L’IMMACOLATA CONCEZIONE SPIEGATA DA BENEDETTO XVI

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L’IMMACOLATA CONCEZIONE SPIEGATA DA BENEDETTO XVI

fede e spiritualità

Cari fratelli e sorelle!

Quest’oggi celebriamo una delle feste della Beata Vergine piu’ belle e popolari: l’Immacolata Concezione. Maria non solo non ha commesso alcun peccato, ma è stata preservata persino da quella comune eredità del genere umano che è la colpa originale. E ciò a motivo della missione alla quale da sempre Dio l’ha destinata: essere la Madre del Redentore. Tutto questo è contenuto nella verità di fede dell’”Immacolata Concezione”.
Il fondamento biblico di questo dogma si trova nelle parole che l’Angelo rivolse alla fanciulla di Nazaret: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). “Piena di grazia” – nell’originale greco kecharitoméne – è il nome più bello di Maria, nome che Le ha dato Dio stesso, per indicare che è da sempre e per sempre l’amata, l’eletta, la prescelta per accogliere il dono più prezioso, Gesù, “l’amore incarnato di Dio” (Enc. Deus caritas est, 12).
Possiamo domandarci: perché, tra tutte le donne, Dio ha scelto proprio Maria di Nazaret?
La risposta è nascosta nel mistero insondabile della divina volontà. Tuttavia c’è una ragione che il Vangelo pone in evidenza: la sua umiltà. Lo sottolinea bene Dante Alighieri nell’ultimo Canto del Paradiso: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio” (Par. XXXIII, 1-3). La Vergine stessa nel “Magnificat”, il suo cantico di lode, questo dice: “L’anima mia magnifica il Signore… perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,46.48). Sì, Dio è stato attratto dall’umiltà di Maria, che ha trovato grazia ai suoi occhi (cfr Lc 1,30). E’ diventata così la Madre di Dio, immagine e modello della Chiesa, eletta tra i popoli per ricevere la benedizione del Signore e diffonderla sull’intera famiglia umana.
Questa “benedizione” non è altro che Gesù Cristo stesso. E’ Lui la Fonte della grazia, di cui Maria è stata colmata fin dal primo istante della sua esistenza. Ha accolto con fede Gesù e con amore l’ha donato al mondo. Questa è anche la nostra vocazione e la nostra missione, la vocazione e la missione della Chiesa: accogliere Cristo nella nostra vita e donarlo al mondo, “perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” (Gv 3,17).
Cari fratelli e sorelle, l’odierna festa dell’Immacolata illumina come un faro il tempo dell’Avvento, che è tempo di vigilante e fiduciosa attesa del Salvatore. Mentre avanziamo incontro a Dio che viene, guardiamo a Maria che “brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino” (Lumen gentium, 68).
Benedetto XVI

Publié dans : feste di Maria | le 7 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

Tempo di Avvento

Lanterna_Avvento_finito

Publié dans : immagini sacre | le 5 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

(TEMPO DI AVVENTO) CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA – I DOMENICA DI AVVENTO – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

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CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA – I DOMENICA DI AVVENTO – OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Sabato, 29 novembre 2008

Cari fratelli e sorelle!

Con questa liturgia vespertina, iniziamo l’itinerario di un nuovo anno liturgico, entrando nel primo dei tempi che lo compongono: l’Avvento. Nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo usa proprio questa parola: « venuta », che in greco è « parusia » e in latino « adventus » (1 Ts 5,23). Secondo la comune traduzione di questo testo, Paolo esorta i cristiani di Tessalonica a conservarsi irreprensibili « per la venuta » del Signore. Ma nel testo originale si legge « nella venuta » (e? t? pa???s?a), quasi che l’avvento del Signore fosse, più che un punto futuro del tempo, un luogo spirituale in cui camminare già nel presente, durante l’attesa, e dentro il quale appunto essere custoditi perfettamente in ogni dimensione personale. In effetti, è proprio questo che noi viviamo nella liturgia: celebrando i tempi liturgici, attualizziamo il mistero – in questo caso la venuta del Signore – in modo tale da potere, per così dire, « camminare in essa » verso la sua piena realizzazione, alla fine dei tempi, ma attingendone già la virtù santificatrice, dal momento che i tempi ultimi sono già iniziati con la morte e risurrezione di Cristo.
La parola che riassume questo particolare stato, in cui si attende qualcosa che deve manifestarsi, ma che al tempo stesso si intravede e si pregusta, è « speranza ». L’Avvento è per eccellenza la stagione spirituale della speranza, e in esso la Chiesa intera è chiamata a diventare speranza, per se stessa e per il mondo. Tutto l’organismo spirituale del Corpo mistico assume, per così dire, il « colore » della speranza. Tutto il popolo di Dio si rimette in cammino attratto da questo mistero: che il nostro Dio è « il Dio che viene » e ci chiama ad andargli incontro. In che modo? Anzitutto in quella forma universale della speranza e dell’attesa che è la preghiera, che trova la sua espressione eminente nei Salmi, parole umane in cui Dio stesso ha posto e pone continuamente sulle labbra e nei cuori dei credenti l’invocazione della sua venuta. Soffermiamoci perciò qualche istante sui due Salmi che abbiamo pregato poco fa e che sono consecutivi anche nel Libro biblico: il 141 e il 142, secondo la numerazione ebraica.
« Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; / ascolta la mia voce quando t’invoco. / Come incenso salga a te la mia preghiera, / le mie mani alzate come sacrificio della sera » (Sal 141,1-2). Così inizia il primo salmo dei primi Vespri della prima settimana del Salterio: parole che all’inizio dell’Avvento acquistano un nuovo « colore », perché lo Spirito Santo le fa risuonare in noi sempre nuovamente, nella Chiesa in cammino tra tempo di Dio e tempi degli uomini. « Signore … accorri in mio aiuto » (v. 1). E’ il grido di una persona che si sente in grave pericolo, ma è anche il grido della Chiesa fra le molteplici insidie che la circondano, che minacciano la sua santità, quell’integrità irreprensibile di cui parla l’apostolo Paolo, che deve invece essere conservata per la venuta del Signore. E in questa invocazione risuona anche il grido di tutti i giusti, di tutti coloro che vogliono resistere al male, alle seduzioni di un benessere iniquo, di piaceri offensivi della dignità umana e della condizione dei poveri. All’inizio dell’Avvento la liturgia della Chiesa fa proprio nuovamente questo grido, e lo innalza a Dio « come incenso » (v. 2). L’offerta vespertina dell’incenso è infatti simbolo della preghiera, dell’effusione dei cuori rivolti al Dio, all’Altissimo, come pure « le mani alzate come sacrificio della sera » (v. 2). Nella Chiesa non si offrono più sacrifici materiali, come avveniva anche nel tempio di Gerusalemme, ma si eleva l’offerta spirituale della preghiera, in unione a quella di Gesù Cristo, che è al tempo stesso Sacrificio e Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Nel grido del Corpo mistico, riconosciamo la voce stessa del Capo: il Figlio di Dio che ha preso su di sé le nostre prove e le nostre tentazioni, per donarci la grazia della sua vittoria.
Questa identificazione di Cristo con il Salmista è particolarmente evidente nel secondo Salmo (142). Qui, ogni parola, ogni invocazione fa pensare a Gesù nella passione, in particolare alla sua preghiera al Padre nel Getsemani. Nella sua prima venuta, con l’incarnazione, il Figlio di Dio ha voluto condividere pienamente la nostra condizione umana. Naturalmente non ha condiviso il peccato, ma per la nostra salvezza ne ha patito tutte le conseguenze. Pregando il Salmo 142, la Chiesa rivive ogni volta la grazia di questa com-passione, di questa « venuta » del Figlio di Dio nell’angoscia umana fino a toccarne il fondo. Il grido di speranza dell’Avvento esprime allora, fin dall’inizio e nel modo più forte, tutta la gravità del nostro stato, il nostro estremo bisogno di salvezza. Come dire: noi aspettiamo il Signore non alla stregua di una bella decorazione su un mondo già salvo, ma come unica via di liberazione da un pericolo mortale. E noi sappiamo che Lui stesso, il Liberatore, ha dovuto patire e morire per farci uscire da questa prigione (cfr v. 8).
Insomma, questi due Salmi ci mettono al riparo da qualsiasi tentazione di evasione e di fuga dalla realtà; ci preservano da una falsa speranza, che forse vorrebbe entrare nell’Avvento e andare verso il Natale dimenticando la drammaticità della nostra esistenza personale e collettiva. In effetti, una speranza affidabile, non ingannevole, non può che essere una speranza « pasquale », come ci ricorda ogni sabato sera il cantico della Lettera ai Filippesi, con il quale lodiamo Cristo incarnato, crocifisso, risorto e Signore universale. A Lui volgiamo lo sguardo e il cuore, in unione spirituale con la Vergine Maria, Nostra Signora dell’Avvento. Mettiamo la nostra mano nella sua ed entriamo con gioia in questo nuovo tempo di grazia che Dio regala alla sua Chiesa, per il bene dell’intera umanità. Come Maria e con il suo materno aiuto, rendiamoci docili all’azione dello Spirito Santo, perché il Dio della pace ci santifichi pienamente, e la Chiesa diventi segno e strumento di speranza per tutti gli uomini. Amen!

 

Publié dans : Tempi Liturgici: Avvento | le 5 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

Pinturicchio: Predica del Battista

it Pinturicchio predica del BATTISRTA

Publié dans : STUDI | le 4 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

II DOMENICA DI AVVENTO (B) COMMENTO – IL VANGELO RICOMINCIA SEMPRE – ENZO BIANCHI

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II DOMENICA DI AVVENTO (B) COMMENTO – IL VANGELO RICOMINCIA SEMPRE – ENZO BIANCHI

Ascoltiamo oggi i primi versetti del vangelo secondo Marco. L’evangelista così apre la sua opera: “Inizio (arché) del Vangelo di Gesù Cristo”, parallelamente all’incipit del primo libro della Bibbia, la Genesi: “All’inizio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1). Anche nel quarto vangelo troviamo come prime parole: “All’inizio era la Parola…” (Gv 1,1).
Secondo la Bibbia ci sono stati degli inizi, ci sono stati eventi che ricominciavano una storia, eventi considerati come nuove partenze, eventi che segnavano una novità. Nella storia di salvezza, la storia come Dio la legge, c’è un inizio, un ricominciare: quando Dio crea il cielo e la terra; quando la Parola di Dio inizia il suo percorso di incarnazione; quando inizia la vicenda di Gesù sulla terra; quando verrà il Signore Gesù nella gloria per darci cieli nuovi e terra nuova (cf. 2Pt 3,13; Ap 21,1)… Leggendo questa dinamica, Gregorio di Nissa afferma che anche la vita cristiana “va di inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno fine”. Io amo ripetere che il cristianesimo, il Vangelo vissuto nella carne di uomini e donne, ricomincia sempre: ancora oggi, come ieri e come domani, sempre si constaterà un rinascere, un ricominciare del Vangelo, che appare qua e là nella vita di alcuni che vogliono, tentano con tutte le loro forze di essere alla sequela di Gesù, sulle sue tracce (cf. 1Pt 2,21). È il miracolo dei miracoli questo ricominciare del Vangelo vissuto, oserei dire della chiesa più vera, del fuoco del Vangelo che, conservato sotto la brace, ricomincia a divampare, a essere fuoco.
Ecco dunque “l’inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”, cioè della notizia bella e buona che è portata e rappresentata da Gesù di Nazaret, il Messia venuto da Dio e da lui inviato nel mondo, la sua Parola eterna fatta carne fragile e mortale (cf. Gv 1,14), il suo Figlio venuto tra gli uomini. Il termine Vangelo (euanghélion) è attestato nella versione greca del profeta Isaia, nel passo che in questa domenica viene letto come prima lettura: Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua schiavitù è finita, che il suo peccato è stato perdonato …Sali su un alto monte, tu che annunci la buona notizia (verbo euanghelízo) a Sion. Alza la tua voce con forza, tu che annunci la buona notizia (verbo euanghelízo) a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città della Giudea: “Ecco il vostro Dio!” (Is 40,1-2.9).
Ecco il Vangelo, la bella e buona notizia: Dio viene! Nel vangelo secondo Marco questa buona notizia è che Dio viene in Gesù suo Figlio. Tutto avviene come sta scritto nello stesso brano del profeta Isaia: Ecco – dice il Signore –, io invio il mio messaggero davanti a te, egli preparerà la tua strada. Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Is 40,3; cf. Es 23,20; Ml 3,1).
Gesù non è qualcuno che arriva per caso, ma giunge secondo la promessa fatta dai profeti, ed è colui che è atteso da quanti hanno ascoltato i profeti stessi. Gesù viene dunque preceduto da un messaggero, Giovanni il Battista, che gli prepara una strada e chiede di ritornare a Dio mutando il comportamento, cambiando la propria vita nel pensare e nell’agire. Ecco la metánoia, la conversione che esige di non fare più ciò che si faceva, di tralasciare di fare il male, di fare il bene secondo la volontà di Dio (cf. Is 1,16-17). Occorre cambiare, avere questo coraggio e questa forza per collocarsi in una novità di vita, in modo da poter incontrare colui che viene, il Signore veniente, colui che Dio ha inviato nel mondo, in mezzo all’umanità.
Per dire che erano convinti e che iniziavano questo nuovo cammino di accoglienza della buona notizia, molti andavano da Giovanni nel deserto e sigillavano questo nuovo inizio facendosi da lui immergere nelle acque del Giordano. In tal modo essi dicevano visibilmente che accettavano di seppellire il loro vivere mondano, ed erano tirati fuori dalle acque quali creature nuove, impegnati in una vita nuova, riconciliati con Dio che rimetteva, perdonava i loro peccati. Giovanni è il messaggero inviato da Dio davanti a Gesù, è l’uomo del deserto, dove si fa raggiungere dai credenti, perché nel deserto, luogo di solitudine e di spogliazione, potessero ascoltare la voce di Dio e discernere il Veniente (ho erchómenos), che è ormai vicino, imminente, tanto da poter essere annunciato dal precursore. Giovanni non ne dice il nome, ma lo indica come “il più forte che viene dietro di me”, che presto sarà rivelato, farà la sua comparsa. Per ora sta umilmente, come discepolo, dietro a Giovanni, il maestro, colui che immerge nell’acqua per sigillare la conversione e il perdono dei peccati da parte di Dio. Ma ecco, sta per venire, e il Battista quale messaggero e precursore deve annunciarlo e deve confessare di non essere degno neppure di slegargli i sandali: è il Veniente, mandato da Dio, munito della forza dello Spirito santo!
La chiamata di Giovanni ieri era rivolta ai giudei, annuncio di una buona notizia riguardante Gesù, il Veniente, il Messia, il Figlio di Dio. Ma questa chiamata riguarda ancora noi, oggi: vogliamo ascoltare la bella e buona notizia? Vogliamo convertirci e cambiare vita? Vogliamo andare incontro al Veniente, Gesù Cristo, nella forza dello Spirito santo? Vogliamo, in altre parole, ricominciare il cammino di conversione a Dio, fidandoci di Gesù, della sua buona notizia, fidandoci della forza dello Spirito santo che può trascinarci in questo cammino di ritorno a Dio e di comunione con lui? La buona e bella notizia, il Vangelo di Gesù Cristo, riesce a farci ricominciare la sequela sulle sue tracce?
Sì, il Vangelo vissuto non fa che chiamarci a ricominciare sempre, proprio come annuncia il vangelo secondo Marco con una significativa inclusione. All’inizio del vangelo, in Galilea, Gesù chiama degli uomini, dei pescatori (cf. Mc 1,16-20); alla fine il Risorto li chiama di nuovo, dopo le loro contraddizioni alla sequela e i loro misconoscimenti della sua buona e bella notizia: “Vadano in Galilea. Là mi vedranno” (cf. Mc 16,7). Dove li ha chiamati a cominciare, li richiamerà a ricominciare: è l’avventura cristiana, che sempre ricomincia! È Avvento, fratelli e sorelle, è ora di ricominciare!

 

Publié dans : OMELIE PREDICH, DISCORSI E...♥♥♥ | le 4 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

la benedizione

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Publié dans : immagini sacre | le 2 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 2 dicembre 2020 – Catechesi sulla preghiera – 17. La benedizione

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PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 2 dicembre 2020 – Catechesi sulla preghiera – 17. La benedizione

Biblioteca del Palazzo Apostolico

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi ci soffermiamo su una dimensione essenziale della preghiera: la benedizione. Continuiamo le riflessioni sulla preghiera. Nei racconti della creazione (cfr Gen 1-2) Dio continuamente benedice la vita, sempre. Benedice gli animali (1,22), benedice l’uomo e la donna (1,28), infine benedice il sabato, giorno del riposo e del godimento di tutta la creazione (2,3). È Dio che benedice. Nelle prime pagine della Bibbia è un continuo ripetersi di benedizioni. Dio benedice, ma anche gli uomini benedicono, e presto si scopre che la benedizione possiede una forza speciale, che accompagna per tutta la vita chi la riceve, e dispone il cuore dell’uomo a lasciarsi cambiare da Dio (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 61).
All’inizio del mondo c’è dunque Dio che “dice-bene”, bene-dice, dice-bene. Egli vede che ogni opera delle sue mani è buona e bella, e quando arriva all’uomo, e la creazione si compie, riconosce che è «molto buona» (Gen 1,31). Da lì a poco quella bellezza che Dio ha impresso nella sua opera si altererà, e l’essere umano diventerà una creatura degenere, capace di diffondere nel mondo il male e la morte; ma nulla potrà mai cancellare la prima impronta di Dio, un’impronta di bontà che Dio ha posto nel mondo, nella natura umana, in tutti noi: la capacità di benedire e il fatto di essere benedetti. Dio non ha sbagliato con la creazione e neppure con la creazione dell’uomo. La speranza del mondo risiede completamente nella benedizione di Dio: Lui continua a volerci-bene, Lui per primo, come dice il poeta Péguy,[1] continua a sperare il nostro bene.
La grande benedizione di Dio è Gesù Cristo, è il gran dono di Dio, il suo Figlio. È una benedizione per tutta l’umanità, è una benedizione che ci ha salvato tutti. Lui è la Parola eterna con la quale il Padre ci ha benedetto «mentre eravamo ancora peccatori» (Rm 5,8) dice san Paolo: Parola fatta carne e offerta per noi sulla croce.
San Paolo proclama con commozione il disegno d’amore di Dio e dice così: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,3-6). Non c’è peccato che possa cancellare completamente l’immagine del Cristo presente in ciascuno di noi. Nessun peccato può cancellare quell’immagine che Dio ha dato a noi. L’immagine di Cristo. La può deturpare, ma non sottrarla alla misericordia di Dio. Un peccatore può rimanere nei suoi errori per tanto tempo, ma Dio pazienta fino all’ultimo, sperando che alla fine quel cuore si apra e cambi. Dio è come un buon padre e come una buona madre, anche Lui è una buona madre: non smettono mai di amare il loro figlio, per quanto possa sbagliare, sempre. Mi viene in mente quelle tante volte che ho visto la gente fare la fila per entrare in carcere. Tante mamme in fila per entrare e vedere il loro figlio carcerato: non smettono di amare il figlio e loro sanno che la gente che passa nel bus pensa “Ah, questa è la mamma del carcerato”. Eppure non hanno vergogna di questo, o meglio, hanno vergogna ma vanno avanti, perché è più importante il figlio della vergogna. Così noi per Dio siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare, perché Lui è padre, è madre, è amore puro, Lui ci ha benedetto per sempre. E non smetterà mai di benedirci.
Un’esperienza forte è quella di leggere questi testi biblici di benedizione in un carcere, o in una comunità di recupero. Far sentire a quelle persone che rimangono benedette nonostante i loro gravi errori, che il Padre celeste continua a volere il loro bene e a sperare che si aprano finalmente al bene. Se perfino i loro parenti più stretti li hanno abbandonati perché ormai li giudicano irrecuperabili, per Dio sono sempre figli. Dio non può cancellare in noi l’immagine di figlio, ognuno di noi è figlio, è figlia. A volte si vedono accadere dei miracoli: uomini e donne che rinascono. Perché trovano questa benedizione che li ha unti come figli. Perché la grazia di Dio cambia la vita: ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo.
Pensiamo a ciò che ha fatto Gesù con Zaccheo (cfr Lc 19,1-10) per esempio. Tutti vedevano in lui il male; Gesù invece vi scorge uno spiraglio di bene, e da lì, dalla sua curiosità di vedere Gesù, fa passare la misericordia che salva. Così è cambiato dapprima il cuore e poi la vita di Zaccheo. Nelle persone reiette e rifiutate, Gesù vedeva l’indelebile benedizione del Padre. Zaccheo è un peccatore pubblico, ha fatto tante cose brutte, ma Gesù vedeva quel segno indelebile della benedizione del Padre e da lì la sua compassione. Quella frase che si ripete tanto nel Vangelo, “ne ebbe compassione”, e quella compassione lo porta ad aiutarlo e a cambiargli il cuore. Di più, è arrivato a identificare sé stesso con ogni persona bisognosa (cfr Mt 25,31-46). Nel brano del “protocollo” finale sul quale tutti noi saremo giudicati, Matteo 25, Gesù dice: “Io ero affamato, io ero nudo, io ero in carcere, io ero in ospedale, io ero lì…”.
A Dio che benedice, anche noi rispondiamo benedicendo – Dio ci ha insegnato a benedire e noi dobbiamo benedire -: è la preghiera di lode, di adorazione, di ringraziamento. Il Catechismo scrive: «La preghiera di benedizione è la risposta dell’uomo ai doni di Dio: poiché Dio benedice, il cuore dell’uomo può rispondere benedicendo Colui che è la sorgente di ogni benedizione» (n. 2626). La preghiera è gioia e riconoscenza. Dio non ha aspettato che ci convertissimo per cominciare ad amarci, ma lo ha fatto molto prima, quando eravamo ancora nel peccato.
Non possiamo solo benedire questo Dio che ci benedice, dobbiamo benedire tutto in Lui, tutta la gente, benedire Dio e benedire i fratelli, benedire il mondo: questa è la radice della mitezza cristiana, la capacità di sentirsi benedetti e la capacità di benedire. Se tutti noi facessimo così, sicuramente non esisterebbero le guerre. Questo mondo ha bisogno di benedizione e noi possiamo dare la benedizione e ricevere la benedizione. Il Padre ci ama. E a noi resta solo la gioia di benedirlo e la gioia di ringraziarlo, e di imparare da Lui a non maledire, ma benedire. E qui soltanto una parola per la gente che è abituata a maledire, la gente che sempre ha in bocca, anche in cuore, una parola brutta, una maledizione. Ognuno di noi può pensare: io ho questa abitudine di maledire così? E chiedere al Signore la grazia di cambiare questa abitudine perché noi abbiamo un cuore benedetto e da un cuore benedetto non può uscire la maledizione. Che il Signore ci insegni a mai maledire ma a benedire.

Publié dans : PAPA FRANCESCO CATECHESI | le 2 décembre, 2020 |Pas de Commentaires »

I domenica di Avvento

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Publié dans : immagini sacre | le 27 novembre, 2020 |Pas de Commentaires »

I DOMENICA DI AVVENTO (B) COMMENTO – “VEGLIATE!” – ENZO BIANCHI

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I DOMENICA DI AVVENTO (B) COMMENTO – “VEGLIATE!” – ENZO BIANCHI

Entriamo nel tempo dell’Avvento (adventus, venuta), ascoltando le ultime parole del discorso escatologico di Gesù nel vangelo secondo Marco (cf. Mc 13,1-37). Un discorso che Gesù aveva iniziato rivolgendosi ai quattro discepoli chiamati per primi e più coinvolti nella sua vita – Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (cf. Mc 13,3-4) –, e che ora egli termina indirizzandosi “a tutti”, con un’esortazione impellente: “Vegliate!”. Questo imperativo appare nel nostro brano come un ritornello incessante, accanto all’altro: “Guardate!” (cf. Mc 13,5.9.23). Tutte le parole di Gesù, e soprattutto la parabola dell’uomo partito per un lungo viaggio, sono finalizzate al comando del vegliare.
Ma cosa significa vegliare? Vuol dire “stare svegli”, stare con gli occhi aperti, “fare attenzione”, come traduce la versione italiana. È la postura della sentinella che veglia, lottando contro il sonno e soprattutto contro l’intontimento spirituale; che tiene gli occhi ben aperti e scruta l’orizzonte per cogliere chi e che cosa sta per giungere. Vegliare è un esercizio faticoso, perché in esso occorre impegnare la mente e il corpo, ma è un esercizio generato e sostenuto da una speranza salda: c’è qualcuno che giunge, qualcuno che è alla porta; qualcuno che, amato, invocato, ardentemente desiderato, sta per venire. Non è un caso che sanno vegliare soprattutto le sentinelle e gli amanti…
Per noi cristiani la veglia è una necessitas imposta dalla nostra fede nel Signore Gesù Cristo che viene nella gloria. Egli è venuto nell’umiltà della carne in mezzo a noi, condividendo la nostra umanità, “insegnandoci a vivere in questo mondo” (cf. Tt 2,12), e viene presto nella gloria. La sua venuta si imporrà, perché davanti a lui staranno tutta l’umanità e tutta la creazione (cf. Mt 25,31-46). E siccome quel “giorno” verrà all’improvviso, non sarà fissato né provocato da alcuna ragione appartenente a questo mondo, ma risponderà solo a un decreto di Dio, estrinseco alla storia e al mondo, allora occorre essere preparati, e ci si prepara esercitandosi a una lotta senza tregua contro ogni tentazione di abbassare la guardia, di chiudere gli occhi, di non accorgersi di nulla.
Lungo tutto il vangelo Gesù invita a tenere gli occhi aperti per ascoltare la parola di Dio (cf. Mc 4,12; Is 6,9-10), per discernere il lievito dei farisei che si insinua facilmente in noi (cf. Mc 8,15), per non credere a quelli che predicono il futuro come se lo conoscessero (cf. Mc 13,5.21-23). Qui invita a tenere gli occhi aperti per vigilare e vegliare, compito che riassume e dà senso a tutti precedenti. Sì, noi non sappiamo né il giorno né l’ora in cui si compirà questa parola del Signore, parola definitiva su tutta la creazione; non sappiamo quando Gesù Cristo, risorto e vivente in Dio quale Signore, verrà: e questa attesa che dura ormai da quasi duemila anni è faticosa. Nella fede, però, sappiamo che “il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa” (2Pt 3,9) e che ai suoi occhi “un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno” (2Pt 3,8); nella fede siamo certi che la sua parola non può mentire e non può non realizzarsi. Ecco perché lo attendiamo, perseveranti nella preghiera che grida: “Maràna tha! Vieni, Signore” (1Cor 16,22; Ap 22,20).
Questa attesa è dipinta da Gesù nella parabola in cui il Figlio dell’uomo è assente, come un uomo partito per un viaggio. Lasciando la sua casa, costui ha dato ai suoi servi facoltà e responsabilità sulla casa stessa e ha raccomandato al portinaio di vegliare alla porta su chi entra e chi esce. Per quei servi e quel portinaio questo è il tempo della responsabilità: ciascuno ha un compito preciso da svolgere, ciascuno un lavoro di cui rendere conto. Comprendiamo che qui Gesù sta evocando la sua comunità, con dei servi responsabili e un portinaio vigilante, colui che presiede.
Chissà quando il Signore verrà… Potrebbe venire nella sera quando uno dei Dodici, Giuda, lo consegna (cf. Mc 14,17.43) e Pietro, Giacomo e Giovanni dormono, invece di vegliare con lui (cf. Mc 14,32-42); o forse a mezzanotte, quando regna l’oscurità e dominano le tenebre; o forse al canto del gallo, quando il portinaio, Pietro, lo rinnega (cf. Mc 14,72); o forse al mattino, quando ormai la notte è diventata lunga, insopportabile. In ogni caso, arriverà certamente all’improvviso, per questo occorre non essere addormentati ma restare vigilanti, memori del semplice ma decisivo monito di un padre del deserto, abba Poemen: “Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante”.

 

Publié dans : OMELIE PREDICH, DISCORSI E...♥♥♥ | le 27 novembre, 2020 |Pas de Commentaires »

la preghiera

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Publié dans : immagini sacre | le 25 novembre, 2020 |Pas de Commentaires »
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