finita dell’uomo». (n. 3).
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma inoltre al n 2708 che la meditazione, «forma di riflessione orante», ha certamente un grande valore, «ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d’amore del Signore Gesù, all’unione con Lui». Deve tendere dunque ad una forma superiore di preghiera più semplificata, più intuitiva che è la contemplazione. Essa è caratterizzata da «uno sguardo semplice sulla verità che termina nell’amore» (Tommaso d’Aquino); da una «scienza d’amore la quale è notizia amorosa infusa da Dio che simultaneamente illumina e innamora l’anima fino a farla salire di grado in grado a Dio suo creatore, poiché solo l’amore è ciò che unisce e congiunge l’anima con Dio» (Giovanni della Croce). La contemplazione infatti è uno «sguardo di fede fissato su Gesù» che purifica i cuore e «ci insegna vedere tutto nella luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini» e ci «conduce alla conoscenza interiore del Signore per amarlo e seguirlo di più» (CCC n. 2715).
Diego Pancaldo
11 MARZO 2018 – 4A DOMENICA DI QUARESIMA – B | LETTURE – OMELIE
Per cominciare
Questa è la domenica « laetare », dall’antifona con la quale inizia la celebrazione eucaristica. L’invito è quello di rallegrarsi, di esultare e di gioire. E il motivo più grande di questa gioia è lo smisurato amore di Dio per l’umanità. Amore che tocca il culmine nella vita del Figlio di Dio, che per amore ha accettato di essere innalzato sulla croce.
La Parola di Dio
2 Cronache 36,14-16.19-23. La storia di Israele è attraversata dalle sue infedeltà, ma anche dal persistente perdono di Dio. Uno dei momenti più tragici della storia di questo popolo, a causa della rinuncia alla propria identità di popolo di Dio per darsi alla imitazione degli altri popoli, è stata la deportazione in Babilonia. Ma Dio suscita un re pagano, Ciro, re di Persia, che li riporta nella terra promessa.
Efesini 2,4-10. Paolo sottolinea nella lettera agli Efesini con grande insistenza i motivi profondi della nostra gioia. Esalta la bontà di Dio, la misericordia, la sua grazia che si manifesta nella salvezza realizzata per mezzo di Gesù. Dio ci ha amati e ci resi suoi figli, comunicandoci la sua vita divina.
Giovanni 3,14-21. Il vangelo propone una parte del dialogo che Gesù ha avuto con uno dei capi dei giudei, Nicodemo. Costui viene invitato a rinascere e a guardare alla salvezza che viene dalla croce di Gesù.
Riflettere…
o Il secondo libro delle Cronache racconta la più grande catastrofe vissuta dal popolo di Israele, dopo la schiavitù in Egitto: la deportazione in Babilonia. Un esilio umiliante e tragico per un popolo che pensava di avere sempre Dio dalla propria parte. A nulla erano servite le parole dei profeti: i sacerdoti e il popolo « moltiplicarono le loro infedeltà » e la conseguenza fu la perdita di tutto, delle proprie mura, del tempio, dei palazzi, delle case, della propria storia e cultura.
o Dio permette questa terribile prova. Ma la sua fedeltà non viene meno nemmeno questa volta: suscita Ciro, re di Persia, un pagano che si mette a disposizione di Dio. E tutto può ricominciare: il ritorno e la ricostruzione, la ripresa del dialogo con Dio.
o Il brano di vangelo presenta la parte centrale del dialogo che Gesù ha avuto con Nicodemo. Nicodemo è un notabile ebreo. Incuriosito dalle opere straordinarie compiute da Gesù, vuole parlare con lui. Riconosce che è un inviato di Dio e si reca da lui di notte. A Nicodemo Gesù non si nega, anzi gli rivela il piano d’amore di Dio sul mondo, che si sta realizzando nel Figlio.
o C’è chi ha scritto che questi versetti sono tra i più importanti di tutto il quarto vangelo. Qui infatti si trova « l’affermazione chiara e precisa dell’amore di Dio come causa vera, ultima e determinante della presenza del suo Figlio nel mondo » (Felipe Ramos).
o Giovanni lo ha scritto anche nella sua prima lettera: « In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1Gv 4,9-10).
o La croce è la più grande rivelazione dell’amore di Gesù, ma anche dell’amore del Padre, che accetta che il Figlio sia innalzato sulla croce perché « chiunque crede in lui abbia la vita eterna ».
o È questo riconoscimento, questa fede che illumina e salva. Chi crede così non conosce condanna. Ma c’è chi preferisce le tenebre alla luce, perché condizionato dalle sue scelte contro Dio.
Attualizzare
* Anche in questa quarta domenica di quaresima al centro della Parola di Dio c’è Gesù. Un Gesù che si rivela di domenica in domenica: nelle tentazioni, nella trasfigurazione, nel desiderio di purificare la vita religiosa del popolo. E oggi nel suo amore senza misura.
* È la domenica « laetare » e la liturgia ci rimanda alla fonte della nostra gioia, all’annuncio esplicito e profondo dell’amore di Dio. Dio ci ama, Dio ci ha tanto amati: sono le espressioni che ritornano più frequenti nelle tre letture. Al centro, l’espressione del vangelo che toglie il velo al progetto di Dio sull’umanità: Dio ci ha tanto amati da consegnare il suo Figlio unigenito.
* Come si manifesta, come ci coinvolge l’amore di Dio? All’inizio, prima del tempo, l’amore di Dio era per così dire chiuso all’interno delle tre persone della Trinità. Ma anche là, in qualche modo, noi eravamo presenti: « In lui (in Cristo) Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo », dice Paolo, « predestinandoci a essere per lui figli adottivi… » (Ef 1,4-5). « Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele… » (Ger 31,3).
aDio poi si è manifestato nel suo amore attraverso la sua creazione. È stato un manifestarsi libero, gratuito, creativo. Libero della libertà di Dio: ed è stato un manifestarsi per noi straordinario nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo.
* La creazione ci mostra a volte il suo volto ambivalente. C’è anche la sofferenza dovuta alla malvagità umana, e c’è la sofferenza intollerabile degli innocenti. Non tutto ci è chiaro nella pur incredibile magnificenza della creazione. C’è qualcosa che ci sfugge: Bisogna « lasciare a Dio di essere Dio » (Von Balthasar).
* Dio poi ha creato per amore l’uomo e lo ha fatto a sua immagine e somiglianza. L’uomo è davvero un pensiero d’amore di Dio rivestito di carne.
aPer questo l’amore è il fine ultimo della nostra vita, è ciò per cui siano stati creati ed è ciò che può farci pienamente felici.
* Tra Dio e l’uomo il rapporto d’amore non è pacifico e non è stato facile. Il suo amore, l’unico totalmente gratuito e disinteressato, non è sempre stato ricambiato dall’uomo. La storia della salvezza di ieri e di oggi è piena del racconto della infedeltà dell’uomo.
* La prima lettura ne è un esempio. La schiavitù di Babilonia é stata una conseguenza dell’infedeltà di Israele e nello stesso tempo il mezzo di cui Dio si è servito per recuperare l’amore del suo popolo.
* Un terzo grande momento in cui si è rivelato l’amore di Dio è l’incarnazione. Dio si è fatto uomo come noi. Per parlarci e coinvolgerci, ha scelto la strada più audace, attraversando i cieli, eliminando la distanza infinita che ci separa.
* Infine Dio ha scelto per amore la strada della croce, che, come si diceva, è insieme dimostrazione dell’amore infinito del Padre e del Figlio. La croce è in particolare la dimostrazione dell’amore senza limiti di Gesù, che ha scelto per sé il compito di indicarci la strada della salvezza. « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici » (Gv 15,13). È morto per noi, perché si rivelasse il suo amore in modo pieno e noi comprendessimo che l’amore è superamento di noi, è fedeltà, è scelta della strada stretta che porta a un supplemento di amore.
* La vita eterna, che è la vita divina in noi, e la salvezza eterna, dove consumeremo per sempre l’amore di Dio, si conquistano guardando la croce. « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna » (Gv 3,14-15).
* Dice Gesù: « La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce » (Gv 3,19). È questa la storia dell’uomo sulla terra, la nostra storia personale, in cui fedeltà e infedeltà entrano in gioco. Chi opera il male rimane nelle tenebre, chi fa il bene diventa luminoso.
* L’amore di Dio si manifesta infine nella vita della chiesa. Siamo soliti sottolineare i limiti della chiesa-istituzione, gli intollerabili difetti dei cristiani, che diventano ostacolo alla fede. Ma la comunità cristiana, nella sua fedeltà quotidiana, soprattutto nella testimonianza dei suoi figli migliori, i santi, è una grande prova dello Spirito che l’ha fatta nascere e la sostiene. L’amore vissuto in ogni secolo da un numero grande di cristiani generosi è la prova più convincente dell’amore che ha dato vita al mondo. « L’amore esiste. È raro, ma esiste. Ed è l’unica prova dell’esistenza di Dio » (Jonesco)
* La quaresima è questo tempo di esercizio positivo per scoprire il significato della croce e per vivere nella luce. Alla nostra debolezza e incoerenza viene in soccorso l’esempio di Nicodemo, protagonista del vangelo. Invita Gesù di notte per non compromettersi, ma poi lo difende quando vogliono imprigionarlo senza un adeguato giudizio: « »La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa? » (Gv 7,51). Durante il giudizio riesce a fare poco. Ma poi coraggiosamente ricupera il corpo di Gesù e gli dà sepoltura. La tradizione vuole che Pietro lo abbia poi battezzato e sia morto martire. È oggi nell’elenco dei santi. Un cammino di rinascita che è stato forse lento, ma è riuscito.
La testimonianza dei santi
Affermava il Card. Shuster, arcivescovo di Milano: « La gente, quando passa davanti alle chiese e ci vede, non si ferma, come se non avessimo nulla da insegnare, ossia come se non portassimo novità di vita, che vale la pena di abbracciare… Così pure, quando passa davanti ai nostri oratori, non si ferma, perché ha trovato posti più divertenti. Ma quando vede passare « un santo » si ferma per ammirarlo e invidiarlo, come un richiamo a un paradiso perduto ».
Fonte autorizzata in: Umberto DE VANNA:
http://www.collevalenza.it/Riviste/2002/Riv0102/Riv0102_06.htm
ANCORA SEI CADUTO? MA ORA “ALZATI E CAMMINA!”
STUDI
L. S.
Sembra inverosimile, ma Dio è dalla parte del peccatore, perché sa che il negativo esistente in lui si cambierà in positivo, che l’immaturità diverrà maturità. Dio, amando nell’uomo ciò che non c’è ancora, cioè la possibilità di rinascere, lo aiuta ad uscire dalla tenebra e lo attrae alla luce. La storia del figliol prodigo Gesù l’ha raccontata, perché sapeva che ciascuno di noi l’avrebbe vissuta personalmente.
E nella sua predicazione Gesù spostava l’accento dalla legge all’Amore, dal castigo alla misericordia: la novità in Lui era che anche l’uomo peccatore poteva essere amato. E quanti prendevano coscienza di essere in peccato sentivano Gesù a loro vicino; mentre i farisei non sopportavano l’atteggiamento di tolleranza e di compassione che animava Gesù.
Nella vita spirituale ciò che conta è il non aderire col cuore alle debolezze, e il ricominciare daccapo ogni volta, per vincere le proprie miserie e superare gli scoraggiamenti. Così l’ottimismo cristiano è iniziato in me quando, pur sentendo vivo il dramma della mia fragilità spirituale, mi sono aperto alla “comprensione” e allo stupore che Dio ancora ha il coraggio di amarmi, nonostante i miei demeriti.
Purtroppo l’uomo, radicalmente buono ma tuttora legato al suo peccato, vive una doppia vita e contabilità: come uno spettatore egli assiste a quel che diventa capace di fare: prende coscienza della sua debolezza, sperimenta il dominio di quel “forte” che lo lega. Ma arriva pure a far esperienza di vitalità interiore se non si rassegna al suo male, e si rivolge con grida verso il Redentore, perché Lui che è il “più forte” lo liberi e lo riporti alla pace interiore. Allora, non più paralitico, egli è trasformato, e porta agli altri il messaggio che è possibile guarire, essere un peccatore perdonato e risorto a vita rinnovellata.
San Bernardo raccomandava: “Ricordati di rientrare ogni tanto in te stesso”; e lo scrittore tedesco Goethe diceva: “La nostra gloria più grande non consiste nel non cadere mai, ma nel risollevarci sempre dopo ogni caduta”.
È faticoso perdonare se stesso per essere cascato nuovamente, è duro convivere con i propri errori; ma non esistono scorciatoie sulla via della maturità e della consapevolezza. Non si è persone mature, finché non si accettano anche gli errori.
C’è in noi un’esigenza innata per il giusto, per il vero, per il bene; e quando con il nostro comportamento ci allontaniamo da queste strade maestre, ne risentiamo un profondo disagio. Per cui un uomo peccatore ma autenticamente religioso ha il castigo di non trovare indulgenza di fronte a se stesso: è tormentato dal conflitto tra ideali e senso di colpa: perché, anche se zaverrato da debolezze umane, egli è permeato dall’anelito al sublime.
Ora tutta la Bibbia è pervasa da quel senso vivo del peccato, che non approda mai alla disperazione e all’impotenza, ma è sempre aperta alla fiducia, alla speranza, alla grazia divina. Girolamo Savonarola (in una omelia dedicata al “Miserere”) diceva che se lo disperava la paura dei peccati che scopriva in sé, lo sosteneva la speranza della misericordia divina: “O Signore, poiché la tua misericordia è più grande della mia miseria, io non cesserò mai di sperare”.
Siamo tutti figli del primo peccatore, e da lui abbiamo ereditato una congenita inclinazione al male. Sì, la virtù è ammirevole, ma il peccato è attraente: questo ci torna facile, quella molto difficile. Come pure, è precaria la nostra resistenza: siamo dei perenni convalescenti, bisognosi con frequenza di restaurare le forze interiori, di ritemprare la propria volontà devastata, e di essere trapanati dalla misericordia divina.
Una caduta può rivestire un significato totalmente diverso: si può cadere, ma rialzandosi subito per riprendere il cammino con uno slancio maggiore; e si può cadere, rinunciando a proseguire il cammino, perché avviliti dall’umiliazione e trattenuti dalle difficoltà. Il vero peccato, più che nella caduta, sta nello scoraggiarsi, nel rinunciare a rialzarsi.
E riguardo al proposito di “non commettere più” quel peccato, bisogna non dubitare della sincerità dei proponimenti qualora poi, per la propria fragilità, si constata di non correggere radicalmente la condotta personale da un giorno all’altro. Il Signore attende sempre da noi di ricominciare da capo, come tanti bambocci che buffamente si sforzano di rialzarsi dopo ogni caduta.
Dalla propria mente non va mai rimosso quel “chiodo solare” che Dio ci ama così come siamo, e che Lui è sempre pronto a perdonarci “settanta volte sette” (Mt. 18,22), e a trasformare in carica positiva anche le nostre esperienze negative.
Dio ci lascia liberi d’introdurre il male e la sofferenza dentro di noi. Ma ad ogni iniziativa umana risponde una stupenda invenzione divina. Lui Padre, pieno di tenerezza e di misericordia, può fare di una caduta una “felice colpa”, che a noi manterrà presente la magnanimità del suo perdono.
Soltanto a poco a poco noi riusciamo a guarire dalle malattie morali. Per molte persone occorre una “bella carriera” di peccati e di perdoni, prima che arrivi lo scossone di un terremoto interiore, capace di “stabilizzarle” nel grembo gioioso del Padre misericordioso. Ma è bene ripetere: ciò che conta è la buona volontà, il desiderio sincero di migliorare se stesso, nonostante tutto.
La vita cristiana è un atletismo spirituale (2 Tim. 4,7), è un camminare dietro a Gesù (Mt. 16,24).
Non è mai troppo tardi per vivere bene, nella pace e nella libertà interiore. Nulla è definitivamente perduto; e Dio si aspetta sempre da noi di deciderci a collaborare con Lui, per fare della nostra vita un capolavoro vivente della sua grazia. E allora smettiamola di essere indispettiti per i nostri ripetuti cedimenti, prendendocela con Dio e con noi stessi. Non c’è che da tuffarci nell’oceano della misericordia divina, per risentirci – insieme al nostro Poeta – come “piante novelle rinnovellate da novella fronda”