Archive pour le 8 avril, 2011

Migranti italiani in Atlantico 1906

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IL PAPA SEGUE CON PREOCCUPAZIONE LE VICENDE DEI MIGRANTI

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26246?l=italian
 
IL PAPA SEGUE CON PREOCCUPAZIONE LE VICENDE DEI MIGRANTI

Dopo il tragico naufragio di un barcone a sud di Lampedusa

ROMA, giovedì, 7 aprile 2011 (ZENIT.org).- Benedetto XVI si è detto profondamente addolorato per l’ennesima tragedia del mare consumatasi nel Mediterraneo con il naufragio avvenuto martedì notte in acque maltesi, a 40 miglia al largo delle coste di Lampedusa, di un barcone con a bordo numerosi migranti.
Dopo la morte, il 3 marzo, di 70 eritrei che cercavano di sfuggire alle persecuzioni e alle violenze del conflitto in Libia, nella sciagura di due giorni fa sono morte circa 20 persone, mentre altre 250 risultano disperse; 53 sono, invece, i migranti tratti in salvo e trasferiti con un ponte aereo a Brindisi.
In una dichiarazione rilasciata questo giovedì il Direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha detto: “La tragedia della morte in mare di un gran numero di migranti che dalle coste dell’Africa settentrionale cercano di raggiungere l’Europa ha colpito profondamente il Santo Padre, che segue con partecipazione e preoccupazione le vicende dei migranti in questo periodo drammatico”.
“Il Santo Padre e tutta la Chiesa – ha aggiunto – ricordano nella preghiera tutte le vittime di ogni nazionalità e condizione, anche donne e bambini, che perdono la vita nel terribile viaggio per sfuggire alle situazioni di povertà, o di ingiustizia o di violenza da cui sono afflitte, alla ricerca di protezione, accoglienza e condizioni di vita più umane”.
“Ricordiamo – ha poi sottolineato – che fra le vittime di queste tragedie nel Mediterraneo vi sono migranti eritrei cattolici che si trovavano in Libia e partecipavano anche alla vita della comunità cattolica”.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha fatto sapere alla Camera che da gennaio ci sono stati 390 sbarchi e 25.800 arrivi, annunciando la concessione del permesso di soggiorno temporaneo a chi è giunto in Italia, che consentirà di circolare nei Paesi dell’area Schengen.
In un appello alla comunità internazionale lanciato attraverso la Radio Vaticana don Mussie Zerai, sacerdote eritreo presidente dell’Agenzia Abeshia per la Cooperazione allo Sviluppo, ha affermato: “se la comunità europea ci avesse ascoltato quando noi, insieme anche al vescovo di Tripoli, lanciavamo l’appello ad evacuare queste persone insieme ai cittadini europei che lasciavano la Libia, non saremmo qui a contare i morti e i dispersi”.
“Quello che noi ci sentiamo di fare ancora oggi – ha aggiunto – è lanciare un appello per un piano di evacuazione, aprendo un corridoio umanitario sia dalla Libia, in Tunisia o in Egitto del Sud. C’è il rischio che queste persone, se non troveranno un sostegno, un’accoglienza da qualche parte, si affideranno, per la disperazione, ai barconi e al mare”.
Intervistato dall’emittente pontificia mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha detto che “purtroppo la scelta dei barconi via mare, in mano – spesso – a contrabbandieri e trafficanti senza scrupolo, è un’estrema alternativa dettata dall’impossibilità di utilizzare altri mezzi, dato che da tempo i Paesi europei hanno chiuso i confini, introducendo norme restrittive sugli ingressi di questi poveri disgraziati”.
Per questo il presule ha nuovamente fatto appello alla solidarietà e all’accoglienza: “L’Italia, lo scorso anno, occupava – tra i Paesi industrializzati – il 14.mo posto per l’accoglienza dei rifugiati; i Paesi Bassi, con un territorio più piccolo e una popolazione meno numerosa, hanno accolto il doppio dei rifugiati rispetto all’Italia; anche la Francia ha ospitato più rifugiati, con una percentuale del 13 per cento, mentre l’Italia ha una percentuale di rifugiati di soltanto il 2 per cento”.
“Gli eventi in Italia, certo, possono apparire drammatici, ma sono ancora in un certo contesto e non bisognerebbe esasperare quanto sta accadendo – ha detto –. L’Italia, in fondo, è una grande potenza economica, industriale, sociale: quindi potrebbe avere la possibilità, con certe regole precise, di non spaventarsi troppo di fronte ad un fenomeno che esiste e che disgraziatamente, forse, va aumentando”.
“Quello che veramente si desidererebbe – ha osservato – è che l’Europa – non solo l’Italia – prendesse un pochino più a cuore la situazione e studiasse come affrontare e come risolvere questo problema. Non lo si può risolvere solamente con delle leggi punitive: bisogna pure darsi un po’ di pene per vedere come noi, popoli industriali e ricchi, possiamo risolvere questo problema, che esiste! Si possono cacciare, ma rientreranno da un’altra parte”.
Mons. Vegliò ha poi invitato a “distinguere tra coloro che giungono dalla Libia e quanti giungono dalla Tunisia: quelli che provengono dalla Libia, attualmente zona di guerra, non dovrebbero essere respinti; quanti invece arrivano dalla Tunisia rientrano nei flussi di migrazione miste, migranti e rifugiati insieme”.
“Ciascuno di loro dovrebbe essere sottoposto ad uno screening per vagliare il diritto alla protezione, come giustamente si sta orientando a fare l’Italia”, così come è importante “l’adozione del permesso temporaneo, che offre solidarietà a chi ne beneficia, mentre incoraggia la cooperazione sia sul territorio italiano che a livello europeo”.
“L’Europa – ha proseguito poi – deve riflettere seriamente su ciò che significa rimanere nella regione dalla quale i rifugiati fuggono: generalmente si afferma che essi dovrebbero recarsi nei Paesi vicini, ma se questo fosse applicato alla Libia comporterebbe che i rifugiati di quel Paese vengano accolti in Europa”.
“Ciò significa – ha concluso – che l’Europa deve prendersi le sue responsabilità per assolvere i suoi doveri di protezione dei rifugiati e dimostrare cosa significhi solidarietà e condivisione. L’arrivo degli altri può dare fastidio, ma non è cristiano questo egoismo: dobbiamo aprirci anche agli altri, anche politicamente parlando perché tanto è un fenomeno che non si può fermare”.

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LA SALVEZZA NEL CRISTO (di sant’Ireneo di Lione)

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/salvezzaireneo.htm

LA SALVEZZA NEL CRISTO

di sant’Ireneo di Lione

La magnanimità di Dio è così grande, che ha permesso che l’uomo tutto esperimenti e che conosca la morte, per giungere infine alla resurrezione dai morti ed apprendere per sua esperienza da quale male è stato liberato. Per questo l’uomo sarà sempre grato al Signore, avendo da lui ottenuto il dono dell’incorruttibilità, e l’amerà di più, perché colui al quale più viene rimesso più ama. Saprà dunque che è un essere mortale e impotente, e comprenderà che Dio è invece tanto immortale e potente da donare al mortale l’immortalità e al temporale l’eternità; conoscerà così tutte le altre virtù di Dio rese in lui manifeste e, istruito da esse, avrà nei confronti di Dio pensieri in rapporto alla sua grandezza. Infatti, la gloria dell’uomo è Dio, mentre l’uomo è il ricettacolo dell’opera di Dio, di tutta la sua sapienza e di tutta la sua potenza. Come il medico fa i suoi esperimenti sui malati, così anche Dio si manifesta negli uomini. Per questo anche Paolo dice: “Dio ha racchiuso nell’incredulità tutto per aver misericordia di tutti” (Galati 4, 4-5), parlando così non degli “Eoni” spirituali ma dell’uomo che, dopo aver disobbedito a Dio ed aver perduto l’immortalità, ha poi ottenuto misericordia dal Figlio di Dio, ricevendone per suo mezzo l’adozione. L’uomo, inoltre, considerando senza superbia e iattanza la vera gloria delle creature e del Creatore – che è Dio il più potente di tutto e che dà a tutto l’esistenza –, e dimorando nel suo amore, nella sua sottomissione ed azione di grazia, riceverà da lui una gloria più grande, progredendo fino a diventare simile a Colui che è morto per lui. Questi infatti, si è fatto a somiglianza della carne del peccato per condannare il peccato e, dopo averlo condannato, espellerlo dalla carne; per richiamare l’uomo ad essere a lui simile, assegnandolo così come imitatore di Dio, innalzandolo fino al regno del Padre e concedendogli di vedere Dio e di cogliere il Padre – lui, il Verbo di Dio che ha abitato nell’uomo e si è fatto Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo ad impossessarsi di Dio e abituare Dio ad abitare nell’uomo, secondo il beneplacito del Padre.

Questo è dunque il motivo per cui il segno della nostra salute, cioè l’Emmanuele nato dalla Vergine, è stato dato dal Signore stesso: era proprio il Signore che salvava coloro che non potevano salvarsi da se stessi. Così Paolo proclama questa impotenza dell’uomo: “Io so che il bene non abita nella mia carne” (Romani 7, 18), volendo dire che non da noi ma da Dio viene il bene della nostra salvezza. E dice ancora: “Misero uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7, 24). Indica inoltre il Liberatore: “La Grazia di Gesù Cristo nostro Signore” (Romani 7, 25).

È quello che anche Isaia dice: “Rendetevi forti, mani illanguidite e ginocchia indebolite; prendete coraggio, cuori pusillanimi, rafforzatevi, non temete; ecco che il nostro Dio rende il giudizio e lo renderà; verrà lui stesso e ci salverà” (Isaia 35, 3-4). Queste parole testimoniano, dunque, che non da noi stessi, ma dall’aiuto di Dio possiamo essere salvati.

Inoltre, che colui che ci salva non sarà solo un uomo, né un essere senza carne – senza carne sono gli angeli –, l’ha predicato Isaia dicendo: “Non un vecchio né un angelo, ma il Signore stesso li salverà, perché li ama e li risparmia, egli stesso li libererà” (Isaia 63, 9). E che sarà un uomo visibile, anche se è il Verbo Salvatore, lo dice ancora Isaia: “Ecco, città di Sion, i tuoi occhi vedranno la nostra Salvezza” (Isaia 33, 20). E che non fosse solo un uomo chi moriva per noi, lo dice Isaia: “Il Signore, il Santo d’Israele, si è ricordato dei suoi morti che si erano addormentati nella terra del sepolcro; ed è disceso verso di loro per annunciare la buona novella della salvezza che viene da lui, per salvarli” (Ps. Geremia). La stessa cosa dice anche il profeta Amos: “Egli stesso si volgerà verso di noi e avrà pietà di noi; distruggerà le nostre iniquità e getterà nel profondo del mare i nostri peccati” (Michea 4, 19). E indicando di nuovo il luogo della sua venuta, dice: “Il Signore ha parlato da Sion e da Gerusalemme ha fatto sentire la sua voce” (Amos 1, 2). E che da quella regione che è sud dell’eredità di Giuda verrà il Figlio di Dio, che è Dio, e che da Betlem, dove è nato il Signore manderà la sua lode su tutta la terra, lo dice il profeta Abacuc: “Dio verrà da sud e il Santo dal monte Efrem; la sua potenza ha coperto il cielo e la terra è piena della sua lode; davanti al suo cospetto camminerà il Verbo e nelle pianure si avanzeranno i suoi piedi”. Con questo indica chiaramente che è Dio e che è in Betlem la sua venuta, dal monte Efrem, che è a sud dell’eredità; infine, che è un uomo: “Avanzeranno”, dice infatti, “i suoi piedi nelle pianure” e questo è il segno caratteristico dell’uomo (Abacuc 3, 3.5).

Traduzione di C. R. L., in “Messaggero Ortodosso”, Roma 1985-86, nn. 12-13, 1-3.

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