Archive pour le 30 avril, 2011

Joh-20,19_Vision_Doubt_Apparition_Doute

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Publié dans:immagini sacre |on 30 avril, 2011 |Pas de commentaires »

OMELIA: SPERIMENTARE, AMARE, CREDERE L’INVISIBILE VEDERE… CHE COSA IMPORTANTE!

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22329.html

Omelia (01-05-2011)

COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di padre Alvise Bellinato

SPERIMENTARE, AMARE, CREDERE L’INVISIBILE VEDERE… CHE COSA IMPORTANTE!

« Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Lo dimostra il loro amore per i sensi, amati per se stessi, indipendentemente dall’utilità. E tra tutti preferiscono la vista, non solo in riferimento all’azione, ma anche senza intenzione pratica. Il motivo è che, mostrando la molteplicità delle differenze, la vista fa acquisire più degli altri sensi le conoscenze ».
Inizia con queste parole il libro più famoso di Aristotele, La metafisica, una pietra miliare nella storia del pensiero umano.
È difficile dargli torto… Immaginiamo che, per assurdo, un giorno ci venisse ordinato di dover rinunciare obbligatoriamente a uno dei cinque sensi. A quale di essi rinunceremmo meno a malincuore?
Credo che nessuno di noi rinuncerebbe alla vista. Tutti siamo ben convinti che la vista, come dice Aristotele, è il senso che fa acquisire più di tutti gli altri le conoscenze.
Prova di ciò ne sia il fatto che la parola « idea » deriva dal greco « vedere ».
Noi possiamo avere delle idee, cioè conoscere, proprio perché vediamo.
Nella nostra cultura occidentale vedere è molto importante, più importante dell’udire, ad esempio (nella Bibbia invece le cose stanno in modo un po’ diverso).
Soprattutto oggi, nella civiltà digitale, dell’immagine, della comunicazione visiva, del look…vedere è molto importante!
Il grosso problema è… che Dio non si vede…

GESÙ C’È… MA NON SI VEDE
La seconda Domenica di Pasqua è caratterizzata da una certa insistenza sull’interessante tema del vedere.
« Il Signore (invisibile) ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati » (prima lettura).
« Voi amate Gesù Cristo, pur senza averlo visto, e ora, senza vederlo, credete in lui » (seconda lettura).
« Perché mi hai veduto, tu hai creduto, Tommaso; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! » (Vangelo).
Le tre letture delineano un itinerario spirituale basato sull’invisibile. Propongono una visione non più umana, ma soprannaturale. É una nuova vedere, basato su un sesto senso (in noi poco sviluppato…): la fede.
1. Cristo risorto, anche se invisibile, agisce potentemente nella Chiesa.
2. Cristo risorto, anche se invisibile, può essere amato con tutte le forze.
3. Cristo risorto, anche se invisibile può essere oggetto di fiducia completa.

In sintesi, potremmo individuare tre orientamenti nelle letture odierne:
Sperimentare potentemente l’azione dell’Invisibile.
Amare con tutto il cuore l’Invisibile.
Confidare con tutte le forze nell’Invisibile.
Sono queste le tre coordinate che ci vengono proposte dalla Parola di Dio nell’Ottava di Pasqua, celebrando la vittoria gloriosa e potente di Cristo sulla morte e sul peccato.

SPERIMENTARE L’INVISIBILE
Gli Atti degli Apostoli ci descrivono con chiarezza la situazione della Chiesa primitiva: la presenza di Cristo era talmente forte che « prodigi e segni avvenivano per mezzo degli apostoli » nella comunità. Pur non essendo visibile con gli occhi, Gesù Risorto è presente con la sua potenza divina, a tal punto che « un senso di timore era presente in tutti ».
Non si vede Cristo, ma si vedono gli effetti concreti della sua potenza, attraverso le guarigioni e la potenza nell’esercizio dei carismi.
La presenza viva di Cristo, vivo e risorto, è sperimentata in modo così forte e personale, che i primi cristiani arrivano al punto di avere « ogni cosa in comune », di vendere proprietà e sostanze per dividerle con tutti.
Anche questo è un effetto concreto della potenza di Gesù: nasce la Chiesa, fondata sulla condivisione, la solidarietà, l’amore.
Si realizza qui quanto Gesù aveva promesso: « Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro » (Mt 18, 20).
La Chiesa vive oggi un momento particolare, in cui sente un grande bisogno di sperimentare la presenza viva del Risorto. Sono molti i cristiani che dicono di non sperimentare la presenza di Gesù in modo sentito nella loro vita.
Affinché la fede dei credenti non sia soltanto un elemento razionale, ma esperienziale, non solo una verità conosciuta, ma vissuta, non solo un’obbedienza dottrinale, ma un incontro personale, è necessario ascoltare ciò che gli Atti degli Apostoli ci dicono con chiarezza, oggi, sulla potenza dell’Invisibile.
La Parola di Dio ci dice che non possiamo fare una vera esperienza di Cristo da soli: abbiamo bisogno dei fratelli, di stare insieme.
L’esercizio più coraggioso dei carismi, sotto l’autorità della Chiesa (« prodigi e segni avvenivano per mezzo degli apostoli »), la vita in comune (« tutti i credenti stavano insieme »), la condivisione fraterna (« avevano ogni cosa in comune »), la solidarietà concreta verso i poveri (« dividevano le sostanze con tutti, secondo il bisogno di ciascuno »), sono tutti elementi che consentono ai cristiani di ritrovare l’ardore delle origini e fare esperienza di Cristo risorto, invisibile, ma potentemente al lavoro in mezzo al suo popolo.
La Chiesa, fino alla fine de tempi, avrà sempre bisogno della presenza di questi segnali profetici: segnali dell’Invisibile, che favoriscono nei fratelli l’esperienza di incontro personale.

AMARE L’INVISIBILE
S. Pietro, nella seconda lettura, ci ricorda che l’amore di Cristo, invisibile ma presente, è la forza segreta della Chiesa.
Solo l’amore consente di sopportare sofferenze e prove e di essere perseveranti fino alla fine.
La risurrezione di Cristo ha segnato l’inizio della nostra rigenerazione. Abbiamo ricevuto già la caparra della salvezza, ma l’eredità completa, la pienezza, « è conservata nei cieli per noi ».
Aspettando il giorno in cui il velo della fede si squarcerà e potremo vedere Cristo faccia a faccia, dobbiamo essere « per un po’ di tempo afflitti da varie prove », ma non dobbiamo scoraggiarci.
L’amore verso Cristo ci consente di resistere: quando Gesù Cristo si manifesterà (e potremo finalmente vederlo) non si dimenticherà della nostra perseveranza nella prova e ci ricompenserà.
La assenza di visione non significa tristezza, ma speranza.
Due volte viene ripetuto il concetto che, pur nelle prove e nella assenza della visione, « siamo ricolmi di gioia » e « esultiamo di gioia indicibile ».
Uno dei problemi più gravi della società attuale è la mancanza di gioia.
Si cerca di fare esperienza di tutto, di provare tutto, di fare tutte le esperienze. Ma la gioia sembra sempre un passo più avanti: sfugge ed è irraggiungibile. Nella ricerca della gioia palpabile e materiale, l’uomo si svuota spiritualmente.
L’amore è il segreto della gioia vera: quanto più saremo disposti ad amare Cristo (cioè ad osservare la sua Parola), tanto maggiore sarà la gioia.
Anche qui va sottolineata l’importanza profetica dei testimoni della gioia, cioè di tutti coloro che hanno saputo rendere testimonianza credibile all’Invisibile, attraverso una vita radicale di amore e dedizione a Cristo.

CREDERE L’INVISIBILE
« Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa » (Gv 14,26).
È molto bella l’immagine di Cristo che soffia sugli Apostoli lo Spirito Santo.
Giovedì scorso, nella Messa crismale, lo stesso gesto è stato compiuto dal Papa e dai Vescovi sull’olio profumato, affinché si trasformasse in Crisma di salvezza. Soffiare per comunicare lo Spirito: un gesto efficace.
E lo Spirito è chiamato con questo titolo strano: « Consolatore ».
Ma Consolatore di cosa?
Consolatore degli uomini che non possono vedere l’Amato, ma devono camminare nel chiaroscuro della fede. Lo Spirito ci consola nella nostra impossibilità di vedere Cristo, come l’hanno visto gli Apostoli.
Non potremmo resistere a lungo nell’aridità della pura fede. Non ce la faremmo a perseverare fino alla fine, mantenendo accesa la candela ricevuta al fonte. Abbiamo bisogno dello Spirito consolatore, soffio di Cristo che ravviva nei cuori dei cristiani la fede battesimale.
Il Vangelo di oggi ci dice che è possibile credere senza vedere. Ci dice qualcosa di ancora più forte: c’è una beatitudine nella fede senza visione.
La nostra fede è basata sulla parola e sugli atti compiuti da Gesù Cristo.
« Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome ».
Il Vangelo, che contiene le parole e gli atti di Gesù Cristo, è stato scritto perché crediamo e perché, credendo, abbiamo la vita.
C’è bisogno di un ritorno quotidiano e personale al Vangelo, che deve essere letto, meditato, assimilato.
« Il nostro Vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo » (1 Tess 1, 5).
L’invito forte del Risorto, oggi, a ciascuno di noi, è ad aprire il cuore e la mente alla sua Parola, perché la nostra fede in lui sia rinvigorita e possiamo, come Tommaso, esclamare con tutto il cuore, gridare « Mio Signore e mio Dio! ».
Preghiamo insieme perché la Chiesa possa vivere una nuova Pentecoste, segnata dall’esperienza personale di incontro con il Risorto, perché l’amore spinga i cristiani all’eroismo della sequela, perché la fede aumenti nel cuore dei credenti.

Il testo dell’Exultet

dal sito:

http://www.aquino.it/pasqua/exultet.htm

Il testo dell’Exultet

Il testo dell’Exultet che si legge ancora oggi nel corso della veglia pasquale discende da una redazione duecentesca fissata da papa Innocenzo III. A sua volta, questo si fonda su una tradizione più antica, rimasta pressoché invariata nel corso dei secoli. Soltanto nell’Italia meridionale l’Exultet ha conosciuto agli albori del suo utilizzo una diversa redazione, denominata « testo di Bari » o della Vetus Itala. Essa conteneva una formula variata nella prefazio che è stata successivamente normalizzata nel corso del XII secolo sulla base dell’ ordo romano . Soltanto nella parte finale il testo seguiva varianti di volta in volta diverse: esso si concludeva infatti con le commemorazioni liturgiche, cioè formule di intercessione per il clero, i fedeli, i papi, i sovrani e le autorità locali. Poiché nel corso degli anni si potevano avere serie diverse di reggenti, spettava al diacono ricordare o leggere il nome della autorità del momento, che di solito veniva appuntata sul rotolo mediante note mnemoniche. Queste ultime offrono oggi preziosi indizi per la datazione e la provenienza dei rotoli.

Esulti il coro egli angeli, esulti l’assemblea celeste:
un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto.

Gioisca la terra inondata da così grande splendore;
la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo.

Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore,
e questo tempio tutto risuoni
per le acclamazioni del popolo in festa.

[(E voi, fratelli carissimi,
qui radunati nella solare chiarezza di questa nuova luce,
invocate con me la misericordia di Dio onnipotente.
Egli che mi ha chiamato, senza alcun merito,
nel numero dei suoi ministri, irradi il suo mirabile fulgore,
perché sia piena e perfetta la lode di questo cero.)]

[Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.]

In alto i nostri cuori.
Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
E’ cosa buona e giusta.

E’ veramente cosa buona e giusta
esprimere con il canto l’esultanza dello spirito,
e inneggiare al Dio invisibile, Padre onnipotente,
e al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore.

Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo,
e con il sangue sparso per la nostra salvezza
ha cancellato la condanna della colpa antica.

Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello,
che con il suo sangue consacra le case dei fedeli.

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri,
dalla schiavitù dell’Egitto,
e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso.

Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato
con lo splendore della colonna di fuoco.

Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo
dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo,
li consacra all’amore del Padre
e li unisce nella comunione dei santi.

Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte,
risorge vincitore dal sepolcro.

(Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti.)

O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà:
per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!

Davvero era necessario il peccato di Adamo,
che è stato distrutto con la morte del Cristo.
Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!

(O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere
il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi.

Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno,
e sarà fonte di luce per la mia delizia.)

Il santo mistero di questa notte sconfigge il male,
lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori,
la gioia agli afflitti.

(Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti,
promuove la concordia e la pace.)

O notte veramente gloriosa,
che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!

In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode,
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri,
nella solenne liturgia del cero,
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.

(Riconosciamo nella colonna dell’Esodo
gli antichi presagi di questo lume pasquale
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio.
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore,
ma si accresce nel consumarsi della cera
che l’ape madre ha prodotto
per alimentare questa preziosa lampada.)

Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero,
offerto in onore del tuo nome
per illuminare l’oscurità di questa notte,
risplenda di luce che mai si spegne.

Salga a te come profumo soave,
si confonda con le stelle del cielo.
Lo trovi acceso la stella del mattino,
questa stella che non conosce tramonto:
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena
e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen
 

Latino
Exultet iam angelica turba caelorum! Exultent divina mysteria, et pro tanti regis victoria tuba intonet salutaris. Gaudeat se tantis Tellus inradiata fulgoribus, et aeterni regis splendore lustrata, totius orbis se sentiat amisisse caliginem. Laetetur et Mater Ecclesia, tanti luminis adornata fulgore, et magnis populorum vocibus haec aula resultet. Quapropter adstantibus vobis, fratres carissimi, ad tam miram sancti huius luminis claritatem, una mecum, quaeso, Dei omnipotentis misericordiam invocate. Ut qui me, non meis meritis, intra levitarum numerum dignatus est adgregare, luminis sui gratia infundente, cerei huius laudem implere praecipitat. Per (..) Vere qui dignum et iustum est invisibilem Deum omnipotentem Patrem, Filiumque unigenitum Dominum nostrum Iesum Christum, toto cordis ac mentis adfectu at voci ministerio personare, qui pro nobis aeterno Patri Adae debitum solvit et veteris piaculi cautionem pio cruore detersit. Haec sunt enim festa paschalium, in quibus verus ille agnus occiditur eiusque sanguis postibus consecratur. Haec nox est in qua primum patres nostros, filios Israel, educens de Aegypto, Rubrum mare sicco vestigio transire fecisti. Haec igitur nox est, quae peccatorum tenebras columnae inluminatione purgavit. Haec nox est, quae hodie per universum mundum in Christo credentes, a vitiis saeculi segregatos et caligine peccatorum, reddit gratiae, sociat sanctitati. Haec nox est, in qua destructis vincolis mortis, Christus ab inferis victor ascendit. Nihil enim nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset. O mira circa nos tuae pietatis dignatio! O inaestimabilis dilectio caritatis: ut servum redimeres, filius tradidisti! O certe necessarium Adae peccatum, quod Christi morte deletum est! O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere redemptorem! O beata nox, quae sola meruit scire tempus et horam in qua Christus ab inferis resurrexit. Haec nox est, de qua scriptum est: Et nox ut dies inluminabitur, et: Nox inluminatio mea in deliciis meis. Huius igitur sanctificatio noctis fugat scelera, culpas lavat et reddit innocentiam lapsis, maestis laetitiam; fugat odia, concordiam parat et curvat imperia. In huius igitur noctis gratia, suscipe, sancte Pater, incensi huius sacrificium vespertinum, quod tibi in hac cerei oblatione solemni, per ministrorum manus, de operibus apum, sacrosancta reddit Ecclesia. Sed iam columnae huius praeconia novimus, quam in honore Dei rutilans ingnis accendit. Qui licet divisus in partes, mutuati luminis detrimenta non novit: alitur liquantibus ceris quas in substantiam pretiosae huius lampadis apis mater eduxit. Apis ceteris, quae subiecta sunt homini animantibus antecellit. Cum sit minima corporis parvitate, ingentes animos angusto versat in pectore, viribus imbecilla sed fortis ingenio. Haec explorata temporum vice, cum canitiem pruinosa hiberna posuerint, et glaciale senium verni temporis moderata deterserint, statim prodeundi ad laborem cura succedit; dispersaque per agros, libratis paululum pinnibus, cruribus suspensis insidunt, prati ore legere flosculos; oneratis victualibus suis, ad castra remeant, ibique aliae inaestimabili arte cellulas tenaci glutino instruunt, aliae liquantia mella stipant, aliae vertunt flores in ceram, aliae ore natos fingunt, aliae collectis et foliis nectar includunt. O vere beata et mirabilis apis, cuius nec sexum masculi violant, foetus non quessant, nec filii destruunt castitatem; sicut sancta concepit virgo Maria, virgo peperit et virgo permansit. O vere beata nox, que expoliavit Aegyptos, ditavit Hebraeos; nox in qua terrenis caelestia iunguntur. Oramus te, Domine, ut cereus iste, in honore nominis tui consecratus, ad noctis huius caliginem destruendam indeficiens persevert. In odorem suavitatis acceptus, supernis luminaribus miseatur. Flammas eius Lucifer matutinus inveniat, ille inquam Lucifer qui nescit occasum; ille qui regressus ab inferis, humano generi sereno inluxit. Precamur ergo te, Domine (…)

Italiano
Esulti ormai l’angelica schiera dei cieli!
Esultino i ministri divini, e per la vittoria di sì gran re risuoni la tromba salvifica.
Gioisca la Terra irradiata da tanti fulgori e, illuminata dallo splendore del re eterno, senta di essersi liberata dalla tenebra in tutta la sua estensione.
Si rallegri anche la madre Chiesa, adornata dallo splendore di tanta luce, e quest’aula echeggi delle alte voci dei fedeli.
Perciò, o fratelli carissimi, essendo voi presenti a sì meravigliosa luce di questa santa fiamma, invocate insieme con me, vi prego, la misericordia di Dio onnipotente; affinché colui il quale, non per meriti miei, si degnò di pormi tra il numero dei leviti, travasandosi la grazia della sua luce, mi insegni a compiere la lode di questo cero.
Per (il nostro signore Gesù Cristo..) Perché è cosa veramente degna e giusta con tutto lo slancio del cuore e della mente e con l’ausilio della voce proclamare la gloria di Dio invisibile Padre onnipotente e del Figlio unigenito nostro Signore Gesù Cristo, il quale in nostra vece pagò all’Eterno Padre il debito di Adamo e col sangue innocente cancellò l’obbligazione contratta con l’antico peccato.
Sono queste, infatti, le feste pasquali, in cui è sacrificato il vero agnello e il suo sangue è destinato alle porte.
È questa la notte in cui, conducendo fuori dall’Egitto i nostri padri, figli d’Israele, li facesti passare attraverso il Mar Rosso a piedi asciutti.
È questa dunque la notte che ha rimosso le tenebre del peccato con la luce della colonna di fuoco. È questa la notte che i credenti in Cristo, allontanati dai vizi del mondo e dalle tenebre del peccato, oggi in tutto il mondo restituisce alla grazia, riunisce alla santità.
E questa la notte in cui, spezzate le catene della morte, Cristo risorge vittorioso dagli inferi.
A nulla avrebbe giovato a noi l’esser nati, se non ci fosse toccato il bene della redenzione. O meravigliosa condiscendenza della tua misericordia verso di noi!
O inestimabile amore di carità! Per redimere il servo consegnasti il figlio! O peccato di Adamo, certo necessario, che è stato cancellato con la morte di Cristo! O colpa felice, alla quale fu concesso di avere tale e tanto redentore!
O notte beata, alla quale sola fu concesso di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo risuscitò dalla morte!
È questa la notte di cui fu scritto: e la notte sarà illuminata come giorno, e ancora: la notte sarà la mia luce nella felicità.
E dunque la santificazione di questa notte fuga i delitti, lava le colpe e ridà l’innocenza ai traviati, letizia agli afflitti; dissipa gli odi, procura la concordia, piega le potenze.
Accetta dunque, padre Santo, in questa notte di grazia, il sacrificio vespertino di questa fiamma che la santa Chiesa per mano dei suoi ministri a te porge in questa solenne offerta del cero, frutto di operosità delle api.
Ma ormai conosciamo gli annunci di questa colonna che a onore di Dio la vivida fiamma accende. Fiamma che, sebbene spartita, non conosce diminuzione della luce distribuita: si alimenta delle molli cere che madre ape ha prodotto per formare la materia di questa preziosa lampada.
L’ape è superiore a tutti gli altri esseri viventi che sono soggetti all’uomo.
Pur molto piccola di corpo, rivolge tuttavia nell’angusto petto alti propositi; debole di forze ma forte d’ingegno.
Essa, dopo aver esplorato l’alternare delle stagioni, allorché il gelido inverno depose la canizie e poi il clima moderato della primavera spazzò via il torpore glaciale, subito sente la preoccupazione di uscire al lavoro; e le api sparse per i campi, librando leggermente le ali, si posano appena con le agili zampe per cogliere con la bocca i piccoli fiori del prato, cariche del loro vitto rientrano negli alveari e qui alcune con arte inestimabile costruiscono cellette con tenace glutine, altre stipano il fluido miele, altre tramutano in cera i fiori, altre danno forma ai loro piccoli lambendoli con la bocca, altre incamerano il nettare delle foglie raccolte. O ape veramente beata e mirabile, di cui i maschi non violano il sesso, né lo turbano i feti, né i figli distruggono la castità; così come, nella sua santità, Maria concepì vergine, partorì vergine e vergine rimase.
O notte veramente beata, che spogliò gli Egizi e arricchì gli ebrei, notte in cui le cose celesti si congiungono con le terrene, Preghiamo te, o Signore, affinché questo cero consacrato in onore del tuo nome persista senza venire meno per dissipare le tenebre. Possa l’astro del mattino trovare la sua fiamma (ancora accesa), quell’astro di Lucifero, dico, che non conosce tramonto, quell’astro che, ritornando dagl’Inferi suole spargere sereno la sua luce sul genere umano. Preghiamo dunque te, o Signore, (…)

Publié dans:liturgia |on 30 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Il silenzio per cogliere il mistero di Dio e riconoscerLo nei fratelli. L’ascolto della Parola per metterla il pratica.

dal sito:

http://www.giovanipace.org/index.php?option=com_content&task=view&id=2710

Dal silenzio all’ascolto   

domenica 14 febbraio 2010

Il silenzio per cogliere il mistero di Dio e riconoscerLo nei fratelli. L’ascolto della Parola per metterla il pratica.

di Madre Anna Maria Cànopi, osb
 
Viviamo nell’era della comunicazione: oggi si ritiene che la persona si possa realizzare nella misura in cui comunica nel “villaggio globale” che è diventato il mondo. In parte è vero, tuttavia se si privilegia soltanto questo aspetto si rischia di perdere un’altra dimensione della creatura umana non meno importante, anzi quella che fonda la stessa comunicazione: il silenzio. La parola, infatti, per essere significante deve maturarsi ed alimentarsi alla fonte interiore dell’essere, deve sgorgare da un cuore le cui radici affondano nel mistero divino, altrimenti essa scade in un vuoto cicaleccio, si banalizza in verbosità e cerca di imporsi con toni assordanti e persino con volgarità e insolenza.
I seguaci di Gesù sono infatti chiamati a realizzare e a custodire i genuini valori dell’uomo, perciò dove e quando essi sono calpestati, devono avere il coraggio di andare controcorrente e non scegliere la via più facile e larga. Amare e coltivare il silenzio significa fare spazio dentro di sé prima di tutto a Dio e poi ai fratelli. Solo quando ci si è liberati dalla brama di autoaffermarsi e di porre se stessi al centro dell’interesse è possibile mettersi in silenzio. L’uomo orgoglioso – e chi non lo è, poco o tanto? – non sa tacere, perché non vuole anteporre nessuno a se stesso. Di conseguenza non sa ascoltare, anzi, parla sempre di sé e a se stesso.
Solo la via dell’umiltà, della dimenticanza di sé fa pervenire alla terra promessa del silenzio dove il cuore si sprofonda in adorazione del mistero di Dio e diviene capace di riconoscerlo presente nel volto dei fratelli, delle sorelle, dei poveri, dei sofferenti, di ogni uomo. Questo itinerario di liberazione dalla tirannia del proprio io, del resto, non è altro che il cammino stesso di conversione a cui siamo ogni giorno chiamati e con particolare impegno nel tempo di grazia quaresimale.
Il vero silenzio non è tanto frutto di nostri sforzi ascetici, quanto piuttosto l’irraggiarsi di una Presenza. È Dio che ci parla e ci fa entrare in dialogo con Lui, perciò ci fa sentire l’esigenza di tacere per poter ascoltare.
L’iniziativa del dialogo con la persona umana parte infatti da Dio stesso; il dono è quindi, da parte del primo interlocutore, veramente incomparabile. Parlando all’uomo Dio gli si rivela come Amore e gli si dona senza misura. Per questo alla vera conoscenza di Dio non si giunge solo con l’intelligenza – per via di ragionamenti e riflessioni – ma con il cuore, mediante l’intuizione dell’amore che da Lui stesso si riceve. Per accogliere la parola del Signore bisogna dunque aprire l’orecchio del cuore.
Come stupirsi, allora, del fatto che si possa essere innamorati della Parola? Il salmista ne canta con accenti appassionati le qualità eccellenti: essa è verace, fedele, stabile, irrevocabile, meravigliosa, è scudo di protezione, nutrimento, dolcezza, fonte di vita, di luce, di gioia, di consolazione, di pace, di felicità perenne; in breve, essa ha tutti gli attributi di Colui che la proferisce (cf. Sal 118).
Guai a chi chiude l’orecchio del cuore a “Colui che parla” personalmente e in piena autorità! (cf. Eb 12,25).
Per il credente ascoltare è aderire con amore a Colui che parla e diventare sua dimora.
Questo stile di ascolto e di risposta è il contrassegno dei cristiani.
Se ascoltare una persona significa accoglierla, ascoltare il Signore significa credere in Lui e aderire incondizionatamente alla sua volontà.
Si tratta di un ascolto insieme passivo e attivo, tenendo desto il senso della fede, porgendo a Colui che parla l’orecchio del cuore tutto pervaso di riverente amore e con risoluta deliberazione ad acconsentire prontamente per diventare luogo in cui ogni sua parola si fa atto vitale. Quando la Parola di Dio trova un cuore così disponibile opera davvero meraviglie; crea continuamente cose nuove che già appartengono al Regno dei cieli.
Mentre forse sulle vie e nelle piazze della città fa strepito il Carnevale – clamore di paganesimo! – coloro che desiderano vivere veramente da cristiani devono sentire l’urgenza di iniziare la quaresima abbracciando innanzitutto questa pratica ascetica: il silenzio per l’umile e intenso ascolto dell’unica Parola carica di verità e di vita, di amore e di gioia.

Madre Anna Maria Cànopi, osb
Abbazia benedettina « Mater Ecclesiae »
Isola San Giulio (Novara)
da NP febbraio 1996
 

Publié dans:meditazioni |on 30 avril, 2011 |Pas de commentaires »

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