Archive pour le 5 septembre, 2013

Angelus Domini

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LA PREGHIERA DELL’ANGELUS

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LA PREGHIERA DELL’ANGELUS

« L’Angelus Domini – è detto al n. 195 del Documento pontificio – è la preghiera tradizionale con cui i fedeli tre volte al giorno: cioè all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto, commemorano l’annuncio dell’Angelo Gabriele a Maria. L’Angelus è quindi ricordo dell’evento salvifico per cui, secondo il disegno del Padre, il Verbo, per opera dello Spirito Santo, si fece uomo nel grembo della Vergine Maria.
La recita dell’Angelus è profondamente radicata nella pietà del popolo cristiano ed è confortata dall’esempio dei Romani Pontefici. In alcuni ambienti le mutate condizioni dei tempi non favoriscono la recita dell’Angelus, ma in molti altri gli impedimenti sono minori, per cui nulla si deve lasciare di intentato perché si mantenga viva e si diffonda la devota consuetudine, suggerendo almeno la semplice recita di tre Ave, Maria.
La preghiera dell’Angelus infatti, per « la struttura semplice, il carattere biblico […], il ritmo quasi liturgico, che santifica momenti diversi della giornata, l’apertura al mistero pasquale […], a distanza di secoli, conserva inalterato il suo valore e intatta la sua freschezza » [Paolo VI, Marialis cultus, 41].
Anzi, « è auspicabile che, in alcune occasioni, soprattutto nelle Comunità religiose, nei Santuari della Beata Vergine, durante lo svolgimento di particolari Convegni, l’Angelus Domini […] venga solennizzato, ad esempio con il canto delle Ave, Maria, con la proclamazione del Vangelo dell’Annunciazione » [cfr. Congregazione per il Culto Divino, Lett. Circolare Orientamenti e proposte per la celebrazione dell’Anno mariano, 61].

IL « REGINA COELI »
Va peraltro aggiunto quanto – sempre nello stesso « Direttorio su pietà popolare e Liturgia » – viene ricordato; e cioè che « nel tempo pasquale, per disposizione di Papa Benedetto XIV [20 Aprile 1742], al posto dell’Angelus Domini si recita la celebre antifona Regina Coeli.
Essa, risalente probabilmente al sec. X-XI, congiunge felicemente il Mistero dell’Incarnazione del Verbo ["Cristo che hai portato nel grembo…"] con l’evento pasquale ["è risorto, come aveva promesso"], mentre « l’invito alla gioia » [= "Rallegrati"] che la Comunità ecclesiale rivolge alla Madre per la Risurrezione del Figlio, si ricollega e dipende dall’ »invito alla gioia » [= "Rallegrati, piena di grazia", Lc 1, 28] che Gabriele rivolse all’umile Serva del Signore, chiamata ad essere la madre del Messia Salvatore.
A guisa di quanto è stato suggerito per l’Angelus – conclude il Documento pontificio –, sarà conveniente talvolta solennizzare il Regina Coeli, oltre che con il canto dell’antifona, con la proclamazione del Vangelo della Risurrezione » [cfr. ibid., n. 196].
Quanto qui riportato costituisce come un’ouverture di ciò che andremo dicendo sul « pio esercizio mariano » dell’Angelus [e, successivamente, sulla sua ‘variante pasquale’, il Regina Coeli]: della sua struttura biblico-teologica, della sua ‘traduzione’ nell’arte poetica, musicale e pittorica, della ricca e suggestiva tradizione popolare che lo ha gelosamente custodito e tramandato nei secoli.
Simone Moreno -  Dalla rivista LA MADRE DI DIO

 SIGNIFICATO BIBLICO DELL’ANGELUS
La prima riflessione sull’Angelus è suggerita dall’ esegesi dei testi evangelici che lo compongono, dall’Annunciazione dell’Angelo Gabriele narrata da Luca [da cui la preghiera prende nome] al Prologo di Giovanni.

1. – « L’angelo del Signore portò l’annuncio a Maria – ed Ella concepì per opera dello Spirito Santo » [cfr. Lc 1, 26ss].
Luca dice in sintesi molte cose: da un lato afferma il fatto storico-salvifico dell’Incarnazione del Verbo, come farà poi Giovanni [quando scriverà: "E il Verbo si è fatto carne", Gv 1,14]; dall’altro ci dice ciò che è chiarito nella coscienza di Maria nel momento finale del dialogo con l’Angelo: che Gesù, concepito direttamente dall’azione dello Spirito Santo, è Figlio di Dio ad un titolo speciale ed unico. E Luca esprime in questo modo la fede sua e della Chiesa dei primi Cristiani. Potremmo anche commentare quanto qui rilevato con ciò che scrive Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica « Rosarium Virginis Mariae »: « … A questo annuncio approda tutta la storia della salvezza; anzi, in certo modo, la storia stessa del mondo. Se infatti il disegno del Padre è di ricapitolare in Cristo tutte le cose (cfr. Ef 1, 10), è l’intero universo che in qualche modo è raggiunto dal divino favore con cui il Padre si china su Maria per renderla Madre del suo Figlio. A sua volta, tutta l’umanità è come racchiusa nel fiat con cui Ella prontamente corrisponde alla volontà di Dio » [RVM, 20].

2. – « Ecco la serva del Signore: – sia fatto di me secondo la tua parola » [Lc 1, 38].
È l’accettazione di Maria, strettamente legata alla rivelazione contenuta nel dialogo con l’Angelo, al segno offerto, all’affermazione finale di Gabriele: « Nessuna cosa, infatti, è impossibile a Dio » [Lc 1, 37]. Il fiat della Vergine sgorga dalla sua fede, resa ormai trasparente e penetrante; e questa sta fondata sulla certezza che Dio è fedele alle sue promesse [cfr. vv. 32ss], che la Parola di Dio è efficace in ordine alla salvezza e che, con la sua presenza misericordiosa, egli oggi ha visitato il suo popolo [cfr. v. 35]. Con un atto di obbedienza e di fede è iniziata la storia della salvezza [cfr. Gn 12, 1ss: Abramo]; con un atto di fede e di obbedienza la storia della salvezza continua nella pienezza dei tempi in Maria, « consegnatasi » a Dio nell’atteggiamento di una serva, anzi: di una ‘schiava’ [= doulê, v. 38].

3. – « E il Verbo si è fatto carne – ed abitò fra noi » [Gv 1, 14].
Il termine « carne », nel linguaggio della Bibbia, definisce l’uomo nella sua condizione di debolezza e di destino mortale; ciò che non avrebbe detto, in termini biblici, la parola « uomo ». È quindi intenzionale – qui, nel Prologo di Giovanni – il contrasto tra Logos [nella sua condizione divina] e la carne [nella sua condizione umana]. [Il Verbo] « si è fatto », non: « divenne », perché non ci fu una trasformazione ma, rimanendo il Logos che era, cominciò ad esistere nella sua nuova condizione debole e temporale. « E abitò fra noi »: il verbo greco eskénosen può significare sia ‘dimorare’ che ‘porre la propria tenda’, allusione alla dimora di Dio in mezzo al suo popolo, collegata con l’Arca santa e la gloria del Signore. : il verbo greco può significare sia ‘dimorare’ che ‘porre la propria tenda’, allusione alla dimora di Dio in mezzo al suo popolo, collegata con l’Arca santa e la gloria del Signore. Siamo nel cuore della fede cristiana e al vertice della grandezza di Maria, vera « Madre di Dio » che si è fatto uomo. Di fronte a questo mistero dell’Incarnazione – annuncio centrale dell’Angelus – si resta in adorazione, meditando sul senso della continua incarnazione del Figlio di Dio nel tempo.
4. – L’invocazione a Maria ["Prega per noi, santa Madre di Dio – e saremo degni delle promesse di Cristo"] e la Preghiera conclusiva ["Infondi nel nostro spirito la tua grazia, Signore; tu che all’annunzio dell’Angelo ci hai rivelato l’Incarnazione del tuo Figlio, per la sua Passione e la sua Croce guidaci alla gloria della Risurrezione"] costituiscono come un atto di fede in quanto i contenuti dei testi evangelici ci hanno fatto proclamare nell’Angelus.
– L’invocazione a Maria e la Preghiera conclusiva costituiscono come un atto di fede in quanto i contenuti dei testi evangelici ci hanno fatto proclamare nell’Angelus. Atto di fede nell’intercessione della « Madre di Dio » e atto di speranza nella salvezza, in virtù dei due principali Misteri della nostra santa religione ricordati: l’Incarnazione del Figlio di Dio e la sua Passione, Morte e Risurrezione.

Simone Moreno – Dalla rivista LA MADRE DI DIO

CONTENUTI TEOLOGICI E SPIRITUALI DELL’ANGELUS
Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica « Rosarium Virginis Mariae »: « … all’annuncio dell’Angelo a Maria approda tutta la storia della Salvezza; anzi, in certo senso, la storia stessa del mondo. Se, infatti, il disegno del Padre è di ricapitolare in Cristo tutte le cose (cfr. Ef 1, 10), è l’intero universo che in qualche modo è raggiunto dal divino favore con cui il Padre si china su Maria per renderla Madre del suo Figlio. A sua volta, tutta l’umanità è come racchiusa nel fiat con cui Ella prontamente corrisponde alla volontà di Dio » [RVM, 20].
E nell’Angelus, che si annovera fra i pii esercizi di venerazione alla Madre del Signore più diffusi in tutto il mondo cattolico, i fedeli, con un ritmo quasi liturgico, tre volte al giorno – al mattino, a mezzogiorno e a sera – commemorano gli elementi costituivi di questa storia della Salvezza. Volendo cogliere, in estrema sintesi, i contenuti teologici e quelli spirituali dell’Angelus, potremmo schematizzare il discorso come segue:

1– Contenuti teologici

a] La figlia di Sion
L’Angelo Gabriele annuncia a Maria il Salvatore, l’Atteso dei popoli: numerosi esegeti sono inclini ad interpretare il saluto dell’Angelo rivolto alla Vergine – figlia di Sion – come un invito a quella gioia [= káire] messianica che i Profeti nel tempo hanno rivolto a Gerusalemme, cuore religioso di tutto Israele.

b] Il dono dello Spirito
L’Angelo svela a Maria che ella concepirà per opera dello Spirito Santo [cfr. Lc 1, 5]: lo Spirito che discende sulla Vergine annunziata è uno Spirito « creatore ». Egli, che fu all’opera nella creazione del mondo e nella rinascita dell’antico popolo di Dio, adesso crea nel grembo di Maria le sembianze umane del Cristo, Messia divino; e Cristo, in virtù del medesimo Spirito, concepirà la seconda creazione, che consiste nel rinnovamento escatologico del nuovo popolo di Dio, di cui egli è principio, re e Signore.

c] L’Incarnazione del Verbo
La terza Antifona ["E il Verbo si è fatto carne / e venne ad abitare in mezzo a noi"] si fonde con il cuore del Prologo del Vangelo di Giovanni [1, 14], che sigilla l’intervento di Dio nel cosmo. E il cuore del Prologo diventa il cuore dell’Angelus.

d] Il mistero pasquale.
Le istanze già presenti nei versetti dell’Angelus si fanno memoria esplicita nell’orazione che lo conclude: l’Incarnazione del Verbo apre alla realtà pasquale; e l’orazione « Gratiam tuam » ne è l’esplicitazione: « …affinché noi che, per l’annuncio dell’Angelo, abbiamo conosciuto l’Incarnazione del tuo Figlio, per la sua Passione e Morte giungiamo alla gloria della Risurrezione ».

2. – Contenuti spirituali

Il valore della contemplazione dei misteri celebrati nell’Angelus [quasi una sintesi del Santo Rosario!] è assoluto. Riproporli, poi, al mattino, a mezzogiorno e a sera, è tacito invito a vivere le numerose implicazioni che essi comportano: di gioioso annuncio, di dono dello Spirito, di sempre nuova creazione [= in Maria "nuova Eva" e nell’uomo redento, "nuovo Adamo"], di connubio sponsale [= il Verbo assume la natura umana, e l’uomo la natura divina], di profonda religiosità [= nel ‘fiat’ esemplare della Vergine e dei credenti], nell’epifania messianica e nel preludio pasquale.

Simone Moreno – Dalla rivista LA MADRE DI DIO

STORIA DELL’ANGELUS

Dopo aver esposto in sintesi i contenuti biblico-teologico-spirituali  ripercorriamo ora la storia di questa pia pratica nel tempo, a iniziare dalle lontane origini del sec. XIII.
La recita dell’ »Angelus », accompagnata tre volte al giorno dal suono delle campane delle chiese, ebbe inizio proprio nel 1200, il fecondo secolo della Teologia Scolastica e delle Cattedrali gotiche, ma anche di grande devozione alla Madonna.
Dapprima si chiamò « preghiera della pace »: aveva, infatti, lo scopo di onorare il Figlio di Dio che, incarnandosi nel seno della Vergine Maria, pose i fondamenti della pace tra Dio e gli uomini.
Inizialmente si usava recitarlo solo alla sera, perché si riteneva che l’Arcangelo Gabriele si fosse presentato alla Vergine di Nazareth verso il tramonto, per annunziarle il mistero della sua divina maternità. Né aveva la forma attuale, consistendo nel rivolgere alcune volte a Maria le parole dell’Angelo ["Ave, piena di Grazia: il Signore è con te"] e quelle del saluto di Elisabetta ["Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!"]. Consisteva, cioè, nella prima parte dell’ »Ave, Maria ».
Solo più tardi, assunse progressivamente la forma attuale.
Ma chi ne fu l’iniziatore? Alcuni ritengono che la pia pratica sia sorta in Germania, appunto all’inizio del XIII secolo. Lo deducono da espressioni del genere seguente, incise sulle campane del tempo: « Ave Maria – Rex gloriae Christe, veni cum pace »; oppure: « Maria vocor – o Rex gloriae, veni cum pace »: « Ave, Maria – Cristo, re della gloria, vieni nella pace »; « Mi chiamo Maria – Re della gloria, vieni nella pace ».
Altri attribuiscono l’origine della pratica mariana a Gregorio IX [1241], il Papa che fu eletto a 85 anni e morì quasi centenario.
Le prime notizie certe sulla recita dell’ »Angelus »
Le prime notizie sicure risalgono piuttosto alla seconda metà del sec. XIII. In una Chronica francescana dell’epoca, si legge infatti che nel Capitolo generale dell’Ordine tenuto da San Bonaventura a Pisa nel 1263 fu stabilito che « i frati nei discorsi persuadessero il popolo a salutare alcune volte la B. V. Maria al suono della campana di Compieta, perché è opinione di alcuni solenni [dottori] che in quell’ora essa fosse salutata dall’Angelo ». A San Bonaventura, del resto, doveva stare molto a cuore la pia pratica, tanto che la raccomandò anche nel Capitolo generale di Assisi del 1269.
La pratica dell’ »Angelus », predicata dai Francescani, si diffuse rapidamente. Nel 1274 la si trova a Magonza, e nel 1288 a Lodi, ove lo ‘Statuto dei Calzolai’ ordinava che essi dovessero subito smettere il lavoro, al Sabato sera e alla Vigilia delle feste della Madonna, « appena udito il primo suono delle campane dell’ »Ave, Maria », dal campanile della Chiesa Maggiore », pena la multa di 20 ‘imperiali’!
Lo stesso modo di suonare la campana all’ »Angelus » e il numero delle Avemaria si trovano già precisati nelle ‘Costituzioni’ del Capitolo provinciale francescano tenuto a Padova nel 1295: « In tutti i luoghi – vi si legge – si suoni la sera un poco per tre volte la campana ad onore della gloriosa Vergine, e allora tutti i frati genufletteranno e diranno tre volte: ‘Ave, Maria gratia plena’ « .
In un Decreto del ‘Sinodo di Strigonia’ [in Ungheria] del 1307 si prescriveva che tutte le sere si suonasse la campana ad instar tintinnabuli [ossia: dolcemente], e si concedevano indulgenze ai fedeli che a quel suono avessero recitato tre Avemaria.

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SALMO 122 (121): PACE PER GERUSALEMME!

http://www.padresalvatore.altervista.org/Salmo122.htm

PACE PER GERUSALEMME!

SALMO 122 (121)

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!

Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
Là salgono insieme le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i seggi del giudizio,
i seggi della casa di Davide.

Domandate pace per Gerusalemme:
sia pace a coloro che ti amano,
sia pace sulle tue mura,
sicurezza nei tuoi baluardi.
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.

Il Sal 122 (121), è uno dei più belli tra i Canti delle ascensioni, i salmi che ritmavano il pellegrinaggio a Gerusalemme dei pii Israeliti. Il viandante, giunto finalmente nella Città Santa, rivive, tutt’insieme, un cumulo di emozioni: rammenta la gioia della partenza, quando, finalmente, il desiderio iniziava a divenire realtà. È sopraffatto dall’emozione dell’arrivo e dallo stupore che suscita la città, per la sua bellezza. Interiorizza l’esperienza religiosa data dalla consapevolezza della Presenza di Dio, nel suo Tempio. Avverte, più fortemente, l’identità di Popolo di Dio e il suo legame ombelicale con Gerusalemme. Ha la sensazione di stare già gustando il più grande tra i doni messianici: lo “shalom”, che è molto più della nostra pace. In ciò fa gioco anche l’etimologia popolare del nome Gerusalemme = città della pace.
Infine, chiede che questa pace, e tutto ciò che di bene e di bello può dare il Signore, sia concesso alla Città Santa e a tutti coloro che ad essa fanno riferimento.

Questo è il Salmo scelto da Giovanni Paolo II, quando, pellegrino a Gerusalemme, davanti al Muro del pianto, volle esprimere i propri sentimenti e la sua preghiera, anche a nome di tutti i Cristiani.

La Liturgia utilizza in modo tematico il Sal 121 (122):
ai secondi vespri per la dedicazione di una Chiesa;
ai secondi vespri per il comune della beata Vergine Maria;
ai secondi vespri per il comune delle Vergini;
ai secondi vespri per il comune delle Sante.

Questo perché la nuova casa di Dio, luogo della Presenza e della Pace, è ora l’edificio dove si riuniscono i cristiani per celebrare i Misteri, ma è anche il cuore di Maria, delle Vergini e delle Sante che hanno saputo amare e rispondere all’amore di Dio, con cuore indiviso.

LEGGIAMO IL SALMO 121 (122) CON I PADRI DELLA CHIESA:

«Andremo alla casa del Signore». (v.1)

  Poiché per i Padri “la casa di Dio, è la Chiesa” (1Tm 3,15), e “la nostra patria è nei cieli” (Eb 11,14.16), essi leggono questo salmo in chiave escatologica:
“Chi è tutto preso dal desiderio del cielo, non vede alcuna oscurità in questo salmo: è il suo stesso sentimento che gli dà l’intelligenza di questa magnifica profezia, perché egli si ricorda di essere coerede e compartecipe dei beni eterni, che la risurrezione lo renderà simile agli angeli, che sarà reso conforme alla gloria del corpo di Gesù Cristo e diverrà cittadino della città di pietre vive… Nell’apprendere che tutti questi beni sono accessibili a noi, per la fede, ognuno esclamerà: Ho gioito quando mi hanno detto…”  (ILARIO).

“Siamo pellegrini sulla terra, siamo lontani dai nostri veri concittadini. Ma già in questo viaggio incontriamo dei compagni, degli amici che, avendo già visto la nostra città, ci invitano a correre verso di lei. Il salmista pensa a loro quando esclama: Ho gioito quando mi hanno detto: andremo alla casa del Signore… Corriamo perché andremo alla casa del Signore. La nostra anima gioisca con coloro che ce lo annunciano: hanno visto prima di noi questa patria. Gioisco con i profeti, gioisco con gli apostoli. Tutti infatti ci hanno detto: Andremo alla casa del Signore! Già stavano i nostri piedi nei tuoi atri, Gerusalemme! Quale Gerusalemme? C’è anche quaggiù una Gerusalemme, ma è solo una figura dell’altra. È ben lontano dal pensare alla Gerusalemme terrena questo esiliato che brama di giungere alla Gerusalemme celeste, che è nostra madre (cfr. Gal 4,26) e che l’Apostolo definisce come eterna nei cieli (cfr. 2Cor 5,1) … È quella la Gerusalemme, costruita come città… Corriamo dunque alla casa del Signore e giungiamo alla città dove stiano fermi i nostri piedi…” (AGOSTINO).

“Gerusalemme è costruita / come città salda e compatta” (v. 3)
   Qui abbiamo sovente, nei Padri, un’applicazione di tipo morale e pastorale, che rimanda alla Chiesa ideale descritta dagli Atti degli Apostoli (At 2,42-47).
  “Quando i credenti non sono più che un cuore e un’anima sola, e tutte le membra hanno una stessa sollecitudine le une per le altre, allora sono Gerusalemme di cui si partecipa tutti insieme”. (ORIGENE)

“Là salgono insieme le tribù, del Signore” (v. 4)
 Si mette in risalto il valore positivo della Legge, (nel caso specifico: quella dei tre pellegrinaggi annuali) che costituisce un Popolo e lo lega al suo Dio:     
 “Tutte le tribù che Dio ha fatto uscire dall’Egitto si recano a Gerusalemme per rendere testimonianza al Dio d’Israele e per un rendimento di grazie… Questo raduno a Gerusalemme era, infatti, il momento più importante per far conoscere la legge, la Scrittura, la storia dei patriarchi e per riunire una comunità nella carità”. (ORIGENE)
 Anche i Genitori di Gesù “Salirono a Gerusalemme secondo l’usanza” (Lc 2,42). E, Gesù stesso vivrà la sua vita pubblica come un salire a Gerusalemme (Mt 20,18; Mc 10,32; Lc 18,31) per l’estremo pellegrinaggio, concluso con la sua glorificazione.

“Domandate pace per Gerusalemme” (v. 6).
 Per i Padri è l’invito a chiedere pace per la Chiesa e nella Chiesa. Ma è anche l’impegno ad essere in pace con se stessi e con Dio:
  “Abbiamo detto molte volte che Gerusalemme si traduce con « visione di pace ». Se dunque Gerusalemme si costruisce nel nostro cuore, cioè se una visione di pace prende dimora in noi, se contempliamo e custodiamo sempre nel nostro cuore il Cristo che è la nostra pace, se dimoriamo in questa visione di pace, allora potremo dire che siamo in Gerusalemme”. (ORIGENE).

“Per la casa del Signore nostro Dio, / chiederò per te il bene” (v. 9).
 Al dono della pace si unisce quello del bene. Abbiamo così il saluto francescano: “Pace e bene!”. Bene che in ebraico è “tov”, per dire tutto ciò che di bello e buono Dio sa donare a quelli che lo amano.
“Le auguro pace, per la sua gloria. Non crede che i beni promessi gli siano dovuti, ma li chiede per la gloria di Dio” (CRISOSTOMO).

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