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IL SITO NICODEMO – COLOSSESI 3,1-5.9-11
Fratelli, 1 se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2 pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3 Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4 Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. 5 Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria. 9 Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni 10 e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11 Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
COMMENTO Colossesi 3,1-11 La risurrezione anticipata dei credenti L’esordio dello scritto ai Colossesi (Col 1,1-23) termina con una enunciazione dei temi che l’autore intende trattare. Essi sono: l’opera di Cristo per la santità dei credenti, la fedeltà al vangelo ricevuto, il vangelo annunziato da Paolo (cfr. 1,21-23). L’ultimo di questi temi è quello trattato per primo (1,24 – 2,5). Successivamente l’autore affronta il secondo tema, che riguarda la fedeltà al vangelo (2,6-23) e infine si concentra sull’opera di Cristo a vantaggio dei credenti (3,1 – 4,1). Il testo liturgico riprende la prima parte di questo terzo sviluppo. Esso si divide in tre parti: l’opera di Cristo nei credenti (vv. 1-4); ammonizioni (vv. 5-9a); invito a rivestirsi dell’uomo nuovo (vv. 9b-11).
L’opera di Cristo nei credenti (vv. 1-4) Nella parte precedente della lettera l’autore ha criticato le teorie che mettono a rischio la fedeltà al vangelo, esortando i suoi lettori ad abbandonare le false dottrine che vengono loro proposte. Esse inculcano la sottomissione gli elementi di questo mondo, ai quali i colossesi devono ritenersi ormai morti. Questa morte però prelude a una vita nuova, che essi hanno già ottenuto: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (vv. 1-2). La risurrezione dai morti non è più vista da questo autore come un evento escatologico, collegato con il ritorno di Gesù, ma come una realtà già realizzata. Con Cristo, anche i credenti in lui sono già risorti, godono la stessa vita nuova di cui egli è entrato in possesso mediante la sua risurrezione e ascensione al cielo. È questa una convinzione tipica della seconda generazione cristiana, per la quale la parusia è vista ormai come un evento che si perde nella notte dei tempi, ma che ha già avuto una realizzazione anticipata mediante l’associazione del credente a Cristo. Proprio per questo motivo i credenti devono considerarsi come già risorti con Cristo e sono invitati a cercare anche loro le cose di lassù, cioè quelle che stanno a cuore a Cristo nella sua nuova situazione di Messia intronizzato alla destra del Padre. Su di esse essi devono concentrare il loro pensiero, non sulle cose della terra. La situazione di morte e di vita tipica dei credenti in Cristo viene poi ulteriormente specificata con queste parole: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» (v. 3). Ciò che è visibile per il momento è solo la loro morte, perché la loro nuova vita, in quanto partecipazione alla vita di Cristo in Dio, non è visibile agli occhi del corpo. Ma «quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (v. 4). L’utore ha già spiegato che la risurrezione dei morti non avrà luogo al momento del ritorno di Gesù, ma è già avvenuta. Tuttavia egli sottolinea che solo quando egli verrà, la loro nuova vita sarà manifestata, in quanto anch’essi parteciperanno alla sua gloria.
Ammonizioni (vv. 5-9a) Nonostante siano già morti e risuscitati con Cristo, i credenti devono ancora portare a termine il loro passaggio attraverso la morte, senza del quale non possono ottenere pienamente la nuova vita in Cristo. L’ammonizione viene divisa in due parti, separate da un inciso riguardante il passato dei colossesi. Anzitutto l’autore scrive: «Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; a motivo di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono» (vv. 5-6). In contrasto con le cose di lassù, le cose che appartengono alla terra si identificano con una serie di cinque vizi che rappresentano altrettante disobbedienze alla volontà di Dio e attirano la sua ira su quelli che li praticano. In questo piccolo catalogo sono elencati soltanto atteggiamenti interiori. Il primo è l’impurità (porneia), cioè l’inclinazione a trasgredire la volontà di Dio in campo sessuale. Essa si accompagna con l’immoralità (akatharsia, che di per se indica l’impurità rituale), la passione (pathos), cioè l’impulso incontrollato verso il male, il desiderio (epithymia) cattivo, quello cioè proibito dall’ultimo comandamento del decalogo, e infine l’avarizia (pleonexia), che viene bollata come una forma di idolatria. Dopo questo primo elenco, l’autore si ferma per osservare che «anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi» (v. 7). Questi vizi fanno parte del tipo di vita che era proprio dei colossesi prima della loro adesione a Cristo. Naturalmente si tratta di un giudizio sommario, il cui scopo non è quello di squalificare la vita precedente dei colossesi, ma di fare apprezzare per contrasto la nuova vita data da Cristo. Riprende l’esortazione, che riguarda di nuovo una serie di vizi: «Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca. Non dite menzogne gli uni agli altri» (vv. 8-9). Anche questa volta si tratta di cinque vizi, ai quali è stato aggiunto un divieto. Diversamente dai precedenti però questi vizi riguardano non processi interiori, ma azioni esterne. La prima è l’ira (orghê), che indica la reazione violenta nei confronti degli altri. Viene poi l’animosità (thymon), la cattiveria (kakia), gli insulti (blasphêmia) e i discorsi osceni (aischrologia). Infine i colossesi vengono messi in guardia dal ricorso alla menzogna nei loro rapporti vicendevoli. È chiaro che si tratta di vizi che rendono impossibile la vita comunitaria, perché provocano reazioni violente e incontrollate verso gli altri membri della comunità.
Invito a rivestirsi dell’uomo nuovo (vv. 9b-11) Dopo l’esortazione a far morire le cose di quaggiù, l’autore ritorna a sottolineare quello che i credenti sono già diventati: «Vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato (vv. 9b-10). L’uomo vecchio è quello che si lascia ancora trascinare dai vizi di cui l’autore ha appena parlato. I colossesi devono liberarsi da esso se vogliono essere uomini nuovi. Si suggerisce però che questo stato non è raggiunto una volta per tutte, ma deve continuamente ricercato, puntando a una conoscenza sempre più approfondita di Dio per diventare simili a lui. La vita cristiana si distingue dunque per il suo dinamismo interno, che porta ad approfondire sempre più il rapporto con Dio. Questa crescita nella fede ha una conseguenza comunitaria: «Qui non vi è greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti» (v. 11). Questo testo è ricalcato su Gal 3,18, dal quale però si distingue per il fatto che è caduto il binomio uomo-donna e a esso è sostituito barbaro-scita, in cui la polarizzazione non è più evidente, in quanto gli sciti facevano parte dei barbari. La scomparsa del binomio uomo-donna mostra chiaramente che nella seconda generazione cristiana i rapporti di genere venivano ormai visti di nuovo alla luce dei costumi ambientali. Il fatto che Cristo sia tutto in tutti significa che l’uguaglianza raccomandata da questo testo riguarda direttamente la comunità e non la società civile.
Linee interpretative In questo testo, come in altri dello stesso scritto, si può percepire l’intento di convincere i lettori che non è più necessario aspettare con impazienza la realizzazione degli eventi escatologici. Infatti la risurrezione, che avrebbe dovuto realizzarsi con il ritorno di Gesù, si è già attuata per coloro che, mediante la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Gesù, sono diventati un’unica cosa con lui. Negli ultimi tempi ci sarà solo la piena manifestazione della vita nuova già conseguita dal credente. Ciò comporta che ciascuno deve essere fin d’ora quello che un giorno apparirà in tutta la sua gloria. In questa prospettiva l’impegno a vivere una vita santa è subordinato all’accettazione del dono di Dio. Per questo si dice che l’indicativo precede l’imperativo. Sullo sfondo del brano si percepisce una forte esperienza comunitaria, che si basa però su un cammino sincero di crescita personale. I vizi nei confronti dei quali il credente viene messo in guardia sono anzitutto atteggiamenti interiori di egoismo e di desideri terreni. Ma il superamento di questi impulsi è in funzione dei rapporti con gli altri, che presuppongono il l’eliminazione dell’ira e di tutto quanto implica una mancanza di rispetto nei loro confronti. Nella comunità, l’ideale da raggiungere è l’unità, che presuppone la rimozione di tutte le barriere che dividono le persone in vista di una vera uguaglianza. Questa unità sarà un giorno la prerogativa dell’umanità rinnovata. Essa però deve essere anticipata nella vita della comunità, che diventa così un segno efficace della potenza di Dio che opera nella storia umana.