Archive pour le 28 avril, 2011

PORTRAITS OF PAUL

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http://www.artbible.net/Jesuschrist_fr.html

Publié dans:immagini sacre |on 28 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Lo stupore e il respiro : La poesia come domanda, incontro, comunicazione

dal sito:

http://www.cci.progettoculturale.it/questionedio/progetto_culturale_/iniziative_a_cura_del_progetto_culturale/00008376_Lo_stupore_e_il_respiro_.html

Lo stupore e il respiro   

La poesia come domanda, incontro, comunicazione

Aveva ragione Vico: risalendo fino alle origini delle espressioni artistiche dell’uomo, ci accorgiamo che quelle poetiche sono molto più antiche. Se per la prosa dobbiamo attendere le « Confessioni » di Sant’Agostino, per la poesia ci avviciniamo alla nebulosa delle origini. 
A patto però di non pensare alla poesia come sistema metrico codificato, bensì ad un atteggiamento – ecco dove stanno le ragioni di Vico – di stupore e di ricerca del senso ultimo, del respiro di Dio.
Perché, come avevano intuito grandi « moderni » come William Blake, Paul Ricoeur e Northrop Frye, il linguaggio poetico è strettamente connesso a quello religioso.
C’è nella poesia l’abissale nostalgia della creazione, della comunione con il tutto, del fiato di Dio che è anche quello del poeta, perché la ricerca del ritmo metrico non è altro che il tentativo di tornare a respirare come all’origine del tutto, con l’universo: potrebbe essere questa la spiegazione del perché spesso la poesia torna alla natura.
Nel Medioevo molte testimonianze, quella di Ilario di Poitiers, cui è attribuita un’opera in esametri sulla vita di Cristo, o quella del « Dittochaeon » (illustrazione in quartine degli affreschi in una chiesa), ci dicono che la poesia non è solo un espediente per richiamare la memoria in un momento in cui era difficile accedere alla scrittura (è la tesi di Havelock), ma altro, un « altro » che è anche ricerca di altrove, come nel romantico « sehnsucht nach dem tode », struggente nostalgia di ciò che si nasconde dietro la morte. Basta leggere Baudelaire per capirlo. Dietro di lui non c’è il nulla, come alcuni hanno scritto, ma la ricerca disperata di un senso.
Basterebbe un altro nome, Thomas Stearns Eliot, per capire come la modernità poetica non sia altro che ripresa della ricerca di quel respiro originario. Guardiamo al tema delle ossa che riprendono vita: si parte da Ezechiele, si passa per Origene, Riccardo di san Vittore, Emilio Draconzio fino ad arrivare ad Eliot, che al colmo della nausea della « Terra desolata » (1922) riprende quel tema apparentemente disperato e che in realtà richiama la speranza della resurrezione e di una Vita Nuova.
Le visioni di morte della « Terra desolata » sembrano un proclama di resa al nulla, e sono in realtà il riposo prima della primavera: così a Phlebas il fenicio cui « una corrente sottomarina/ spolpò l’ossa in mormorii », risponde qualche anno più tardi, il « Mercoledì delle ceneri » (si guardi alla estrema pregnanza « penitenziale » del titolo) con il canto di rinascita: « Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti/ Noi siamo liete d’essere disperse, poco bene facemmo l’una all’altra,/ nella frescura del giorno sotto un albero, con la benedizione della sabbia,/ dimenticando noi stesse e l’un l’altra, unite/ nella serenità del deserto ». Il deserto diviene sereno, perché la morte (« un pecchione che pungeva » l’aveva definita in quegli stessi anni Chesterton) non ha più senso nella prospettiva cristiana.
C’era stato però un inizio, un punto di svolta assoluto, dopo il quale la poesia non fu più se stessa: Dante, come tutti, nessuno escluso, hanno capito, da Eliot a Pound, da Claudel a Luzi, da Blake a Bonnefoy. L’Alighieri segna il confine più lontano raggiungibile dal verso umano, perché in lui i versi stessi non sono più figura retorica, ma senso, carne, dolore, umore e preghiera. Vita, insomma. Dopo di lui questa unità si è dissolta, lasciando intravedere, talvolta, bagliori di inquietante bellezza. Petrarca, il cantore di una sola donna, concretizzazione estrema della bella dama senza pietà provenzale, chiude il « Canzoniere » con l’implorazione di Grazia alla vera Signora, consapevole dell’errore di aver amato la creatura al posto del suo Creatore. E si prenda Leopardi, materialista ed ateo secondo molti, ma che altri hanno avvicinato alla concezione apofatica della divinità, secondo la quale non è possibile trovare attributi umani al Numinoso. Si pensi a Mario Luzi che, attraverso la guerra, il macello, la colpa, distilla un verso macerato e insieme sereno, memore del Fiorentino, in cui tutto sembra tornare ad unità: Dio e la donna, il Medioevo e l’oggi. E come non pensare a Wislawa Szymborska, in cui colloquialità, amore e bellezza di Dio costituiscono un tutt’uno? E per rimanere nell’universo femminile, come dimenticare il passaggio nella notte della follia per risalire -ancora una volta l’ombra di Dante!- a riveder le stelle di Margherita Guidacci e Alda Merini? E come ignorare la ricerca della bellezza divina nelle schegge di autentico fulgore di Cristina Campo, alias Vittoria Guerrini?
Se poi ci ricordiamo che in Italia i nomi della lirica contemporanea sono, dopo Ungaretti e il « caso » Rebora, grande poeta chiusosi in convento, molti e qualificati, da Giovanni Raboni a David Maria Turoldo e a Umberto Marvardi, da Davide Rondoni a Roberto Mussapi, e tantissimi altri, ci accorgiamo che la poesia è poesia, e basta, e non ha bisogno di aggettivi, perché è ricerca pura, vale a dire risalita del fiume verso la grande Origine.
 
Marco Testi
critico letterari

Publié dans:Approfondimenti |on 28 avril, 2011 |Pas de commentaires »

LA PAROLA DI DIO NELLA CHIESA : LA RIVERLAZIONE

dal sito:

http://www.dimanet.it/html/bibbia/LaBibbia.htm

LA PAROLA DI DIO NELLA CHIESA

Dalla Costituzione dogmatica
del Concilio Ecumenico Vaticano II
sulla divina rivelazione
 
La rivelazione
 
Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo, offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di Sé, e inoltre, volendo aprire la via della soprannaturale salvezza, fin dal principio manifestò Se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,1-7).
A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran Popolo, che dopo i Patriarchi ammaestrò per mezzo di Mose e dei Profeti affinché lo conoscessero come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice e stessero in attesa del Salvatore promesso, preparando in  tal modo lungo i secoli la via al Vangelo. Dopo aver Iddio, a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei Profeti, “alla fine nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”(Eb 1, l-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio(cfr. Gv1,1-18).
Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come uomo agli uomini «parla le parole di Dio»  (Gv 3, 34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5, 36; 17, 4). Perciò Egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr Gv 14, 9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione  di Sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’ invio dello Spirito Santo compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna.
L’economia cristiana, dunque, in quanto e alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcuna altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1 Tm 6, Tt 2, 13). La Sacra Tradizione . e la Sacra Scrittura sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti.
Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Intatti, la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio; la Sacra Tradizione poi trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino la espongano e la diffondano; accade così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate con pari sentimento di pietà e riverenza.
La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa, e nell’adesione ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera assiduamente nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle orazioni (cfr. At 2, 42 gr.), in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, concordino i Presuli e i fedeli.
L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale Magistero però non è superiore alla parola di Dio ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, m quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, saggiamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio.
È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.
 
L’ispirazione divina e 1′interpretazione della Sacra Scrittura
Le verità divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3, 16; 2 Pt 1, 19-21; 3, 15-16), hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa.
Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo», scrivessero, come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte. Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere.
Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona” (2 Tm 3, lb-1/ gr.). Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana », l’interprete della Sacra Scrittura, per capir bene ciò che Egli ha voluto comunicarci deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto tra l’altro, anche dei generi letterari.
La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese di esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso.
Per comprendere infatti nel loro giusto valore ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originari modi di intendere, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che allora erano generalmente in uso in rapporti umani.
Però, dovendo la Sacra Scrittura esser letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e alla unità di tuta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede.
È compito degli esegeti contribuire secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. Quanto infatti, e stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio.
Nella Sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la Santità di Dio, si manifesta l’ammirabile condiscendenza dell’eterna Sapienza « affinché possiamo apprendere l’ineffabile benignità di Dio e quanto Egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare ». Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’Eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile all’uomo.
 

Publié dans:Concilio Vaticano II |on 28 avril, 2011 |Pas de commentaires »

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