Archive pour le 20 septembre, 2013

Caravaggio, San Matteo

Caravaggio, San Matteo dans immagini sacre The_Inspiration_of_Saint_Matthew_by_Caravaggio

http://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_apostolo_ed_evangelista

 

Publié dans:immagini sacre |on 20 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI: MATTEO – 21 SETTEMBRE SAN MATTEO APOSTOLO

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060830_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

AULA PAOLO VI

MERCOLEDÌ, 30 AGOSTO 2006

MATTEO – 21 SETTEMBRE SAN MATTEO APOSTOLO

Cari fratelli e sorelle,

proseguendo nella serie dei ritratti dei dodici Apostoli, che abbiamo cominciato alcune settimane fa, oggi ci soffermiamo su Matteo. Per la verità, delineare compiutamente la sua figura è quasi impossibile, perché le notizie che lo riguardano sono poche e frammentarie. Ciò che possiamo fare, però, è tratteggiare non tanto la sua biografia quanto piuttosto il profilo che ne trasmette il Vangelo.
Intanto, egli risulta sempre presente negli elenchi dei Dodici scelti da Gesù (cfr Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13). Il suo nome ebraico significa “dono di Dio”. Il primo Vangelo canonico, che va sotto il suo nome, ce lo presenta nell’elenco dei Dodici con una qualifica ben precisa: “il pubblicano” (Mt 10,3). In questo modo egli viene identificato con l’uomo seduto al banco delle imposte, che Gesù chiama alla propria sequela: “Andando via di là, Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9,9). Anche Marco (cfr 2,13-17) e Luca (cfr 5,27-30) raccontano la chiamata dell’uomo seduto al banco delle imposte, ma lo chiamano “Levi”. Per immaginare la scena descritta in Mt 9,9 è sufficiente ricordare la magnifica tela di Caravaggio, conservata qui a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Dai Vangeli emerge un ulteriore particolare biografico: nel passo che precede immediatamente il racconto della chiamata viene riferito un miracolo compiuto da Gesù a Cafarnao (cfr Mt 9,1-8; Mc 2,1-12) e si accenna alla prossimità del Mare di Galilea, cioè del Lago di Tiberiade (cfr Mc 2,13-14). Si può da ciò dedurre che Matteo esercitasse la funzione di esattore a Cafarnao, posta appunto “presso il mare” (Mt 4,13), dove Gesù era ospite fisso nella casa di Pietro.
Sulla base di queste semplici constatazioni che risultano dal Vangelo possiamo avanzare un paio di riflessioni. La prima è che Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18, 11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17).
Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, “il pubblicano … non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»”. E Gesù commenta: “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, san Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c’è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario.
Un’altra riflessione, che proviene dal racconto evangelico, è che alla chiamata di Gesù, Matteo risponde all’istante: “egli si alzò e lo seguì”. La stringatezza della frase mette chiaramente in evidenza la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un cespite di guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio. Facilmente intuibile l’applicazione al presente: anche oggi non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste. Una volta Egli ebbe a dire senza mezzi termini: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel regno dei cieli; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). E’ proprio ciò che fece Matteo: si alzò e lo seguì! In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù.
Ricordiamo, infine, che la tradizione della Chiesa antica è concorde nell’attribuire a Matteo la paternità del primo Vangelo. Ciò avviene già a partire da Papia, Vescovo di Gerapoli in Frigia attorno all’anno 130. Egli scrive: “Matteo raccolse le parole (del Signore) in lingua ebraica, e ciascuno le interpretò come poteva” (in Eusebio di Cesarea, Hist. eccl. III,39,16). Lo storico Eusebio aggiunge questa notizia: “Matteo, che dapprima aveva predicato tra gli ebrei, quando decise di andare anche presso altri popoli scrisse nella sua lingua materna il Vangelo da lui annunciato; così cercò di sostituire con lo scritto, presso coloro dai quali si separava, quello che essi perdevano con la sua partenza” (ibid., III, 24,6). Non abbiamo più il Vangelo scritto da Matteo in ebraico o in aramaico, ma nel Vangelo greco che abbiamo continuiamo a udire ancora, in qualche modo, la voce persuasiva del pubblicano Matteo che, diventato Apostolo, séguita ad annunciarci la salvatrice misericordia di Dio e ascoltiamo questo messaggio di san Matteo, meditiamolo sempre di nuovo per imparare anche noi ad alzarci e a seguire Gesù con decisione.

22 SETTEMBRE 2013 – 25A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C : LECTIO DIVINA SU: LC 16,1-13

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/25-Domenica-2913_C/25-Domenica-2013_C-JB.html

22 SETTEMBRE 2013  | 25A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C  |  PROPOSTA DI LECTIO DIVINA

LECTIO DIVINA SU: LC 16,1-13

Non concorda bene con l’immagine che ci facciamo di Gesù il fatto che un giorno osasse proporre ai suoi discepoli come esempio da seguire la condotta disonesta di un amministratore infedele: c’è poco da imparare da un uomo che ha sperperato i beni che gli erano stati affidati e che, prima di dar conto della sua gestione, ha sistemato il suo futuro personale a costo di impoverire il suo padrone. Il denaro del suo signore gli è servito per assicurarsi la benevolenza dei debitori del suo signore. Perdonare i debiti altrui è un buon modo di farseli amici. E’ comprensibile che una persona tanto ‘sveglia’ ci risulti simpatica; potremmo persino invidiare sotto sotto il suo modo di agire, però difficilmente oseremmo elogiarla in pubblico né, ancor meno, giungeremmo a presentarla come esempio da seguire. Cosa, allora, Gesù voleva esattamente insegnare ai suoi discepoli?

In quel tempo, 1disse Gesù ai suoi discepoli, »Un uomo ricco aveva un amministratore, ma fu accusato di aver sprecato i suoi beni. 2 Lo chiamò e gli disse: « Che cosa è che sento di te? Rendimi conto della tua gestione, perché sei licenziato ». L’amministratore 3 si mise a pensare dicendo fra se: « Che cosa devo fare ora che il mio padrone mi toglie il lavoro perché non ho le forze di lavorare e a mendicare mi vergogno? 4Faccio in modo che quando perdo l’amministrazione, trovo che mi accolga in casa ». 5 Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: ‘Quanto devi al mio padrone’? 6 Rispose: « Cento barili d’olio ». Egli disse: « Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi cinquanta ». 7 Poi disse a un altro, ‘E tu quanto devi’? Egli rispose: « Cento misure di grano ». Egli disse: « Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta ». 8E il padrone lodò il fattore infedele, per l’astuzia con cui aveva agito. Di certo, i figli di questo mondo sono più astuti nel trattare con la loro gente che i figli della luce.
9 E io vi dico: Fatevi degli amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nel poco sarà fedele anche nel molto, e chi è disonesto nel poco sarà disonesto anche nel molto. 11 Se non siete degni di fiducia nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12 Se non sei degno di fiducia con ciò che appartiene a un altro, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servo può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà al primo e ignorerà la seconda. Non potete servire Dio e il denaro ».

 1. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE IL TESTO FACENDO ATTENZIONE A COME LO DICE
L’insegnamento di Gesù, diretto esclusivamente ai suoi discepoli, non è motivato preventivamente. E’ composto da due parti: la parabola dell’amministratore ingiusto (Lc 16,1-8) e un commento che applica alla vita di chi lo ascoltava il messaggio della parabola (Lc 16,9-13).
La parabola, che loda espressamente l’astuzia di un gestore corrotto, il minimo che suscita è perplessità e stupore. Non c’è molto da elogiare in chi falsifica i bilanci con lo scopo di assicurarsi una buona vita. Ben compresa la storia, Gesù non considera buono un modo di fare senza dubbio disonesto, ma la prontezza e la sagacità con cui ha reagito l’amministratore dinanzi all’inevitabile disgrazia di vedersi presto licenziato. In realtà, l’amministratore non ha fatto altro che ciò che sempre faceva, dilapidare i beni del suo padrone. Però oltre a confermare il suo impudente comportamento, ha avuto prontezza di spirito e astuzia sufficienti per affrontare la disavventura che gli stava per sopraggiungere. Gesù non loda, allora, un comportamento svergognato e ingiusto, ma la rapida reazione e la inventiva soluzione che sa dare al suo problema. Gesù conclude, questo sì, con un certo pessimismo che deve darci da pensare: i figli di questo mondo sono più furbi dei figli della luce; sanno guadagnarsi amici e un avvenire con ciò che hanno in mano, anche se non appartiene loro.
Con alcune dichiarazioni, che non si combinano bene tra loro né rendono più comprensibile il messaggio della parabola, Gesù continua il suo insegnamento, allontanandosi poco a poco dal suo senso centrale. In contrapposizione con l’amministratore infedele, i suoi discepoli devono essere onorati, gestendo quel poco che hanno; non saranno affidabili né riceveranno doni più grandi, se non sono stati fedeli nelle piccole cose. E cosa ancor più sorprendente: per ricevere quello che ci è dovuto, che è nostro, bisogna essersi mostrati giusti con ciò che non ci apparteneva.
Gesù conclude la sua istruzione superando pienamente il tema del discorso. Non si tratta di amministrare bene o meno bene le risorse di altri, ma che tra i beni degli altri o miei, e Dio, c’è un’opposizione inconciliabile. Una cosa è la gestione dei beni altrui e un’altra, ben diversa, è lasciarsi gestire da Dio. Come un servo non può avere più di un signore, il discepolo non può servire altri che Dio. Anche se di passaggio, bisogna segnalare la capacità di ingannare, e incatenare l’uomo che ha il denaro, perché gli si oppone niente meno che Dio. I migliori beni sono il peggior nemico del Bene supremo.

 2. MEDITARE: APPLICARE ALLA VITA QUELLO CHE DICE IL TESTO!
La parabola di Gesù sorprende, solo se la si separa dalla sua intenzione di base: Gesù non loda i traffici dell’amministratore infedele, il suo inganno e lo sperpero. In realtà, disponendo per l’ultima volta di ciò che non è suo, egli non fa altro che confermare ciò che sempre aveva fatto e legittimare il castigo che riceve. L’astuzia del cattivo amministratore non è consistita nel riservare per sé beni altrui. E’ stato infedele fino alla fine, però previdente: ha fatto di tutto per procurarsi amici nel tempo della disgrazia. Però c’è qualcosa di esemplare nel suo comportamento, dal quale potremmo imparare noi cristiani: ad una comunità, troppo irretita nelle realtà terrene, è necessario ricordare le sue responsabilità. I cristiani dovranno dare conto di quanto è stato loro posto tra le mani e sarebbe meglio che imparassero a destreggiarsi con la stessa astuzia dell’amministratore infedele; non è proprio ciò che si ha, la vita è amministrazione di beni altrui; non si loda la sua ripetuta disonestà con i beni che non sono suoi, egli prevede la sistemazione del proprio futuro, proprio perché lo vede incerto e minaccioso. La prima cosa che Gesù ci vuole insegnare è che tutti gestiamo dei beni che non sono nostri, che non abbiamo prodotto noi e che non ci appartengono. L’uomo è amministratore, non signore, di quanto ha a disposizione. Deve, allora, considerare ciò che ha come prestato e sentirsi obbligato a rendere conto. Quando smettiamo di sentirci responsabili di quanto abbiamo, abbiamo iniziato a smettere di sentirci grati per quanto abbiamo ricevuto. Nella vita amministriamo beni di un Altro, che è, in realtà, il Bene che dà origine e mantiene bene ogni cosa.
Però una fedele amministrazione – e questo dovrebbe farci pensare molto – per essere lodati dal Signore, deve saper prevenire, con prontezza e immaginazione; deve saper rischiare il presente con ciò di cui si dispone per assicurarsi il futuro che non è nelle nostre mani. Astuzia e perspicacia vuole Gesù dai suoi: i figli della luce non devono dormire, solo perché amministrano bene i beni ricevuti dal loro Signore. Gesù non vuole infedeltà nei suoi – nella parabola, l’infedele, anche se lodato, è « condannato » -; esige, questo sì, discernimento e audacia, abilità e previsione. Non basta l’onestà, si richiede astuzia per essere figlio della luce!
Il commento alla parabola (Lc 16,9-13) aiuta la sua comprensione, anche se il suo senso scivola un po’: chi non ha saputo amministrare i beni fugaci, non sarà degno di ricevere quelli permanenti. Dio non pensa a dare maggiori beni a chi non ha saputo gestire i piccoli che ha avuto; non metterà i beni che gli appartengono nelle mani di chi ha dissipato i beni altrui. Non si tratta di amministrare, bene o male, ma di riuscire ad amministrare il piccolo, il poco. Dio sta pensando a dare di più a chi è riuscito ad amministrare poco; Dio si è impegnato a concederci il nostro, solo se siamo riusciti a gestire bene il suo, poco o molto. Consola sapere che abbiamo poco a disposizione e che, se ben amministrato, abbiamo già assicurato tutto il bene che Dio si è impegnato a darci. Non concorda bene con l’immagine che ci facciamo di Gesù il fatto che, come abbiamo appena ascoltato, un giorno si azzardasse a proporre ai suoi discepoli come esempio la condotta di un amministratore disonesto. C’è poco da imparare da un uomo che ha dilapidato i beni che gli erano stati affidati e che, prima di dar conto della sua amministrazione, costruì il suo futuro personale impoverendo il suo padrone; il denaro del suo signore gli servì per assicurarsi la benevolenza dei suoi debitori; perdonare debiti altrui è una buona maniera di farseli amici. E’ comprensibile che una persona tanto « sveglia » ci risulti simpatica; potremmo perfino segretamente invidiare il suo modo di fare, però difficilmente oseremmo elogiarla in pubblico né, tanto meno, giungeremmo a presentarla come esempio da seguire. Questo è, proprio, ciò che ha fatto Gesù: qualcosa di buono ha dovuto trovare nel comportamento di questo figlio di questo mondo per poterlo proporre ai suoi discepoli. E’ evidente che Gesù non elogiò l’irresponsabilità dell’amministratore, quando dilapidò i beni del suo padrone; né tantomeno la sua sfacciataggine, quando, una volta scoperto e licenziato, dimezzò i debiti del suo signore per ingraziarsi i suoi debitori: l’amministratore infedele è esempio per i figli della luce per la sua astuzia; ha saputo prepararsi per il momento della disgrazia per potersi accattivare la gratitudine dei debitori del suo padrone; se prima aveva amministrato male il denaro altrui senza pensare al suo futuro, ora che sapeva di restare sulla strada, avrebbe potuto, almeno, contare sull’ospitalità di tutti coloro ai quali aveva condonato il debito del suo signore; prima la cattiva amministrazione non gli aveva procurato amicizie, senza cambiare la sua pessima amministrazione decide di beneficare ora quelli dai quali spera ricevere dei benefici. Non è stato molto fedele, però nemmeno stupido, questo amministratore. Si è guadagnato amici con il denaro ingiusto: per la sua astuzia nel prepararsi un futuro, senza beni di cui disporre, però con amici a cui fare ricorso, l’amministratore infedele è stato considerato da Gesù come un esempio per i suoi discepoli. Senza dubbio, Gesù non voleva che i suoi discepoli copiassero dell’amministratore la sua ripetuta disonestà né la mancanza di scrupoli, quanto piuttosto la fantasia che ha avuto per cercare una soluzione alla sua situazione disperata e la velocità con la quale l’ha portata a compimento. Anche se disonesto, è stato, almeno, furbo. Oggi ci comportiamo come i discepoli di Gesù, da meno astuti della gente del mondo; continuiamo ad essere i figli della luce meno immaginativi, meno audaci, più timorosi, più pusillanimi dei figli delle tenebre. Dovrebbe sorprenderci che Gesù ci incalzi, come fece un giorno con i suoi primi discepoli, perché ci serviamo di quanto è alla nostra portata per assicurarci un avvenire senza problemi; dovrebbe meravigliarci che lui insista con noi affinché, dinanzi alla disgrazia prevedibile, visto il nostro modo infedele di vivere e amministrare i suoi doni, non perdiamo troppo tempo in lamenti inutili e approfittiamo di qualsiasi opportunità per prepararci una soluzione ai nostri mali: Gesù oggi ci raccomanda di cercare presto una soluzione ai nostri problemi con Dio; che il nostro passato di infedeltà non comprometta un futuro che possiamo ancora inventare ritrovando le amicizie perdute; che il nostro presente senza speranza non ci preoccupi tanto da non impegnarci a preparare un avvenire migliore; che non viviamo afflitti per quello che abbiamo fatto ieri tanto da non metterci a lavorare per evitare la disgrazia domani.
Mentre abbiamo qualcosa di cui disporre, mentre ci rimangono beni da amministrare, mentre viviamo, – la vita, non lo dimentichiamo, è il bene di Dio che amministriamo -, niente è totalmente perduto, ancora rimane qualche speranza: il Dio di Gesù sopporta meno l’omissione che l’infedeltà, preferisce l’astuzia all’inoperosità; valorizza l’inventiva più che la pigrizia e il disfattismo. Considera il non osare intraprendere nulla per timore di sbagliare qualcosa di più grave che lo sbagliarsi quando si stanno cercando soluzioni; il Dio di Gesù condanna prima coloro che non hanno fatto nulla piuttosto che coloro i quali, per costruirsi il futuro, non hanno evitato del tutto l’ingiustizia. E il padrone ha lodato l’amministratore ingiusto per l’astuzia con la quale aveva agito. Come il padrone della parabola, sapendo che non possiamo essere buoni amministratori, Dio ci vuole, per lo meno, pieni di immaginazione e di espedienti; se non riusciamo ad essergli fedeli del tutto, cerchiamo almeno di essere più furbi. Un Dio così, quello che Gesù predica, può risultarci un Dio insolito, un poco strano. Però, anche se ci sorprende un po’, perché non coincide con l’idea che abbiamo di Lui o con le nostre aspettative su di Lui, non per questo finisce di essere il Dio vero. Non dovremmo perdere molto tempo a superare la sorpresa che un simile Dio può causarci; sarebbe meglio che prendessimo sul serio ciò che Gesù vuole dire ai suoi discepoli: con il suo elogio dell’astuzia dell’amministratore infedele ci ha voluto liberare da quei complessi di colpa che ci impediscono di mettere a disposizione degli altri ciò che abbiamo; non essere buoni non ci deve portare a rifiutare di porre a disposizione degli altri i beni che abbiamo avuto da Dio; per non essere cattivi amministratori dei doni di Dio non dovremmo negarli al nostro prossimo; ancor più, ed è qui il paradosso, proprio perché siamo ingiusti nell’amministrazione, Dio non terrà conto della nostra ingiustizia quando serve al bene degli altri.
Come il sapersi infedele non trattenne l’amministratore della parabola dal dividere i beni che non gli appartenevano, e guadagnarsi così amici e accoglienza, così non dovremmo lasciarci bloccare né dalla coscienza dei nostri piccoli meriti né dinanzi l’esperienza della nostra grande debolezza; proprio perché non siamo sufficientemente buoni, possiamo permetterci il lusso di « sbagliarci » un po’ nell’amministrazione dei beni ricevuti, perdonando più del conto ed esigendo meno del dovuto a tutti. Su questo si basa l’astuzia dell’amministratore che merita le congratulazioni di Dio: dopo una vita di dubbia fedeltà, con alcuni beni mal amministrati oggi, possiamo guadagnarci la vita eterna e Dio. Non è poi tanto male, a pensarci bene. Così è il Dio di Gesù: è ciò che ha insegnato ai suoi discepoli. E ci faremo oggi discepoli di Gesù se accettiamo Dio così come Lui vuole essere per noi: se Dio non ci pone molte obiezioni, malgrado gli amministriamo male i beni, a condizione che li dividiamo a chi gli deve qualcosa, non dipenderà dalla nostra ingiustizia ma dalla nostra generosità – una generosità che non deve costarci troppo, poiché non sono nostri i doni -, la nostra salvezza. Chi potrà fare a meno di un simile Dio, se permette che defraudiamo Lui stesso a condizione che facciamo del bene agli altri?
Infine, e non è meno importante, Gesù vuole che il denaro, contante e suonante, non occupi in noi il luogo che dobbiamo riservare a Dio. Al contrario, non potremmo amministrare bene i pochi e scarsi beni che già abbiamo ricevuto. Solo chi ha Dio come Bene supremo sarà buon amministratore dei beni che possiede, siano molti o pochi; e per ottenerlo, si deve sapere che tutto ciò di cui uno dispone, si ha in prestito. Solo il buono di Dio è il nostro Bene; tutto il resto, è suo e viene da Lui e pertanto buono veramente. Se ci allontanasse da Lui, non sarebbe buono, sarebbe la nostra perdizione. Dovremmo renderci conto che ancora ci sono tante cose, persone o progetti, nella nostra esistenza che ci sembrano estremamente buone, ma che sono tanto cattive che ci separano dal buono di Dio o che, perfino, lo sostituiscono nel nostro cuore. In esso non entra altro che un Bene; fare posto ad altri supporrebbe allontanarlo oggi dalla nostra vita e perderlo per sempre.

JUAN JOSE BARTOLOME sdb

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