LA SALVEZZA NEL CRISTO (di sant’Ireneo di Lione)
dal sito:
http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/salvezzaireneo.htm
LA SALVEZZA NEL CRISTO
di sant’Ireneo di Lione
La magnanimità di Dio è così grande, che ha permesso che l’uomo tutto esperimenti e che conosca la morte, per giungere infine alla resurrezione dai morti ed apprendere per sua esperienza da quale male è stato liberato. Per questo l’uomo sarà sempre grato al Signore, avendo da lui ottenuto il dono dell’incorruttibilità, e l’amerà di più, perché colui al quale più viene rimesso più ama. Saprà dunque che è un essere mortale e impotente, e comprenderà che Dio è invece tanto immortale e potente da donare al mortale l’immortalità e al temporale l’eternità; conoscerà così tutte le altre virtù di Dio rese in lui manifeste e, istruito da esse, avrà nei confronti di Dio pensieri in rapporto alla sua grandezza. Infatti, la gloria dell’uomo è Dio, mentre l’uomo è il ricettacolo dell’opera di Dio, di tutta la sua sapienza e di tutta la sua potenza. Come il medico fa i suoi esperimenti sui malati, così anche Dio si manifesta negli uomini. Per questo anche Paolo dice: “Dio ha racchiuso nell’incredulità tutto per aver misericordia di tutti” (Galati 4, 4-5), parlando così non degli “Eoni” spirituali ma dell’uomo che, dopo aver disobbedito a Dio ed aver perduto l’immortalità, ha poi ottenuto misericordia dal Figlio di Dio, ricevendone per suo mezzo l’adozione. L’uomo, inoltre, considerando senza superbia e iattanza la vera gloria delle creature e del Creatore – che è Dio il più potente di tutto e che dà a tutto l’esistenza –, e dimorando nel suo amore, nella sua sottomissione ed azione di grazia, riceverà da lui una gloria più grande, progredendo fino a diventare simile a Colui che è morto per lui. Questi infatti, si è fatto a somiglianza della carne del peccato per condannare il peccato e, dopo averlo condannato, espellerlo dalla carne; per richiamare l’uomo ad essere a lui simile, assegnandolo così come imitatore di Dio, innalzandolo fino al regno del Padre e concedendogli di vedere Dio e di cogliere il Padre – lui, il Verbo di Dio che ha abitato nell’uomo e si è fatto Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo ad impossessarsi di Dio e abituare Dio ad abitare nell’uomo, secondo il beneplacito del Padre.
Questo è dunque il motivo per cui il segno della nostra salute, cioè l’Emmanuele nato dalla Vergine, è stato dato dal Signore stesso: era proprio il Signore che salvava coloro che non potevano salvarsi da se stessi. Così Paolo proclama questa impotenza dell’uomo: “Io so che il bene non abita nella mia carne” (Romani 7, 18), volendo dire che non da noi ma da Dio viene il bene della nostra salvezza. E dice ancora: “Misero uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7, 24). Indica inoltre il Liberatore: “La Grazia di Gesù Cristo nostro Signore” (Romani 7, 25).
È quello che anche Isaia dice: “Rendetevi forti, mani illanguidite e ginocchia indebolite; prendete coraggio, cuori pusillanimi, rafforzatevi, non temete; ecco che il nostro Dio rende il giudizio e lo renderà; verrà lui stesso e ci salverà” (Isaia 35, 3-4). Queste parole testimoniano, dunque, che non da noi stessi, ma dall’aiuto di Dio possiamo essere salvati.
Inoltre, che colui che ci salva non sarà solo un uomo, né un essere senza carne – senza carne sono gli angeli –, l’ha predicato Isaia dicendo: “Non un vecchio né un angelo, ma il Signore stesso li salverà, perché li ama e li risparmia, egli stesso li libererà” (Isaia 63, 9). E che sarà un uomo visibile, anche se è il Verbo Salvatore, lo dice ancora Isaia: “Ecco, città di Sion, i tuoi occhi vedranno la nostra Salvezza” (Isaia 33, 20). E che non fosse solo un uomo chi moriva per noi, lo dice Isaia: “Il Signore, il Santo d’Israele, si è ricordato dei suoi morti che si erano addormentati nella terra del sepolcro; ed è disceso verso di loro per annunciare la buona novella della salvezza che viene da lui, per salvarli” (Ps. Geremia). La stessa cosa dice anche il profeta Amos: “Egli stesso si volgerà verso di noi e avrà pietà di noi; distruggerà le nostre iniquità e getterà nel profondo del mare i nostri peccati” (Michea 4, 19). E indicando di nuovo il luogo della sua venuta, dice: “Il Signore ha parlato da Sion e da Gerusalemme ha fatto sentire la sua voce” (Amos 1, 2). E che da quella regione che è sud dell’eredità di Giuda verrà il Figlio di Dio, che è Dio, e che da Betlem, dove è nato il Signore manderà la sua lode su tutta la terra, lo dice il profeta Abacuc: “Dio verrà da sud e il Santo dal monte Efrem; la sua potenza ha coperto il cielo e la terra è piena della sua lode; davanti al suo cospetto camminerà il Verbo e nelle pianure si avanzeranno i suoi piedi”. Con questo indica chiaramente che è Dio e che è in Betlem la sua venuta, dal monte Efrem, che è a sud dell’eredità; infine, che è un uomo: “Avanzeranno”, dice infatti, “i suoi piedi nelle pianure” e questo è il segno caratteristico dell’uomo (Abacuc 3, 3.5).
Traduzione di C. R. L., in “Messaggero Ortodosso”, Roma 1985-86, nn. 12-13, 1-3.

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