BRANO BIBLICO SCELTO – 1 TESSALONICESI 5,16-24
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BRANO BIBLICO SCELTO – 1 TESSALONICESI 5,16-24
Fratelli, 16 state sempre lieti, 17 pregate incessantemente, 18 in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.
19 Non spegnete lo Spirito, 20 non disprezzate le profezie; 21 esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.
25 Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. 26 Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!
COMMENTO
1 Tessalonicesi 5,16-24
Preghiera e servizio nello Spirito
La lettera ai cristiani di Tessalonica è stata scritta da Paolo, durante il suo secondo viaggio missionario, poco dopo aver raggiunto Corinto (verso il 52). Essa si apre con un breve prescritto (1,1) a cui fa seguito un lungo ringraziamento (1,2-3,13); vengono poi alcune direttive su temi specifici di vita cristiana (4,1-5,24), seguite dal postscritto (5,25-28). Il testo liturgico fa parte delle esortazioni che concludono le direttive su temi specifici (5,12-24). Dopo aver raccomandato ai tessalonicesi di avere rispetto per i responsabili della comunità, di correggere gli indisciplinati e incoraggiare i deboli, di non rendere male per bene (cfr. vv. 12-15), Paolo fa prima tre esortazioni generali (vv. 16-18), poi mette in guardia i destinatari da errori circa l’uso dei carismi (vv. 19-22) e infine li esorta alla perfezione (vv. 23-24).
e tre esortazioni generali riguardano rispettivamente la gioia, la preghiera e il ringraziamento Anzitutto Paolo invita i tessalonicesi alla gioia (chairete) (v. 16). Già precedentemente aveva motivato il suo ringraziamento iniziale appellandosi alla gioia con cui essi, benché pressati da ostilità e avversità, avevano accolto l’annunzio evangelico (cfr. 1,6). Ora li esorta a far sì che questa gioia non venga mai meno, neppure in futuro. Con la gioia deve andare di pari passo una preghiera continua (adialeiptôs) (v. 17). Infine raccomanda loro il ringraziamento «in ogni cosa» (en panti) (v. 18). Lo sguardo rivolto a Dio nella preghiera per impetrare i suoi doni è lo stesso con cui i tessalonicesi devono saper riconoscere con gratitudine la sua presenza benefica in tutti i risvolti della loro vita.
In secondo luogo l’apostolo focalizza la sua attenzione sulle manifestazioni carismatiche della chiesa. Egli si esprime con due imperativi: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate i doni della profezia» (vv 19-20). Dal suo modo di esprimersi sembra che Paolo non si limiti a mettere in guardia circa un pericolo possibile, ma esorti a interrompere un comportamento deviante già in atto. È probabile che nella comunità di Tessalonica si fosse già verificata una non meglio precisata diffidenza e repressione nei confronti dello slancio profetico suscitato dallo Spirito. La parola viva del profeta, che individua i segni dei tempi e sollecita i credenti a una fedeltà concreta e attuale (cfr. 1Cor 14,3), non deve essere soppressa neppure quando può non fare comodo agli ascoltatori.
D’altra parte però l’apostolo, sapendo che in questo campo si possono commettere errori o prendere abbagli, esorta: «Esaminate (dokimazete) ogni cosa, tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni specie di male» (vv. 21-22). Nessuna preclusione aprioristica dunque, ma neppure indiscriminata accettazione di ciò che viene proposto, bensì una saggia verifica per fare ciò che è bene e astenersi da ogni male. Anche il profeta deve sapersi mettere in questione e dimostrare la bontà dei suoi interventi (cfr. 1Cor 14,32-33).
Infine Paolo pronunzia una preghiera di supplica (vv 23-24) con la quale conclude la seconda parte della lettera così come aveva già terminato la prima (cfr. 3,11-13). Egli si rivolge al Dio della pace perché porti a compimento nei destinatari la sua opera santificatrice, e questo in vista del giorno ultimo della venuta di Cristo. Bisogna che essi possano presentarsi al suo tribunale con le carte in regola, puri da ogni compromesso con il male. Per esprimere la totalità della persona il testo parla di «spirito, anima e corpo». Questa espressione fa pensare alla visione filosofica greca secondo la quale l’uomo è composto di tre principi, la vita superiore (lo spirito), la vita inferiore (anima), la dimensione materiale (il corpo). Sembra però che si tratti solo di un’imitazione del modo di dire greco, che nulla toglie alla concezione biblica, che punta sempre sulla totalità dell’essere umano. La preghiera termina con un riferimento alla fedeltà di Dio: «Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!» (v. 24). La fiducia dei credenti non ha nulla da spartire con la spavalda sicurezza di chi confida nelle proprie risorse, ma si basa unicamente sulla affidabilità del Padre.
Linee interpretative
La gioia rappresenta una dimensione importante della vita cristiana. Essa non consiste in una vana esaltazione, ma nella sensazione profonda di pace che accompagna la scoperta del senso della propria vita. Questa gioia trova la sua fonte nella preghiera, perché solo nel rapporto con Dio si capisce a fondo se stessi e gli altri. Il fatto che l’apostolo insista su una preghiera incessante fa comprendere che essa non consiste nella recita di formule, ma in uno stare davanti a Dio, con la percezione costante del suo progetto e delle sue manifestazioni nella storia. La preghiera serve soprattutto a cogliere il senso del Mistero e a orientare le scelte fondamentali della vita. Perciò essa deve essere continua.
Accanto alla preghiera Paolo raccomanda una grande apertura ai doni dello Spirito, che agisce soprattutto mediante l’esercizio della profezia. Sono proprio i profeti che tengono desti nella comunità i valori evangelici e stimolano i fratelli a vivere in piena sintonia con essi. Dai profeti viene anche la possibilità di incarnare il messaggio nella vita quotidiana. La mancanza di una dimensione profetica rischia di appiattire la comunità e di trasformarla in un club di amici senza alcun impatto sul mondo circostante. Certo non manca mai il rischio che sorgano falsi profeti, i quali possono portare la comunità su strade sbagliate. La vigilanza è dunque necessaria. Tutta la comunità deve reagire attivamente alle stimolazioni dei profeti, senza mai dare per scontata l’attendibilità evangelica dei loro messaggi. Nulla è più lontano dalla mentalità di Paolo di una comunità che si lascia trascinare inconsciamente da pochi scalmanati. Ma allo stesso modo egli rifugge dall’idea di un gruppo talmente istituzionalizzato da non saper più cogliere le sfide di un mondo che cambia
