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Joh-11,01-Lazarus_Resurrection

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L’insegnamento di Gesù sulla preghiera

dal sito:

http://www.santuariosantamariadegliangeli.it/

SANTUARIO SANTA MARIA DEGLI ANGELI

L’insegnamento di Gesù sulla preghiera
 
Qui tocchiamo un punto nevralgico dell’insegnamento sulla preghiera cristiana: la preghiera di Cristo è il vertice della preghiera biblica. Nei giorni della sua vita terrena, Cristo prega, sente cioè la necessità di un contatto intimo e frequente col Padre, e insegna a pregare anche ai suoi discepoli. Sarà opportuno analizzare tanto la preghiera di Gesù quanto il suo insegnamento sulla preghiera. 
 
7.1 La preghiera di Gesù
Sarà in primo luogo opportuno chiederci “come” Cristo ha pregato nella sua vita da uomo. Uno sguardo generale ai cenni evangelici sulla preghiera di Gesù ci permette di dire che Lui ha pregato frequentemente ritirandosi in luoghi deserti, preferibilmente la notte o prima dell’alba. Questa preghiera di Gesù scandisce la sua attività di evangelizzazione e non sembra avere scopi pratici aldilà di un ristoro del suo cuore nell’intimità con il Padre. Notiamo anche l’assenza di preghiera in occasione dei miracoli: Gesù non prega prima di operare il miracolo, tranne in due casi, la moltiplicazione dei pani e la risurrezione di Lazzaro. Oltre alla preghiera ordinaria che scandisce il ritmo delle sue attività apostoliche, vi è una preghiera circostanziale, ossia una preghiera dettata dal momento particolare che Cristo si trova a vivere; vediamo così Cristo in orazione prima di prendere le decisioni più importanti, come la scelta dei Dodici; oppure in momenti cardine del suo ministero, come il battesimo e la trasfigurazione (secondo Luca); quando gli Apostoli stanno per essere vagliati dalla bufera della Passione, Cristo prega in particolare per Pietro (cfr. Lc 22,31-34); infine Cristo prega per ottenere dal Padre la forza di affrontare il tempo della prova e di essere in grado di affrontare la morte.
Si può dire inoltre che Cristo ha praticato le forme più importanti di preghiera note all’AT: la preghiera di lode, di intercessione, di richiesta di perdono (anche se mai per Se Stesso), di domanda.
I caratteri della preghiera di GesùLa prima cosa che ci viene di notare in riferimento alla preghiera di Gesù è il suo pieno inserimento nell’esperienza religiosa di Israele. Cristo si reca di sabato nella sinagoga e lì prega insieme alla comunità ebraica: “Si recò a Nazaret ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga” (Lc 4,16). E ancora: “Gesù insegnava nelle loro sinagoghe” (Mt 4,23). La sinagoga e la preghiera comunitaria rappresentano quindi la prima tappa della manifestazione pubblica di Cristo. La comunità che si raduna in preghiera è sempre il primo e necessario riferimento del singolo credente, il quale impara a pregare dalla comunità che prega.
Più volte il Vangelo fa riferimento al fatto che Gesù soleva ritirarsi in luoghi solitari a pregare (Mt 14,13; Mc 1,35), ma non ci dice mai in cosa consistesse questa preghiera solitaria né quali contenuti avesse.    I discepoli hanno infatti desiderato sapere come Cristo pregasse, quindi hanno intuito nella preghiera di Cristo qualcosa di nuovo e di diverso da quel che tradizione ebraica aveva loro comunicato; e gli hanno chiesto esplicitamente di insegnare loro a pregare come pregava Lui. Sarà appunto questo l’argomento del successivo paragrafo. L’unico punto in cui potrebbe venire alla luce quel che la preghiera solitaria di Cristo poteva essere, è il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, dove viene portata la lunga preghiera di Gesù che affida alla custodia del Padre gli Apostoli e la Chiesa futura. Si tratta di una preghiera piena di confidenza filiale, ma anche piena di una divina consapevolezza, per la quale Cristo può dire perfino, rivolgendosi al Padre: “Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con Me” (Gv 17,24). La preghiera di Gesù conosce dunque sia l’adesione piena del Figlio al volere del Padre, sia la coscienza lucida dell’uguaglianza nella natura divina e nell’unica maestà, identica per il Padre e per il Figlio.
Cristo non mette sullo stesso piano la preghiera e l’attività apostolica, né si ritira a pregare solo quando non ha nulla da fare. Al contrario, Egli si ritira a pregare anche quando le folle lo cercano per ascoltare la sua Parola e ricevere al guarigione: “Folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare” (Lc 5,15-16). Neppure l’incalzare della piena dei bisogni umani lo ferma dalla ricerca della solitudine e della intimità col Padre. Significa che la preghiera deve avere la priorità assoluta su ogni attività. Mentre lo cercano, Egli si ritira in luoghi solitari. Non sempre ci riesce, perché talvolta la folla intuisce dove sta per andare e lo precede. Qui Cristo si commuove e apre a chi lo cerca i tesori del suo Cuore (cfr. Mc 6,30-34). La notte è perciò l’unico tempo di preghiera che Lui riesce a ricavarsi senza interruzioni.I momenti più importanti e più determinanti dell’attività apostolica di Gesù sono scanditi dalla preghiera. Il Vangelo di Luca sottolinea la preghiera di Gesù nel battesimo e nella trasfigurazione, due grandi momenti teofanici che Cristo vive immerso nella preghiera e astratto dal mondo (cfr. Lc 3,21 e 9,28-29). Certe esperienze forti, insomma – quei momenti di incontro con Dio che sono orientati alla nostra crescita -, non possono essere vissute dal cristiano con l’animo distratto o svagato, o assente. Cristo stesso si è concentrato e ha messo in fuga distrazioni e superficialità nel giorno del suo battesimo e della sua trasfigurazione, quando il Padre lo ha accreditato dinanzi agli uomini come testimone verace.
Un altro momento cardine del ministero pubblico di Cristo è la scelta dei Dodici. Anche in questa circostanza Egli ha voluto sprofondarsi nella preghiera prima di prendere una decisione così importante e determinante per la vita della Chiesa: “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a Sé i suoi discepoli e ne scelse dodici” (Lc 6,12-13). Non c’è dubbio che il cristiano debba sentirsi interpellato dinanzi a questo quadro: le svolte della vita, le grandi decisioni e le scelte definitive non possono essere prese nel rumore e nel trambusto della vita quotidiana, né possono prescindere da una consultazione del Signore nel silenzio e nella preghiera prolungata.
Come già dicevamo, nella preghiera personale di Gesù troviamo sia la preghiera di lode che quella di intercessione. La sua preghiera di lode è riportata in Lc 10,21: “In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: Io ti rendo lode Padre… che hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”. La preghiera di lode di Gesù non è di origine cerebrale, intellettuale, ma non è neppure frutto di un moto sentimentale: si tratta di una esultanza nello Spirito Santo. Può giungere alla preghiera di lode solo chi giunge a provare la gioia dello Spirito, ossia a percepire intimamente che ciò che Dio comanda e vuole è qualcosa di meraviglioso che riempie di stupore; chi pensa che il Vangelo contiene una serie di idee belle e buone non è ancora arrivato a scoprire questa esultanza; essa non si prova dinanzi alle cose belle e buone, ma solo dinanzi alle cose divine. Chi arriva a sentire dentro di sé che il Vangelo è divino, che il modo di essere uomo personificato da Cristo è divino, che la Parola che risuona nella Chiesa non è solo “moralmente buona” ma è divina, allora costui può giungere alla preghiera di lode, che esprime l’esultanza dell’animo riempito di stupore dinanzi alla bellezza divina del Cristo.
La preghiera di intercessione di Gesù è riportata da Lc 22,31: “Simone, Simone, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede”. Poco prima di essere arrestato, Gesù prepara l’Apostolo Pietro non solo avvertendolo della bufera che sta per scatenarsi, ma soprattutto pregando per lui così che la sua fede non venga annullata dalla persecuzione. Sarà infatti Pietro il punto di riferimento della comunità postpasquale e il kerygma cristiano comincerà proprio con lui nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2).  L’altra grande preghiera di intercessione è quella riportata da Gv 17, dove Gesù, prima di essere arrestato, prega per la Chiesa che nascerà dalla predicazione apostolica e chiede al Padre di conservarla nell’unità della Trinità.
Tra il Getsemani e il GolgotaLa preghiera di Gesù raggiunge il vertice nel momento più delicato e drammatico della sua vita terrena: le ore oscure della Passione. Qui Gesù prega per ottenere dal Padre la forza di attraversare quel mare di odio che stava per riversarglisi addosso. Il messaggio è abbastanza chiaro anche per il cristiano: se è importante la preghiera nelle svolte e nelle grandi decisioni della vita, lo è soprattutto nella svolta più grande che è rappresentata dall’esperienza del dolore e dalla prossimità della morte. Cristo prega non solo in prossimità della morte, ma anche nelle ore lunghe dell’agonia, prima di perdere conoscenza.
Nel Getsemani, Gesù vuole la compagnia di tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. A loro chiede un particolare tipo di preghiera, che consiste semplicemente nel rimanere accanto a Lui: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con Me” (Mt 26,38). Cristo non chiede loro particolari formule da recitare, non chiede la proclamazione di qualche Salmo, ma semplicemente di restare con Lui. Restare e vegliare, ossia offrirgli una presenza non distratta ma attenta, concentrata sulla sua divina Persona. E’ in sostanza la preghiera di semplice sguardo che si fa davanti all’Eucaristia; una preghiera senza parole, ma carica di attenzione, dove la tensione del cuore è tutta nello sguardo. La preghiera di Gesù nel Getsemani è una preghiera essenziale, fatta di poche parole: “Se è possibile passi da Me questo calice! Però non come voglio Io, ma come vuoi Tu” (Mt 26,39). Queste stesse parole Gesù le ripete più volte (cfr. Mt 26,44); è quindi possibile che, in momenti particolarmente intensi, la preghiera del cristiano si componga anche di poche e brevi frasi, ripetute più volte. Come vedremo, Gesù mette esplicitamente in guardia i suoi discepoli dalla pratica di una preghiera parolaia, che non giunge di fatto al cuore di Dio. Serve solo a ingolfare la vita interiore del discepolo con le molte parole e i ragionamenti non necessari.
Gesù prega soprattutto mentre sulla croce sente che la vita a poco a poco gli sfugge. La sua preghiera è una preghiera di richiesta di perdono per tutti coloro che lo hanno colpito: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).  Ma è anche una preghiera di infinita fiducia in Colui che lo ha abbandonato (cfr. Mc 15,34) nelle mani dei nemici: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Anche qui c’è un intero programma per il cristiano, che non può giungere impreparato alla morte, né farne l’esperienza senza immedesimarsi profondamente nel mistero della croce. E ciò non può avvenire se non nella preghiera.
 
7.2 La preghiera insegnata da Gesù
Oltre alla preghiera personalmente fatta da Gesù nei giorni della sua vita terrena, c’è anche un insegnamento esplicito, sollecitato dai suoi discepoli: “Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: insegnaci a pregare” (Lc 11,1). L’insegnamento di Gesù sulla preghiera è riportato in diversi brani. Cominciamo col Vangelo di Matteo 6,5-15 e 7,7-11.
Il contesto prossimo ci conduce direttamente alla preghiera del cuore: è infatti tolta di mezzo ogni forma di preghiera che si esaurisca nel pronunciamento meccanico di determinate formule: “Quando preghi, entra nella tua camera…” (6,5). La propria “camera” è indubbiamente un’immagine finalizzata a un insegnamento, visto che la preghiera comunitaria e liturgica è sempre stata, fin dalla prima generazione cristiana, un elemento portante della vita della Chiesa. In sostanza, non si tratta di un invito di carattere privato e intimistico, quanto piuttosto di una qualità dell’incontro con Dio. La “camera” indica il dialogo del cristiano con il Padre, incontrato nella profondità della propria coscienza. La stessa preghiera comunitaria e liturgica si svuota completamente, e diventa pura esteriorità, quando i membri dell’assemblea, ciascuno per la propria parte, non hanno incontrato il Padre nelle profondità del proprio animo. Ancora peggio è quando la preghiera è fatta visibilmente, per dare un “tocco di classe” alla propria rispettabilità sociale (cfr. 6,5). Al giorno d’oggi, perfino i maghi ricorrono a questo stratagemma, circondandosi di crocifissi e di immagini sacre, per far credere alla gente che i loro “poteri” vengono da Dio. Perciò il discepolo non deve mai lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze, perché Satana si traveste solitamente da angelo di luce (cfr. 2 Cor 11,14).L’insegnamento centrale sulla preghiera è però rappresentato dal Padre Nostro, che non si presenta come una “formula” di preghiera, bensì come un archetipo su cui modellare la preghiera cristiana. Il medesimo insegnamento è riportato nel Vangelo di Luca, dove la parabola dell’amico importuno è introdotta dalla preghiera del Padre Nostro, che Luca riporta in una maniera più breve di quella di Matteo (cfr Lc 11,1-4).  La diversità delle due redazioni di questa preghiera, dimostra che non si tratta di una “formula” ma, come abbiamo detto, di un modello di preghiera. Se si fosse trattato di una formula, sarebbe stata registrata parola per parola, tanto più che questa è l’unica preghiera insegnata direttamente dal Signore.
            Da questo modello risulta:
1.      La nostra preghiera è rivolta più alla Paternità di Dio che alla sua onnipotenza: “Quando pregate, dite: Padre…” (6,9).
2.      Non è giusto pregare per le proprie necessità umane, senza cercare prima la gloria di Dio: cfr vv. 9-103.      Non è autentica la preghiera di chi non è uomo di pace (cfr. v. 12) L’insegnamento di Gesù addita ai discepoli anche una preghiera ininterrotta. Uno dei discepoli, avendo notato che Gesù si ritirava spesso in solitudine a pregare, gli disse: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). La preghiera è uno dei temi che l’evangelista Luca più ama sottolineare. Soprattutto è messa in evidenza la preghiera di Gesù nelle scelte più difficili (cfr Lc 6,12) o nei momenti più cruciali del suo ministero (cfr Lc 3,21 e 9,28). Queste due parabole si riferiscono alla preghiera dei cristiani, i quali a maggior ragione devono affidarsi a Dio nella preghiera, se Cristo non ha pensato di poterne fare a meno. Il Gesù storico si presenta allora anche come Maestro di preghiera. Queste due parabole non esauriscono l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, ma ne sono soltanto una introduzione.
Occorre pregare senza stancarsiPrima di narrare la parabola del giudice iniquo, Luca ci fa sapere perché Cristo l’ha inserita nel proprio insegnamento: “Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi” (Lc 18,1).
La preghiera cristiana, secondo questo insegnamento, ha insomma bisogno di due principali caratteristiche: essere ininterrotta; non essere soggetta alla stanchezza.  Ma quale stanchezza?Cominciamo col secondo elemento: “pregare senza stancarsi”. Di che stanchezza si tratta? Certo, la preghiera esige concentrazione, lotta contro le distrazioni, in certo qual modo un affaticamento mentale. E’ questa la stanchezza di cui parla Gesù? Non ci sembra proprio. Non è in questione la stanchezza fisica o quella psicologica. Infatti, quando uno è stanco fisicamente o mentalmente, il suggerimento di Cristo è prima di tutto il riposo: cfr. Mc 6,31 e Mt 9,36.
Inoltre, se è una stanchezza di cui si può dire “non stancarti”, allora è di diversa natura da quella fisico-psichica. L’unica stanchezza di cui si può dire “non ti stancare” è infatti quella stanchezza che risulta dall’affievolimento della fede. La stanchezza che non dobbiamo avere è quella del dubbio, del cedimento interiore della certezza dell’aiuto di Dio. In tal modo la preghiera sarebbe indebolita in partenza e sterilizzata alla radice. Ecco perché se la preghiera vuole essere efficace non può e non deve essere soggetta alla “stanchezza” della fede.
E’ possibile pregare ininterrottamente?Più difficile a capirsi (oltre che a farsi) ci sembra quest’altra esigenza della preghiera cristiana. Pregare ininterrottamente! Ma come si fa con tutti gli impegni che ci sommergono appena ci alziamo dal letto?
Per capire cosa sia la “preghiera continua” occorre ampliare la prospettiva sull’intera rivelazione biblica, dal momento che la preghiera ininterrotta è richiesta anche ai Patriarchi, e precisamente ad Abramo. Ci riferiamo al brano di Gen 17,1, dove incontriamo il primo insegnamento biblico sulla preghiera ininterrotta: “Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a Me e sii integro”. Da qui comprendiamo una cosa essenziale: la preghiera non consiste nel parlare con Dio, ma nel vivere ogni istante della vita quotidiana alla sua Presenza. Questo insegnamento ritorna chiaramente nel racconto della Passione; nell’orto degli Ulivi, Gesù dice ai suoi discepoli: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate” (Mc 14,34). Gesù non chiede che i discepoli si mettano lì a conversare con Lui, ma chiede solo la loro presenza. Pregare significa infatti essere presenti a Colui che è Presente. In definitiva, pregare è amare. E non si ama con le parole. Nell’amore le parole esprimono “una disposizione di dono” della persona; ma talvolta può esserci la “disposizione di dono” senza le parole. Come nella vita di coppia, non sempre si parla, ma ciò che conta è la disposizione personale del reciproco dono.
Chi giunge a vivere la propria giornata “alla presenza di Dio”, si può dire che ha attuato l’insegnamento evangelico della preghiera continua, ripreso anche dall’Apostolo Paolo: cfr. Ef 6,18 e 1 Ts 5,17, ma anche nell’intendere il vivere cristiano, cioè la quotidianità, e non solo la preghiera liturgica, come un culto spirituale reso a Dio (cfr. Rm 12,1-2).
              “Quale padre darà una pietra al figlio che gli chiede un pane?” (cfr Lc 11,9-13)
Prima di parlare della preghiera, Cristo tiene a precisare chi è Colui a cui la nostra preghiera si rivolge. Al discepolo che gli chiede “insegnaci a pregare”, Gesù risponde: “Quando pregate, dite: Padre…” (11,2). Il tema della paternità di Dio è poi ripreso dopo la parabola dell’amico importuno: un uomo può anche soccorrere un amico solo per la sua insistenza, ma un padre non ha bisogno dell’insistenza dei figli, per beneficarli, perché li ama. Anche un uomo malvagio può fare del bene solo per essere lasciato in pace (Lc 18,4-5), ma al proprio figlio non darà un sasso se gli chiede del pane (11,13). Nella stessa maniera il Padre celeste dà il necessario all’uomo, ma soprattutto gli dà il regalo che in senso assoluto è necessario: lo Spirito Santo (v. 13). Ma è proprio su questo terreno che si gioca l’autenticità della preghiera cristiana. Cfr. anche 1 Re 3,5-15.
Un altro elemento di estrema importanza nell’insegnamento di Gesù è la fede che deve accompagnare la preghiera. La mancanza di fede o il tarlo del dubbio rischiano di vanificare l’efficacia della preghiera cristiana: “Se avrete fede e non dubiterete… direte a questo monte levati di lì e gettati nel mare, e ciò avverrà. Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” (Mt 21,21-22). E il passo parallelo di Marco: “Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (Mc 11,22.24). In altre parole, la mancanza di fede, che poi altro non è se non sfiducia in Dio, o mancanza di aspettative, come se Dio non fosse abbastanza buono o abbastanza potente da soccorrerci nelle nostre necessità, la mancanza di fede, insomma
, sterilizza la preghiera che così rischia di ridursi a una vuota recitazione di formule.

Publié dans:preghiera (sulla) |on 9 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Omelia (10-04-2011): Gesù è Risurrezione e vita

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22103.html

Omelia (10-04-2011)

don Roberto Rossi

Gesù è Risurrezione e vita

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è una delle « storie di segni » che racconta san Giovanni. Si tratta qui di presentare Gesù, vincitore della morte. Il racconto culmina nella frase di Gesù su se stesso: « Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me non morrà in eterno ». Che Dio abbia il potere di vincere la morte, è già la convinzione dei racconti tardivi dell’Antico Testamento. La visione che ha Ezechiele della risurrezione delle ossa secche – immagine del ristabilimento di Israele dopo la catastrofe dell’esilio babilonese – presuppone questa fede. Nella sua « Apocalisse », Isaia si aspetta che Dio sopprima la morte per sempre, che asciughi le lacrime su tutti i volti. E, per concludere, il libro di Daniele prevede che i morti si risveglino – alcuni per la vita eterna, altri per l’orrore eterno. Ma il nostro Vangelo va oltre questa speranza futura, perché vede già date in Gesù « la risurrezione e la vita » che sono così attuali. Colui che crede in Gesù ha già una parte di questi doni della fine dei tempi. Egli possiede una « vita senza fine » che la morte fisica non può distruggere. In Gesù, rivelazione di Dio, la salvezza è presente, e colui che è associato a lui non può più essere consegnato alle potenze della morte.
«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Non è esagerato affermare che in queste parole di Gesù è contenuto il più grande annunzio della storia. Egli, non solo preannuncia la sua gloriosa risurrezione, ma si autodefinisce risurrezione e vita. Significa che nella sua divinità e nella sua umanità è insito un germe di immortalità e una fonte inesauribile di vita. Significa ancora che la sua stessa forza egli la vuole trasfondere nell’uomo come dono, vuole essere il garante della vita e la certezza della risurrezione per tutti noi. È l’annuncio di una vittoria totale ed insperata, una vera e propria rigenerazione dell’uomo, una vita nuova; è il superamento della paura della morte e del chiuso di una tomba e l’apertura piena del cielo e l’indicazione chiara della nostra meta finale. In una preghiera liturgica noi ringraziamo Dio perché ci dona molto di più di quanto osiamo sperare: come è vero ciò quanto riflettiamo sul dono dalla risurrezione e della vita! Il Signore pone una condizione indispensabile perché ognuno possa godere di questi suoi doni: dobbiamo vivere e credere in Lui. Ci vengono richieste le virtù della fede e dell’amore. È l’impegno a vivere in intimità di comunione con Cristo per passare dalla vita alla Vita. Il miracolo della risurrezione di Lazzaro nel contesto, lo leggiamo come un segno ed un aiuto per trovare ulteriore conferma nella fede. Sappiamo già ormai che Cristo è padrone e signore della vita, sappiamo che egli ha in se la forza di far tornare a vivere il suo amico, nel sepolcro da tre giorni e già preda di una incipiente corruzione del suo corpo. Non ci sorprende più che la sua voce, le sue parole abbiano il potere di far tornare in vita: già pregustiamo la gioia ben più profonda di una risurrezione universale e finale che risuonerà il mattino di Pasqua. Questa è la nostra fede, questo è il dono immenso che Dio ci ha fatto, questa è la sorte che ci attende, la vita eterna. Questo vangelo ci offre i motivi fondamentali come anticipazione della gioia pasquale. Nel racconto evangelico vi è un’atmosfera di dolore (nelle due sorelle, Marta e Maria di Betania) e di paura (nei discepoli, soprattutto in Tommaso). I due sentimenti non sono estra­nei a Gesù: anche Lui prova dolore e tristezza; ma fa vedere nella morte un significato di redenzione e di risurrezione; e chiama la morte «sonno»: «Il nostro amico Lazzaro si è ad­dormentato, ma vado a svegliarlo». «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». La malattia di Lazzaro non solo rivela Dio Padre, ma rivela anche la gloria divina del Figlio, cioè la sua vittoria sulla morte. «Gesù quando vide Maria piangere si commosse profonda­mente». San Giovanni è tutto rivolto a guardare il volto di Cristo per leggervi l’alterazione così umana dei suoi linea­menti: Gesù si turba; Gesù freme; Gesù piange; Gesù alza gli oc­chi; Gesù grida; Gesù si lascia contagiare dal dolore. Gesù pian­se: in certe ore le lacrime sono l’unica maniera che ci resta di amare e di pregare. A Betania, Gesù ha dato un valore di­vino alle lacrime dell’amicizia: «Vedete come l’amava». Gesù era così: fraterno e fedele; sensibile e delicato; assaporava le gioie dell’amicizia; rischiò la vita per testimoniare la sua fe­deltà agli amici di Betania. Dal suo volto traspariva la luce di Dio-Amore. Lazzaro, amato da Gesù, è malato, muore, è sepolto: tutto è segno della morte totale in cui ci immerge il peccato. II Battesimo (e il suo prolungamento che è la Confessione o Sacramento della Ri­conciliazione) è la potenza di Gesù, che è Risurrezione e Vita. Lazzaro esce dal sepolcro svincolato «dalle fasce e dai lega­mi della morte» (Sal 115,3) più vivo di prima: così appariva il neo-battezzato quando risaliva dalla vasca battesimale; e co­sì appare ogni cristiano quando ha ricevuto la grazia sa­cramentale. Cristo può far risorgere i morti alla Grazia.

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