Archive pour le 13 septembre, 2013

Festa della Esaltazione della Santa Croce

 

 

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Publié dans:immagini sacre |on 13 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

14 SETTEMBRE: LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE NELLA TRADIZIONE BIZANTINA – OGGI HA PORTATO L’ALTISSIMO COME GRAPPOLO PIENO DI VITA

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14 SETTEMBRE: LA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE NELLA TRADIZIONE BIZANTINA

OGGI HA PORTATO L’ALTISSIMO COME GRAPPOLO PIENO DI VITA

DI MANUEL NIN

La festa dell’Esaltazione della Croce – Universale esaltazione della Croce preziosa e vivificante è il suo titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina – ha un’origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione, edificata sulla tomba del Signore nel 335, e anche alla celebrazione del ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell’imperatrice Elena e del vescovo Macario, rappresentati nell’icona della festa. La Croce ha un posto rilevante nella liturgia bizantina:  viene commemorata tutti i mercoledì e venerdì dell’anno col canto di un tropario, la terza domenica di Quaresima, il 7 maggio e il 1° agosto, sempre presentata come luogo di vittoria di Cristo sulla morte, della vita sulla morte, luogo di morte della morte. La celebrazione del 14 settembre è preceduta da una prefesta il 13, che celebra appunto la dedicazione della basilica della Risurrezione, e si prolunga  con  un’ottava  fino  al giorno 21.
I testi dell’ufficiatura mettono ripetutamente in parallelo l’albero del paradiso e quello della Croce:  « Croce venerabilissima che le schiere angeliche circondano gioiose, oggi, nella tua esaltazione, per divino volere risollevi tutti coloro che, per l’inganno di quel frutto, erano stati scacciati ed erano precipitati nella morte »; « nel paradiso un tempo un albero mi ha spogliato, perché facendomene gustare il frutto, il nemico ha introdotto la morte; ma l’albero della Croce, che porta agli uomini l’abito della vita, è stato piantato sulla terra, e tutto il mondo si è riempito di ogni gioia »; « la Croce che ha portato l’Altissimo, quale grappolo pieno di vita, si mostra oggi elevata da terra:  per essa siamo stati tutti attratti a Dio, e la morte è stata del tutto inghiottita. O albero immacolato, per il quale gustiamo il cibo immortale dell’Eden, dando gloria a Cristo! ».
Uno dei tropari dell’ufficiatura vespertina, con delle immagini toccanti e profonde, riassume tutto il mistero della salvezza:  « Venite, genti tutte, adoriamo il legno benedetto per il quale si è realizzata l’eterna giustizia:  poiché colui che con l’albero ha ingannato il progenitore Adamo, viene adescato dalla Croce, e cade travolto in una funesta caduta. Col sangue di Dio viene lavato il veleno del serpente, ed è annullata la maledizione della giusta condanna per l’ingiusta condanna inflitta al giusto:  poiché con un albero bisognava risanare l’albero, e con la passione dell’impassibile distruggere nell’albero le passioni del condannato ». In un altro tropario, l’incarnazione di Cristo, Dio nella carne, è presentata come l’esca che nella Croce attira e vince il nemico:  « Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre ».
Diversi testi fanno una lettura cristologica dei tanti passi dell’Antico Testamento che la tradizione patristica e liturgica ha letto e interpretato come prefigurazioni del mistero della Croce del Signore:  « Ciò che Mosè prefigurò un tempo nella sua persona, mettendo così in rotta Amalek e abbattendolo, ciò che Davide cantore ordinò di venerare come sgabello dei tuoi piedi, la tua Croce preziosa, o Cristo Dio »; « tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riunì su se stesso volgendolo contro i carri del faraone, disegnando, orizzontalmente, l’arma invincibile »; « nelle viscere del mostro marino, Giona stendendo le palme a forma di croce, chiaramente prefigurava la salvifica passione:  perciò uscendo il terzo giorno, rappresentò la risurrezione del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo ».
Alla fine del mattutino si svolge il rito dell’esaltazione e della venerazione della santa Croce. Il sacerdote prende dall’altare il vassoio che contiene la Croce preziosa collocata in mezzo a foglie di basilico – l’erba profumata che, secondo la tradizione, era l’unica a crescere sul Calvario e che attorniava la Croce quando fu ritrovata – e in processione lo porta tenendo il vassoio sulla sua testa fino alla porta centrale dell’iconostasi e in mezzo alla chiesa. Lì depone il vassoio su un tavolino, fa tre prostrazioni fino a terra e, prendendo in mano la Croce con le foglie di basilico, guardando a oriente, la innalza sopra il proprio capo, poi l’abbassa fino a terra e infine traccia il segno di croce, mentre i fedeli cantano per cento volte « Kyrie eleison ». Ripetendo questa grande benedizione verso i quattro punti cardinali e di nuovo verso oriente, il sacerdote invoca la misericordia e la benedizione del Signore sulla Chiesa e sul mondo intero. Al termine, il sacerdote innalza la Croce e con essa benedice il popolo che poi passa a venerarla e riceve delle foglie di basilico, per ricordare il buon profumo del Cristo risorto che tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare nel mondo.

(©L’Osservatore Romano 14-15 settembre 2009)

14 SETTEMBRE: S. GIOVANNI CRISOSTOMO

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14 SETTEMBRE: S. GIOVANNI CRISOSTOMO

Giovanni nacque ad Antiochia da una distinta famiglia attorno all’anno 350. Come consuetudine in quel tempo, Giovanni, educato alla fede dalla pia madre Antusa, rimasta vedova all’età di appena 20 anni, ricevette il battesimo in età adulta, nel 372. Era stato istruito nella Sacra Dottrina insieme a Teodoro, poi vescovo di Mopsuestia. Dapprima condusse in casa della stessa madre una vita di austero ascetismo, che proseguì poi per quattro anni sotto la direzione di un vecchio anacoreta, e per altri due da solo in una regione montuosa nei pressi della città. Costretto dalla salute malferma a ritornare in città, vi venne consacrato diacono nel 381 e sacerdote nel 386. Per 12 anni, fino al 387, ebbe l’incarico della predicazione nella cattedrale conquistandosi fama di magnifico oratore.
Nel 397, alla morte di Nettario, vescovo di Costantinopoli, Giovanni venne eletto suo successore. Di fronte alla ritrosia dell’interessato, l’imperatore lo fece condurre nella capitale con l’astuzia e vi fu consacrato arcivescovo il 26 febbraio 398.
Il nuovo presule diede subito esempio di grande semplicità e modestia di vita, destinando le sue ricchezza alla fondazione di ospedali e all’aiuto dei poveri. Il suo desiderio di eliminare una quantità di abusi nella vita del clero gli meritò presto l’ostilità di alcuni. Quando in un Sinodo ad Efeso fece deporre alcuni vescovi simoniaci e si attirò, per il suo rigore morale, l’ostilità dell’imperatrice Eudossia, i malcontenti incominciarono ad agitarsi contro di lui, sotto la guida dell’ambizioso Teofilo di Alessandria, la cui Chiesa si trovava in contesa con quella di Costantinopoli. Chiamato nel 402 a Costantinopoli per giustificarsi di varie accuse che gli venivano mosse, il vescovo Teofilo passò al contrattacco gettando tutte le colpe su Giovanni Crisostomo, che fu chiamato in tribunale e quindi dichiarato deposto ed esiliato dall’imperatore. Già all’indomani, però, Giovanni venne richiamato, ma i tumulti e gli intrighi resero difficile la sua vita a Costantinopoli.
La tensione tra amici ed avversari del vescovo divenne sempre più forte. Fallito il tentativo di farlo deporre da un altro Sinodo, i suoi avversari ottennero dall’imperatore un nuovo decreto di esilio il 9 giugno 404. Giovanni Crisostomo morì il 14 settembre del 407 in una lontana regione del Ponto.
Il Crisostomo fu anzitutto pastore di anime e predicatore. I suoi contemporanei, e al pari di essi anche le generazioni posteriori, non si stancarono mai di proclamarlo il più grande dei predicatori della Chiesa greca. Pio X lo proclamò patrono dei predicatori cristiani. La sua produzione letteraria oltrepassa quella di tutti gli altri scrittori orientali a noi pervenuta. In Occidente solo Agostino può essergli paragonato. I suoi scritti sono un’inesauribile miniera non solo per i teologi, ma anche per gli archeologi e gli storici della cultura. Quello che conquista nei discorsi del Crisostomo è il loro contenuto e l’efficace esposizione oratoria, che unisce insieme lo spirito cristiano e la venustà ellenica della forma. I suoi sermoni, che duravano a volte anche due ore, non stancano, poiché sono magistralmente ravvivati da immagini e paragoni, si riallacciano negli esordi e nelle conclusioni con eventi contemporanei, e talora sono corredati di digressioni intorno ad argomenti di grande interesse.

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 13 septembre, 2013 |Pas de commentaires »

15 SETTEMBRE 2013 – 24A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C – OMELIA – LECTIO DIVINA SU: LC 15,1-32

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/24-Domenica-2013_C/24-Domenica-2013_C-JB.html

15 SETTEMBRE 2013  | 24A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C  |  PROPOSTA DI LECTIO DIVINA

LECTIO DIVINA SU: LC 15,1-32

Risultava incomprensibile per i benpensanti del suo tempo che Gesù frequentasse peccatori e mangiasse con i pubblicani. E non mancavano loro dei motivi. Coloro che, a causa della professione o della vita disordinata, vivevano situazioni « impure », lontani da Dio, non erano una compagnia adeguata per un uomo di Dio. Per scandalo dei « buoni », Gesù non solo non evitava i cattivi, ma, inoltre, gli piaceva convivere con loro. Doveva avere forti ragioni per osare trasgredire le regole sociali imperanti e ferire così la sensibilità dei più pii. E veramente le aveva. Le espose, in lungo e in largo, in uno dei discorsi più riusciti di tutto il NT. In esso legittima il suo strano procedere facendosi scudo dietro la volontà di Dio. Difendendosi dal rimprovero, sconcerta ancor più i suoi già sorpresi accusatori, aggiungendo che, in realtà, non sta facendo niente di diverso di ciò che lo stesso Dio vuole. Il suo comportamento è copia del comportamento di Dio; convive con coloro con i quali Dio vuole convivere, frequenta coloro ai quali Dio vorrebbe avvicinarsi. La ragione, l’ispirazione, del suo agire con i peccatori è lo stesso Dio.

In quel tempo, solevano avvicinarsi a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano, dicendo:
« Costui riceve i peccatori e mangia con loro ».
3Gesù disse loro questa parabola:
4″Se uno di voi ha cento pecore e ne perde una, non lascerà le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5E quando la trova, se la mette sulle spalle, molto felice, 6e, al suo arrivo a casa, chiama gli amici e i vicini di casa per dire loro: « Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta ».
7Così vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8E se una donna ha dieci monete e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9E quando la trova, chiama i suoi amici e i vicini di casa per dire loro: « Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduta ».
10Vi dico che c’è gioia grande davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte ».
11Disse anche:
« Un uomo aveva due figli.
12Il più giovane disse al padre: « Padre, dammi la mia parte del patrimonio ». E il padre divise la proprietà. 13Non molti giorni dopo il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose andò in un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14E quando ebbe speso tutto, in quella terra venne una terribile carestia, ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Chiese lavoro ad un abitante di quel paese, che lo mandò nei campi come guardiano dei maiali. 16Voleva riempire lo stomaco con le carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava. 17Rientrando in sé allora, disse: « Quanti servi di mio padre hanno pane, e io qui muoio di fame. 18Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò:. Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te 19non sono degno di essere chiamato tuo figlio: trattami come uno dei tuoi servi ». 20Partì dove era suo padre; quando era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione, e, correndogli incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Suo figlio gli disse: « Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’. 22Ma il padre disse ai suoi servi: « Portate qui la veste più bella e vestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23prendete il vitello grasso, ammazzatelo e facciamo festa, 24Perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato ». E cominciarono il banchetto.
25Suo figlio maggiore si trovava nei campi.
Quando fu vicino a casa, udì la musica e la danza, 26Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse successo. 27Questi rispose: ‘È tornato tuo fratello e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha avuto indietro in salute ». 28Lui era arrabbiato e non voleva entrare, ma suo padre uscì e cercò di convincerlo. 29Ma egli rispose a suo padre: ‘Ecco: da molti anni io ti servo, senza mai disobbedire a un tuo comando, ma non mi hai mai dato un capretto, per fare festa con i miei amici 30ma quando questo tuo figlio che ha sperperato la vostra proprietà con le prostitute, è tornato, avete ucciso il vitello grasso ». 31Il padre gli disse: « Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo: 32ma dovevamo gioire, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’ ».

 1. LEGGERE: CAPIRE QUELLO CHE DICE IL TESTO FACENDO ATTENZIONE A COME LO DICE
Luca ha creato uno scenario in cui collocare tre parabole raggruppate intorno ad un unico tema. L’insieme è un testo di notevole fattura letteraria, che narra avvenimenti della vita dei suoi uditori, pieno di particolari e con un messaggio unico: la gioia che Dio prova quando perdona.
Il contesto narrativo è breve (Lc 15,1-2). In esso si eleva a comportamento abituale di Gesù ciò che era un episodio, qualcosa di frequente questo sí, del suo ministero. Gesù si faceva ascoltare e si lasciava accompagnare da persone di scarsa, se non cattiva, reputazione. Una condotta che, logicamente, scandalizzava ‘i buoni’: « dimmi con chi vai e ti dirò chi sei ».
La risposta di Gesù non è, a rigore, una replica diretta. E’ tutto un discorso, costruito con parabole. Da’ ragione del suo agire narrando tre storie. A Gesù interessa spiegarsi. Però non giustifica se stesso. Parla, piuttosto, in modo velato, di Dio e delle sue preferenze. Implicitamente viene detto che Gesù, convivendo con i peccatori, non fa altro che ciò che Dio vuole, avvicinarsi a loro e, se gli è possibile – nel terzo esempio non lo è stato – darsi una gioia perdonandoli. Le prime due parabole, simmetriche, presentano rapidamente due casi, colti dalla vita reale, di smarrimento: quello di un pastore che perde una delle sue (cento) pecore (Lc 15,3-7), la donna che smarrisce una delle sue (dieci) monete (Lc 15,8-10). La perdita provoca l’ansiosa ricerca. Il ritrovamento non solo restituisce ciò che era stato perduto, ma riempie anche di gioia chi ritrova ciò che pensava di aver perduto. Come questa gioia, tanto umana, sarà la gioia di Dio e di quanto lo accompagna (nel cielo, i suoi angeli).
La terza parabola, molto più sviluppata, ha come protagonista un padre che aveva due figli, molto diversi, sicuramente (Lc 15,11-32). Il primo impoverisce il padre privandolo del suo patrimonio e della sua vicinanza; lontano dal padre sperpera i suoi averi e la sua vita. Affamato e temendo la morte, rientra in se stesso e recupera, pur nella lontananza, suo padre. E dice a se stesso ciò che andrà a dire a suo padre, quando si incontrerà con lui. Il padre non lo lascerà neppure parlare; gli basta riavere di nuovo il figlio perduto e ordina di fare una grande festa (Lc 15,11-24). Il figlio maggiore, che è rimasto sempre in casa, lavorando per suo padre e mai si è sentito libero, né figlio, in quanto lavorava come un servo, non ha potuto sopportare la festa per il fratello, né comprendere le ragioni di suo padre (Lc 15,25-32). Non sappiamo – non lo dice il narratore – se entrò alla festa, se accettò il grande malfattore appena arrivato come fratello, se ha condiviso con il padre la sua gioia e suo fratello. Non è stato il figlio minore che ha abbandonato il padre, ma colui che lo aveva sempre servito, perché alla fine ha messo in discussione la vita di famiglia e il desiderio del padre di fare festa.

 2. MEDITARE: APPLICARE ALLA VITA QUELLO CHE DICE IL TESTO!
Con parabole, non con nette affermazioni, Gesù spiega il suo comportamento: non evita le cattive compagnie perché vuole il bene del peccatore, il suo perdono e, la sua gioia. Il pastore, la donna e il padre sentono la perdita di ciò che appartiene a loro e la gioia quando lo recuperano. Non sarà minore la gioia di Dio: curioso questo Dio di Gesù che può sentire la perdita di qualcosa che gli appartiene, che patisce l’ansia mentre lo cerca e che si rallegra quando ritrova ciò che aveva perduto. Nel peccatore che torna a Lui, Dio non solo recupera il figlio che si era allontanato da lui, ma riacquista la gioia che non aveva dal momento in cui aveva perduto ciò che gli apparteneva. Chi ritorna a casa restituisce la gioia al suo focolare, come il figlio che andava alla ricerca di un padrone e si è trovato con un padre pronto all’affetto e alla festa.
Bella – stupenda – maniera di gioire che ha Dio! Chi ha abbandonato Dio, o semplicemente lo ha perduto di vista, ritornando a Lui può ritrovare la gioia. Inoltre, chi, come Gesù, si impegna affinché Dio torni ad avere tutti coloro che si sono smarriti, contribuisce a far sì che Dio si mantenga gioioso. Conoscere come egli è, obbliga a vivere come Dio vuole, anche se questo dovrà causare cattiva impressione sui benpensanti: la gioia di Dio vale più di ogni critica.
Difficilmente capiremo la risposta di Gesù, se non condividiamo, anche noi oggi, la stranezza che hanno sentito i buoni del suo tempo dinanzi a simile comportamento. Vederlo in cattiva compagnia non era uno spettacolo molto edificante, certamente; anzi, è logico che non è del tutto comprensibile perché ha lasciato che gente così poco raccomandabile lo accompagnasse in pubblico e in privato, per le strade e attorno a una mensa comune. Come ai buoni del suo tempo, ci irrita che Gesù preferisca coloro che non riescono ad essere buoni come lo siamo noi, e che non vivono secondo i nostri costumi. Come coloro che hanno criticato Gesù, ci risulta penoso vedere e dover verificare che persone di dubbia reputazione ottengono più facilmente i suoi favori di coloro che tanto fatichiamo per essere davvero buoni. Come è possibile che Dio continua a comportarsi meglio, a quanto pare, con i cattivi che con i buoni da sempre?
Gesù risponde raccontando alcune parabole. Il pastore che ha perso una pecora su cento, la donna che smarrisce una moneta delle dieci che aveva, il padre che vede allontanarsi da casa il figlio più giovane, sono figure di Dio. Si comportano come lui, nella ricerca e nel ritrovamento, con la stessa angoscia per la perdita, con la stessa gioia dopo il ritrovamento. Chi non vede logico che quando perdiamo qualcosa di valore, ci mettiamo immediatamente alla sua ricerca? Ma è normale che, come il pastore, la donna e il padre, diamo più importanza a quello che abbiamo perso che a ciò che abbiamo ancora? È così che si comporta in realtà Dio? Il pastore lasciò il gregge in un luogo piuttosto insicuro, un comportamento un po’ imprudente; la donna smise di prendersi cura della casa, un atteggiamento poco intelligente; il padre viveva come se avesse solo il figlio che aveva lasciato la casa, una posizione poco giusta nei confronti di colui che era rimasto con lui.
Ebbene, per quanto ci dispiaccia e con il rischio di non comprenderlo bene, il nostro Dio è così, ci dice Gesù. E’ più interessato a recuperare ciò che ha perduto che a conservare ciò che non si perderà, gli dispiace poco abbandonare i suoi per cercare ciò che, di sua proprietà, ha perduto; meno preoccupato per quello che ha che per quanto ancora gli manca, fatica di più per recuperare ciò che è suo che per conservarlo in suo possesso. Non avremmo osato immaginare un simile comportamento – così insolito come irrazionale – in Dio, se Gesù stesso non ce lo avesse rivelato. Se Gesù non ha impedito ai cattivi di accompagnarlo, non è stato perché non era a conoscenza della loro malizia, perché la negasse o la scusasse, ma perché ha voluto dare loro la possibilità di diventare buoni.
Gesù sapeva bene che la più grande gioia per Dio è la conversione del peccatore. Come il pastore che, trovata la pecora, ritrova la sua gioia e va a condividerla con i suoi amici; come la donna che non può tacere la gioia che le dà trovare la moneta perduta e festeggia con le sue vicine; come il padre che, al ritorno del figliol prodigo a casa, riempie la sua abitazione di festa e di musica; Dio gioisce per il ritorno a Lui di qualsiasi peccatore. E per quanto ingiustificato possa sembrarci, la fedeltà di tutti coloro che non lo hanno mai lasciato non gli produce tanta gioia come il ritorno di chi un giorno lo ha lasciato. Recuperando il perduto, Dio recupera ciò che è suo e la gioia; chi ritorna a Dio, oltre a restituirgli ciò che gli era dovuto, gli causa una felicità così grande che non può tenerla solo per sé. E’ Dio, come il pastore o la donna di casa, che ne esce vincitore, quando trova ciò che aveva perduto: recupera i suoi beni e la gioia.
Può sembrare un’esagerazione, ma è la verità. Se diamo fede alle parole di Gesù, Dio è felice, come il padre che accoglie il figlio perduto, quando è in grado di offrire di nuovo casa e beni a chi, per averlo abbandonato e aver sperperato i suoi averi, si riconosce indegno di Lui. La pecora che è andata fuori strada non ha ricevuto alcun maltrattamento dal pastore, dopo essere stata trovata; e una volta ritrovata, la moneta perduta è tornata di nuovo a far parte del capitale della donna; tornato a casa, il figliol prodigo ha incontrato l’amore del Padre e il suo impegno a tenere un banchetto. Ancora più sorprendente di questa voglia di festa che ha Dio, è che sia la conversione di un solo peccatore che la produce; risulta più sorprendente che molti giusti, che non hanno bisogno di ritornare a Dio perché erano sempre con Lui, non gli causano tanta gioia, come un peccatore che ritorna a Lui.
Sembra che Dio ricompensi la fedeltà con la tristezza e il peccato con la gioia. Non è così, in realtà; chi non si è mai perduto, non gli ha mai dato pena né preoccupazione; e per questo non gli daranno nemmeno la gioia di recuperarli. Ma non si può evitare la conclusione che, secondo Gesù, la gioia che Dio sente quando torna a Lui un solo peccatore è sempre più grande del dolore che ha provato quando l’ha perso. I giusti non causano tanta gioia; o meglio, non danno alcuna gioia a Dio, perché prima non gli hanno causato alcun dolore. Ma il peccatore, come il figlio che ha spezzato il cuore del padre che impoverì quando lo ha abbandonato, è capace di rallegrare Dio. Non c’è peccato abbastanza grave né mancanza troppo vergognosa che possa impedirci di tornare a Dio per restituirgli la gioia; se tornando a Dio, qualunque siano state le cause del nostro abbandono, gli restituiamo la gioia, perché non siamo già di ritorno a Lui? Non ci ringrazierà Dio quando gli daremo un momento di felicità? Potremmo mai noi, che abbiamo peccato, sognare una cosa simile all’essere causa della felicità di Dio? Sembri giusto o no, chi non è mai andato via non può restituire la gioia a chi non l’ha mai perso. Il Dio di Gesù, come il pastore, la donna, il padre dei due figli, riscopre la gioia di vivere quando trova quello che gli è mancato. Non è questa una buona, stupenda ragione per dedicare tutta la vita a promuovere la gioia di Dio riportando a lui i suoi figli perduti?
Gesù, che conosceva il modo d’essere di Dio e di come farlo contento, andava ad incontrare tutti coloro che avevano perduto Dio e così farlo felice. La gioia che Dio sente nel recuperare quello che gli appartiene, spinge chi lo sa, a cercare la compagnia di coloro che Dio si rammarica di non aver ancora con sé; sentendo la loro mancanza, Dio non li dà mai per perduti; soffrendo per la loro assenza, non li dimentica mai. E’ Dio che recupera quando perdona il peccato: recupera i suoi beni e la gioia perduta. Proprio perché Gesù conosceva la gioia che un peccatore provoca al cuore di Dio, si dedicò a promuovere le conversioni. Se qualcuno di noi si considera già buono, e non può dare a Dio la gioia del rincontro perché non l’ha abbandonato, potrebbe impegnarsi, come ha fatto Gesù, ad incoraggiare i peccatori del proprio ambiente a tornare al loro Dio e ridargli la gioia che sente dando il perdono. Sarebbe un’occupazione che meriterebbe la pena esercitare, anche se dovesse causare scandalo.
E un’ultima, breve e importante, annotazione. Il discorso di Gesù non finisce bene. Non sapremo mai se il figlio maggiore entrò a casa e se ha partecipato della gioia del Padre. Non sappiamo, quindi, se il padre, alla fine, ha perso il figlio che non era mai andato via. Coloro che si credono ‘buoni’ corrono questo pericolo: servire sempre Dio come servitori fedeli, non conoscere la gioia di essere con lui a casa, non riconoscere come fratello il figlio del proprio padre… E se non accettano la gioia di recuperare il fratello, finiscono per « rubare » a Dio la sua gioia e la sua paternità. Alla fine dipende dal ‘buono’ che il padre continui ad avere due figli ….

 JUAN JOSE BARTOLOME sdb

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