III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ENZO BIANCHI

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III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ENZO BIANCHI

Ognuno di noi, soprattutto se anziano ma non colpito da demenza senile, va sovente con i suoi ricordi al passato, in particolare a quello che è stato l’inizio, il cominciare di una vicenda, di un amore che lo ha segnato per tutta la vita. Anche il cristiano fa questa operazione di cercare nel passato, quasi per riviverla, l’ora della conversione; o meglio, per moltissimi l’ora della vocazione, quando si è diventati consapevoli con il cuore che forse ci era rivolto un monito, che forse il Signore voleva che fossimo coinvolti nella sua vita più di quanto lo eravamo stati fino ad allora. Noi la chiamiamo, appunto, ora della vocazione.
La pagina del vangelo di questa domenica vuole essere proprio un racconto di vocazione in cui può specchiarsi chi predispone tutto per ascoltare la chiamata di Gesù, oppure può essere l’occasione per ricordarla come un evento del passato, che può avere ancora o non avere più forza, addirittura significato. Gesù torna in Galilea, la terra della sua infanzia, per iniziare a proclamare un messaggio che sentiva dentro di sé come una missione da parte di Dio Padre. Incomincia questa vita di predicazione e di itineranza dopo che Giovanni, il suo rabbi, il suo maestro, colui che lo ha educato nella vita conforme all’alleanza con Dio e lo ha anche immerso nelle acque del Giordano (cf. Mc 1,9), è stato messo in prigione da Erode. È la fine di chi è profeta, e Gesù subito se la trova davanti come necessitas umana: se egli continuerà sulla strada del suo maestro, prima o poi conoscerà la persecuzione e la morte violenta.
Gesù inizia a proclamare la buona notizia, il Vangelo di Dio, nella consapevolezza che il tempo della preparazione, per Israele tempo dell’attesa dei profeti, che il tempo della pazienza di Dio ha raggiunto il suo compimento, come il tempo di una donna gravida. Alla fine della gravidanza c’è il parto, e così Gesù annuncia: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Ecco la sintesi della sua predicazione: c’è l’inizio di un tempo nuovo in cui è possibile far regnare Dio nella vita degli uomini; affinché questo avvenga occorre convertirsi, ritornare a Dio, e poi credere alla buona notizia che è la presenza e la parola di Gesù stesso. Sì, è solo un versetto che dice questa novità, eppure è l’inizio di un tempo che dura ancora oggi e qui: è possibile che Dio regni su di me, su di te, su di noi, e così avviene che il regno di Dio è venuto.
Di fronte a questa gioiosa notizia, ma anche a questa nuova possibilità offerta dalla presenza di Gesù, ci siamo noi uomini e donne, che ancora oggi ascoltiamo il Vangelo. Che cosa facciamo? Come reagiamo? Stiamo forse vivendo quotidianamente, intenti al nostro lavoro, alla nostra occupazione quotidiana per guadagnarci da vivere, poco importa quale sia; oppure siamo in un momento di pausa; oppure siamo con altri a discorrere… Non c’è un’ora prestabilita: di colpo nel nostro cuore, senza che gli altri si accorgano di nulla, si accende una fiammella. “Chissà? Chissà se sento una voce? Riuscirò a rispondere ‘sì’? Sarà per me questa voce che mi chiama ad andare? Dove? A seguire chi? Gesù? E come faccio? Sarà possibile?”. Tante domande che si intersecano, che svaniscono e ritornano, ma se sono ascoltate con attenzione allora può darsi che in esse si ascolti una voce più profonda di noi stessi, una voce che vien da un aldilà di noi stessi, eppure attraverso noi stessi: la voce del Signore Gesù! È così che inizia un rapporto tra ciascuno di noi e lui, sì, lui, il Signore, presenza invisibile ma viva, presenza che non parla in modo sonoro ma attrae…
Qui nel vangelo secondo Marco questo processo di vocazione è sintetizzato e per così dire stilizzato dall’autore, che narra solo l’essenziale: Gesù passa, vede e chiama; qualcuno ascolta e prende sul serio la sua parola “Seguimi!” e si coinvolge nella sua vita. È ciò che è vero per tutti ed è inutile dire di più: sarebbe solo un inseguire processi psicologici… Ma l’essenziale è stato detto, una volta per tutte: accolta la vocazione, si abbandonano le reti, cioè il mestiere, si abbandonano il padre e la barca, cioè l’impresa famigliare, e così ci si spoglia e si segue Gesù.
Attenzione però: la vocazione è un’avventura piena di grandezza ma anche di miseria! Per comprenderlo, è sufficiente seguire nei vangeli la vicenda di questi primi quattro chiamati. Il primo, Pietro, sul quale Gesù aveva riposto molta fiducia, vivendo vicino a lui spesso non capisce nulla di lui (cf. Mc 8,32; Mt 16,22), al punto che Gesù è costretto a chiamarlo “Satana” (Mc 8,33; Mt 16,23); a volte è distante da Gesù fino a contraddirlo (cf. Gv 13,8); a volte lo abbandona per dormire (cf. Mc 14,37-41 e par.); e infine lo rinnega, dice di conoscere se stesso e di non avere mai conosciuto Gesù (cf. Mc 14,66-72 e par.; Gv 18,17.25-27). Andrea, Giacomo e Giovanni in molte situazioni non capiscono Gesù, lo fraintendono e non conoscono il suo cuore; i due figli di Zebedeo, in particolare, sono rimproverati aspramente da Gesù quando invocano un fuoco dal cielo per punire chi non li ha accolti (cf. Lc 9,54-55); e sempre essi, al Getsemani, dormono insieme a Pietro. Ma c’è di più, e Marco lo sottolinea in modo implacabile: coloro che qui, “abbandonato tutto seguirono Gesù”, nell’ora della passione, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50)…
Povera sequela! Sì, la mia sequela, la tua sequela, caro lettore. Non abbiamo davvero molto di cui vantarci… Dobbiamo solo invocare da parte di Dio tanta misericordia e ringraziarlo perché, nonostante tutto, stiamo ancora dietro a Gesù e tentiamo ancora, giorno dopo giorno, di vivere con lui.

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Publié dans : OMELIE PREDICH, DISCORSI E...♥♥♥ | le 22 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

« Ci trattarono con gentilezza » Atti 28,2

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Publié dans : immagini sacre | le 20 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 20 GENNAIO 2021 – LA PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

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PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 20 GENNAIO 2021 – LA PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

Biblioteca del Palazzo Apostolico

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa catechesi mi soffermerò sulla preghiera per l’unità dei cristiani. Infatti, la settimana che va dal 18 al 25 gennaio è dedicata in particolare a questo, a invocare da Dio il dono dell’unità per superare lo scandalo delle divisioni tra i credenti in Gesù. Egli, dopo l’Ultima Cena, ha pregato per i suoi, «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). È la sua preghiera prima della Passione, potremmo dire il suo testamento spirituale. Notiamo, però, che il Signore non ha comandato ai discepoli l’unità. Nemmeno ha tenuto loro un discorso per motivarne l’esigenza. No, ha pregato il Padre per noi, perché fossimo una cosa sola. Ciò significa che non bastiamo noi, con le nostre forze, a realizzare l’unità. L’unità è anzitutto un dono, è una grazia da chiedere con la preghiera.
Ciascuno di noi ne ha bisogno. Infatti, ci accorgiamo che non siamo capaci di custodire l’unità neppure in noi stessi. Anche l’apostolo Paolo sentiva dentro di sé un conflitto lacerante: volere il bene ed essere inclinato al male (cfr Rm 7,19). Aveva così colto che la radice di tante divisioni che ci sono attorno a noi – tra le persone, in famiglia, nella società, tra i popoli e pure tra i credenti – è dentro di noi. Il Concilio Vaticano II afferma che «gli squilibri di cui soffre il mondo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. […] Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società» (Gaudium et spes, 10). Dunque, la soluzione alle divisioni non è opporsi a qualcuno, perché la discordia genera altra discordia. Il vero rimedio comincia dal chiedere a Dio la pace, la riconciliazione, l’unità.
Questo vale prima di tutto per i cristiani: l’unità può giungere solo come frutto della preghiera. Gli sforzi diplomatici e i dialoghi accademici non bastano. Gesù lo sapeva e ci ha aperto la via, pregando. La nostra preghiera per l’unità è così un’umile ma fiduciosa partecipazione alla preghiera del Signore, il quale ha promesso che ogni preghiera fatta nel suo nome sarà ascoltata dal Padre (cfr Gv 15,7). A questo punto possiamo chiederci: “Io prego per l’unità?”. È la volontà di Gesù ma, se passiamo in rassegna le intenzioni per cui preghiamo, probabilmente ci accorgeremo di aver pregato poco, forse mai, per l’unità dei cristiani. Eppure da essa dipende la fede nel mondo; il Signore infatti ha chiesto l’unità tra noi «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Il mondo non crederà perché lo convinceremo con buoni argomenti, ma se avremo testimoniato l’amore che ci unisce e ci fa vicini a tutti.
In questo tempo di gravi disagi è ancora più necessaria la preghiera perché l’unità prevalga sui conflitti. È urgente accantonare i particolarismi per favorire il bene comune, e per questo è fondamentale il nostro buon esempio: è essenziale che i cristiani proseguano il cammino verso l’unità piena, visibile. Negli ultimi decenni, grazie a Dio, sono stati fatti molti passi in avanti, ma occorre perseverare nell’amore e nella preghiera, senza sfiducia e senza stancarsi. È un percorso che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, nei cristiani e in tutti noi, e dal quale non torneremo più indietro. Sempre avanti!
Pregare significa lottare per l’unità. Sì, lottare, perché il nostro nemico, il diavolo, come dice la parola stessa, è il divisore. Gesù chiede l’unità nello Spirito Santo, a fare unità. Il diavolo sempre divide, perché è conveniente per lui dividere. Lui insinua la divisione, ovunque e in tutti i modi, mentre lo Spirito Santo fa sempre convergere in unità. Il diavolo, in genere, non ci tenta sull’alta teologia, ma sulle debolezze dei fratelli. È astuto: ingigantisce gli sbagli e i difetti altrui, semina discordia, provoca la critica e crea fazioni. La via di Dio è un’altra: ci prende come siamo, ci ama tanto, ma ci ama come siamo e ci prende come siamo; ci prende differenti, ci prende peccatori, e sempre ci spinge all’unità. Possiamo fare una verifica su noi stessi e chiederci se, nei luoghi in cui viviamo, alimentiamo la conflittualità o lottiamo per far crescere l’unità con gli strumenti che Dio ci ha dato: la preghiera e l’amore. Invece alimentare la conflittualità si fa con il chiacchiericcio, sempre, sparlando degli altri. Il chiacchiericcio è l’arma più alla mano che ha il diavolo per dividere la comunità cristiana, per dividere la famiglia, per dividere gli amici, per dividere sempre. Lo Spirito Santo ci ispira sempre l’unità.
Il tema di questa Settimana di preghiera riguarda proprio l’amore: “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Gv 15,5-9). La radice della comunione è l’amore di Cristo, che ci fa superare i pregiudizi per vedere nell’altro un fratello e una sorella da amare sempre. Allora scopriamo che i cristiani di altre confessioni, con le loro tradizioni, con la loro storia, sono doni di Dio, sono doni presenti nei territori delle nostre comunità diocesane e parrocchiali. Cominciamo a pregare per loro e, quando possibile, con loro. Così impareremo ad amarli e ad apprezzarli. La preghiera, ricorda il Concilio, è l’anima di tutto il movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio, 8). Sia pertanto, la preghiera, il punto di partenza per aiutare Gesù a realizzare il suo sogno: che tutti siano una cosa sola.

 

Publié dans : PAPA FRANCESCO CATECHESI | le 20 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

« Venite e vedrete »

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Publié dans : immagini sacre | le 15 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – CHE COSA CERCATE? – ENZO BIANCHI

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II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – CHE COSA CERCATE? – ENZO BIANCHI

Ecco la dinamica del nostro incontro con il Signore: cercare, seguire, dimorare. Queste sono anche le attitudini essenziali per conoscere e vivere l’amore. L’amore è cercato dal desiderio, deve essere seguito su cammini a volte faticosi e pieni di contraddizioni, ma, se lo si segue, alla fine lo si conosce e in esso si resta, si dimora.
Dopo il solenne prologo (cf. Gv 1,1-18), il quarto vangelo inizia il suo racconto presentando la settimana inaugurale della vita pubblica di Gesù (cf. Gv 1,19-2,12), quei giorni nei quali Gesù ha incominciato ad apparire come un rabbi predicatore. In quel momento, a circa trent’anni, Gesù era un discepolo del profeta Giovanni il Battista e viveva con lui e altri discepoli nei territori intorno al Giordano, là dove il fiume sfocia nel mar Morto.
Ebbene, cosa accade? C’è un primo giorno in cui una delegazione di sacerdoti viene da Gerusalemme nel deserto per interrogare Giovanni sulla sua identità (cf. Gv 1,19-28); segue un secondo giorno (cf. Gv 1,29-34) in cui il Battista indica il suo discepolo come “Servo” oppure “Agnello di Dio” (l’aramaico talja’ può rivestire entrambi questi significati). Il terzo giorno – quello narrato dal brano evangelico odierno – Giovanni indica Gesù a due suoi discepoli, Andrea e il discepolo amato, invitandoli a seguirlo. Il quarto giorno è Gesù stesso a chiamare dietro a sé altri due discepoli, Filippo e Natanaele (cf. Gv 1,43-51).
Ormai dunque Gesù ha una comunità, come uno sposo ha una sposa, e inizia una vicenda di comunione di vita e di azione. Gesù “ha trovato casa”, nel senso che “ha famiglia”, e per questo “tre giorni dopo” (Gv 2,1), dunque nel settimo giorno, a Cana si celebrano le nozze, si beve il vino abbondante del Regno”: “Gesù fece vedere la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,12). Le nozze messianiche tra il Messia e la sua comunità sono state celebrate, e così inizia una nuova storia di salvezza, una nuova creazione. Potremmo dire che con questo primo capitolo il quarto vangelo mette in scena Gesù ormai adulto, che inizia la sua missione, non da solo ma con la sua comunità. Ma in questi racconti vi sono alcune parole sulle quali possiamo sostare e meditare.
Giovanni è un maestro riconosciuto e affermato, ha dei discepoli attorno a sé, è ritenuto un profeta, e dopo un silenzio durato alcuni secoli in lui la voce profetica torna a risuonare. È un maestro tra i tanti ai quali si faceva riferimento in un tempo carico di attese escatologiche e messianiche: si pensi alla comunità essenica di Qumran, alla vita di quegli uomini e donne che si impegnavano in un ritorno a Dio, cioè in una conversione, e attendevamo il suo Giorno. Ma ecco venire una pienezza del tempo, un tempo che si compie, e in quel kairós, “tempo maturato e opportuno”, la parola di Dio echeggia attraverso le parole del Battista. Egli annuncia che tra i suoi discepoli c’è una presenza non ancora conosciuta dagli altri (cf. Gv 1,26), la presenza di un uomo che, pur seguendo lo stesso Giovanni come discepolo (cf. Gv 1,27: opíso mou), è più grande di lui, al punto che egli si dice indegno di slegargli il laccio dei sandali. Giovanni va però oltre a questo annuncio e a due discepoli indica colui del quale ha parlato, definendolo Agnello-Servo di Dio. Questi due discepoli per primi intraprendono un esodo, lasciano Giovanni per seguire Gesù. Si mettono sulle sue tracce, nel deserto; Gesù allora si volta e, guardandoli negli occhi, chiede loro: “Che cosa cercate?”.
È la sua prima parola nel quarto vangelo, sotto forma di domanda, un interrogativo che Gesù rivolge ancora oggi a te, lettore del vangelo: “Che cosa cerchi? Qual è il tuo desiderio?”. È straordinario, Gesù non fa un’affermazione, una dichiarazione, come verrebbe spontaneo a tanti ecclesiastici abituati sempre e solo ad affermare, ma pone una domanda: “Cercate qualcosa? E che cosa?”. Così chi si mette sulle tracce di Gesù deve cercare di rispondere innanzitutto a questa domanda, deve cercare di conoscere il proprio cuore, di leggerlo e scrutarlo, in modo da essere consapevole di ciò che desidera e cerca. Pensiamoci, ma solo quando accogliamo o ci facciamo domande contraddiciamo la chiusura che ci stringe, e ci apriamo. L’emergere e il suono di una domanda vera sono come la grazia che viene e apre, anzi a volte scardina…
Ma la ricerca, quando è assunta e consapevole, chiede di muoverci, di fare un movimento, di andare, cioè di seguire chi ha suscitato la domanda: “Venite e vedrete”, come Gesù risponde alla contro-domanda dei due: “Rabbi, dove dimori (verbo ménein)?”. Seguendo si fa cammino dietro a Gesù e si arriva dove lui sta, dimora. E dove lui dimora, il chiamato, diventato discepolo, può dimorare, restare, abitare, sentirsi a casa. Ecco la dinamica del nostro incontro con il Signore: cercare, seguire, dimorare. Queste sono anche le attitudini essenziali per conoscere e vivere l’amore. L’amore è cercato dal desiderio, deve essere seguito su cammini a volte faticosi e pieni di contraddizioni, ma, se lo si segue, alla fine lo si conosce e in esso si resta, si dimora. Il vero amore è un abitare nell’amore dato e ricevuto.
Quel giorno in cui i primi discepoli hanno cercato Gesù, lo hanno seguito e sono restati presso di lui, è stato decisivo per tutta la loro vita, che da quel momento in poi non è stata altro che un cercare Gesù, un seguirlo e un cercare di vivere con lui, perseveranti con lui: è la vita cristiana! Davanti al discepolo c’è sempre e solo un Agnello, un Servo, in ogni caso una creatura mite, inoffensiva, che “porta” (cf. Gv 1,29) i pesi degli altri e non li mette sulle spalle degli altri; c’è qualcuno che dà la propria vita, spende la propria vita e la offre in sacrificio.

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Battesimo del Signore – Guido Reni

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DOMENICA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE – TU SEI MIO FIGLIO. – COMMENTO AL VANGELO DI ENZO BIANCHI.

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DOMENICA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE – TU SEI MIO FIGLIO. – COMMENTO AL VANGELO DI ENZO BIANCHI.

Con questa domenica si conclude il tempo di Natale, il tempo delle manifestazioni-epifanie del Signore Gesù, venuto al mondo in mezzo a noi nascendo da Maria, come uomo che solo Dio suo Padre ci poteva dare. Questa dunque è la manifestazione di Gesù ai discepoli e a quanti erano impegnati in un cammino di “ritorno” a Dio, di conversione, sotto la spinta della predicazione del profeta Giovanni.
Gesù, chiamato il galileo, viene al Giordano per essere immerso anche lui nelle acque di quel fiume, il fiume che discende. Siamo così posti di fronte a un evento decisivo nella vita sia di Gesù sia del Battista: Gesù, che è un discepolo di Giovanni, che si era messo alla sequela del profeta (“dietro a me”, come precisa Giovanni), ora chiede al Battista di essere come uno di quei peccatori che in fila attendevano l’immersione, chiede di essere immerso in modo che i peccati siano inabissati nell’acqua e dall’acqua possa risorgere quale nuova creatura.
Questa scelta di Gesù deve essere sembrata così scandalosa alle prime generazioni cristiane, che solo l’evangelista Marco l’ha riportata in tutto il suo realismo: “Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni”. Matteo e Luca hanno invece cercato di attutire la realtà di questo evento. In Matteo, per esempio, Giovanni oppone resistenza alla richiesta di Gesù: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” (Mt 3,14). È vero, Gesù non ha peccati da sommergere nell’acqua, sta dietro al Battista ma è più forte di lui, che resta un uomo addirittura indegno di slegare i lacci dei suoi sandali. Gesù, inoltre, battezzerà anche lui, ma non con acqua, bensì con il fuoco dello Spirito santo… Ma a Giovanni che resiste, Gesù risponde: “Lascia ora, per noi è conveniente compiere ogni giustizia” (Mt 3,15). Gesù è un uomo libero e maturo, ha coscienza della sua missione, non vuole privilegi, ma vuole compiere, realizzare ciò che Dio gli chiede come cosa giusta: essere solidale con i peccatori che hanno bisogno dell’immersione, essere un uomo credente come tutti gli altri.
Giovanni allora si mostra profeta obbediente a un suo discepolo, Gesù, del quale però conosce la missione affidatagli da Dio. Non sappiamo se il Battista abbia compreso fino in fondo, sappiamo però che ha obbedito a questa umiliazione del Messia, a questo mutamento dell’immagine del Messia che Gesù inaugurava, quale uomo in mezzo ai suoi fratelli, spogliato di tutti i suoi privilegi. Così ecco avvenire il battesimo, l’immersione, e quando Gesù esce dalle acque del Giordano “vede squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba”. Gesù contempla lo Spirito quale “suo compagno inseparabile” (Basilio di Cesarea), che viene dal cielo, dal Padre, e lo seguirà in tutta la sua vicenda umana. E anche il Padre fa sentire la sua voce che proclama: “Tu sei mio Figlio, l’amato, in te ho posto la mia gioia” (Sal 2,7; Gen 22,2; Is 42,1), tutto il mio amore. Questa dovrebbe essere la vera domenica epifania della Trinità di Dio, che si manifesta operando: c’è l’unto, il Cristo; c’è chi lo unge, il Padre; e c’è l’unzione dello Spirito santo.
Noi lettori in ascolto di questo vangelo siamo chiamati innanzitutto ad adorare il mistero. Nella sua prima manifestazione pubblica da adulto Gesù appare come uomo in stretta comunione con Dio, il Padre, e il vincolo permanente di tale comunione è lo Spirito santo. Per questo egli riceve l’unzione profetica e messianica: “Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha unto, mi ha mandato a portare la buona notizia (il Vangelo!) ai miseri” (Is 61,1; Lc 4,18).
Dovremmo inoltre riflettere sul nostro battesimo, ricevuto in conformità a quello di Gesù. Su ciascuno di noi è risuonata la voce di Dio che ha detto: “Tu sei mio figlio, io ti amo come un figlio, cioè fedelmente, e voglio trovare compiacimento, gioia in te, in tutta la tua vita”. E lo Spirito, sceso insieme alla voce, resta in noi e ci ricorda questa parola di Dio, ci dà la forza di rispondere con tutta la nostra vita al “Ti amo come un figlio”, detto a ognuno di noi da Dio stesso. Ogni giorno, quando ci alziamo e diciamo: “Ti adoro, mio Dio … Ti ringrazio di avermi fatto cristiano”, pensando al nostro battesimo dovremmo gioire e dovremmo sentire “la voce di un silenzio trattenuto” (1Re 19,12) che nel cuore ci canta: “Tu sei mio figlio, ti amo, voglio gioire in te!”. Se sentiamo questa voce, la giornata sarà diversa, illuminata da un amore promesso e donato, e anche il sole sarà più luminoso.

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Oro, incenso e mirra!

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Publié dans : immagini sacre | le 5 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE – ANGELUS – BENEDETTO XVI – 6 gennaio 2013

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SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE – ANGELUS – BENEDETTO XVI – 6 gennaio 2013

Piazza San Pietro

Cari fratelli e sorelle!

Scusate il ritardo. Ho ordinato quattro nuovi Vescovi nella Basilica di San Pietro e il rito è durato un po’ di più. Ma celebriamo oggi soprattutto l’Epifania del Signore, la sua manifestazione alle genti, mentre numerose Chiese Orientali, secondo il calendario Giuliano, festeggiano il Natale. Questa leggera differenza, che fa sovrapporre i due momenti, pone in risalto che quel Bambino, nato nell’umiltà della grotta di Betlemme, è la luce del mondo, che orienta il cammino di tutti i popoli. E’ un accostamento che fa riflettere anche dal punto di vista della fede: da una parte, a Natale, davanti a Gesù, vediamo la fede di Maria, di Giuseppe e dei pastori; oggi, nell’Epifania, la fede dei tre Magi, venuti dall’Oriente per adorare il re dei Giudei.
La Vergine Maria, insieme con il suo sposo, rappresentano il “ceppo” di Israele, il “resto” preannunciato dai profeti, da cui doveva germogliare il Messia. I Magi rappresentano invece i popoli, e possiamo dire anche le civiltà, le culture, le religioni che sono, per così dire, in cammino verso Dio, alla ricerca del suo regno di pace, di giustizia, di verità e di libertà. C’è dapprima un nucleo, impersonato soprattutto da Maria, la «figlia di Sion»: un nucleo di Israele, il popolo che conosce e ha fede in quel Dio che si è rivelato ai Patriarchi e nel cammino della storia. Questa fede raggiunge il suo compimento in Maria, nella pienezza dei tempi; in lei, «beata perché ha creduto», il Verbo si è fatto carne, Dio è «apparso» nel mondo. La fede di Maria diventa la primizia e il modello della fede della Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza. Ma questo popolo è fin dall’inizio universale, e questo lo vediamo oggi nelle figure dei Magi, che giungono a Betlemme seguendo la luce di una stella e le indicazioni delle Sacre Scritture.
San Leone Magno afferma: «Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede» ( Discorso 3 per l’Epifania, 1: PL 54, 240). La fede di Maria può essere accostata a quella di Abramo: è il nuovo inizio della stessa promessa, dello stesso immutabile disegno di Dio, che trova ora il suo pieno compimento in Cristo Gesù. E la luce di Cristo è così limpida e forte che rende intelligibile sia il linguaggio del cosmo, sia quello delle Scritture, così che tutti coloro che, come i Magi, sono aperti alla verità possono riconoscerla e giungere a contemplare il Salvatore del mondo. Dice ancora San Leone: «Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti … Tutti i popoli… adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non solo nella Giudea, ma in tutta la terra» ( ibid.). In questa prospettiva possiamo vedere anche le Ordinazioni episcopali che ho avuto la gioia di conferire questa mattina nella Basilica di San Pietro: due dei nuovi Vescovi rimarranno al servizio della Santa Sede, e gli altri due partiranno per essere Rappresentanti Pontifici presso due Nazioni. Preghiamo per ciascuno di loro, per il loro ministero, e perché la luce di Cristo risplenda nel mondo intero.

Publié dans : Angelus Domini | le 5 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

Vangelo di domenica 3 gennaio 2021

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Publié dans : immagini sacre | le 2 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »
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