Archive pour le 29 avril, 2011

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Le ultime ore di Giovanni Paolo II raccontate dal suo Segretario

dal sito:

http://www.zenit.org/article-10846?l=italian

Le ultime ore di Giovanni Paolo II raccontate dal suo Segretario

ROMA, giovedì, 25 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo alcuni estratti del volume “Una vita con Karol”, la straordinaria testimonianza del Cardinale Stanislaw Dziwisz, l’uomo che per vari decenni è stato l’ombra di Wojtyla.
Pubblicato dalla Rizzoli e dalla Libreria Editrice Vaticana, il volume di memorie dell’attuale Arcivescovo di Cracovia, è una lunga conversazione col giornalista Gian Franco Svidercoschi.
I passaggi sono estratti dal capitolo 35, “Lasciatemi andare dal Signore”.

* * *

2005. Karol Wojtyla è giunto alla fine del suo viaggio terreno. Così don Stanislao racconta il congedo finale.

( … ) Erano le 21,37. Ci eravamo accorti che il Santo Padre aveva smesso di respirare. Ma solo in quel preciso momento «vedemmo» sul monitor che il suo grande cuore, dopo aver continuato a battere per qualche istante, si era fermato. Il dottor Buzzonetti si chinò su di lui e alzando appena lo sguardo mormorò: «È passato alla casa del Signore». Qualcuno intanto aveva bloccato le lancette dell’orologio su quell’ ora. E noi, come se lo avessimo deciso tutti insieme, ci mettemmo a cantare il Te Deum. Non il Requiem, perché non era un lutto, ma il Te Deum, come ringraziamento a Dio per il dono che ci aveva dato, il dono della persona del Santo Padre, di Karol Wojtyla.
Piangevamo. Come si faceva a non piangere! Erano, insieme, lacrime di dolore e di gioia. E fu allora che si accesero tutte le luci della casa … Poi, non ricordo più. Era come se fosse calato improvvisamente il buio. Il buio sopra di me, dentro di me. Sapevo bene quello che era successo, ma era come se, dopo, non riuscissi ad accettarlo. O non riuscissi a capirlo. Mi mettevo nelle mani del Signore, ma quando pensavo di avere il cuore sereno ripiombava il buio … Finché è arrivato il momento del congedo. C’era tutta quella gente. Tutte quelle persone importanti venute da lontano. Ma, soprattutto, c’era il suo popolo. C’erano i suoi giovani. C’erano quelle scritte, così significative e così impazienti. In piazza San Pietro c’era una grande luce. E adesso era tornata anche dentro di me.
Concludendo l’omelia, il cardinale Ratzinger ha fatto quell’ accenno alla finestra, e ha detto che lui stava sicuramente là, a vederci, a benedirci. Anch’io mi sono voltato, non ho potuto fare a meno di voltarmi, ma non ce l ‘ho fatta a guardare in su. Alla fine, quando sono arrivati sul sagrato, i sediari che portavano la bara l’hanno lentamente girata. Come per permettergli l’ultimo sguardo verso la sua piazza. Il congedo definitivo dagli uomini, dal mondo.
Ma anche da me? No, da me no. In quel momento, non ho pensato a me. L’ho vissuto insieme con tutti gli altri. E tutti erano scossi, turbati. Ma per me è stata una cosa che non potrò mai dimenticare. Intanto, il corteo stava entrando in basilica, dovevano portare la bara giù nella tomba.
E allora, proprio allora, mi è venuto di pensare … L’ho accompagnato per quasi quarant’anni, prima dodici a Cracovia, poi ventisette a Roma. Sono stato sempre con lui, accanto a lui. Ora, nel momento della morte, lui è andato da solo. L’ho sempre accompagnato, ma da qui è andato da solo. E questo fatto, di non averlo potuto accompagnare, mi ha colpito tanto. Sì, certo, lui non ci ha lasciati. Sentiamo la sua presenza, e anche le tante grazie ottenute tramite lui. E poi, io l ‘ho accompagnato fino a questo punto della Chiesa. Ma, da qui, è andato da solo. E ora? Dall’altra parte, chi lo accompagna?

[Pagg. 223-225]

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BENEDETTO XVI SPIEGA IL SIGNIFICATO DELLA RISURREZIONE DI CRISTO

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26474?l=italian

BENEDETTO XVI SPIEGA IL SIGNIFICATO DELLA RISURREZIONE DI CRISTO

Meditazione durante l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 29 aprile 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo della meditazione che Benedetto XVI ha offerto questo mercoledì durante l’Udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata al significato della risurrezione di Cristo.
* * *

Cari fratelli e sorelle,
in questi primi giorni del Tempo Pasquale, che si prolunga fino a Pentecoste, siamo ancora ricolmi della freschezza e della gioia nuova che le celebrazioni liturgiche hanno portato nei nostri cuori. Pertanto, oggi vorrei riflettere con voi brevemente sulla Pasqua, cuore del mistero cristiano. Tutto, infatti, prende avvio da qui: Cristo risorto dai morti è il fondamento della nostra fede. Dalla Pasqua si irradia, come da un centro luminoso, incandescente, tutta la liturgia della Chiesa, traendo da essa contenuto e significato. La celebrazione liturgica della morte e risurrezione di Cristo non è una semplice commemorazione di questo evento, ma è la sua attualizzazione nel mistero, per la vita di ogni cristiano e di ogni comunità ecclesiale, per la nostra vita. Infatti, la fede nel Cristo risorto trasforma l’esistenza, operando in noi una continua risurrezione, come scriveva san Paolo ai primi credenti: «Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5, 8-9).
Come possiamo allora far diventare « vita » la Pasqua? Come può assumere una « forma » pasquale tutta la nostra esistenza interiore ed esteriore? Dobbiamo partire dalla comprensione autentica della risurrezione di Gesù: tale evento non è un semplice ritorno alla vita precedente, come lo fu per Lazzaro, per la figlia di Giairo o per il giovane di Nain, ma è qualcosa di completamente nuovo e diverso. La risurrezione di Cristo è l’approdo verso una vita non più sottomessa alla caducità del tempo, una vita immersa nell’eternità di Dio. Nella risurrezione di Gesù inizia una nuova condizione dell’essere uomini, che illumina e trasforma il nostro cammino di ogni giorno e apre un futuro qualitativamente diverso e nuovo per l’intera umanità. Per questo, san Paolo non solo lega in maniera inscindibile la risurrezione dei cristiani a quella di Gesù (cfr 1Cor 15,16.20), ma indica anche come si deve vivere il mistero pasquale nella quotidianità della nostra vita.
Nella Lettera ai Colossesi, egli dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio, rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (3,1-2). A prima vista, leggendo questo testo, potrebbe sembrare che l’Apostolo intenda favorire il disprezzo delle realtà terrene, invitando cioè a dimenticarsi di questo mondo di sofferenze, di ingiustizie, di peccati, per vivere in anticipo in un paradiso celeste. Il pensiero del « cielo » sarebbe in tale caso una specie di alienazione. Ma, per cogliere il senso vero di queste affermazioni paoline, basta non separarle dal contesto. L’Apostolo precisa molto bene ciò che intende per «le cose di lassù», che il cristiano deve ricercare, e «le cose della terra», dalle quali deve guardarsi. Ecco anzitutto quali sono «le cose della terra» che bisogna evitare: «Fate morire – scrive san Paolo – ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (3,5-6). Far morire in noi il desiderio insaziabile di beni materiali, l’egoismo, radice di ogni peccato. Dunque, quando l’Apostolo invita i cristiani a distaccarsi con decisione dalle «cose della terra», vuole chiaramente far capire ciò che appartiene all’«uomo vecchio» di cui il cristiano deve spogliarsi, per rivestirsi di Cristo.
Come è stato chiaro nel dire quali sono le cose verso le quali non bisogna fissare il proprio cuore, con altrettanta chiarezza san Paolo ci indica quali sono le «cose di lassù», che il cristiano deve invece cercare e gustare. Esse riguardano ciò che appartiene all’«uomo nuovo», che si è rivestito di Cristo una volta per tutte nel Battesimo, ma che ha sempre bisogno di rinnovarsi «ad immagine di Colui che lo ha creato» (Col 3,10). Ecco come l’Apostolo delle Genti descrive queste «cose di lassù»: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri (…). Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12-14). San Paolo è dunque ben lontano dall’invitare i cristiani, ciascuno di noi, ad evadere dal mondo nel quale Dio ci ha posti. E’ vero che noi siamo cittadini di un’altra «città», dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d’ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della città terrena.
E questa è la via non solo per trasformare noi stessi, ma per trasformare il mondo, per dare alla città terrena un volto nuovo che favorisca lo sviluppo dell’uomo e della società secondo la logica della solidarietà, della bontà, nel profondo rispetto della dignità propria di ciascuno. L’Apostolo ci ricorda quali sono le virtù che devono accompagnare la vita cristiana; al vertice c’è la carità, alla quale tutte le altre sono correlate come alla fonte e alla matrice. Essa riassume e compendia «le cose del cielo»: la carità che, con la fede e la speranza, rappresenta la grande regola di vita del cristiano e ne definisce la natura profonda.
La Pasqua, quindi, porta la novità di un passaggio profondo e totale da una vita soggetta alla schiavitù del peccato ad una vita di libertà, animata dall’amore, forza che abbatte ogni barriera e costruisce una nuova armonia nel proprio cuore e nel rapporto con gli altri e con le cose. Ogni cristiano, così come ogni comunità, se vive l’esperienza di questo passaggio di risurrezione, non può non essere fermento nuovo nel mondo, donandosi senza riserve per le cause più urgenti e più giuste, come dimostrano le testimonianze dei Santi in ogni epoca e in ogni luogo. Sono tante anche le attese del nostro tempo: noi cristiani, credendo fermamente che la risurrezione di Cristo ha rinnovato l’uomo senza toglierlo dal mondo in cui costruisce la sua storia, dobbiamo essere i testimoni luminosi di questa vita nuova che la Pasqua ha portato. La Pasqua è dunque dono da accogliere sempre più profondamente nella fede, per poter operare in ogni situazione, con la grazia di Cristo, secondo la logica di Dio, la logica dell’amore. La luce della risurrezione di Cristo deve penetrare questo nostro mondo, deve giungere come messaggio di verità e di vita a tutti gli uomini attraverso la nostra testimonianza quotidiana.
Cari amici, Sì, Cristo è veramente risorto! Non possiamo tenere solo per noi la vita e la gioia che Egli ci ha donato nella sua Pasqua, ma dobbiamo donarla a quanti avviciniamo. E’ il nostro compito e la nostra missione: far risorgere nel cuore del prossimo la speranza dove c’è disperazione, la gioia dove c’è tristezza, la vita dove c’è morte. Testimoniare ogni giorno la gioia del Signore risorto significa vivere sempre in « modo pasquale » e far risuonare il lieto annuncio che Cristo non è un’idea o un ricordo del passato, ma una Persona che vive con noi, per noi e in noi, e con Lui, per e in Lui possiamo fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5).

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